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brancaccio

Serve un “piano B”, la sinistra impari dalla débâcle di Tsipras

G. Russo Spena intervista Emiliano Brancaccio

Per l’economista la debacle greca insegna che bisogna mettere da parte la retorica europeista e globalista e predisporre una visione alternativa, un “nuovo internazionalismo del lavoro”. E sulla Grexit replica al premier ellenico che ha denunciato il mancato aiuto di Stati Uniti, Russia e Cina: “Se vero, significa che i grandi attori del mondo hanno scelto di non interferire più di tanto negli affari europei, lasceranno che l’Unione monetaria imploda per le sue contraddizioni interne”

face 55«È inutile negarlo, il governo e il parlamento greco hanno capitolato, gli apologeti dell’austerity hanno vinto anche stavolta. È l’ennesima prova che nella zona euro, purtroppo, le cose vanno come avevamo previsto». I renziani metterebbero anche lui nel girone dei ‘gufi’ ma l’economista Emiliano Brancaccio preferisce un’espressione più raffinata: «In questi anni, nostro malgrado, in tanti abbiamo indossato i panni delle Cassandre che allertano sui guai che verranno ma restano inascoltati». I media in questi giorni hanno ricordato le lettere pubblicate sul Sole 24 Ore nel 2010 e sul Financial Times nel 2013 con cui Brancaccio e altri colleghi segnalavano come le ricette di austerità, flessibilità del lavoro e schiacciamento dei salari avrebbero provocato disastri, aggravando la posizione dei Paesi debitori e rendendo sempre meno sostenibile l’assetto dell’eurozona.

 

Professore, alla vigilia delle ultime elezioni europee Lei rifiutò una candidatura a capolista dell’Altra Europa con Tsipras. Adesso che il leader ellenico ha accettato l’ultimatum dei creditori, in molti – scendendo repentinamente dal carro del vincitore – sono tornati sulla sua scelta di allora, ritenendola lungimirante. È veramente così?

È un modo malizioso di interpretare quella mia decisione. All’epoca rifiutai la candidatura per ragioni professionali, non politiche. È vero tuttavia che fin dall’inizio dell’ascesa di Tsipras ho criticato l’idea che una vittoria della sinistra in Grecia potesse imprimere una reale svolta agli indirizzi di politica economica dell’Unione. Tsipras ha contribuito ad alimentare questa speranza, e oggi ne paga le conseguenze.

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conness precarie

L’estate del nostro sconcerto

La Grecia, l’Europa e le lotte transnazionali

∫connessioni precarie

acropoliQuesto non è un colpo di Stato. Senza dubbio c’è stata un’imposizione di fatto unilaterale che ha completamente ignorato e quindi cancellato ogni traccia del referendum greco. Bisogna però anche dire che lo Stato da colpire non c’era più da tempo: dissolto dalla pressione del debito, con una sovranità impossibile, con un 1/3 del suo popolo che vive al di fuori di un territorio nazionale spesso controllato da capitali provenienti da altri Stati. Non possiamo quindi accontentarci della lettura golpista dell’Editto di Bruxelles. Farlo vorrebbe dire continuare a coltivare l’illusione che ha contagiato non pochi, anche alle nostre latitudini politiche, che hanno interpretato il referendum dell’OXI come la rivincita della democrazia contro la finanza transnazionale. Così come hanno visto nel referendum l’atto di un popolo finalmente tornato sovrano contro le angherie della governance finanziaria europea, ora vedono l’Europa che si accanisce contro i popoli. Questa fede nel potere dei popoli potrebbe perfino avere contenuti edificanti, se almeno tenesse conto che quel potere si è smaterializzato di fronte alle feroci imposizioni dettate dall’accordo tra i leader europei e Tsipras, e se non finisse per sorvolare sul fatto che la democrazia, la sovranità e il suo popolo sono parte del problema e non la soluzione. D’altra parte anche in Grecia in queste ore qualcuno si azzarda a osservare che sono soprattutto centinaia di migliaia di precari a essere stati sacrificati sull’altare di quel che resta dello Stato greco e del suo popolo.

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infoaut2

Grexit: primo atto

di Raffaele Sciortino

9e813899d7b3943fbcc3f5267b1be732 xlEra facile prevedere che l’OXI glielo avrebbero fatto pagare carissimo, e così è stato. Alla luce dell’esito durissimo del “negoziato” tra governo greco ed Eurogruppo la discussione ruota ora intorno alle prese di posizione pro/contro Tsipras -ha tradito o non ha tradito il mandato popolare- e/o alla questione se il prezzo per salvarel’Europa non sia magari troppo alto. Una discussione, come minimo, in ritardo di fase. Questo “accordo” infatti non evita il Grexit ma ne è a ben vedere il primo atto, ed è da qui che bisognerebbe partire.

In effetti, a un minimo di considerazione realistica ciò che dovrebbe saltare agli occhi è che le condizioni del diktat europeo sono semplicemente inattuabili. Inattuabili per le prevedibili conseguenze sociali e politiche della “curatela” (così la Faz) imposta. Perché il “piano di investimenti” che Tsipras avrebbe strappato è una bufala - per poter investire un miliardo di euro, la Grecia dovrà prima cederne qualcosa come venticinque in asset pubblici pro banche e interessi, alla faccia della “crescita”.

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vocidallestero

La resa

di Jacques Sapir

Il prof. Sapir legge e commenta il terrificante “accordo” che l’Eurogruppo ha imposto alla Grecia, questo lunedì mattina, come condizione per ricevere liquidità e dunque non uscire (per ora) dall’euro. Le conseguenze politiche sono spaventose: di fatto in Grecia la democrazia come la conosciamo è stata cancellata. Gli stessi prestiti dovranno essere rimborsati, se necessario, con la svendita più selvaggia dei beni pubblici. François Hollande si è vantato di aver “salvato l’euro”. Ma, nota Sapir, euro, austerità e abolizione della democrazia sono palesemente la stessa cosa

timthumbNel primo mattino di lunedì 13 luglio, il primo ministro greco Alexis Tsipras si è infine arreso. Si è arreso alle pressioni irragionevoli della Germania, ma anche della Francia, della Commissione Europea e dell’Eurogruppo. Ad ogni modo si è arreso. Non ci sono infatti altri termini per definire l’accordo che gli è stato imposto dall’Eurogruppo, nonché dai vari dirigenti europei, se non come una pistola – o più esattamente la minaccia di un’espulsione della Grecia dall’eurozona – puntata alla tempia. Questa resa avrà delle conseguenze drammatiche, in primo luogo in Grecia, dove l’austerità continuerà ad essere messa in atto, ma anche nel resto dell’Unione Europea. Le condizioni alle quali questa resa è stata ottenuta distruggono il mito di un’Europa unita e pacifica, di un’Europa di solidarietà e di compromessi. Abbiamo visto la Germania ottenere sulla Grecia ciò che anticamente si chiamava una “pace cartaginese”. Sappiamo che questa è stata fin dall’inizio la posizione del signor Dijsselbloem, il presidente dell’Eurogruppo [1]. Ma abbiamo anche visto, con rabbia, che alla fine la Francia si è inchinata alla maggior parte delle richieste tedesche, qualunque cosa ne dica il nostro presidente.

Questo 13 luglio è e resterà nella Storia come un giorno di lutto, sia per la democrazia che per l’Europa.

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micromega

Le illusioni europeiste della sinistra e la dittatura della UE

di Enrico Grazzini

18552226163 4be99f40b7 zIl destino della Grecia, dell'Europa e dell'euro si sta svelando in questi giorni. L'Unione Europea usuraia ha imposto la sua brutale autorità umiliando il governo di Alexis Tsipras contro la volontà del popolo greco. Occorre denunciare l'aggressione della UE e di Berlino alla democrazia in Europa e difendere anche in Italia la sovranità nazionale contro la dittatura economica di un governo europeo che nessuno ha mai eletto. Diventa sempre più indispensabile sganciarsi dai vincoli dell'euro recuperando forme di autonomia monetaria – come suggerisce la proposta di “moneta fiscale” – per superare i limiti della moneta unica che deprimono la nostra economia.

Il governo di sinistra di Alexis Tsipras, nonostante il NO al referendum, é stato costretto ad accettare un compromesso sul debito secondo molti economisti assai peggiore di quello rifiutato coraggiosamente dal popolo greco con il referendum. E' presto per un esame approfondito e definitivo dell'accordo tra la Troika e il governo socialista di Tsipras. Tuttavia sembra che l'intesa sia ampiamente insoddisfacente, che non risolverà i problemi economici della Grecia e le sofferenze inaudite della popolazione.

Il governo di Berlino, guidato da Angela Merkel e dal duro ministro ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, ha confermato la linea dura dell'austerità folle e suicida, a tutti i costi. Difficilmente la Grecia si risolleverà dalla crisi. Il debito non è stato rimesso alla Grecia, nonostante le illusioni e le sciocche speranze della sinistra nostrana.

La UE ha imposto la sua dittatura usuraia in Europa, e la prossima vittima sacrificale a questa politica di crisi potremmo essere noi. La sinistra ha quindi nuove ed enormi responsabilità nel contrastare la politica UE e dell'euro. Ma finora è rimasta praticamente impotente e silenziosa di fronte all'attacco europeo alle economie e alle democrazie nazionali. Solo il Movimento 5 Stelle ha denunciato ad alta voce la Unione Europea anti-democratica e la feroce gabbia dell'euro.

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kappadipicche

Perchè il trattato MES esclude la possibilità di nuovi aiuti alla Grecia

di @arthasastra85

trattato mesLa vittoria del NO al Referendum del 5 luglio indetto dal governo guidato da Alexis Tsipras ha ridato coraggio al primo ministro ellenico sulle possibilità di scardinare il fronte dei creditori ed ottenere condizioni più favorevoli per un nuovo salvataggio del proprio paese. Dall’altre parte, nonostante l’apparente inflessibilità dei rappresentanti delle maggiori istituzioni europee ed internazionali, alcune fonti sostengono che per salvare l’Euro la Germania, attraverso la Cancelliera Angela Merkel, starebbe iniziando a considerare una ipotesi di taglio del debito greco.

Tuttavia il solo taglio del debito ancora da restituire sulla base dei due precedenti piani di salvataggio non sarebbe sufficiente ad assicurare la sopravvivenza economica della Grecia e sarebbe pertanto necessario provvedere alla concessione di nuovi fondi tramite le risorse finanziarie accreditate dagli Stati dell’Eurozona nel Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Vediamo come questi fondi potrebbero essere concessi.

E’ probabile che la Grecia chieda (i) aiuti finanziari per ricapitalizzare il proprio sistema finanziario (attualmente ancora in vita esclusivamente grazie alle linee di liquidità offerte dalla Banca Centrale Europea) e (ii) un ulteriore prestito in cambio dell’esecuzione di un programma di riforme macroeconomiche.

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sebastianoisaia

Quel che resta del referendum

di Sebastiano Isaia

alexangelaIl pezzo che segue è stato scritto ieri, otto luglio. Oggi aggiungo solo che, come scrivono il Wall Street Journal e il Financial Times, la crisi borsistica cinese, sintomo di sofferenze strutturali che probabilmente non tarderanno a manifestarsi in modi socialmente più devastanti («Ora che la bolla è lì lì per scoppiare, i piccoli investitori cinesi rischiano di perdere tutto, e il governo teme le conseguenze» (Il Foglio, 8 luglio 2015); il collasso borsistico di questi giorni a Shanghai e Shenzhen, dicevo, rischia di far apparire una ben misera cosa la crisi greca, una magagna che ha come suo centro motore «un Paese la cui economia vale quanto quella del Bangladesh». D’altra parte è anche vero che il peso geopolitico della Grecia è tutt’altro che irrilevante, ed è esattamente questa scottante materia prima politica che Tsipras sta cercando di valorizzare al massimo nelle trattative con i “poteri forti”, come peraltro non ha mancato di rimproverargli ieri all’Europarlamento il Presidente del Consiglio UE Donald Tusk. Come agirà (se agirà) lo sgonfiamento della bolla speculativa cinese sulla crisi greca: da classico deus ex machina in grado di risolvere una vicenda che appare altrimenti senza via di uscita, o come goccia che fa traboccare l’altrettanto classico vaso (di Pandora, certo)? Forse questa domanda sarà balenata ieri nella testa di più di un leader europeo.

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effimera

Undici tesi ispirate dalla situazione greca

di Alain Badiou

indexÈ più urgente che mai internazionalizzare la causa del popolo greco. Soltanto la cancellazione totale del debito assesterà un “attacco ideologico” all’attuale sistema europeo

* * * * *

1. Il “no” di massa del popolo greco non significa un rifiuto dell’Europa. Significa un rifiuto dell’Europa dei banchieri, del debito infinito e del capitalismo globalizzato.

2. Anche una parte dell’opinione nazionalista, e persino della destra estrema, ha votato “no” riguardo alle istituzioni della finanza? Al diktat dei governi reazionari europei? Ebbene, lo sappiamo che ogni voto puramente negativo è in parte confuso. La destra estrema, da sempre, può rifiutare certe cose che rifiuta pure l’estrema sinistra. Soltanto l’affermazione positiva di ciò che si vuole risulta chiara. E tutti sanno che ciò che vuole Syriza è opposto a ciò che vogliono i nazionalisti e i fascisti. Il voto non è dunque semplicemente una presa di posizione contro le esigenze antipopolari del capitalismo globalizzato e dei suoi servitori europei. È anche un voto che, per il momento, dona fiducia al governo Tsipras.

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contropiano2

Grecia. Dall'assurdo al tragico

Stathis Kouvelakis

grecia tsipras5 300x180Chiunque stia vivendo, o anche solo seguendo, gli sviluppi in Grecia sa fin troppo bene il significato di espressioni: come "momenti critici", "clima di stress", "drammatico capovolgimento", e "premendo sui limiti". Con gli sviluppi da lunedì ad oggi, qualche nuovo vocabolo andrà aggiunto alla lista: l'"assurdo".

La parola può sembrare strana, o un'esagerazione. Ma in quale altro modo si potrebbe definire il completo rovesciamento del significato di un evento incredibile come il referendum del 5 luglio, solo poche ore solo dopo la sua conclusione, da quelli che ha chiesto un "no" per cominciare?

Come si potrebbe spiegare che un leader di Nuova Democrazia come Vangelis Meimarakis e Stavros Theodorakis per To Potami - capi del campo sconfitto in modo così schiacciante domenica - sono diventati i portavoce ufficiali della linea da seguire da parte del governo greco? Come è possibile che un devastante "no" al Memorandum di politiche di austerità possa essere interpretato come un via libera per un nuovo protocollo? E per dirla in termini di senso comune: se erano disposti a firmare qualcosa di peggio e ancora più vincolante delle proposte del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, qual era il punto del referendum e la lotta per raggiungere la vittoria?

Il senso dell'assurdo non è solo un prodotto di questa inaspettata inversione. Esso deriva soprattutto dal fatto che tutto questo si sta svolgendo sotto i nostri occhi, come se nulla fosse accaduto, come se il referendum fosse qualcosa di simile a un'allucinazione collettiva che svanisce improvvisamente, lasciandoci continuare liberamente quello che si doveva fare prima. Ma poiché non siamo tutti diventati mangiatori di loto, lasciateci fare almeno un breve riassunto di ciò che è avvenuto negli ultimi giorni.

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orizzonte48

Euro alla frutta e TTIP alle porte

E il referendum-boomerang alla fine tutelerà i creditori

di Quarantotto

foto azimut fmi1. Dal blog di Krugman vi traduco, nelle parti salienti, questa irresistibile istantanea del volto idiota di una dittatura in nome dei mercati (e, ci ripetono in continuazione, della "pace"!):

"Supponiamo...che si parlasse di aumentare permanentemente il saldo primario di un punto di PIL. Come ho scritto in precedenza, e come rileva Simon Wren-Lewis, data la mancanza di una politica monetaria indipendente, ottenere un surplus primario richiede molto più di un'austerità in "rapporto 1 a 1".

In effetti, una buona ipotesi è che occorra tagliare la spesa pubblica del 2% del PIL, dato che l'austerità riduce l'economia e le entrate tributarie. Ciò, a sua volta, significa che si riduce l'economia intorno al 3%. Così, un 3% di colpo inferto al PIL per aumentare il saldo primario di 1.

Ma un'economia ridotta implica che il rapporto debito/PIL vada inizialmente in aumento. Ed infatti, dato il punto di partenza della Grecia, con un debito al 170% del PIL, l'effetto avverso dell'austerità significa che cercare di innalzare di 1 punto il saldo primario determina la crescita del rapporto debito/PIL di 5 punti (0,03x170).
Questo suggerirebbe che ci vorrebbero 5 anni di austerità per avere la ratio del debito nuovamente al livello in cui sarebbe stata in assenza di austerità.

Ma, aspettate, c'è di più. Associamo Irving Fischer alla discussione. Un'economia più debole porterà a minor inflazione (o a una più intensa deflazione), che, anch'essa, tende a innalzare il rapporto debito/PIL.

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micromega

L'euro, un errore politico

Giuliano Battiston intervista Wolfgang Streeck

euro qe trap«L’euro non è l’Europa». Per analizzare con lucidità il negoziato sul debito greco Wolfgang Streeck suggerisce di partire da qui. «L’equazione tra l’Unione monetaria e l’Europa è semplicemente ideologica, serve a nascondere interessi prosaici», spiega nel suo studio il direttore del Max-Planck Institut per la ricerca sociale di Colonia.

Gli interessi dei paesi del Nord Europa contro quelli del Sud, della finanza internazionale contro le popolazioni mediterranee, del “popolo del mercato” (Marktvolk) contro il “popolo dello Stato” (Staatvolk): del capitalismo contro la democrazia. Per l’autore di "Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico" (Feltrinelli, 2013), il caso greco non rappresenta infatti che l’ultima variante del processo di dissoluzione del regime del capitalismo democratico del dopoguerra. Quel regime che aveva faticosamente tenuto insieme, in una combinazione fragile e instabile, democrazia e capitalismo appunto, dando vita a un patto sociale ormai imploso.

Anche in Europa. E proprio a causa di un’Unione europea che si è fatta «motore di liberalizzazione del capitalismo europeo, strumento del neoliberismo». E di una moneta comune che serve gli «interessi del mercato». Per uscire dal vicolo cieco dell’Europa liberista votata all’austerity, per Wolfgang Streeck, tra i più influenti sociologi contemporanei, si dovrebbe partire proprio dalla rinuncia all’euro come moneta unica. Con una nuova Bretton Woods europea.

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utopiarossa2

Grecia: bilancio (provvisorio) e prospettive di un riformismo onesto

di Michele Nobile

ruined eu and greek1. Lo scontro tra il governo di Tsipras e i creditori internazionali della Grecia si svolge sul terreno economico ma, in effetti, è tutto politico; e se oggetto dei negoziati è la politica economica e sociale della Grecia, in prospettiva ad essere in gioco è l'intero sistema delle politiche e delle istituzioni europee o, meglio, il limite a cui esse possono spingersi nel confronto col governo di uno Stato membro la cui prospettiva è diversa da quella sedicente liberista. Infatti, non esiste alcuna presunta legge o necessità economica per imporre alla Grecia la feroce austerità che ha dovuto sopportare e a cui pare destinata ancora per anni, stando alla volontà della troika dei creditori, ribattezzata «le istituzioni»; anzi, sono proprio l'austerità e la conseguente depressione dell'economia che impediscono di ridurre il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno. A fronte dell'iniquità della politica neoliberista della troika, la vittoria elettorale di Syriza e la formazione del governo Tsipras sono eventi di enorme importanza per la sinistra europea:

«Per la prima volta dalla formazione dell'area dell'euro, nel negoziato tra il governo Tsipras e la troika (Banca centrale europea, Commissione europea, Fondo monetario internazionale) si sono opposte in modo chiaro due linee realmente alternative, sul piano istituzionale e del confronto fra governi»1.

La mia personale valutazione è che il governo Tsipras abbia operato nel migliore dei modi, per quanto umanamente possibile e date le circostanze. Ha mostrato saldezza di nervi, dignità e determinazione, caratteristiche non frequenti, per essere gentili, nella politica europea, in particolar modo in Italia.

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vocidallestero

Oxi!

di Jacques Sapir

Sul suo seguitissimo blog, J. Sapir commenta il referendum greco. Le istituzioni europee hanno cercato di influenzarne il risultato giocando sporco, ma sono state sconfitte. La loro reazione ora è scomposta, e perfino l’addio di Varoufakis difficilmente aiuterà a trovare un accordo. L’uscita della Grecia dall’eurozona è in parte già in atto ed è una strada che porta alla dissoluzione dell’eurozona intera

OXILa vittoria del «No» al referendum è un evento storico. Rimarrà una pietra miliare. Nonostante le numerose pressioni per il «Sì» esercitate dai media greci, così come dai leader dell’Unione Europea, nonostante la Banca Centrale Europea abbia posto le condizioni di una crisi bancaria, il popolo greco ha fatto sentire la sua voce. Ha fatto sentire la sua voce contro le bugie che sono state continuamente propinate nelle scorse settimane sulla situazione in Grecia. Diremo qualche parola riguardo a quegli editorialisti che hanno, intenzionalmente, modificato la realtà e suggerito che ci fosse un legame tra Syriza e l’estrema destra di Alba Dorata. Queste bugie non ci sorprendono più, ma non le dimenticheremo. La gente ha fatto sentire la propria voce con insolito vigore, dato che, contrariamente a quel che prevedevano gli exit poll, la vittoria del «No» è stata ottenuta con un margine considerevole, circa il 60%. Questo naturalmente rafforza il governo di Alexis Tsipras e dovrebbe dar da pensare ai suoi interlocutori. Presto sapremo cosa succederà. Ma possiamo dire subito che le reazioni di Martin Schulz al Parlamento europeo, di Jean-Claude Juncker a nome della Commissione [1] o di Sigmar Gabriel, il ministro dell’economia e alleato SPD del Cancelliere Merkel in Germania [2], non lasciano ben sperare a riguardo.

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L’ordine non regna ad Atene

di Raffaele Sciortino

proxyUna liberazione di energie, un piccolo grande no costituente: il voto greco ha portato in un’Europa asfittica, avvinghiata allo status quo, un pezzo di America Latina. Non ha rotto con questo l’isolamento della resistenza greca, non può farlo da sola, ma -passione contro ricatto, dignità contro paura - ha sbattuto in faccia a tutti le conseguenze di una crisi che i pescecani dell’euromerdocrazia e della finanza in alto, ceti sociali ottusi o rassegnati o ancora illusi in basso non riusciranno a lungo ad attribuire agli “irresponsabili” greci (anche se è questo oggi il messaggio lanciato e in gran parte recepito nel resto d’Europa).

Dunque, l’ordine non regna ad Atene. Al contrario, abbiamo la prima vera scossa politica in Occidente dallo scoppio della crisi globale. Adesso cercheranno di fargliela pagare carissima. La parola d’ordine a Berlino e Bruxelles è subito diventata organizzare il Grexit, non importa se tra mal di pancia, timori e mugugni di politici e stati di secondo rango o addirittura del padrino d’oltreoceano. Non si può lasciar passare l’idea che resistere è possibile! Il regime change, fallito in forma soft, passa ora alla fase due, quella dura che chiuderà del tutto i rubinetti della moneta puntando a produrre ancora più miseria, caos, scontento e, chissà, “richieste di ordine”.

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sinistra

Default totale

di Giulio Palermo

avoltoi 300x199In questo articolo, propongo una riflessione ad ampio raggio sulla possibilità che il movimento contro il debito si sviluppi attivamente in ogni paese d’Europa, connotandosi in senso anticapitalista. Invece di tifare Grecia e sperare che il governo Tsipras strappi condizioni dignitose nelle trattative con i creditori che strangolano il paese, l’idea è di aprire fronti di lotta al debito pubblico in tutti i paesi. Non ovviamente nell’intento di stabilizzare il sistema finanziario — come vorrebbero alcune forze favorevoli a un default negoziato e parziale — ma per far saltare l’attuale assetto politico-finanziario e avviare un processo verso il socialismo.

Gli effetti moltiplicativi di un simile coordinamento anticapitalista europeo sono ovvi. Sul piano politico, il rafforzamento del governo Tsipras in Grecia sarebbe immediato. Se ne tocchi uno, ci ribelliamo tutti! Questo è il migliore messaggio che sfruttati e oppressi d’Europa possono inviare ai signori dell’euro e della finanza. Ma non mi interessano i ragionamenti politici senza copertura, le proposte irrealizzabili, giusto per fare dibattito. Non proverò quindi a sviluppare nei dettagli cosa accadrebbe nell’ipotesi, alquanto improbabile, di un ripudio del debito simultaneo e coordinato, da parte di un movimento internazionalista forte e consapevole. Sarebbe come costruire una strategia di lotta basandola sull’ipotesi di aver già vinto.