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La trappola del debito

di Eugenio Donnici

debito 1220x600.jpgLa questione del debito pubblico e privato, sebbene sia diventata un tabù, pesa come un macigno sulle decisioni di politica economica. Debiti e crediti sono dei pilastri sui quali si regge il modo di produzione capitalistico, ma tali relazioni sociali, anche se in forma rozza, hanno influenzato la vita associata degli individui appartenenti alle città-stato, i regni e gli imperi del mondo antico, quando i loro governanti hanno iniziato a coniare monete o meglio quando gli scambi commerciali, mediati dal denaro, s’imposero, in qualche misura, sul baratto.

Nei rapporti tra debitori e creditori, occorre precisare che affinché un debito possa essere estinto, è necessario, in primo luogo, che esso non sia astronomico, altrimenti si rientra nel circolo vizioso dell’usura, sul quale ritornerei nel procedere del discorso.

Nel mondo antico, stando alle fonti storiche, durante il regno di Hammurabi, re di Babilonia (1792-1750 A.C.) ci furono quattro annullamenti del debito, proprio perché partirono dal presupposto che i sudditi non potevano pagare quelle cifre. Annullamenti del debito avvenivano anche durante il Giubileo per i cristiani e il Torà per gli ebrei. La valenza di una preghiera come il Credo, con la quale i credenti si rivolgono a Dio, racchiude il concetto del “rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Ovviamente, prima che si affermasse il modo di produzione capitalistico, l’annullamento dei debiti era più semplice, in quanto la somma data in prestito non generava l’interesse o quantomeno non si applicava la legge dell’interesse composto. Con lo sviluppo dei rapporti di produzione capitalistici, dapprima in Inghilterra, come ci ricorda Marx, il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria.

Le emissioni di titoli pubblici, per finanziare le infrastrutture necessarie all’espansione del capitale industriale, consentono ai loro acquirenti di trasformare il credito pubblico nel credo del capitale. Nel primo libro del capitale, Marx scrive: «Come per un colpo di bacchetta magica, esso (il credo del capitale) dota il denaro improduttivo della capacità di procreare, e così lo converte in capitale senza che debba esporsi alle fatiche e ai rischi dell’investimento industriale e persino usuraio». (1)

Si forma una sorta di “aristocrazia finanziaria”, una frazione della borghesia che sottoscrive obbligazioni dello Stato facilmente trasformabili in denaro contante e che producono un rendimento assicurato.

Coloro che acquistano titoli di Stato, la cosiddetta classe dei rentiers, si vedono piovere la “manna caduta dal cielo”, in quanto pur continuando a oziare, vedono il proprio denaro figliare denaro aggiuntivo. Essi, come spiega Marx, da una parte, intaccano il plusvalore dei capitalisti industriali, e dall’altra parte, in quanto creditori, prelevano una percentuale del gettito annuo delle imposte.

Eh già! L’interesse non è neutro: il sorgere degli interessi attivi (ricavi), sul denaro dato in prestito, presuppone l’accensione del conto interessi passivi (costi). I soggetti che s’indebitano hanno l’obbligo di rimborsare una somma superiore a quella ricevuta dai loro creditori. Nel caso del debito pubblico succede che se le entrate (le imposte) sono insufficienti per saldare gli interessi e le quote di capitale ricevute in prestito, allora si emettono nuove obbligazioni, per onorare i vecchi debiti. Questa “catena” che lega creditori e debitori richiama, per certi versi, lo schema Ponzi, in quanto per garantire i privilegi finanziari ai vecchi investitori, è necessario allargare la base dei nuovi obbligazionisti.

Marco Bersani, nel 2017, ha pubblicato Dacci oggi il nostro debito quotidiano, che rappresenta una pedagogia della finanziarizzazione dell’economia e in generale del nuovo assetto che ha assunto il modello capitalistico negli ultimi 40 anni. Premesso che economia reale e finanza sono strettamente connesse tra di loro, sin dalle forme grezze di relazioni mercantili, qui proverei a descrivere le pesanti distorsioni che le bolle finanziarie provocano sui rapporti sociali nei quali siamo immersi a livello planetario.

Bersani, in questa sua opera, rileva che il debito pubblico globale è pari a 44.000 miliardi di dollari, se poi si aggiunge il debito privato, cioè quello dei cittadini, delle famiglie e delle imprese, che è di 152.000 miliardi, allora arriviamo a un totale di quasi 200.000 miliardi, una cifra stratosferica, che corrisponde a 3 volte il Pil mondiale prodotto in un anno. (2)

La distorsione finanziaria può essere rappresentata come un gigantesco casinò: se il commercio mondiale di beni e servizi tra stati, in un anno, ha un valore di 20.000 miliardi di dollari, nei mercati finanziari tale cifra viene movimentata in 5 giorni. Per 360 giorni all’anno, nei mercati finanziari si effettuano transazioni che non hanno nessuna connessione con qualcosa che esiste nella realtà.

Su 100 transazioni sul commercio del grano, dice Bersani, una è fatta da qualcuno che produce grano, le altre 99 sono fatte da soggetti che non sanno nulla sulla produzione del grano, ma determinano il prezzo del grano.

Alle transazioni che avvengono nei cosiddetti “mercati regolamentati”, le Borse come Piazza Affari, la City di Londra, eccetera, prosegue l’autore del libro, bisogna aggiungere quelle della finanza ombra (gli scambi tra privati che non vengono registrati) la cui stima, in base a congetture contabili, si aggira intorno a 12 volte il Pil.

Le orge finanziarie cosmopolite, celebrate dai rentiers, in seguito al 18 brumaio di Luigi Bonaparte, in Francia, di cui scrive Marx, ai nostri giorni sono diventate orge intergalattiche.

La commistione tra finanza ed economia reale è difficile da districare, il suo grado di vischiosità è molto elevato, molte grandi aziende traggono più profitti dalle negoziazioni di titoli sui mercati finanziati, piuttosto che dalla vendita di beni e servizi. Per queste ragioni, i rapporti tra creditori e debitori devono essere indagati per ciò che sono, vale a dire dei rapporti di forza tra chi detiene il denaro e chi lo richiede per soddisfare un bisogno, come quello di accendere un mutuo per comprare una casa.

 

Il debito e la mistificazione della realtà

A cadere in questa morsa del debito, a partire dagli anni 80, non sono solo gli Stati, ma anche i lavoratori e le lavoratrici, le famiglie e le imprese: l’andamento dell’indebitamento totale, derivante dalla somma tra quello pubblico e quello privato, è in continua ascesa.

Su questo snodo, Bersani si chiede: «In che modo abbiamo imboccato questa strada?»

Anch’egli, come tanti altri autori, sostiene che il bandolo della matassa debba essere ricercato nella crisi che si è aperta nei primi anni 70 del secolo scorso, sebbene trascuri le relazioni tra sovrapproduzione e disoccupazione, le difficoltà dello Stato di creare lavoro aggiuntivo, le opportunità di spingersi oltre i limiti dello sviluppo mediato dallo Stato sociale, eccetera. La favola liberista, a cui accenna Bersani, che il mercato avrebbe assicurato il massimo tenore di vita per tutta la popolazione, se avesse potuto fluttuare liberamente, cioè se avesse potuto operare a briglia sciolta, senza il controllo dello Stato, ha preso piede, anche perché, nella contraddizione tra capitale e lavoro, il movimento dei lavoratori non è riuscito ad allentare le “catene” del lavoro salariato.

Per il resto, la tesi di Bersani è calzante: il vincolo oppressivo del debito paralizza l’intera società. La sconfitta del movimento ha come conseguenza la restrizione dei salari, pertanto se il salario non consente di condurre una vita dignitosa, coloro che campano del loro lavoro sono costretti a indebitarsi; parimenti, l’indebitamento dello Stato con i privati implica un aumento dei costi per i tassi d’interesse crescenti e la riduzione della spesa pubblica, ovvero tutti quei servizi gratuiti o con un prezzo calmierato (trasporti, istruzione, sanità, previdenza, eccetera) che costituiscono forme di salario sociale, per le classi meno abbienti.

Bersani predilige la pista della finanziarizzazione dei rapporti sociali e non si sofferma sulla crisi dello Stato sociale, inteso come modo di produzione, che ha imposto il pieno impiego, la riduzione dei profitti delle imprese o meglio il loro trasferimento ai salari.

Ciò significherebbe aprire una complessa digressione, mentre la mia intenzione, in questa sede, è quella di comunicare, di mettere in comune le sofferenze e le paralisi che il sistema dell’indebitamento determina sulla nostra vita quotidiana: ci sono le buche nelle strade, ma non si possono aggiustare perché non ci sono i soldi, le persone non si curano, in quanto non dispongono di risorse finanziarie, il degrado pervade molti spazi pubblici, ma gli amministratori degli Enti locali non hanno i fondi per intervenire e così via dicendo.

Ora, se l’ideologia del debito permette ai “cravattari” di stringere la corda intorno al collo del singolo individuo, della singola impresa, siamo di fronte a una perfida crudeltà, ma se poi i rentiers riescono ad avvolgere quella corda intorno al collo della stragrande maggioranza della collettività, persuadendola che è l’intera nazione a essere indebitata, quando i parassiti della finanza traggono enormi benefici, allora siamo di fronte a una mistificazione della realtà.

 

Legalizzazione dell’usura

Il debito pubblico dell’Italia, che non dev’essere associato al debito della nazione, ma come scrive Roberto Ciccone, nel suo e-book Oltre l’austerità, esso consiste in un debito di una parte della collettività verso la restante parte della stessa collettività, l’indebitamento verso soggetti esteri rappresenta solo una complicazione, ma non introduce modifiche sostanziali a quanto appena detto(3); il debito pubblico dell’Italia, in base all’analisi di Bersani, non verrà mai pagato, per due motivi.

Il primo fa riferimento al fatto che la cifra ha raggiunto una somma esorbitante, che non potrà mai essere rimborsata; il secondo esplicita una trasformazione del credito in usura. Sul piano psicologico, l’usuraio teme due eventi, che considera catastrofici: la morte del debitore e il saldo del debito.

Egli, in entrambi i casi perde:

a) l’estrazione periodica del valore, ossia il pagamento degli interessi;

b) possibilità di determinare l’energia, i pensieri, la vita e i beni dell’indebitato.

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Figura 1. Storia del debito pubblico italiano dal 1970 – Fondazione Luigi Einaudi

Nella storia contemporanea del debito pubblico italiano, infine, ci sono due argomenti che vengono ignorati dal pensiero mainstream, in tutte le forme in cui esso viene veicolato:

    1. Nel 1981 la Banca d’Italia divorziò dal Tesoro e praticamente cessò di acquistare titoli di Stato. Da questa data in poi, i titoli finirono, con interessi crescenti, nelle fauci della speculazione finanziaria interna ed estera; il ricorso al mercato per finanziare l’emissione di titoli pubblici rientra nelle politiche di privatizzazione del debito. Dal grafico della Figura 1 è possibile vedere che l’esplosione del debito si verifica a partire dal 1981. Nel 1980, nonostante la crescita rispetto al 1970, la percentuale del debito si attesta al di sotto del 60%, un tasso d’indebitamento che è in linea con il parametro – arbitrario – fissato dalla Troika e che esprime il “virtuosismo” di alcuni paesi dell’UE.

    2. C’è un altro fatto che fatica a emergere, esso giace coperto da una coltre di polvere, senza che venga percepito da coloro che hanno la responsabilità di contribuire alla libertà d’informazione: si crede che con l’indebitamento si finanzi la spesa pubblica. Questa è una corbelleria! A partire dal 1992, l’Avanzo Primario è positivo, ciò significa che le Entrate monetarie (le imposte) superano le Uscite (la spesa pubblica). Eppure il debito continua a crescere, per via degli interessi che vengono sborsati, interessi passivi che nel 2022 sono pari a 83 miliardi di euro, cifra che ha subito un aumento di 14 miliardi nel 2023, in seguito all’aumento del tasso d’interesse da parte della BCE. Si stima che nel 2024 gli interessi sul debito saranno oltre 100 miliardi, un valore che si avvicina alla spesa pubblica per la Sanità.


Note 
1 Marx Karl, Il Capitale, libro I, cap. XXIV, Utet, 2013, p. 942.
2 Dacci oggi il nostro debito quotidiano, 05/06/2017, https://www.youtube.com/watch?v=wHNVpqzcGLk
3 Che cos’è il debito pubblico e perché non è “il” problema, https://keynesblog.com 

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AlsOb
Thursday, 11 April 2024 10:52
«National debts, i.e., the alienation of the state – whether despotic, constitutional or republican – marked with its stamp the capitalistic era. The only part of the so-called national wealth that actually enters into the collective possessions of modern peoples is their national debt. Hence, as a necessary consequence, the modern doctrine that a nation becomes the richer the more deeply it is in debt. Public credit becomes the credo of capital. And with the rise of national debt-making, want of faith in the national debt, which may not be forgiven, takes the place of the blasphemy against the Holy Ghost.»
(…)
«The public debt becomes one of the most powerful levers of primitive accumulation. As with the stroke of an enchanter’s wand, it endows barren money with the power of breeding and thus turns it into capital, without the necessity of its exposing itself to the troubles and risks inseparable from its employment in industry or even in usury. The state creditors actually give nothing away,…»
(…)
«[T]he national debt has given rise to joint-stock companies, to dealings in negotiable effects of all kinds, and to agiotage, in a word to stock-exchange gambling and the modern bankocracy.»
(…)
«As the national debt finds its support in the public revenue, which must cover the yearly payments for interest, etc., the modern system of taxation was the necessary complement of the system of national loans. The loans enable the government to meet extraordinary expenses, without the tax-payers feeling it immediately, but they necessitate, as a consequence, increased taxes.»
(…)
«The great part that the public debt, and the fiscal system corresponding with it, has played in the capitalisation of wealth and the expropriation of the masses, has led many writers, like Cobbett, Doubleday and others, to seek in this, incorrectly, the fundamental cause of the misery of the modern peoples.»
(…)
«On the continent of Europe, after Colbert's example, the process was much simplified. The primitive industrial capital, here, came in part directly out of the state treasury. "Why," cries Mirabeau, "why go so far to seek the cause of the manufacturing glory of Saxony before the war? 180,000,000 of debts contracted by the sovereigns!"»
(…)
«With the development of capitalist production during the manufacturing period, the public opinion of Europe had lost the last remnant of shame and conscience. The nations bragged cynically of every infamy that served them as a means to capitalistic accumulation.»
(…)
«Tantae molis erat [So great a task it was], to establish the “eternal laws of Nature” of the capitalist mode of production, to complete the process of separation between labourers and conditions of labour, to transform, at one pole, the social means of production and subsistence into capital, at the opposite pole, the mass of the population into wage labourers, into “free labouring poor,” that artificial product of modern society. If money, according to Augier, “comes into the world with a congenital blood-stain on one cheek,” [Marie Augier, Du crédit public, 1842], capital comes dripping from head to foot, from every pore, with blood and dirt.»

Marx non solo è l'unico che abbia genialmente compreso il ruolo e la dinamica evolutiva della moneta nel capitalismo, ma in due paragrafi ha pure dato una delle più scientifiche e esaurienti spiegazioni del ruolo del debito pubblico nel processo di accumulazione capitalistico. (Primitivo o meno che sia, fatti gli opportuni adattamenti).
Il punto di vista centrale che ovviamente mantiene sempre e che qualifica la sua analisi scientifica fa riferimento alla struttura di potere e dei rapporti sociali e di forza, (rimozione assoluta di ogni ipostatizzazione e pseudometafisica economica volgare), che definiscono i criteri delle scelte politiche adottate dai dominanti e relativi obiettivi stabiliti, in questo caso, in un processo soprattutto di accumulazione capitalistico primitivo, il consolidamento, la «naturalizzazione» dei rapporti sociali del capitalismo, con l'artificiale fabbricazione di un permantente esercito di poveri o schiavi che non dispongono di altra risorsa che non sia la propria forza lavoro da vendersi in condizione disperata sul «mercato libero».
Si notino alcuni istruttivi punti: il debito pubblico non è visto come un dramma economico del capitalismo, (e delle fantasticate generazioni future, tanto ipocritamente care agli stolti sicofanti propagandisti), ma al contrario come la condizione necessaria per consolidare il capitalismo e raggiungere un adeguato tasso di accumulazione.
L'aspetto più appariscente non è il lato della passività, ma l'entusiasmo dei creditori, che hanno modo di accumulare ricchezza finanziaria estremamente liquida, tanto da finire per rappresentare, sorta di sineddoche, la ricchezza dell'intera nazione; blasfemia e negazione della nuova religione è il parlare male del debito.
I titoli del debito pubblico, osserva ancora Marx, diventano il benchmark, il perno della struttura del sistema finanziario. La insana scomparsa del debito pubblico (che nasce per attrarre e dare sfogo all'impiego di attività finanziarie), causerebbe l'implosione del sistema finanziario e del capitalismo, (in particolare oggi, con la maggior parte della moneta creata via repos).
A differenza dell'epoca in cui Marx scrive, (nonostante la già estesa diffusione dei biglietti di banca, come privilegio acquisito dalle banche inserite nella gestione del debito pubblico), in cui la moneta merce ha un peso assai rilevante, oggi il regime di fiat money ha sensibilmente incrementato i gradi di libertà della classe dominante. Si veda l'impero, che deve finanziare due o più guerre e il terrorismo mondiale e che astutamente lo fa usando il debito pubblico, (praticamente nessuna tassazione), e l'imperialismo del dollaro, (oltre a un massiccio statalismo da Unione Sovietica), nella speranza di riaggiustarsi strutturalmente e potenziarsi sensibilmente, prima che la marxiana «blasfemia» colpisca il credito imperiale e l'imperialismo del dollaro.
La tassazione, specie in un sistema capitalistico primitivo e dominato dalla moneta merce, è conseguente e inevitabile, ma per la classe dominante diventa soprattutto un addizionale e effettivo metodo per controllare e mantenere a regime, (da qui si svilupperà poi il terrorismo del debito pubblico), gli schiavi venditori della unica risorsa a disposizione, la forza lavoro. «Overtaxation is not an incident, but rather a principle. In Holland, therefore, where this system was first inaugurated, the great patriot, DeWitt, has in his Maxims extolled it as the best system for making the wage labourer submissive, frugal, industrious, and overburdened with labour.».
Marx, sempre coerentemente con il suo essenziale punto di vista, non manca di osservare che ė limitativo attribuire al fattore tecnico politico del debito la ragione della espropriazione e impoverimento delle masse, quando la causa fondamentale va individuata nel capitalismo, nei contingenti rapporti di forza e nelle modalità di gestione del capitalismo e definizione degli obiettivi, che i dominanti si propongono. Nella situazione di follia finanziario centrica dei deranged poodles europei, (enormemente aggravata dalla irresponsabile «dichiarazione» di guerra alla Russia), non vi è oggi spazio per razionalità e politiche di crescita. Una ordinata gestione del credito, con responsabilizzazione degli attori, principalmente bancari, diretta fondamentalmente all'economia reale e parallelo taglio drastico di una vasta serie di instabili, (fantasticate dalla fantasmagoria neoliberale equilibrate) e inutili o dannose operazioni speculative finanziarie dovrebbe essere uno dei primi passi. (Ma oggi come si sa il potere risiede nelle oligarchie finanziarie, che tengono al guinzaglio marionette politiche e clown burocratici).
PS. L'esplosione del debito pubblico italiano, il cui raddoppio in termini di rapporto matematico avvenne incredibilmente in soli dieci anni, fu causato dal tasso d'interesse (composto) mantenuto ben al di sopra del tasso nominale di crescita.
Fu una operazione di potere e politica implementata da (incapaci marionette) internazionalisti terzomondisti, per dare il colpo di grazia alla DC, da eliminarsi successivamente facilmente via rivoluzione colorata, cosí da demolire il modello di accumulazione kaleckiano italiano e instaurare uno spietato regime neoliberale, che portasse la sanità pubblica a livello di paese a basso reddito.
Secondo la logica marxiana il forte incremento del debito, (quasi esclusivamente provocato da interessi, non spese reali, in particolare investimentj), servì a frenare l'accumulazione reale, a escludere politici sgraditi e a consolidare il potere e ricchezza di una oligarchia finanziaria e burocratica, (i vecchi potentati sostanzialmente fascisti delineati da Gramsci), da inserirsi vassallaticamente nella rete neoliberale imperiale occidentale a ambizioni mondiali.
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