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Sul Movimento 5 Stelle

di Alessandro Testa

"Reputiamo che il M5S sia, come il materialismo storico ci insegna, il frutto naturale e spontaneo di una specifica situazione venutasi a creare in un’Italia frastornata dal crollo del PCI, da Mani Pulite, dal berlusconismo e dall’ipocrita farsa della “sinistra” rappresentata dal PD"

Foto di Grillo articolo di A.Testa sui 5 StellePremessa

Nello stagnante panorama politico italiano degli ultimi vent’anni, caratterizzato dalle sempiterne e ipocrite manfrine del “partito unico liberista”, è indubitabile come il Movimento 5 Stelle segni un momento di discontinuità importante e degno di un’analisi approfondita, che cerchi di individuare le ragioni profonde della sua nascita e del suo successo ma anche quelle della sua tumultuosa evoluzione e degli innegabili segnali di “mutazione genetica”, e persino di incipiente sgretolamento, che esso sta manifestando da qualche tempo.

Il Movimento 5 Stelle, fedele alla nota frase impropriamente attribuita a Renè Descartes “Natura abhorret a vacuo”, ha senza alcun dubbio avuto il merito di colmare quel vuoto che la politica italiana ha scavato così profondamente nel corpo sociale, pervaso da disillusione, disinteresse, sfiducia e ira nei confronti di tutto ciò che odori anche lontanamente di “partito”.

Perciò, giova ripeterlo, più che di irrisione e demonizzazione quello di cui ci sarebbe davvero bisogno è lo spassionato sforzo di analisi e comprensione che queste brevi righe si propongono forse immodestamente di sviluppare, nella speranza di aprire un dibattito che sia fecondo di confronti dialettici e arricchimento comune per chi interpreta la politica non come mero gioco di potere ma come massima espressione del sentire sociale dell’essere umano.

 

Contesto storico

Il Movimento 5 Stelle (M5S) nasce a Milano il 4 ottobre 2009 su iniziativa del comico e attivista politico Beppe Grillo e dall’imprenditore del web Gianroberto Casaleggio; i suoi immediati precursori possono essere individuati nel Movimento Amici di Beppe Grillo coi suoi meetup attivi dal 2005 e nelle liste civiche a Cinque Stelle, presentate per la prima volta alle elezioni amministrative del 2009.

Il momento cardine della trasformazione del Movimento amici di Beppe Grillo da un’associazione culturale ad una vera e propria realtà politica può essere individuato nell’ormai famoso “Vday”, (Vaffanculo day) locuzione che fin dall’inizio scopre palesemente una delle cifre caratterizzanti dei 5 Stelle, l’aggressività sboccata, truculenta e talvolta santimoniosa che caratterizza la cifra, vorremmo dire “catara”, di questo movimento che si vede come gruppo di “puri” circondati, quasi assediati dallo sfacelo e dalla corruzione dilagante.

Da un punto di vista formale, in base all’atto costitutivo spettano a Beppe Grillo la presidenza e la rappresentanza legale, questa successivamente trasferita al “capo politico”, mentre questi rimane “garante” del Movimento; la proprietà di nome e simbolo è invece “vexata quaestio” all’origine di svariate cause legali che stanno cercando di dipanare il confuso intreccio di succedersi di associazioni, comodati, concessioni e la supposta primazia del gruppo parlamentare che sotto questo simbolo si trova ad operare.

La testata ufficiale del movimento è rappresentata da “Il Blog delle Stelle”, mentre il blog personale di Grillo si slega progressivamente da funzioni prettamente istituzionali per divenire sempre più uno spazio di riflessione e comunicazione privata.

Grande importanza nel movimento riveste la cosiddetta “piattaforma Rousseau”, di proprietà della Casaleggio Associati, che funzionano solo come strumento di democrazia diretta per “prendere le decisioni” attraverso votazioni online sulle principali decisioni politiche, ma anche come “think thank” ove possono essere proposte e discusse campagne, disegni di legge e quant’altro; resta, ancor oggi irrisolta, la questione della proprietà dei dati degli iscritti e delle delicatissime questioni concernenti la gestione dei dati sensibili contenuti nei database della piattaforma.

Analizzando la questione da un punto di vista internazionale, è possibile cogliere alcune similitudini tra il Movimento 5 Stelle e alcune formazioni estere, quali i Partiti Pirata nord-europei, il Movimento Occupy e gli Indignados spagnoli, ma con specifiche peculiarità, vorremmo dire, tutte italiane.

 

Principali riferimenti ideologici

Questo movimento ha voluto inizialmente vedersi, e quindi a raccontarsi, come “post ideologico”, né di destra né di sinistra, e rifugge la denominazione di “partito”, preferendo etichette quali “libera associazione di cittadini”, “non associazione” o “forza politica”, marcando così in maniera decisa la sua visione antipartitocratica, anti casta e di rottura; sotto la pressione dell’esperienza di governo, però, questa visione iniziale è andata via via sfumandosi e diluendosi, in una lenta ma inarrestabile trasformazione dei cinquestelle da “movimento antisistema” a partito classico ben inserito nel dinamiche politico-istituzionali da loro tanto criticate.

Sul suo blog, nell’ambito dei suoi spettacoli e tramite il sito web del Movimento, vengono veicolate e promosse le riflessioni sulle iniziative politiche con l’ambizione di stimolare metodi di democrazia diretta, contrapposta alla democrazia rappresentativa, e con una forte componente antipartitocratica. Le cinque stelle richiamate nel nome, originariamente rappresentavano tematiche relative ad acqua pubblica, ambiente, mobilità sostenibile, sviluppo e connettività, successivamente modificate in acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo.

Ma, prima di addentrarci negli intenti programmatici del M5S, proviamo a riflettere per un attimo sul vuoto che il Movimento si proponeva sin dall’inizio di riempire; al di là della facile retorica “antipartito”, con i suoi roboanti slogan tipo “aprire il parlamento come una scatoletta”, “abbattere la kasta” (attenzione a questa “k”, che tanta nostalgia potrebbe ingenerare negli animi degli extraparlamentari degli anni ‘70), ed ai parimenti demagogici provvedimenti quali il divieto di doppio mandato istituzionale (primo a naufragare contro gli scogli della realpolitik), le rendicontazioni puntigliose e dettagliatissime, l’ossessivo rifiuto di definirsi come “partito politico”, qual è il vuoto, l’assenza, il buco nero che ha permesso al M5S di conquistare in così breve tempo un consenso che definire plebiscitario non ci pare azzardato?

A nostro modesto avviso, la risposta è semplice: il M5S è stato percepito, perlomeno nella prima metà della sua travagliata e turbolenta esistenza, come l’entità capace di occupare lo spazio improvvisamente resosi vacante dopo l’inopinata implosione del partito Comunista Italiano, implosione che invece di facilitare la nascita di un onesto partito socialdemocratico di stampo nord-mitteleuropeo ha generato quell’obbrobrio radical-borghese che è il PD, il più fidato alleato del capitale finanziario globalizzato e quindi il più acerrimo e subdolo nemico della classe dei lavoratori, dipendenti o autonomi che siano.

Un vuoto enorme, dunque, un vuoto del quale l’acume strategico di Gianroberto Casaleggio e la vis comico-sardonica di Giuseppe Piero Grillo, in arte Beppe, hanno saputo astutamente profittare, non limitandosi a colmarlo ma proponendo alcuni indovinati elementi tattico-strategici che meritano una più accurata analisi: la democrazia diretta via internet, la fine del paradigma destra-sinistra, l’ideologia dell’“uno vale uno” e un proto-antieuropeismo di maniera (anche questo ben presto abbandonato di fronte alle sirene del potere, “quello vero”).

Vediamoli dunque in dettaglio, questi elementi tattico-strategici.

 

Uno vale uno

Il cuore pulsante dell’ideologia cinquestelle è la proposizione “uno vale uno”. I voti si contano, non si pesano, e questo implica la disintermediazione della “volontà popolare”: non più ponderose strutture intermedie, sezioni ove discutere, congressi ove confrontarsi, una classe dirigente colta, formata nelle lotte quotidiane e nelle scuole di partito, non più mozioni, scontri, mediazioni, sintesi, ma la brutalità di scheletrici quesiti da approvare tramite un voto digitale da esprimere sulla Piattaforma Rousseau, con una dirigenza tratta sostanzialmente dal nulla che deve limitarsi ad eseguire ciò che il movimento ha deciso (ma con qualche importante eccezione, come vedremo).

Lasciando da parte per un attimo la pur spinosa questione della certificabilità dei risultati e il problema delle garanzie di accesso e gestione della piattaforma, resta il problema di base in tutta la sua interezza: se è vero, com’è vero, che per ogni domanda difficile esiste sempre una risposta semplice, che di solito è quella sbagliata, come può pretendersi che una metodologia come quella dei cinquestelle, rachiticamente cristallizzata nel culto della democrazia diretta online, una metodologia che dà per assodato che ognuno dei suoi militanti, senza bisogno di discussione, approfondimento, guida e discussione, possa esprimere al semplice tocco di un pulsante un voto avvertito e pregnante su problematiche che spesso meriterebbero ben altra profondità, e tempistiche, di discussione?

Quale e quanta differenza tra il centralismo democratico del P.C.I con la sua faticosa ma fruttuosissima metodologia “dal basso all’alto e ritorno”, e questa tisica democrazia diretta in cui “uno vale uno”, anche se quest’uno non ha mai potuto approfondire e discutere ampiamente e lungamente i quesiti, peraltro quasi spesso posti in maniera tranchant e finemente manipolatoria, su cui gli si chiede di esprimere il suo voto; quale impoverimento del processo dialettico di incontro-scontro tra tesi e antitesi, da cui sorga lentamente ma sicuramente una sintesi che sia più del mero imporsi di una tesi sull’altra, processo sacrificato all’idolo tecnocratico dell’illusione di una democrazia diretta basata su un click.

Laddove non si discute, occhi negli occhi, tesi contro tesi, faticando per trovare la quadra, intercettando le opinioni e il sentire di lavoratori, intellettuali, quadri dirigenti provati in mille battaglie, e non si giunge ad una sintesi condivisa che veramente abbia accolto le varie sfumature e posizioni e le abbia distillate al fuoco purificatore del metodo materialista dialettico, allora non si potrà avere che un feticcio di democrazia, una stolida illusione di “aver deciso” quando in realtà le decisioni erano già state prese altrove, e il voto su Rousseau, voto su una questione la cui risposta era chiara sin dall’inizio, non è stato che una burocratica certificazione (e non vogliamo neanche pensare alle potenzialità manipolatorie di un sistema di votazione che riposa interamente nelle mani di un soggetto privato).

 

La fine del paradigma destra-sinistra

Eccola l’altra geniale trovata dell’isterico guitto e del sobrio imprenditore: di fronte all’orwelliana ricostruzione di un linguaggio nel quale i termini “comunismo” e “sinistra” stavano gradualmente divenendo parolacce, di quelle da sussurrare a mezza bocca con un sorriso complice sulle labbra, e in cui la parola “destra” suonava ancora, alle anime belle, troppo compromessa col fascismo, quale miglior strategia del definirsi “né di destra né di sinistra”, liberi di spaziare in un universo a-ideologico dal quale cogliere, come farfalle svolazzanti di fiore in fiore, il nettare prelibato delle più palatabili tattiche che, di volta in volta, i due schieramenti avevano proposto?

Ed ecco che nel M5S hanno potuto serenamente convivere fianco a fianco un reddito di cittadinanza dal sapore chiaramente socialista e il convinto riconoscimento del capitalismo come orizzonte ineludibile del mondo economico, per non parlare dell’evidente contraddizione di un furente livore antieuropeo (a parole) sbugiardato quotidianamente dall’adesione alle politiche più smaccatamente europeiste del governo Conte II; è chiaro come, mancando una visione d’insieme basata una strategia a lungo termine che trovasse le sue radici in un humus ideologico definito e fondante, ogni presa di posizione fosse via via possibile, purché “benedetta” dal “garante” e da chi del garante tirava i fili nell’ombra.

Insomma, Franza o Spagna, purché se magna; senza più l’ingombrante zavorra di un’idea, di una visione, di un metodo o di una classe dirigente, ogni orizzonte era possibile, ogni alleanza lecita (altroché “nessuna alleanza!”), ogni approdo “quello giusto”.

 

Solo opportunismo?

Verrebbe da chiedersi, e pensiamo che molti tra noi si siano ripetutamente interrogati in materia, se dunque il M5S sia solo un contenitore di opportunismo e fanfaluche, oppure se sia stato capace di produrre anche riflessioni di una qualche portata strategica.

Innanzitutto, c’è senz’altro da riflettere su uno dei temi portanti del programma pentastellato, quello di quell’ambientalismo tante volte declinato in salsa “decrescita felice”; già qui ci sarebbe da riempire pagine e pagine di riflessioni sull’idea, a nostro avviso peregrina, che sia davvero possibile creare una società ove il benessere sia equamente distribuito senza lavorare alacremente per il pieno sviluppo delle forze produttive. Ma nonostante questo, la questione rimane di un’enorme importanza, perlomeno nel suo richiamare costantemente la nostra attenzione sulla necessità di contemperare lo sviluppo con il rispetto dell’ecosistema.

Inoltre, la questione della permanenza dell’Italia in un Europa che, lungi dall’essere la libera associazione di popoli volti alla creazione di una società più giusta e pacifica, non è che una struttura mercantilista che sancisce e norma il predominio assoluto del capitale finanziario globale e dei suoi interessi, non è affatto questione stupida o di secondaria importanza; purtroppo, quando viene il momento di tracciare un programma concreto che definisca i passi e le misure necessari ad un’alternativa, ancora una volta i pentastellati sprofondano in una palude parolaia che, mentre soddisfa, forse, il ventre molle dei loro simpatizzanti, non fornisce reali suggerimenti a chi voglia fare sul serio.

La tecnologia è un altro dei punti caratterizzanti del pensiero pentastellato; una tecnologia di cui il M5S riesce a cogliere non solo l’impatto sociale e produttivo, ma anche l’importanza come strumento di partecipazione politica. Certamente la tecnologia rimane uno dei punti fondamentali per il progresso della società, ma non è sufficiente che essa progredisca e si diffonda capillarmente, se il controllo su di essa resta nelle mani del capitale, e spesso in una maniera assai poco trasparente e democratica. È di questi giorni la polemica sul diritto, che la proprietà dei social si arroga, di decidere in piena autonomia quali siano le idee e le opinioni ammissibili e quali invece quelle che meritino, a insindacabile giudizio dei padroni, la censura e il ban. E su questi punti, il silenzio dei cinquestelle è francamente imbarazzante.

E veniamo alla misura migliore e più degna ottenuta dai cinquestelle: la legge che ha istituito il reddito di cittadinanza. Questo è davvero, e lo diciamo senza alcuna ironia, un grande risultato per la nazione e per tutti i cittadini, pur in presenza di alcuni punti migliorabili: innanzitutto, è stato un errore propagandare questa legge che è essenzialmente una misura di equità e giustizia sociale, come una misura di incentivazione all’impiego, e qui vorremmo sottolineare l’ignobile farsa dei “navigator” che si è risolta, come era da immaginarsi, in un fallimento epocale.

Secondariamente, la legge sul reddito di cittadinanza è monca nel momento stesso in cui non prevede un vero e robusto sostegno a chi si trovi, dopo una vita di contribuzione, ad essere disoccupato (tutti sappiamo come la NASPI garantisca generalmente un reddito risibile e assolutamente insufficiente alla mera sopravvivenza); l’assegno di disoccupazione dovrebbe essere simile a quello erogato per esempio in Francia o Germania, ovverosia pari al 75% dei salari percepiti durante l’ultimo anno mobile lavorato, senza alcun tetto massimo, e dovrebbe incorporare la contribuzione previdenziale e mutualistica.

In ultimo, abbiamo tutti visto come senza misure rigorose sul salario minimo e sulla dignità e sicurezza del posto di lavoro, il reddito di cittadinanza, invece di risolversi in uno sprone al reinserimento nel modo del lavoro, diventi un seppur scomodo parcheggio che allontana sempre più i lavoratori dalla prospettiva del reimpiego.

 

Chi comanda? E a quale fine?

Dopo quanto detto sopra, però, due domande si pongono ineludibilmente a chi voglia davvero capire questo fenomeno politico: a cosa mira veramente il Movimento 5 Stelle, e, forse ancor più sostanzialmente, chi c’è al timone?

Non abbiamo delle risposte certe, granitiche, inoppugnabili, ma solo tracce di riflessione su cui meditare e provare a capire. Innanzitutto, non reputiamo credibile pensare che Beppe Grillo, pur con la sua genialità e la sua verve, sia davvero il “grande vecchio” che governa, nocchiero in gran tempesta, il confusionario vascello cinquestelle, e neppure pensiamo che Casaleggio e il suo erede siano la machiavellica, mefistofelica presenza che da dietro al trono muoveva le leve del comando; men che meno crediamo ad una diabolica congiura di qualche massoneria segreta, che ha creato in laboratorio questo Frankenstein politico per i suoi misteriosi e imperscrutabili fini.

No, reputiamo piuttosto che il M5S sia, come il materialismo storico ci insegna, il frutto naturale e spontaneo di una specifica situazione venutasi a creare in un’Italia frastornata dal crollo del PCI, da Mani Pulite, dal berlusconismo e dall’ipocrita farsa della “sinistra” rappresentata dal PD; un frutto maturato sotterraneamente per lunghi anni che Grillo e Casaleggio, questo sì, hanno avuto la genialità e la capacità di saper cogliere.

Il frutto che ha ingolosito quelle generazioni, schifate da un certo modo di far politica, che ancora genuinamente sperano che un modo diverso di occuparsi della cosa pubblica sia possibile, il frutto che prometteva di soddisfare quel desiderio di poter dire la propria, di poter utilizzare la tecnologia per costruire una società più rappresentativa e più giusta, il frutto che faceva balenare una miglior ridistribuzione della ricchezza senza dover passare per la furia e la distruzione di una rivoluzione, ma solamente grazie, ancora una volta, ai prodigi di internet e della tecnologia.

Questo era, crediamo, l’obiettivo iniziale del Movimento Cinque Stelle, obiettivo che, purtroppo, ha fatto la fine di tutte le utopie: schiantarsi in una nuvola di detriti e recriminazioni al primo duro e impietoso scontro con la realtà; e mentre assistiamo, tra sarcasmo e irrisione, al crollo verticale del consenso elettorale dei cinquestelle, col suo corollario di scissioni minacciate e incombenti, di polverizzazione della sua classe dirigente e di improvviso venire al pettine di tutti i nodi che abbiamo sin qui cercato di individuare, vorremmo tornare a René Descartes, chiedendoci: chi riempirà il vuoto lasciato dal Movimento Cinque Stelle?

Comments

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Caddeo Sandro
Thursday, 02 September 2021 14:46
Pensare che la morte del Partito Comunista Italiano possa essere dimenticata, mi sembra che sia solo una sciocchezza. Basta entrare in Internet e verificare quanti siti hanno la disponibilità di ricordare il Partito Comunista Italiano, come il più grande Partito Comunista a livello europeo. Ci sono molte associazioni che hanno ripreso proprio questi temi. Che cosa è stata la sinistra senza Enrico Berlinguer, e quale futuro possiamo avere senza ricordare quella sua figura. Basta guardare in Facebook, per verificare che ci sono troppe associazioni o partiti politici che si nominano comunisti. Il Partito di Rifondazione Comunista, che di fatto esiste ancora, tra le altre cose, avendo anche disponibilità finanziarie dovute alla morte del PCI; Il partito del Partito dei Lavoratori Comunisti, lo stesso partito di Rizzo, e altri partiti minoritari. Ma ci sono anche associazioni che fanno di tutto per ricordare il più grande Partito Comunista Europeo, quello che, come dicevo, era Il PCI. Ma basterebbe anche ricordare che i partiti della Prima Repubblica, ovvero quei partiti che si erano messi insieme, nonostante avessero idee molto diverse, per combattere la guerra partigiana contro la dittatura Fascista di Mussolini, e che oggi, come sappiamo tutti, molti partiti della destra che siedono in Parlamento sono contro la nostra Carta Costituzionale. Non si tratta di essere di destra o di sinistra. Si tratta di avere pieno rispetto della Nostra Carta Costituzionale. E questo è il grave problema del nostro Paese, ma anche dell'Europa, che rispetto ai suoi doveri non ha voluto portare avanti quella politica che si era deciso di conseguire, Quella delle nostre libertà, e quelle dei nostri doveri, che sono scritti in quella Carta Costituzionale di cui parlavo. Il Movimento 5 Stelle è peggio della Democrazia Cristiana, che non ha voluto ricordare quegli episodi storici che niente hanno a che vedere con la sua politica di destra. Non significa niente essere di destra e di sinistra. Ognuno deve ricordare che quello che conta sono i diritti e i dovere che sono scritti nella Nostra Costituzione. Ecco perchè il PCI è risuscitato. Perché ci vuole nuovamente un vero partito di Sinistra come voleva Enrico Berlinguer. E che i comunisti e la sinistra avevano pensato di continuare sulla strada del socialismo. E noi del PCI ci crediamo e vogliamo continuare a portare avanti quella politica, che è fatti di Comunisti e di Sinistra.
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pino
Tuesday, 31 August 2021 17:41
Ancora una volta sull'identità del movimento 5 stelle Bene.
Certo d'accordisssimo, il vuoto se creato perchè il PCI invece di diventare un onesto partito socialdemocratico, si é andato costituendo in quella amalgama senza identita che è diventato PD. Prima L'Americano Veltroni con i suoi " SOGNI, Poi Fassino "costruiremo un Welfare alla Danese", Dalema era invece per la linea socialdemocratica, Poi IL BOY SCOUT Renzi rottamatore,
autorottamatosi. Per Non parlare della frantumazione di rifondazione comunista e della sinistra radicale in genere Adesso Buona Parte dei bottegai del ceto medio, sono andati come elettori del centro destra e le cose sono piu chiare. E rimasta appunto l'ala di sinistra con una forza intorno al !15% e mi pare buona se riesce a mantenerla. Primo FRonte della Trincea il reddito di cittadinanza per difenderlo da LUPI CHE grida AL lupo!! E' assistenzialismo!!! Salvini disencentiva il Lavoro.. Meloni etc. Certo E poco dovevano pensare anche ail lavoratori a partita IVA. Ma sopratutto aggiungere altre pezze alla loro possibile linea Strategica. LO faranno!!!!
Se sara cosi Il VUOTO Non ci sara da riempire ancora per un Pò......
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