Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Contro un facile spirito di assimilazione

Antonio Pagliarone

Danilo Montaldi, “Saggio sulla politica comunista in Italia 1919-1970”, Cooperativa Colibrì 2016. [Via Coti Zelati, 49 – 20037 Paderno Dugnano (Mi), email: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.]

14290752 ascoltare il lavoro italia 1961 2011 19 maggio 4Il Centro Luca Rossi ha curato la ripubblicazione del “Saggio sulla politica comunista in Italia 1919-1970” di Danilo Montaldi edita da Quaderni Piacentini nel 1976 che venne stampata in circa quattrocento copie. Ricordo di averne comprata una, ormai relegata in soffitta, proprio quell’anno, quando frequentavo, come tutti i giovani scapigliati di Milano, la libreria Calusca di Primo Moroni in Corso di Porta Ticinese. Primo, che conosceva benissimo le tendenze dei frequentatori, mi indicò il volumetto dalla copertina rossa dicendomi che leggendolo ne sarei stato entusiasta. Aveva ragione. Avevo scoperto l’esistenza di Danilo Montaldi attraverso il necrologio scritto da Sergio Bologna su Primo Maggio nel 1975 in occasione della sua morte piuttosto strana.

Quando finì la bagarre giovanile degli anni 70 decisi di raccogliere gli articoli più interessanti di Danilo Montaldi per farne una raccolta dal titolo Bisogna Sognare (da un suo vecchio articolo apparso su Azione Comunista) e chiesi a Primo Moroni di pubblicarla. Ne fu entusiasta e mi spronò ad andare avanti. Ho passato intere giornate all’Istituto Feltrinelli di Milano come un topo a spulciare giornali e riviste ingiallite per recuperare gli interventi più significativi del vecchio cremonese. Ho accumulato una montagna di fotocopie e mi preparavo ad organizzare il volume quando presi contatto con Arturo Peregalli che mi spronò ulteriormente dandomi un supporto indispensabile al lavoro, che nel frattempo si era arricchito di altri articoli grazie al contributo dell’archivio monumentale di Arturo. Purtroppo Primo Moroni mi informò che l’opera non poteva essere pubblicata dalla Calusca a causa dei soliti problemi di denaro.

Qualche tempo dopo incontrai alcuni giovani del Centro Luca Rossi ad una delle solite assemblee milanesi e proposi loro la pubblicazione di Bisogna Sognare, idea che accolsero immediatamente. Occorre precisare che a quei tempi non esisteva lo scanner per cui il Centro fece un lavoro mastodontico nel riportare su file tutti gli articoli della raccolta, più altri che nel frattempo erano stati forniti al Luca Rossi dalla moglie di Montaldi. Ne è uscito un volume molto valido anche dal punto di vista editoriale e che ha avuto un certo successo a quel tempo.

Non occorre scrivere l’ennesima biografia di Montaldi visto che dopo la pubblicazione nel 1994, sempre per la Colibrì, del volume Bisogna Sognare. Scritti 1952-1975", tutti si sono precipitati nella solita opera del ”facile spirito di assimilazione” annoverando il comunista cremonese un po’ a tutte le tendenze abortite di certa sinistra radical. Ma l’assimilazione di Montaldi era già operante quando era ancora attivo nel suo gruppo Karl Marx a Cremona da dove spaziava i suoi orizzonti fino a Parigi con la rivista Socialisme ou Barbarie o in Belgio passando per l’Olanda con i suoi contatti con la rivista Spartacus ecc. Ricordo che in occasione della presentazione di Bisogna Sognare il buon Gianfranco Fiameni, uno dei giovani con le brache corte del gruppo cremonese, mi riferiva che i giapponesi dello Zenkakuren, venuti in Italia negli anni 60 per stabilire dei contatti, la prima cosa che fecero fu di andare a Cremona per parlare con lui. Montaldi era stato tirato per la giacca da molteplici raggruppamenti e riviste dai Quaderni Rossi a Classe Operaia, da Battaglia Comunista/ Prometeo ad Azione Comunista per poi essere annoverato, senza che nemmeno lo sapesse, tra i “teorici” dell’Autonomia.

Negli anni 70 Danilo Montaldi lavorava presso l’Istituto Feltrinelli a Milano ma a quanto pare nessuno si prese la briga di stabilire un rapporto con lui; allora il militantismo becero imponeva la concorrenza per far aumentare le fila delle varie sette in circolazione per poter poi esporre i propri “eserciti” ai cortei corredati di bandiere e striscioni come se fossero processioni di una nuova religione che non si preoccupava di arricchire con la conoscenza e l’esperienza i propri adepti ma li usava semplicemente come un capitale da spendere ad opera di leader il cui intellettualismo da quattro soldi era ormai divenuto inutile in una società che si stava trasformando. Gli intellettuali falliti, poveri generali senza esercito, cercavano un riconoscimento per potersi ancora riciclare in un sistema dove speravano di avere un ruolo in un capitalismo pianificato (da loro) oppure in un vecchio e sano capitalismo di stato di epoca moderna. Ed è per questo motivo che Montaldi non amava essere intruppato ma era pronto a sfruttare case editrici, riviste e pubblicazioni di vario genere per poter introdurre nel movimento operaio la necessità di andare alle radici della teoria di Marx attraverso l’indagine di quanto accadeva nella società e nella fabbrica. In una lettera indirizzata a Feltrinelli, pubblicata in calce al Saggio, Montaldi invita i “militanti politici di base” a scrivere in prima persona la storia del movimento operaio “anzichè sentirsela raccontare dall’esterno, e impongano loro stessi le rivendicazioni anziché farsi portavoce delle centrali sindacali o dei partiti, che hanno altri obiettivi, opposti. E’ stata una lunga scuola di comunismo nella quale ho imparato molto e abbiamo dovuto spesso “cambiare cavalli durante la corsa”, voglio dire che abbiamo perduto dei compagni lungo la strada, per guadagnarne altri”.

Danilo Montaldi amava la bassa padana ed agiva nella zona dove viveva per poter segnalare che i paesani col pastrano, che andavano a lavorare in bicicletta sotto la nebbia, che ormai non c’è più, in fabbrica o nei campi, erano parte integrante dell’ “esperienza proletaria”, dimostrando che i lavoratori non sono esclusivamente quelli che varcano i cancelli di una grande fabbrica. Nei suoi libri più famosi come “Milano Corea”, “Autobiografie della Leggera” o “Militanti politici di base” Montaldi tratta l’esistenza di figure tristi ma degne di stima tra gli immigrati meridionali delle periferie milanesi, tra le prostitute o i ladruncoli per poi dedicare ai comunisti di base un riconoscimento che le organizzazioni formali non si sognavano nemmeno di considerare. Stava dalla parte degli sconosciuti e dei perseguitati dando loro una dignità che nessun altro si è azzardato a fare, come nel caso di Michelangelo Pappalardi un isolato dissidente del partito nell’emigrazione, cui fa riferimento nel suo ottimo opuscoletto Korsch e i comunisti italiani. Contro un facile spirito di assimilazione, (Roma, Samonà e Savelli, 1975) piuttosto sconosciuto. Non è populismo questo o esaltazione del minoritarismo, ma semplicemente la chiara manifestazione di come la pensava, ossia che il vero movimento dei lavoratori non è rappresentato dai Comitati Centrali o dallo spettacolo delle manifestazioni di piazza, sempre in centro città e mai nelle periferie, quasi a cercare una sorta di riconoscimento da parte della classe che si voleva combattere. Montaldi stava con gli sconfitti poiché egli stesso era cosciente di essere uno sconfitto ma viveva la cosa in maniera positiva in quanto era ben felice di non appartenere alla cerchia di quegli intellettuali che cercano la fama utilizzando le lotte dei lavoratori. Ma in fondo, chi è stato veramente sconfitto? Massimo Parlato, un suo vecchio amico ai tempi della militanza nella sezione cremonese del PCI ha ricordato che: “in Danilo c’era la propensione per le battaglie solitarie contro il potere, un certo anarchismo, una insofferenza non sempre tenuta a freno verso regole, disciplina e …lunghe riunioni…”.

Danilo Montaldi non si stancava mai di polemizzare con molta parte della cultura italiana e marxista che già negli anni 50 aveva intrapreso il cammino “sulle strade di una sorta di ritorno «felice» verso la natura”, fenomeno ben più corposo ai nostri tempi, che accusava di non voler fare i conti con il capitalismo moderno, anzi, come afferma nell’articolo “La mistica del selvaggio” ( Avanti 12 Dicembre 1959 ora in Bisogna sognare p 363) vi è “dentro questa caccia a ritroso, un regresso, una falsa coscienza della società in cui viviamo, un ripiegamento”.

Stranamente, per qualche sprovveduto, il Saggio sulla Politica Comunista è uno sguardo di Montaldi volto verso l’alto per poter dimostrare inequivocabilmente il trasformismo del più grande partito comunista dell’occidente capitalistico, un processo che è iniziato con lo stesso Gramsci per poi sbocciare definitivamente con l’avvento di Togliatti che rappresenta una vera e propria tendenza, il togliattismo appunto, che porterà a tutti gli stadi della metamorfosi succedutisi oltre il 1970, come tutti sappiamo bene. Montaldi interveniva regolarmente sul Saggio per aggiornare le fasi cruciali della politica comunista cosa che nessun altro è stato in grado di fare dopo di lui. Anche se la data del 1970 rappresenta attualmente un epoca neanderthalliana possiamo affermare che il togliattismo non ha mai smesso di funzionare sia nel partito che dentro ciò che rimane della cosiddetta ultrasinistra residuale, dopo il funerale del 1991, che ha sempre scimmiottato, illudendosi di sostituirsi, il partito nato dalla scissione del 1921. Persino la Sinistra Comunista, sconfitta irrimediabilmente già pochi anni dopo la fondazione, ha sempre cercato di riprodurre un partito che non c’è. Ma Danilo Montaldi era anche un fervido antistalinista, e come poteva non esserlo viste le esperienze vissute nei pochissimi anni in cui era un militante del partito a Cremona? Quando ne uscì era perché ebbe la fortuna di conoscere Giovanni Bottaioli, un militante internazionalista tornato dall’esilio in Francia, che sarà una sorta di punto di riferimento per la sua evoluzione verso posizioni controcorrente. L’accusa di bordighismo non gli fa onore, infatti Montaldi, pur difendendo la tendenza di sinistra all’interno del partito (era molto legato a Rosolino Ferragni) anche dopo la fine della resistenza, non ha mai aderito a nessuna delle molteplici organizzazioni più o meno bordighiane sviluppatesi nel tempo. Il settarismo non era una malattia genetica che si portava dietro e le critiche al togliattismo non hanno come obiettivo quello di riscattare gli “sconfitti”, ma di stendere una luce che potesse intaccare un mito come quello del PCI in cui lo stalinismo non veniva teorizzato, come nei gruppetti dell’ultrasinsistra, ma praticato con estrema decisione. In realtà il PCI costituiva un mito per la maggioranza dei lavoratori in quanto poteva costituire il canale per la loro integrazione in un sistema capitalistico in piena evoluzione durante il periodo del boom economico successivo alla guerra e la burocrazia di partito ha fatto del togliattismo, con la classica parola d’ordine di “partito di lotta e di governo”, uno specchietto per le allodole utile ad accrescere la sua struttura per potersi inserire via via all’interno delle istituzioni che si stavano ammodernando. L’integrazione dei lavoratori è stata realizzata per lo più attraverso le lotte degli anni 60 e 70 che agirono da stimolo per una accelerazione delle garanzie di un Welfare State in ritardo rispetto alle altre economie più avanzate in cui non esisteva un forte partito comunista come nei paesi mediterranei e non si verificavano forme di lotta radicali ed estese. D’altro canto il sistema dei partiti è divenuto obeso grazie al sostegno ed allo stimolo di una classe operaia ormai cosciente degli obiettivi che poteva raggiungere. E’ un errore pensare che il mastodontico PCI abbia avuto un ruolo determinante nel processo di integrazione, al contrario, esso costituiva un freno in quanto doveva mantenere il più possibile la sua “doppiezza” per poter assurgere a partito di governo. Il ritardo di questo processo è stato la causa di un crollo della fiducia nei partiti e nei sindacati a partire dai primi anni 70 che ha portato nel tempo al declino del ruolo di rappresentanza. La misera caduta del sistema sovietico, fatto di cartone, poi ha dato il colpo di grazia a tutta la chincaglieria parolaia del vecchio movimento operaio.

La storia di quel periodo va tutta riscritta come ci suggerisce lo stesso Montaldi e dobbiamo rifiutare le apologie di coloro che hanno mitizzato quei tempi. La maschera riprodotta in copertina al Saggio è illuminante poiché rappresenta l’immagine di un partito che ha fatto dell’ambiguità la quintessenza della sua esistenza.

Nel “Saggio sulla politica comunista in Italia 1919-1970” Montaldi insiste con il suo antistalinismo nei vari passaggi corredati da note estremamente puntuali ed arricchite da altre, inserite dal Centro Luca Rossi, che rendono il giovane lettore edotto degli accadimenti di quei tempi (che probabilmente ha appreso superficialmente dalle trasmissioni in bianco e nero mandate in onda dalla televisione). Il volume, oltre ad una serie di lettere che riguardano i problemi che aveva Montaldi per la pubblicazione, contiene anche la nota introduttiva di Nicola Gallerano alla prima edizione. Inoltre vi è una cronologia essenziale del PCI utile per poter inquadrare i passaggi del testo. Una bibliografia molto articolata che comprende riferimenti di Montaldi stesso ed altri del Luca Rossi. Molto interessante l’impostazione ed i riferimenti dell’Indice Analitico in cui non mancano delle citazioni anche ironiche che Montaldi stesso usa nel testo.

Nel sito http://www.colibriedizioni.it/ è disponibile la premessa di Danilo Montaldi al Saggio sulla politica comunista in Italia 1919 -1970

Add comment

Submit