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La BCE non cambia strategia. Così il debito rischia di soffocare l’eurozona

di Enrico Grazzini

Nella “Strategic Review” della Banca Centrale Europea nessun accenno alle svolte di politica monetaria necessarie per uscire dalla tremenda crisi dell’economia reale: helicopter money e cancellazione dei debiti degli stati

external content.duckducLa montagna non ha partorito neppure un topolino. La Banca Centrale Europea di Christine Lagarde ha concluso all’inizio di luglio la Strategic Review, la revisione strategica avviata nel gennaio 2020, con dei risultati che definire modesti sarebbe un eufemismo. Non è cambiato quasi nulla. Le novità non sono cattive ma non c’è assolutamente nessun cambiamento strategico, casomai qualche modifica tattica. La BCE continuerà a “navigare a vista” anche nell’epoca post-Covid e dei cambiamenti climatici ma continuerà anche a non avere gli strumenti sufficienti per affrontare le grandi sfide del presente e del futuro. Bisogna essere chiari a riguardo: la crisi economica e finanziaria provocata dal Covid è paragonabile a quella prodotta da una guerra. I debiti privati (soprattutto) e pubblici sono schizzati alle stelle. L’Italia per esempio a causa del Covid è passata dal 135 al 160% di debito pubblico su PIL, cioè un debito insostenibile. Il PIL è crollato del 9%. Finiti i sussidi, migliaia di aziende falliranno e centinaia di migliaia di lavoratori finiranno sul lastrico. La BCE è il maggiore creditore del debito pubblico italiano e finora ha assorbito quasi tutti i nuovi debiti legati alla crisi del Covid ma non è certamente detto che continuerà a farlo in futuro. Di fronte alla possibilità di una nuova crisi la BCE, nonostante la strategic review, potrebbe non avere nessun mezzo risolutivo. Anzi potrebbe essere costretta ad alzare i tassi di interesse, cioè il costo del debito.

Le principali novità annunciate da Lagarde sono queste: il Consiglio direttivo della BCE ha approvato all’unanimità la nuova strategia di politica monetaria che adotta un obiettivo di inflazione cosiddetto simmetrico del 2% a medio termine. La simmetria consiste in questo: per la prima volta la BCE decreta che potrebbe tollerare un periodo transitorio in cui l’inflazione si colloca “ad un livello moderatamente al di sopra dell’obiettivo del 2% di inflazione annua” – finora considerato dalla BCE stessa (chissà perché) sacro e inviolabile. Così la BCE sembra prepararsi al fatto che, grazie agli ingenti finanziamenti pubblici decisi dall’amministrazione Biden negli USA, l’economia potrebbe riprendersi anche in Europa e l’inflazione potrebbe riaccendersi al di sopra del 2% (già viaggia intorno al 2% nella zona euro e intorno al 4% negli USA). Il Consiglio direttivo ha inoltre confermato che continuerà a utilizzare lo IAPC, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, per misurare l’inflazione ma ha anche raccomandato l’Eurostat di includere gradualmente il costo dell’abitazione – che in generale è la principale voce di spesa delle famiglie – nel paniere che determina l’indice dell’inflazione.

Il Consiglio ha infine approvato un piano di azione connesso al cambiamento climatico – e questa è forse la novità più importante – considerando che il cambiamento del clima e i processi di transizione verso un’economia più sostenibile influiscono sulla stabilità dei prezzi. In concreto la BCE obbligherà le agenzie di rating a valutare anche l’impronta ecologica delle aziende; inoltre agevolerà i prestiti alle banche che finanziano la lotta al cambiamento climatico. La BCE, all’interno del suo piano di acquisto in corso di titoli delle grandi corporations, comprerà meno obbligazioni (titoli di debito) delle industrie inquinanti (che finora ha invece finanziato largamente) e acquisterà invece più obbligazioni delle industrie verdi.

Che cosa cambierà per l’economia reale grazie a queste novità introdotte dalla strategic review? Molto poco. Le aziende e il sistema finanziario dovranno sensibilizzarsi rispetto ai problemi del cambiamento climatico, e questo è un bene. I prezzi potranno salire anche oltre il 2% per un periodo di tempo limitato senza che la BCE sia costretta ad alzare subito i tassi di interesse e a contrarre l’erogazione di moneta. E anche questo è un bene.

Ma queste novità non risolvono per nulla il vero enorme problema dell’eurozona: la montagna di debiti che si sono accumulati a causa della pandemia e che rischiano di non fare ripartire i consumi e gli investimenti indispensabili per rilanciare l’economia reale. Infatti per cominciare a cancellare l’enorme accumulo di debiti dell’eurozona servirebbe un tasso di inflazione ben maggiore del 2%, fino al 4-5% circa, con il contemporaneo mantenimento del tasso attuale di interesse, pari a zero. Quando l’aumento dei prezzi del settore immobiliare sarà computato nel calcolo dell’inflazione è prevedibile che le stime sull’inflazione aumenteranno ma paradossalmente questo non sarà un bene per la politica monetaria dell’eurozona, perché più aumenta l’inflazione e più la BCE è costretta dal suo stesso statuto a contrarre la moneta. Già nel consiglio della BCE i falchi cominciano a proporre di terminare il Programma di acquisto dei titoli di debito degli stati per l’emergenza pandemica. Questo però provocherebbe immediatamente la crisi dei paesi più fragili e la crescita immediata del costo del debito sui mercati in un momento in cui invece i governi devono indebitarsi e aumentare gli investimenti per non fare crollare l’economia privata.

Paradossalmente, perfino la ripresa dell’economia potrebbe avere effetti negativi sul versante finanziario. Infatti, se l’economia tornerà a correre, aumenterà anche il tasso di inflazione e quindi le BC saranno prima o poi costrette ad aumentare il tasso di interesse centrale e il costo dei prestiti alle banche. A cascata le banche potrebbero applicare tassi maggiorati per i loro clienti. I fallimenti privati e pubblici potrebbero allora moltiplicarsi. Nouriel Roubini, l’economista che predisse la crisi dei subprime del 2008, è ancora più pessimista di allora: “Nei prossimi anni con l’aumento dell’inflazione le banche centrali dovranno affrontare un dilemma. Se iniziano a eliminare gradualmente le politiche non convenzionali (quelle espansive, ndr) e ad aumentare i tassi ufficiali per combattere l’inflazione, rischieranno di innescare una massiccia crisi del debito e una grave recessione; ma se manterranno una politica monetaria espansiva, rischieranno un’inflazione a due cifre e una profonda stagflazione quando emergeranno i prossimi shock negativi dell’offerta”. Roubini è convinto che “il problema non è se ci sarà la crisi ma quando”.

Anche senza essere pessimisti come Roubini, la verità è che la strategic review non prende neppure in considerazione le svolte di politica monetaria che sarebbero necessarie per uscire dalla tremenda crisi che ha colpito e colpirà l’eurozona – con i fallimenti di migliaia di piccole e medie imprese, l’aumento vertiginoso della disoccupazione e della povertà, l’aumento delle diseguaglianze economiche, sociali e territoriali –. Del resto non poteva essere altrimenti considerando i vincoli istituzionali della BCE, la banca “indipendente” che, secondo il Trattato di Maastricht deve lottare solamente contro l’inflazione (un mostro che non esiste più da decenni, mentre la deflazione è il vero nemico) e considerando i vincoli politici a cui è sottoposta Lagarde – con i falchi europei olandesi e tedeschi che vorrebbero ripristinare già nei prossimi mesi l’austerità fiscale e monetaria, approfittando del fatto che le vaccinazioni per ora hanno temporaneamente sconfitto il Covid-19.

Quali potrebbero essere invece le soluzioni indispensabili per risolvere la crisi che la strategic review neppure cita? Bisognerebbe innanzitutto che la BCE avesse, come la Federal Reserve americana, un doppio mandato: non solo la stabilità dei prezzi, ma soprattutto la piena occupazione e la crescita dell’economia. Il doppio mandato è però fumo negli occhi per il governo tedesco. Occorrerebbe cancellare i debiti degli stati dell’eurozona in pancia alla BCE come aveva proposto David Sassoli, il presidente del Parlamento Europeo; occorrerebbe monetizzare i debiti dovuti al coronavirus: bisognerebbe cioè che la BCE facesse come la Bank of England che stampa soldi e compra direttamente i titoli di stato, saltando l’intermediazione bancaria, per aiutare il governo inglese a finanziare la lotta all’epidemia. Bisognerebbe fare dell‘helicopter money, in modo che la BCE, in accordo con i governi, distribuisca direttamente soldi alle imprese, alle famiglie e agli enti pubblici, senza passare necessariamente per il sistema bancario privato: questo infatti offre un credito insufficiente alle imprese perché non vuole (anche giustamente, dal suo punto di vista) correre troppi rischi prestando soldi ad aziende già in difficoltà, piegate dalla crisi o semifallite.

Il fatto straordinario (ma anche scandaloso) è che la BCE fa già dell’helicopter money per le grandi corporations grazie al Programma di acquisto per il settore societario (Corporate Sector Purchase Programme, CSPP). La BCE ha comprato finora direttamente sul mercato primario, cioè dalle aziende, o sul mercato secondario, dalle banche, le obbligazioni e le cambiali commerciali delle grandi aziende per 283 miliardi. A che serve comprare obbligazioni aziendali per la stabilità dei prezzi – che è il mandato quasi esclusivo della BCE – nessuno lo sa. E soprattutto non si capisce perché la BCE aiuta direttamente le grandi imprese e non invece le famiglie, le piccole e medie imprese e i servizi pubblici (per esempio gli ospedali o l’istruzione) in grave difficoltà.

C’è bisogno di una Banca Centrale Europea sottoposta al controllo delle istituzioni democratiche e delle rappresentanze della società civile se si vuole fare ripartire l’economia e salvare l’eurozona. Bisognerebbe innanzitutto scrivere un nuovo Trattato e buttare all’ortica quello di Maastricht, basato sulla “disciplina dei mercati”. Maastricht fin dall’inizio ha dato mano libera ai mercati e alla finanza e ha legato le mani alla BCE secondo i più rigidi dogmi liberisti. Grazie al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea gli stati sono nudi e indifesi di fronte alla potenza dei mercati e ai Signori della Moneta, e sono costretti a fare suicide politiche di austerità: l’art.123 del TFEU proibisce infatti che la BCE sostenga in qualsiasi modo gli stati e le amministrazioni pubbliche e – meraviglia delle meraviglie – la stessa Unione Europea. Vale a dire che la BCE non può difendere gli stati e la UE neppure di fronte ad improvvisi attacchi speculativi. I mercati vincono sempre. Con Maastricht la finanza ha la possibilità e il diritto di mettere in riga le nazioni e di dettare i criteri per una “sana finanza pubblica”: tagli alla spesa pubblica e privatizzazione dei beni comuni. Non a caso l’euro è una moneta appoggiata a spada tratta e promossa soprattutto dal sistema finanziario. È la moneta migliore per la speculazione. In questo contesto la BCE potrà fare tutte le strategic review che vuole ma non potrà fare molto senza che i governi cambino i Trattati europei.

Qui sta il problema vero: è praticamente impossibile che Germania e Francia – la diarchia che governa l’Europa – condividano i debiti, rinuncino alla loro sovranità fiscale e politica nazionale e acconsentano a perdere i loro privilegi. Grazie alle dinamiche caratteristiche dei mercati finanziari la Germania gode nell’eurozona di un “privilegio monetario esorbitante” analogo a quello del dollaro nel mercato globale. La Germania e i ricchi paesi del nord guadagnano dalla crisi dei debiti pubblici dei paesi più fragili perché quando c’è la crisi e il rischio di rottura i capitali fuggono verso i Paesi dell’euro che offrono maggiore garanzia. Non a caso la Germania si finanzia gratis con la fuga dei capitali: chi acquista i titoli di stato tedeschi deve addirittura pagare un interesse negativo per averli. Il Target 2 indica che dall’inizio della crisi sono fuggiti dall’Italia verso la Germania circa 400 miliardi. Più di quanto l’Italia riceverà con il Next Generation EU nei prossimi cinque anni. È contro questi fatti evidenti che gli europeisti illusi e ciechi si scontrano quando sognano l’Europa federale sul modello degli Stati Uniti d’America.

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