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orizzonte48

L'intento dei costituenti, il rispetto della legalità e... il problema della crescita e dell'occupazione

di Quarantotto

01 de nicola costituzioneI. Mi trovo a fare la premessa introduttiva di un post creato da un insieme di commenti di Francesco Maimone. Un discorso che rientra tra i tanti che non vanno dispersi (e talora ho mancato nel tentare queste operazioni di valorizzazione della ricchezza, cognitiva e costituzional-legalitaria, racchiusa nei migliori interventi svolti sul blog. Ma le mie forze hanno un limite...).

La prima cosa che mi viene da dire riguardo al tema che tratta Francesco, collegato al precedente, post, è questa: una delle frasi fatte che più mi colpisce, per il suo ottuso autolesionismo, e la sua mediocrità ideologica e culturale, è quella che viene spesso, anzi direi in modo quasi automatico, attaccata alla affermazione "La Costituzione italiana è la più bella del mondo" (affermazione che, a sua volta, mi ha sempre visto diffidente, per la sua sospetta enfasi che, generalmente, nasconde una totale strumentalizzazione fuorviante dell'armonia complessa della Costituzione del 1948, o, peggio, l'assoluta ignoranza al riguardo).

La frase di replica in questione, di cui francamente non se ne può più, è "Ma la "tua" Costituzione non ti ha protetto da..." (di volta in volta, può essere la disoccupazione, l'approvazione di Maastricht, l'avvento dell'euro, dell'Unione bancaria, o qualsiasi altra grande sciagura che ha afflitto la nostra Patria negli ultimi decenni). Ed infatti la frase è espressa anche nella variante "Sì ma, la Costituzione più bella del mondo non ha impedito che...".

 

II. Ora, per comprendere il grado di luogo comune autolesionista di questo genere di frasi, occorre rammentare che la Costituzione non è un soggetto dell'ordinamento, un "agente" dotato di una sua specifica sfera di giudizio e di azione volontaria; essa è la fonte normativa suprema dell'ordinamento giuridico della Repubblica italiana. Essa, quindi, è una fonte di diritto, cioè un fatto (certamente frutto di un processo volontario) che deriva da un processo di fondazione primigenia della stessa Repubblica e che si concretizza in un documento contenente delle norme, cioè delle regole che contengono dei comandi o dei divieti riguardanti i comportamenti umani (poiché ogni fonte normativa riguarda i comportamenti umani; la Costituzione organizza la società stessa nei suoi processi decisionali e pone degli obiettivi obbligatori che questa organizzazione, lo Stato repubblicano, deve costantemente perseguire a tutela del benessere e del vivere ordinato dell'intero popolo italiano).

Dunque, la Costituzione è una fonte normativa che non agisce, ma prescrive o vieta certe azioni, dei cittadini o, prima ancora, delle persone umane titolari delle istituzioni e delle istituzioni che essa stessa istituisce o prevede di istituire. Sono questi soggetti e queste istituzioni che, con i loro comportamenti, rivelano la loro volontà di rispettare le regole. Della democrazia costituzionale.

Il fatto che, nella necessaria gerarchia delle fonti (che è uno dei più importanti strumenti di garanzia della nostra democrazia), la Costituzione sia superiore ad OGNI ALTRA fonte, non ne muta la sostanza, di documento che contiene un insieme di regole giuridiche (sono tali quelle che lo Stato rende"effettive" prevedendo sanzioni per la loro violazione e degli organi giurisdizionali che applichino, in un procedimento in cui sia garantito un pieno diritto di difesa, queste stesse sanzioni).

 

III. Dunque, dire "la "tua" (...transeat) Costituzione non ha impedito che... è una totale sciocchezza: equivale a dire "Il codice penale non ha impedito che ci fossero"...a) omicidi; b) rapine; c) corruzzzione! etc etc.

O anche, se si volessero raggiungere vertici massimi di bizzarria: "il codice urbanistico non ha impedito che tu non trovassi mai parcheggio, sotto casa e al lavoro".

Non mi soffermerò sulla implicita premessa di questo tipo di affermazioni che è quella che, invariabilmente, quelle norme siano sbagliate e vadano cambiate in base al giudizio (invariabilmente informato e "competente" di chi pronuncia la "frase fatta"). Mentre invece le cause del "problema" che non sarebbe stato impedito, sono tutt'altre, e vanno ritrovate in ben altre fonti normative; e, più precisamente, in qualche vincolo da trattato e nella sua attuazione. Praeter, o più spesso, Contra Constitutionem.

Il che fa tutta la differenza del mondo nell'individuare i "nessi causali" del problema.

Ma sarebbe interessante capire come questi riformatori permanenti, indignati e soprattutto scontenti (dello Statobrutto), penserebbero di formulare meglio le norme che prevedono il reato, (anzi il delitto: altrimenti, lo chiamano "reato penale"..), di omicidio o di rapina. O qualsiasi altra norma (che non sia, come accade ormai direttamente o indirettamente nel 95% dei casi, di derivazione dai trattati europei o da qualche vincolo imposto dal diritto europeo).

 

IV. Sta di fatto, anzi sta nell'ordine logico del linguaggio giuridico, che l'individuazione di una volontà intenzionale, cioè di una scelta umana diretta ad uno scopo cosciente, non può essere attribuita alla fonte di diritto, bensì al processo normativo che ha richiesto l'intervento di un gruppo (legittimato: in democrazia, tendenzialmente, dal fatto di essere stati eletti in modo libero e trasparente) di esseri umani che hanno progettato, discusso e deliberato queste scelte (su quali regole giuridiche dovessero essere dettate in una certa materia, ovverosia per disciplinare un certo fenomeno sociale; nel caso della Costituzione, la Repubblica da istituire e far funzionare onde perseguire gli interessi che, al suo interno, sono stati ritenuti, democraticamente, fondamentali).

Questo processo Costituente, se riferito al gruppo di uomini che lo hanno posto in essere, considerati non nella loro differenziazione ideologica (risultante dall'organizzazione della stessa società in partiti politici) bensì come fenomeno legittimo fondativo dell'ordinamento, andrebbe definito Potere Costituente; quello dalle cui scelte dipende la legittimità futura di ogni altro Potere dello Stato apparato.

 

V. Riducendo all'essenziale il problema, e volendo, benevolmente, tradurre e considerare nel loro vero significato (al di là delle intenzioni coscienti di chi le formula), le frasi di colpevolizzazione, rabbiosa e sarcastica, contro la Costituzione, può dirsi che il fenomeno umano volontario sottostante alla fonte costituzionale, possa essere responsabile di tutti i mali ora lamentati dai suoi irriducibili e aprioristici critici?

La questione andrebbe risolta sul piano storico; ogni questione di valutazione dei fatti sociali, dei comportamenti umani intrecciati nella loro dinamica politica, va anzitutto ricostruita sul piano storico; cioè di ciò che è realmente accaduto.

Quelle persone, i membri dell'Assemblea Costituente, che furono i protagonisti deliberanti democraticamente delle scelte su cosa inserire nella "Fonte-Costituzione", hanno sbagliato e peccato di leggerezza? O piuttosto è accaduto "qualcosa" che ha minato la effettività della loro intenzione e dei loro obiettivi?

Al riguardo, abbiamo già svolto una ricostruzione.

Molto si potrebbe dire; e ogni ricostruzione storica, come ben sanno i giudici penali (e non solo), e soprattutto gli storici che seguano una metodologia priva di precomprensione, può essere oggetto di dubbi e anche di arricchimento continuo. Ma entro certi limiti: non in base a luoghi comuni trascinati da "voci" a distanza di decenni e decenni, e prive di riscontri documentali diretti.

Senza pretendere che le fonti storiche siano perciò sempre inoppugnabili, - ma senza per ciò dover ammettere che il sentito dire e il riflesso automatico di condizionamenti ideologici retrospettivi possa farsi preferire alla documentazione storica - le cose, al tempo della Costituente andarono in un certo modo.

 

VI. E non certo secondo "l'intento" dei Costituenti. Ce lo testimoniano due fonti dirette dell'epoca e di anni immediatamente seguenti. Alcide De Gasperi e Guido Carli.

Questa la vicenda testimoniata dalla dichiarazione espressa di De Gasperi (rammentiamo che la Costituzione vedeva decise convergenze nell'elaborazione del suo testo, ma non era ancora stata definitivamente approvata).

"Visto che s’è menzionato De Gasperi, parto col suo celebre discorso del maggio ’47, quando annunciò la crisi del governo di unità nazionale: il discorso del “quarto partito” (in Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pag. 40):

i voti non sono tutto (...). Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Oltre ai nostri partiti, vi è in Italia un quarto partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi e le campagne scandalistiche.

L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di governo (...) i rappresentanti di questo quarto partito

Prosegue Graziani (pag. 41):

Tutti i ministeri economici vennero affidati a uomini di sicura fede liberista. Einaudi lasciò il governo della Banca d'Italia a Menichella e assunse la direzione del nuovo ministero del Bilancio: Del Vecchio, autorevole studioso di eguali tendenze liberiste, assunse il ministero del Tesoro; i ministeri delle Finanze e dell'Industria andarono rispettivamente a Pela e a Merzagora, ambedue legati agli ambienti della grande industria del Nord. A questo governo spettò di prendere nei mesi immediatamente successivi i provvedimenti di maggiore portata, e di realizzare la famosa svolta deflazionistica del 1947.

Qui invece la fredda e asciutta valutazione - e testimonianza - retrospettiva di Carli nelle sue "memorie" (tutto il post del dicembre 2017 merita un'attenta rilettura: grazie Arturo):

“Le scelte di aderire alle istituzioni economiche internazionali e di tracciare la “costituzione monetaria” del paese...furono “sapientemente” operate al di fuori di ogni contrattazione politica con la Costituente": dunque per Carli lo scavalcamento del legittimo potere politico costituisce il pregio, verrebbe da dire il merito storico, dell’élite che quella scelta compì".

Le "istituzioni economiche internazionali", va precisato, sono quelle che erogavano prestiti (da restituire con interessi), indispensabili per il rilancio dell'economia, nella fase di ricostruzione, però - pensavano, non sempre esattamente, i nostri governanti al riparo dal processo elettorale -, purché il nostro debito pubblico fosse, guarda un po', sostenibile e quindi si innescasse la deflazione mediante la restrizione creditizia guidata da Bankitalia e Einaudi. Qualcuno trova le similitudini col presente? E le "colpe" della nostra Costituzione?

Ripetuti sono i riferimenti in Guido Carli, Cinquant’anni di vita italiana [che io ometto], tra i quali si noti il seguente passo:

De Gasperi protesse Einaudi perché capì che questa linea [di restrizione creditizia] gli apriva le porte delle istituzioni internazionali che lui riteneva indispensabili per ancorare il paese alla democrazia parlamentare. Dopo la scissione di palazzo Barberini anche Saragat appoggiò la stretta monetaria di Einaudi. Ma entrambi scelsero di basare la “Costituzione monetaria” del paese su provvedimenti che non dovessero essere contrattati in sede di Assemblea Costituente”.

 

VII. Si capisce con evidenza come "altre forze", favorevoli alle "istituzioni internazionali" cui sentirono di doversi collegare (e certamente, come constatiamo oggi, non solo per via del "clima internazionale" del tempo), hanno ritenuto, allora come oggi, di potersi costantemente svincolare dalle intenzioni dei Costituenti e dalla volontà, a base popolare-elettorale, espressa dal Potere Costituente.

Una storia di successo. Che prosegue e che i sarcastici obiettori ("Ma la "tua" Costituzione non ti ha protetto da...") dovrebbero almeno tentare di conoscere.

Ma temo che non siano minimamente interessati. I motivi sono intuibili; gli "effetti" sono però quanto di più autolesionistico si possa immaginare.

A meno che non appartengono alle alte sfere del "Quarto Partito", naturalmente.

* * * *

Questo il post derivante dal contributo di Francesco:

1. I nostri Costituenti, manco a dirlo, queste cose le sapevano e recepirono senza dubbio le teorie keynesiane nell’ottica di un intervento dello Stato per combattere la disoccupazione agendo dal lato della domanda. E’ stata definita “politica di opere pubbliche” (oggi diremmo, in generale, di “spesa pubblica”).

Interessante, in proposito, è quanto emerge dalla “Commissione per lo studio dei problemi del lavoro”. In tal senso, particolarmente significativa (proprio dal punto di vista “…istituzionale, storico e politico-ideologico…”) risulta la relazione dal titolo “Disoccupazione ed opere pubbliche”, nella quale il prof. Paolo Sylos Labini richiama espressamente, non a caso, il moltiplicatore di Kahn:

…economisti… si sono dimostrati favorevoli ad un a politica di opere pubbliche.

Tra questi si può ricordare il Kahn, la cui teoria del “moltiplicatore” ebbe, specialmente alcuni anni or sono, una notevole risonanza. Secondo il Kahn le spese effettuate dallo Stato per finanziare le opere pubbliche metterebbero in moto una spirale di benefiche azioni e reazioni: le imprese che ricevono le ordinazioni per le opere pubbliche a loro volta fanno ordinazioni ad altre imprese e queste ad altre ancora. D’altro lato i disoccupati che ottengono l’impiego vengono a disporre di un maggiore potere di acquisto ed effettuano una maggiore richiesta di beni di consumo; tale maggiore richiesta stimola la produzione e quindi la richiesta di lavoro.

Per conseguenza l’occupazione dei lavoratori crescerebbe secondo un coefficiente, secondo un “moltiplicatore” che misurerebbe appunto l’occupazione indiretta, o indotta, o “secondaria”.

Tale teoria, sfrondata dei sottili ragionamenti e delle formule… in sostanza non fa che esprimere, riferendola alla politica delle opere pubbliche, una semplice verità: che, essendo i fenomeni economici interdipendenti, qualsiasi mutamento dei dati provoca altri mutamenti, ben più importanti di quello iniziale: in un certo senso gli effetti del mutamento iniziale risultano, dopo un certo periodo, amplificati o “moltiplicati…

” [Atti della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro, III, Memorie su argomenti economici, Roma, 1946, 287].

 

2. Tuttavia, Sylos Labini – riconoscendo che il moltiplicatore può avere effetti favorevoli a determinate condizioni - amplia prospetticamente il proprio discorso, affermando che:

…in una società prevalentemente privatistica e in periodo di depressione ciclica una vasta politica di opere pubbliche non può in nessun caso costituire il fattore determinante della ripresa produttiva; una tale politica può solo affrettare la ripresa e può, quindi, portare un effettivo ed efficace contributo alla soluzione del problema della disoccupazione quando si verifichino certe condizioni e quando sia accompagnata da una serie di altri interventi statali.

Ora, poiché l’esperienza ha dimostrato che lo Stato, specialmente durante le crisi, non può assolutamente sottrarsi dall’intervenire, e poiché gli interventi statali, attuati sotto la pressione della necessità, si manifestano spesso contraddittori, TANTO VALE CERCARE DI PREVENIRE IL MALE INVECE DI REPRIMERLO.

Sono queste in sostanza le considerazioni che, come si è già accennato, possono consigliare un INTERVENTO SISTEMATICO E GENERALE DELLO STATO NELL’ECONOMIA, possono consigliare cioè una pianificazione dell’economia. Una politica di opere pubbliche che s’inserisse in una pianificazione dell’economia avrebbe un significato del tutto diverso da quello che ha una politica di opere pubbliche perseguita isolatamente…

Non si cerca quindi ancora di impedire alle crisi di manifestarsi e di sanare in modo non transitorio IL CONFLITTO FRA INTERESSE INDIVIDUALE ED INTERESSE SOCIALE. Si vuole solo ridurre al minimo tale conflitto ed attenuare l’asprezza delle fluttuazioni cicliche. Tuttavia LA POLITICA DELLE OPERE PUBBLICHE IN FUNZIONE ANTICICLICA COSTITUISCE, SE È ATTUATA, UN ULTERIORE PASSO VERSO LA GENERALE PIANIFICAZIONE DELL’ECONOMIA [Atti della Commissione, cit., 291].

 

3. In sostanza, in presenza di crisi cicliche – che sono connaturate al capitalismo [ed in cui “La disoccupazione permanente…è uno degli indici più caratteristici del conflitto esistente fra interesse individuale e interesse sociale, fra interesse di coloro che sono economicamente più forti e interesse della società nel suo complesso, così pag. 275], lo Stato deve intervenire certamente attraverso la spesa pubblica applicando i principi dell’economia keynesiana, ma tale intervento non può essere concepito in modo sporadico ed in contingenze solo patologiche, ma deve essere considerato strutturale. Insomma:

"Finora lo Stato, come spesso pel passato, ha mostrato di considerare esaurito o quasi esaurito il suo compito dopo aver predisposto l’autorizzazione di una certa somma pel finanziamento di opere pubbliche. L’azione dello Stato nel campo delle opere pubbliche si è risolta, cioè, in un intervento isolato, frammentario e di carattere quasi esclusivamente finanziario…

Un intervento di tale tipo può avere una certa efficacia in periodi di crisi dipendenti dal ciclo economico, crisi per giunta non gravissime; esso è assolutamente inadeguato in un periodo, come l’attuale…Ora si profila l’opportunità di una politica di opere pubbliche non perseguita isolatamente, nè solo sul piano finanziario, ma strettamente e coerentemente coordinata alla politica creditizia, a quella sociale, a quella del commercio estero, a quella tributaria e dagli altri rami della politica economica.

Un coordinamento fra i vari interventi non platonico e formale, ma concreto, È RAGGIUNGIBILE SOLO ATTRAVERSO UNA PIANIFICAZIONE DELL’ECONOMIA…la pianificazione dell’economia sembra opportuna per cercare di realizzare la massima stabilità economica possibile, ed in particolare per promuovere e regolare quel processo di industrializzazione…necessario per assicurare, insieme col più rapido sviluppo del reddito complessivo, l’impiego di quantità crescenti di lavoratori

[Atti della Commissione, cit., 298-299].

 

4. Una pianificazione così intesa per intervento dello Stato - che nei momenti di crisi può tradursi sia “… in una statizzazione, parziale o totale, dell’offerta” sia in una “…statizzazione della richiesta” [Atti della Commissione, cit., 278-279] - ma concepita fisiologicamente in via preventiva e normale con funzioni stabilizzanti di lungo periodo. Le ragioni sono evidenti:

il mercato, lasciato completamente a se stesso, è, sì, indice dei valori, MA, POICHÉ DIETRO I VALORI CI SONO GLI UOMINI, IL MERCATO È INDICE DELLA FORZA ECONOMICA, CIOÈ DELLA CAPACITÀ DI ACQUISTO DEI VARI UOMINI. E quando coloro che hanno una capacità di acquisto inferiore a quella necessaria a soddisfare almeno i bisogni vitali divengono via via più numerosi, divengono addirittura la maggioranza, il conflitto fra interesse individuale, cioè fra interesse dei più forti, e interesse sociale è evidentissimo…. La pianificazione eliminerebbe il conflitto fra interesse individuale e interesse sociale, appunto perché lo Stato, predisponendo il piano, avrebbe di mira quella che potrebbe esser definita la scala sociale dei bisogni [Atti della Commissione, cit., 281].

 

5. Ecco l’art. 41 Cost. che, non a caso, C. Mortati considerava il cuore pulsante della Costituzione nella sua parte economica. D’altronde, la “sintesi” indicata da Quarantotto alla fine del capitolo non riassume forse nella sua evidenza proprio quanto voluto dai Costituenti in detta disposizione? (http://orizzonte48.blogspot.com/2018/01/la-grande-assente-e-la-pianificazione.html)

In armonia con quanto ancora, in proposito, sostenuto da Federico Caffè:

Un vero quadro incisivo di politica economica non può che essere fornito che da alcune opzioni fondamentali le quali sembrano essere costituite:

a) dalla

riaffermazione di un livello pressoché pieno di occupazione…indispensabile per legittimare il consenso e reagire, in forme non repressive, ai fenomeni asociali di conflittualità;

b) d

al riconoscimento che il pieno impiego comporta non soltanto una politica di controllo pubblico della domanda globale, ma altresì di una politica di attenta amministrazione dell’offerta complessiva. Sul terreno dell’offerta …sia i fenomeni aberranti delle eccedenze da distruggere sia i fenomeni di carenze strutturali di lungo periodo…attestano con chiara evidenza i limiti e le insufficienze delle indicazioni fornite dal mercato…” [F. CAFFE’. In difesa del Welfare State – Saggi di politica economica, Torino, 2014, 151-152].

Comments

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Franco Trondoli
Thursday, 28 November 2019 09:32
Complimenti Eros Barone. Esemplare. Cordialmente
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Eros Barone
Wednesday, 27 November 2019 23:19
Mi scuso per la tautologia "...vincolo del pareggio di pareggio". Ovviamente intendevo dire "vincolo del pareggio di bilancio".
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Eros Barone
Wednesday, 27 November 2019 23:15
Alcune essenziali premesse: a) il costituzionalismo democratico che ispira "Quarantotto" merita rispetto (così come la nobile figura di Federico Caffè citata nell'articolo); b) la Costituzione di cui trattasi, pur essendo per alcuni aspetti socialmente avanzata, è una Costituzione borghese e, 'ut talis', è l'involucro istituzionale di una dittatura di classe, più o meno dura e più o meno temperata a seconda dei periodi e dei rapporti di forza tra le classi sul piano interno e internazionale; c) disquisire, pertanto, di pianificazione alla luce dei dettami costituzionali significa prescindere totalmente da quel "trascurabile dettaglio" che è rappresentato dalla conquista del potere politico di Stato da parte della classe operaia e di autentiche forze popolari; d) il "socialismo giuridico" è una concezione piccolo-borghese estranea al socialismo scientifico e in contrasto con esso, ma in determinate congiunture, come quella attuale, può assumere un significato politicamente importante sul piano tattico. Una volta fatte queste doverose premesse, passiamo all'analisi di merito di alcuni contenuti centrali della Costituzione prendendo le mosse da quell'art. 41 definito da Costantino Mortati, come ricorda "Quarantotto", "il cuore pulsante della Carta". Giudizio eulogico, quest'ultimo, che si potrebbe almeno in parte condividere allorché ci si riferisce alla Carta così come si presentava prima del 2001, perché con la riforma costituzionale attuata in quell’anno il termine “Repubblica” ha assunto due differenti significati, il che comporta che la Costituzione sia diventata autocontraddittoria. Infatti, prima della riforma del Titolo V si pensava che la Repubblica fosse l’intera collettività nazionale organizzata, cioè unità e sintesi di forze private e autorità pubbliche; con l’introduzione dell’articolo 114 è subentrata un’altra definizione della Repubblica, che risulta formata, come se tali istituzioni fossero sullo stesso piano, da Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni. Ma il testo della Costituzione contiene, a mio avviso, una contraddizione ancor più grave, se si considera che il secondo comma dell’art. 3 è in totale contraddizione con il quarto comma dell’art. 118 sulla cosiddetta ‘sussidiarietà orizzontale’. Da questo punto di vista, nella Costituzione vi sono due politiche generali del tutto divergenti: il secondo comma dell’articolo 3 afferma infatti che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”; il secondo comma dell’art. 118 stabilisce, invece, che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Orbene, per modificare i punti di partenza, ovvero per creare le condizioni dell’eguaglianza, famiglia e scuola sono leve essenziali. In questo senso, gli strumenti fondamentali di cui dispone la Repubblica per realizzare il secondo comma dell’art. 3 sono, per l’appunto, la scuola e la famiglia, punti nodali attraverso cui si può realizzare, con politiche appropriate, un’uguagliamento nelle condizioni di partenza dei cittadini. A questo riguardo, vale la pena di ricordare che una delle poche riforme sociali che sono state fatte nel nostro paese (e ciò va ad onore del Partito socialista italiano di Tristano Codignola e di Riccardo Lombardi) è stata l’istituzione della scuola media unica, dal momento che fino al 1962 vi erano, da una parte, la scuola media per i figli della piccola, media e alta borghesia, cui si accedeva mediante concorso, e, dall’altra, vi erano le scuole di avviamento professionale per i figli degli operai. Dopodiché si è cercato, in modo tuttavia debole e poco incisivo, di continuare questa linea riformatrice con l’elevamento dell’obbligo scolastico a 15/16 anni, ma la dura realtà di classe per cui nel 1962 l’8% dei figli dei lavoratori riusciva ad entrare all’università, nel 2009, cioè 47 anni dopo, è rimasta immutata, giacché, stando alle statistiche, i figli degli operai che entrano all’università corrispondono alla stessa identica percentuale! Non è cambiato nulla (vedasi la premessa 'b'). Per quanto concerne il diritto alla salute, questo è, invece, l’unico caso in cui, durante la vita della Repubblica, si è andati oltre il testo costituzionale: per la Costituzione “la Repubblica…garantisce cure gratuite [solo] agli indigenti” (art. 32), mentre, grazie alla riforma sanitaria del 1978 è stato istituito il Servizio Sanitario Na-zionale. Ancora oggi, nonostante i ticket, il Servizio è, nella sostanza, universale e gratuito. Infatti, tra il pagare il ticket per un’operazione e il pagare la stessa prestazione a prezzi di mercato vi è un’enorme differenza: l’operazione può costare anche 20.000/30.000 euro, mentre il ticket solo qualche centinaio di euro. Orbene, se è chiaro che in campo sanitario vi sono molte cose da migliorare (sprechi, inefficienze, malcostume ecc.), si può tuttavia sperare che il popolo italiano sia ancora abbastanza saggio e intelligente da non cedere alla linea neoliberista della privatizzazione della sanità, giacché vi sono orde fameliche che non aspettano altro che di impadronirsi di questo settore, che è ricco di promesse di profitto per farmacisti, cliniche private, dottori di un certo tipo e così via speculando sulla salute dei cittadini. Questo è il solo bilancio positivo che si può trarre da 60 anni di Costituzione. Nel campo della “tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (sempre l’art. 32) la Repubblica italiana è riuscita a realizzare qualcosa di positivo. I due grandi interventi sulla proprietà, cui si riferisce l’art. 43 della Costituzione, sono stati, nel secondo dopoguerra, la riforma agraria e la nazionalizzazione dell’energia elettrica: due riforme che hanno modificato profondamente gli equilibri sociali, suscitando anche violente reazioni da parte dei ceti proprietari. Sennonché l’art. 43 della Costituzione (“A fini di utilità generale la legge può… trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese…, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia… ed abbiano carattere di preminente interesse generale”), questo articolo, dicevo, è stato tacitamente abrogato dall’Unione europea (la stessa istituzione cui dobbiamo la costituzionalizzazione del neoliberismo attraverso l'introduzione del vincolo del pareggio di pareggio). L’articolo compare ancora sulla Carta, perché vi è scritto, ma di fatto non esiste più. Per averne la riprova è sufficiente compiere un esperimento mentale, immaginando una rinazionalizzazione dell’energia elettrica, dell'Ilva o dell'Alitalia: l’Ue interverrebbe immediatamente, affermando che ciò non è possibile (ossia non è conforme al potere autoritario, monetarista e neoliberista, del capitalismo monopolistico transnazionale rappresentato dalla medesima Ue). Dunque, permane una contraddizione profonda fra l’art. 3, secondo comma, e l’art. 118, quarto comma, che indicano due linee del tutto contrastanti. Il primo suona in questi termini: poiché i cittadini partono da una situazione di disuguaglianza, di impossibilità per molti di partecipare effettivamente alla vita della Repubblica (per mancanza di redditi, di risorse culturali, di mezzi sociali ecc.), la Repubblica deve farsi carico di questo compito, esplicando opportuni interventi perequativi. L’art. 118 suona invece in questi termini: cercate di arrangiarvi quanto potete, se proprio non ce la fate, allora si interverrà sul piano caritativo, non vi si lascerà morire di fame; prima vengono gli individui e le loro capacità di sopravvivenza, poi, se proprio è necessario per impedire le conseguenze più gravi, interviene con le elemosine lo Stato. Si tratta, come comprende senza un particolare sforzo chiunque rifletta, di due progetti di società totalmente alternativi, anche se compaiono entrambi nella Costituzione. Ma questo è l’amaro bilancio di 70 anni di Costituzione.
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