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Golpe in Bolivia. Forza e debolezze delle alternative sociali al neoliberismo

di Redazione Contropiano - Luciano Vasapollo

nb mn xc nbxjc mxz Il golpe in Bolivia ha rovesciato una democrazia che era stata appena confermata il libere elezioni, in cui nemmeno gli osservatori stranieri meno benevoli erano riusciti a vedere irregolarità nel voto.

E’ assolutamente evidente che gli Stati Uniti, in ritirata in altre zone del mondo, stanno cercando di riprendersi il “cortile di casa” eliminando le esperienze alternative, dal Venezuela al Nicaragua, dal Brasile all’Ecuador e ora in Bolivia.

Un tentativo prepotente, che ottiene risultati alterni (le elezioni in Argentina hanno certo “deluso” Washington, e la liberazione di Lula può diventare la premessa per la caduta di Bolsonaro), ma va avanti perché non vede altre possibilità di mantenere l’egemonia almeno sul continente americano.

A noi sembra evidente, che questo attacco a tutto campo, condotto senza rispettare nessuno dei “valori” strombazzati tramite media, coglie i punti di debolezza dei vari tentativi di sottrarsi alla morsa yankee con metodi democratici.

La reazione imperialista organizza in modo militare quei settori sociali che sono stati democraticamente espulsi dalla gestione del potere politico ma hanno mantenuto pressoché intatto il proprio ruolo economico.E mobilita tutte le funzioni chiave che aveva provveduto a “istruire” ai tempi del dominio assoluto (dalle forze militari ai “giudici” catechizzati al ritmo di “mani pulite”, come l’attuale ministro di Bolsonaro, Sergio Moro).

E’ questa la conseguenza di un errore abbastanza comune, quello di credere che la conquista del governo politico coincida con la conquista del potere reale. Ma se non si mette mano alla modifica sostanziale del sistema economico, ossia se non si fa prevalere l’autodeterminazione sul come e cosa produrre e ci si limita soltanto alle politiche di redistribuzione sociale, non si modificano le modalità di riproduzione delle parti reazionarie e benestanti della società.

La trasformazione sociale, ci mostra anche l’esperienza drammatica della Bolivia, è una questione di rapporti di forza in cui si usa tutto. Non è un caso, per esempio, che laddove la forza militare e le strutture dell’autogoverno popolare sono più forti (come in Venezuela, ma non solo), la reazione faccia molta più fatica a cercare di risalire la china. Mentre dove le strutture del potere popolare sono più deboli, e la filiera di comando militare resta politicamente “affine” con gli interessi imperialistici, il rischio di golpe è perenne. E attende solo un momento di incertezza, una protesta popolare – non importa se spontanea o sobillata strumentalmente -, per mettersi in moto, spargere sangue, riportare gli antichi sfruttatori (la borghesia compradora) ai posti di comando.

Qui di seguito il contributo di Luciano Vasapollo, responsabile italiano della Rete di Intellettuali in Difesa dell’Umanità e delegato del rettore della Sapienza per le relazioni internazionali con l’America Latina e il Caribe, grande conoscitore della realtà LatinoAmericana.

* * * *

Far prevalere la politica dell’autodeterminazione sull’economia solo redistributiva, con forme diverse di democrazia da quelle borghesi.

La Bolivia sotto l’attacco dell’imperialismo e delle multinazionali come il Venezuela.

Una crisi da leggere nel conflitto di classe a livello mondiale: mondo unipolare versus dedollarizzazione delle economie e mondo pluricentrico.

La crisi gravissima nella quale la Bolivia è precipitata in queste ultime ore, sotto l’attacco delle oligarchie locali, delle multinazionali, della Cia, dell’imperialismo e dei narcos, è una vera e propria guerra per il controllo delle ingenti risorse minerarie locali”.

Gli Stati Uniti hanno enormi difficoltà a continuare ad imporre la loro egemonia e lo si vede chiaramente nelle difficoltà di controllo internazionale anche per il ruolo svolto da Cina, Russia, Iran, Venezuela, Bolivia e Cuba.

In particolare gli USA non riescono a piegare la resistenza eroica del popolo bolivariano e cubano e a controllare l’economia internazionale e questo li mette davanti alla realtà di un mondo che non ha più un’unica dimensione imposta da Washington in vari modi, ad esempio l’America Latina come cortile di casa, ma è multipolare superando cioè la caratterizzazione unipolare a guida Stati Uniti; oggi le potenze emergenti stanno cercando una politica unica, quella di un sistema che sta insieme sul tema della de-dollarizzazione del mondo, nel tentativo, che oggi sembra poter riuscire, di un’alternativa al dollaro e all’euro, cioè di un sistema produttivo, commerciale e monetario alternativo che ad esempio possa trovare cripto monete che basino il loro valore sul ruolo dell’oro come riserva internazionale.

E la Bolivia ha una potenzialità mineraria rilevante, tale da poter rappresentare un’alternativa di sistema economico, tra l’altro, come si è visto in questi anni con una crescita irrefrenabile del Pil. E con le cospicue riserve auree e del litio (un minerale fondamentale per lo sviluppo della cosiddetta “green economy”, dunque strategico per mantenere o conquistare l’egemonia economica futura).

Secondo Vasapollo, “il tema di porre all’ordine del giorno del dibattito per l’alternativa quello di percorrere nuove forme di potere politico socialista che superino la visione di una democrazia borghese che si è dimostrata inadeguata ad poter essere adattata anche in chiave progressista alla rivoluzione chavista, e ad accompagnare anche il cambiamento socio-economico del governo di Evo Morales, che pure sul piano degli indicatori economici ha dato buoni risultati.

In Bolivia si è giocata una partita con due tipi di “opposizione”, quella fascista della Mezza Luna di Santa Cruz, che nel tentativo di deporre con un golpe Evo ha ottenuto l’appoggio dei settori corrotti della polizia e l’oligarchia; e l’altra opposizione, quella capeggiata da Carlos Mesa, che raccoglie forze più moderate di quelle di Camacho, ma che comunque si muovo agli ordini degli USA e delle multinazionali anche europee.

I poteri forti presenti in America Latina – così come la destra boliviana – capiscono che si vanno riducendo i loro margini di manovra a causa della minaccia forte della Russia e della Cina al loro alleato Nord Americano. Mentre godono dell’appoggio delle multinazionali anche europee che vogliono vogliono limitare il più possibile l’espansionismo verso un mondo pluripolare.

Resta da considerare che qualsiasi processo umano commette errori e un paese di alternativa non si deve accontentare di forme di economia partecipativa ma gli elementi di politica per il potere di classe devono dominare sul governo dell’economia, cioè anche sul campo del controllo politico; si devono esprimere forme di democrazia di base dominate da elementi immediati di socialismo sul piano della politica, ma in forme originali e non accettando le regole della democrazia capitalista che rischia di vanificare il progetto della transizione anticapitalista.

Su questo si misurano i paesi che tentano la strada del socialismo: non ci si può permettere la democrazia venga espressa solo su base parlamentare in senso lato.

Non si possono accettare fino in fondo le regole della democrazia capitalista se si vuole tentare un cambiamento politico e socio-economico in chiave anticapitalismo.

Non ci si può riuscire – e lo stiamo vedendo – se non si forza sul terreno delle forme di democrazia politica che indirizzino e dirigano quelle sul piano economico: se la politica non domina sull’economia viene risucchiata, e si vanifica la costruzione centrale di forme della democrazia di base, democrazia socialista in chiave politica, e si scatena invece una rincorsa tra capitalismo cattivo e capitalismo moderato o di tipo sociale, che buono non è, e viene fatto fuori da chi tenta la strada utopica di una autoriforma del capitalismo, che non si è mai realizzata.

La situazione critica della Bolivia – sottolinea inoltre Vasapollo – coincide con importanti fatti nuovi e positivi in due grandi paesi latinoamericani come Argentina e Brasile, dove nel primo si è registrata la vittoria elettorale di Fernandez e della Kirkner che apre a un possibile rafforzamento del progetto dell’ALBA, e nel secondo la liberazione di Lula dalla carcerazione ingiusta che gli era stata inflitta rende assai precaria la situazione del governo neo fascista di Bolsonaro.

Mentre i sommovimenti sociali in Cile, dove la risposta del governo alla piazza è stata violenta e ha riportato alla mente la sanguinaria repressione di Pinochet, del quale il presidente è un ‘allievo’, e in Ecuador, un paese dollarizzato e in cui le risorse passano per un mercato d’importazione determinato dagli USA, hanno fatto suonare i campanelli d’allarme alla Casa Bianca.

Possiamo aspettarci qualunque strategia violenta di reazione per fermare questi processi di transizione anticapitalista in Nuestra América.

Per questo occorre evitare che si ripetano, da parte dei nostri compagni, errori che hanno creato situazioni di instabilità fino a oggi. Per esempio, non si può pensare solo di governare senza immettere nel processo organismi per la presa diretta del potere. O meglio, lo si può fare, ma sul medio e lungo periodo si finisce per avere il fiato corto. Prima o poi il problema della rottura rivoluzionaria si pone. Forse, allora, alcuni processi andavano accelerati approfittando della fase che ha ottenuto forti conquiste sul piano economico e sociale.

Per esempio, in Venezuela – spiega Vasapollo – si sarebbe dovuto puntare per tempo sulla diversificazione produttiva. Mi era capitato di parlarne in un’intervista al Correo del Orinoco già nel 2007-2008. Dicevo: bisogna nazionalizzare l’intero settore bancario. Bisogna nazionalizzare i settori strategici.

In Venezuela, oltre al settore petrolifero ed energetico, ai trasporti e alle telecomunicazioni, è strategico anche il settore della distribuzione di beni soprattutto di prima necessità. E infatti le reti di distribuzione alternativa gestite dal Governo, come Mercal, non sono bastate per far fronte alla guerra economica, e all’accaparramento dei prodotti basici sussidiati. Se la grande distribuzione resta in mano del settore privato, a scomparire non sono solo i cellulari, ma i beni di prima necessità. E se devi fare la fila per comprarli o devi pagarli a caro prezzo al mercato nero, il terrorismo mediatico fa presa anche nelle tue stesse fila.

Un altro errore – elenca Vasapollo – è spesso quello di puntare eccessivamente su alcuni fattori di innegabile leadership, come ad esempio la continuità anche personale di uno stesso gruppo dirigente, pensando che sarebbero durati per sempre. Invece, quando intervengono incidenti di percorso sono le strutture del potere popolare che il processo rivoluzionario è riuscito a costruire quelle che contano realmente.

Nella vicenda della Bolivia, come per il Venezuela, il quadro internazionale rappresenta inoltre un dato di cui non si può non tenere conto. Il ruolo sempre più incisivo nell’economia internazionale della Cina ha avuto risposta dagli Stati Uniti con quella che è stata denominata guerra commerciale. Il paese nordamericano ha reagito con aumenti delle tariffe dei prodotti provenienti dal paese asiatico il quale, a sua volta, ha risposto con sue misure protezioniste. Si tratta di un confronto di potenze economiche a cui si uniscono ad esempio Russia e Iran, India, Venezuela e tutti i paesi che lavorano per l’autodeterminazione e per sottrarsi al dominio imperialista.

La dollarizzazione del mercato del petrolio ha permesso e ancora permette agli Stati Uniti di usare una delle principali armi imperiali nel contesto di una guerra non convenzionale, attaccando le valute, piegando i governi e i popoli per posizionare il dollaro come moneta unica ed egemonica.

Contemporaneamente all’iniziativa, da un lato, della Cina di spostarsi verso un nuovo ordine commerciale, monetario e finanziario e dall’altro, l’insistenza dei settori statunitensi a mantenere il dollaro come moneta egemone, è emersa un’area di paesi che si muove verso alternative pluripolari e multicentriche anche con l’ipotesi di un nuovo sistema monetario basato su criptovalute. Attenzione, in questo caso le nuove criptomonete per l’alternativa si riferiscono all’assenza di gerarchia nell’emissione della moneta.

In questo ambito – conclude Vasapollo – ci poniamo l’obiettivo di analizzare l’iniziativa di muoverci verso un nuovo ordine economico pluripolare e multicentrico per l’autodeterminazione dei popoli. Così come la sua fattibilità e garanzia di un equilibrio universale che minimizzi la supremazia delle potenze e ci permetta di procedere verso modelli di giustizia sociale ed uguaglianza.

Anche se la presente evoluzione mondiale non traccia alcun “nuovo ordine”, ma solo nuove forme di scontro mondiale tra l’ordine dell’impero (occidente) e la volontà di indipendenza di quello che possiamo chiamare Sud.

Quello che è successo – in effetti – è che la volontà di indipendenza nazionale degli stati periferici si rivela con nuovi parametri ideologici di democrazia socialista che continuano ad avere come elemento principale l’antimperialismo e anticapitalismo. E’ per questo che oggi difendere i governi di Evo Morales e di Maduro, Cuba socialista e l’autodeterminazione dei popoli contro gli attacchi imperialisti significa dare un contributo effettivo e militante all’Inter nazionalismo di classe anche qui ed ora in Europa e in Italia.

Comments

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Franco Trondoli
Thursday, 14 November 2019 17:15
Complimenti a Michele Castaldo. Bravo. Chiaro e sintetico. Meglio di cosi è difficile dire. Cari Saluti
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michele castaldo
Tuesday, 12 November 2019 15:44
In un momento di grandi sconvolgimenti degli assetti capitalistici mondiali la Sinistra somiglia a una voliera dove molte specie di volatili, ognuna delle quali esprime il proprio cinguettio, dando così vita a un rumore collettivo stonato e garrulo. Segno dei tempi e delle nostre difficoltà. Una di queste voci che prendiamo a esaminare separata dal contesto della voliera è quella di Contropiano, una rivista e organizzazione che fino ad oggi, e giustamente, ha difeso strenuamente i governi di sinistra di alcuni paesi dell’America latina, di questo le va dato merito. Ma dopo le dimissioni di Morales in Bolivia c’è una novità in quello che scrive Luciano Vasapollo, conoscitore dei paesi latino americani e dirigente storico di quella rivista.
Diciamoci la verità, cari compagni, siamo lì a morderci i gomiti perché non riusciamo a venirne a capo di una messa in discussione di uno dei nostri capisaldi teorico-politici come quello del potere politico in grado di dirigere il potere economico. Un caposaldo che deve essere fatto risalire alle origini del nostro movimento ideale, quello del comunismo, presente nel Manifesto di Marx-Engels del 1848. Un caposaldo messo in discussione fin dalla Comune di Parigi, poi nell’Urss di Lenin prima e di Stalin poi, poi nella Cina di Mao, poi ancora nel Vietnam, Cuba, poi ancora in Iugoslavia e via via in tutta l’America latina, dove la forza del Modo di Produzione Capitalistico si è imposta ovunque.
La scommessa gramsciana, all’indomani dell’Ottobre 1917, che l’ideale avrebbe potuto avere il sopravvento sulle leggi dell’economia capitalistica, l’abbiamo persa. E, paradosso dei paradossi, proprio dove era più potente il capitalismo, come Usa e Europa, il modo di produzione capitalistico mostra la corda, dove è cominciato un declino irreversibile.
« I poteri forti presenti in America Latina – così come la destra boliviana – capiscono che si vanno riducendo i loro margini di manovra a causa della minaccia forte della Russia e della Cina al loro alleato Nord Americano. Mentre godono dell’appoggio delle multinazionali anche europee che vogliono limitare il più possibile l’espansionismo verso un mondo pluripolare».
L’Occidentali – dove è nato e si è sviluppato poi a macchia d’olio il movimento del Modo di Produzione Capitalistico – ha agito da apprendista stregone, ha suscitato fantasmi, cioè forze sociali divenuti poi concorrenti che gli si sono rivolti contro. È questa la grande verità storica di cui dobbiamo prendere atto. Questi ultimi 70 anni, in modo particolare, hanno rappresentato una lunga rincorsa da parte dei paesi aggrediti dal colonialismo prima e dall’imperialismo poi, per conquistare il pieno titolo a partecipare a quello straordinario movimento storico del Modo di Produzione Capitalistico. Una rincorsa che ha visto al “potere” politico ora la destra ora la sinistra, ma sempre con l’intento di partecipare a pieno titolo allo stesso movimento generale di sviluppo dell’accumulazione capitalistica.
Da questo punto di vista dobbiamo essere chiari: nessuno nasce con la vocazione alla schiavitù, neppure i più famigerati personaggi della destra, anzi in alcuni casi, come Hitler, Mussolini, Pinochet e similari, si pongono in competizione con le oligarchie e plutocrazie internazionali, cioè dei poteri forti. Sicché la guerra della destra contro la sinistra è pro domo sua anche quando si presta ai servigi delle potenze. Mentre la sinistra, pur ingaggiando una guerra contro il colonialismo e l’imperialismo lo fa sempre pro domo sua, ovvero per partecipare a pieno titolo al movimento di accumulazione capitalistico e sviluppare il proprio paese. Dunque su posizioni diverse e ben distinte, siamo sempre nell’ambito dello stesso sistema dove vigono le stesse leggi, quelle del Modo di Produzione Capitalistico.
Scrive Vasapollo:
«Resta da considerare che qualsiasi processo umano commette errori e un paese di alternativa non si deve accontentare di forme di economia partecipativa ma gli elementi di politica per il potere di classe devono dominare sul governo dell’economia, cioè anche sul campo del controllo politico; si devono esprimere forme di democrazia di base dominate da elementi immediati di socialismo sul piano della politica, ma in forme originali e non accettando le regole della democrazia capitalista che rischia di vanificare il progetto della transizione anticapitalista».
Qui sorgono tutte le nostre difficoltà, perché non può esistere un «paese di alternativa» e meno ancora se si tratta di un piccolo paese come la Bolivia, il Cile, Cuba, Venezuela. Non ce l’ha fatta l’Urss che era una grande coalizione di nazionalità, non ce l’ha fatta la Cina, con un miliardo e mezzo di abitanti. L’alternativa al Modo di Produzione Capitalistico non può essere nazionale e meno ancora di un piccolo paese. Nessun paese è sovrano proprio per le interconnessioni di un Movimento storico. L’unica vera sovranità è contemplata dalle leggi del capitale.
Ci corre l’obbligo di prendere in seria considerazione, perciò, quella che per Marx (del Capitale) era l’impersonalità del Modo di Produzione Capitalistico e le sue ineffabili leggi. Dunque non si tratta di «errori» che commette chi si impegna a governare da sinistra un paese, no, ma di leggi che ci sovrastano anche quando la nostra volontà vorrebbe virare la nave per una rotta diversa. Insomma la forza delle onde delle leggi del capitale ci portano là dove non pensiamo di andare, come capitò a Colombo che pensava di essere arrivato nelle Indie e si trovò a sud delle Americhe.
Non andò meglio a Lenin che fu costretto a dire «eravamo su un treno a binario unico della storia»; e successivamente ci siamo trovati al cospetto di Den Xiao Ping che sentenziò: «non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante che acchiappi i topi».
Dove avrebbero sbagliato Marx, Lenin, Stalin, Mao, Fidel, Tito, Ceaucescu, e via via fino a Morales? A illudersi che la politica avrebbe potuto dirigere l’economia. E Robespierre li aveva preceduti con la legge sul «Maximum» e finì al patibolo fra due ali di folla plaudenti. Tutto qui. E per questa illusione stiamo pagando un prezzo altissimo come tendenza ideale del comunismo. Perché il Comunismo è la negazione del capitalismo e per questa ragione non possiamo dirigere quello che vogliamo distruggere.
Scrive Vasapollo:
«Non si possono accettare fino in fondo le regole della democrazia capitalista se si vuole tentare un cambiamento politico e socio-economico in chiave anticapitalismo».
Questo è vero, ma non possiamo pensare che il popolo è sempre incline alla guerra, specialmente se ci poniamo come alternativa di un potere politico in grado di dirigere diversamente l’economia. Poi paghiamo dazio. Così come stiamo pagando.
E non possiamo riproporre come soluzione la stessa tesi, quando la storia degli ultimi 200 anni almeno l’ha smentita clamorosamente, come dice lo stesso Vasapollo:
«Non ci si può riuscire – e lo stiamo vedendo – se non si forza sul terreno delle forme di democrazia politica che indirizzino e dirigano quelle sul piano economico: se la politica non domina sull’economia viene risucchiata».
Ci corre l’obbligo di essere chiari ed espliciti: senza la forza della mobilitazione delle masse, non è possibile spostare di un millimetro le leggi dell’economia. E la forza della mobilitazione delle masse non la si può gestire a comando. Essa si sprigiona non per volontà dei comunisti ma per la pressione delle leggi del capitale. Ovvero quelle stesse leggi dell’apprendista stregone che ha evocato fantasmi che gli si sono rivoltati contro.
Attenzione bene, perciò, a non imbarcarsi nella leggenda del «si sarebbe dovuto fare e non si è fatto» come fa Vasapollo quando scrive:
«Per esempio, in Venezuela – spiega Vasapollo – si sarebbe dovuto puntare per tempo sulla diversificazione produttiva. Mi era capitato di parlarne in un’intervista al Correo del Orinoco già nel 2007-2008. Dicevo: bisogna nazionalizzare l’intero settore bancario. Bisogna nazionalizzare i settori strategici».
Già Marx si comportò allo stesso modo dopo la sconfitta dei Comunardi e l’atroce massacro. E si sbagliava, perché dopo una sconfitta si devono analizzare le cause delle forze oggettive, piuttosto che indicare nelle colpe degli uomini i risvolti storici. Una lettura più attenta e meno ideologica della Comune di Parigi ci porterebbe a capire che un pugno di artigiani e operai si trovò al cospetto di uno straordinario movimento storico in ascesa e che non avrebbe in alcun modo potuto frenare.
È questo, purtroppo, l’ “errore” storico che come movimento ideale abbiamo tutti compiuto, esso consiste nell’aver creduto che un movimento in ascesa potesse essere fermato con la volontà degli uomini oppressi e sfruttati che invece erano prigionieri di quelle forze oggettive che l’insieme del movimento del capitale s’imponevano.
La conclusione a cui giunge Vasapollo è piuttosto peregrina:
«In questo ambito ci poniamo l’obiettivo di analizzare l’iniziativa di muoverci verso un nuovo ordine economico pluripolare e multicentrico per l’autodeterminazione dei popoli. Così come la sua fattibilità e garanzia di un equilibrio universale che minimizzi la supremazia delle potenze e ci permetta di procedere verso modelli di giustizia sociale ed uguaglianza».
• A) Innanzitutto cerchiamo di volare bassi: che vuol dire «ci poniamo l’obiettivo»? Chi siamo, quanti ne siamo, quale forza reale rappresentiamo?
• B) Qual è la tendenza che ha imboccato il Moto-Modo di Produzione Capitalistico a scala Mondiale?
• In che modo si può innestare una proposta politica come quella del Comunismo? Se:
1) Siamo dei residui di un movimento ideale illusosi sulla possibilità che una classe avesse potuto abbattere un modo di produzione in ascesa;
2) Siamo poco credibili perché i paesi che hanno dovuto lottare contro il colonialismo e l’imperialismo per uno sviluppo autoctono dell’accumulazione capitalistica, nella stragrande maggioranza, lo hanno fatto in nome del comunismo. Dunque usciamo con le ossa rotte e dall’89 non ci siamo più ripresi.
3) La proposta politica di un movimento comunista che si impernia su una classe, il proletariato, che abbatta la borghesia e instauri il proprio potere è priva di senso storico.
4) Non è data nessuna possibilità di un «nuovo ordine mondiale» - come scrive Vasapollo -perché è in atto, questo si, una tendenza centrifuga, ovvero di una fuga dal centro già da alcuni anni, possiamo datare proprio l’89 come primo potente sintomo con l’Urss, poi la Yugoslavia, l’Albania con il Kossovo, il Nord-Est dell’Italia, la Catalogna, ultimamente con l’Inghilterra per l’uscita dalla Ue. Una tendenza che ha raggiunto l’asia, vedi Hong Kong e che rischia di coinvolgere l’India. Una tendenza destinata a rafforzarsi piuttosto a ridursi. Una tendenza che per caratteristiche strutturali non può che essere nazionalistica, che chiama a raccolta ogni popolo a unirsi corporativamente contro gli altri popoli per batterli in concorrenza per l’acquisto delle materie prime e la vendita delle merci.
5) La natura di questa tendenza, che Vasapollo sembra prediligere, non è garanzia di maggiore sviluppo pacifico, ma di accelerazione caotica di tutti contro tutti, dove i vari settori del proletariato sono chiamati a svolgere il ruolo di grasso lubrificante di un sistema sempre più in crisi. Sicché «l’autodeterminazione dei popoli» di Vasapollo in che modo si dovrebbe dare? Solo rinnovando l’illusione di «non commettere gli errori del passato», ovvero di diversificare lo sviluppo industriale e sottrarsi così alle grinfie imperialiste. Cioè Vasapollo propone di fare – di qui in avanti – quello che non sono stati capaci di fare i dirigenti politici di alcuni paesi latinoamericani come Venezuela e Bolivia, giusto per stare in tema. Ma in questo modo scompare l’artefice principale dell’oppressione e dello sfruttamento, quel Modo di produzione Capitalistico che – vogliamo supporre – anche Vasapollo vuole combattere e abolire. Come la mettiamo?
Michele Castaldo
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