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Mitologie contemporanee: Craxi e la classe politica della prima repubblica

di Franco Romanò

arton50058Parte prima

Gli anniversari sono dei passaggi importanti e anche obbligati: non stupisce quindi che il nome di Bettino Craxi sia di questi tempi uno dei più citati fra coloro che prima o poi ritornano. Il problema è come se ne parla e se ne discute e può essere molto utile farlo perché su quella drammatica stagione politica prima si torna a riflettere e meglio è. Pensando al dibattito in corso, non c’è da stupirsi che le sirene della riabilitazione abbiamo preso a suonare, in modo prima flebile poi più deciso, ma non mi sembra questa l’operazione più pericolosa in corso. Ancor più subdole, infatti, sono le sirene più alte che intonano dei peana alla Prima Repubblica, contrapponendola al degrado attuale della cosiddetta classe dirigente; infondo la totale o parziale riabilitazione di Craxi invocata da molti è un problema minore dentro quest’altro. L’argomentazione fondamentale di chi eleva peana alla Prima Repubblica è che quella classe politica era ben superiore a questa di oggi. Che tale pensiero si formi anche in ambienti che dovrebbero sentirsi imbarazzati a proporlo e che il pretesto sia il ventennale della morte di Bettino Craxi assume anche dei tratti involontariamente comici perché quella stagione segnò la fine della Prima Repubblica ed è difficile per definizione che un organismo politico in fase terminale possa essere scelto in qualche modo come esempio, seppure per contrapporlo a quella odierna. L’obiezione, in questo caso, sarebbe che c’è di mezzo la Seconda Repubblica, causa di tutti i mali: ma come è nata quest’ultima? Silenzio. Ripartiamo dunque dal problema più grande: la Prima Repubblica.

Diamo per scontato che i padri e le poche madri costituenti, con la Resistenza appena finita alle spalle e il varo della Costituzione costituissero un ceto politico di una decorosa statura; ma già da un anno chiave - il 1964 - le cose cominciarono a cambiare. Quando si vide che né la legge truffa del ’53, né il tenue riformismo del primo centro-sinistra erano riusciti a vincere la resistenza operaia e popolare alle aggressioni poliziesche e politiche del centrismo, una parte consistente della classe dirigente democristiana, socialdemocratica e liberale, aprì con il Piano Solo la stagione che sfocerà dal ’69 in poi nella strategia della tensione con il suo corredo di stragi e di morti, a cominciare da Piazza Fontana. Questa strategia che la manovalanza fascista da sola non avrebbe potuto reaòizzare si avvalse di complicità negli apparati dello stato, di depistaggi e occultamenti. La vera e propria guerra contro il movimento operaio e studentesco non si chiama latente come sostengono giornalisti come Panebianco, bensì asimmetrica; cioè sporca e condotta con metodi terroristici. Da questo bisogna partire e da questo tutto ha avuto inizio, in anni precedenti il’68 e dunque a prescindere da quei movimenti e dalla scelta sciagurata che una parte avrebbe compiuto abbracciando la lotta armata.

Alcuni libri recenti e in particolare due - la Bomba di Enrico Deaglio e La maledizione di Piazza Fontana scritto dal giudice Guido Salvini e dal giornalista Andrea Sceresini, ricostruiscono in modo puntuale il contesto di quegli anni e di quelli immediatamente precedenti la nascita della Seconda Repubblica. Questi libri, in misura diversa fra loro e insieme ad altri come per esempio quello di Gianni Barbacetto (Piazza Fontana il primo atto dell’ultima guerra italiana) hanno in comune lo scrupolo ricostruttivo, ma quest’ultimo, insieme a quello di Deaglio hanno anche il pregio di smascherare una narrazione secondo cui nella Prima Repubblica ci sarebbe stata una sorta di collateralismo fra i governi democristiani e le sinistre, in una sorta di asimmetrica diarchia. Tale narrazione è stata in parte veicolata anche da alcuni comportamenti e atteggiamenti culturali del Pci. Per un’altra parte è stata veicolata dalla retorica sull’unità antifascista, che è in realtà esistita per un periodo assai più breve di quanto si creda, che ha avuto un nuovo sussulto positivo negli anni intorno al ’68, per poi uscire di scena di nuovo durante gli anni ’80 e grazie anche alla svolta impressa da Craxi alla politica del partito Socialista. Il collateralismo vero è stato quello con le forze eversive della destra fascista, riciclate in tutti i gangli più delicati dello stato, a cominciare dall’Ufficio Affari Riservati del Viminale, erede diretto di quello creato dal regime fascista. La mancata epurazione dei funzionari compromessi e persino di qualche generale (Roatta) – si vedano a questo proposito i numeri libri di Aldo Giannuli, Stefania Limiti e di De Lutiis sui servizi segreti italiani - si tradusse dal 1949 in poi, data della firma del Patto Atlantico, in una sistematica occupazione da parte di queste forze degli apparati più delicati delle stato e fu sostanzialmente subita anche da funzionari e dirigenti leali, ma impediti nella ricerca di un altro equilibrio o di fatto conniventi. Nessun doppio stato, nessun servizio deviato, ma una doppia fedeltà di cui la prima, quella alla Costituzione, era la meno importante. Queste e non altre sono le radici profonde della permanenza del fascismo diffuso in Italia. Sui motivi per cui su tutto questo non è stato possibile fare luce e giustizia neppure dopo la caduta del muro di Berlino, credo che i libri di Barbacetto, Deaglio e Guido Salvini offrono risposte plausibili: queste forze continuano a tramare, sono quelle che hanno traghettato il passaggio dalla cosiddetta prima repubblica alla seconda, che hanno depistato le indagini sugli assassini di Falcone e Borsellino, che hanno aperto le porte a Berlusconi. Questa fu la classe politica delle Prima Repubblica reale, prigioniera dei propri omissis anche nei suoi uomini migliori, incapaci di assumersi alcuna responsabilità se non per allusioni e metafore e quando erano al riparo da ogni possibile guaio giudiziario o in punto di morte. Si leggano a questo proposito nei libri citati i nei numerosi siti online le dichiarazioni del senatore Paolo Emilio Taviani. Non fu quel ceto politico in quegli anni a difendere la Costituzione e la democrazia ma la resistenza tenace dei movimenti di massa che trovarono allora anche qualche sponda politica e sindacale che si sarebbe dissolta successivamente; movimenti capaci di difendere anche conquiste importanti di civiltà che quella classe politica clerico-fascista fu al massimo costretta a subire.

 

Parte seconda: Gli anni ’80 e la stagione craxiana

Partendo da questa premessa, penso che il problema e il modo di arrivare a un giudizio politico sulla stagione craxiana nel più ampio discorso sulla Prima Repubblica (Craxi su Presidente del Consiglio dal 4 agosto 1983 al 17 aprile 1987 e Segretario del Partito Socialista Italiano dal 15 luglio 1976 all'11 febbraio 1993) dipende dal tipo di domande che si pongono e da quali sono le scelte sue, gli atteggiamenti suoi prima di diventare Presidente del Consiglio, poi gli atti compiuti dai governi di quegli anni che si ritengono da prendere in considerazione per arrivare a una visione d’insieme di quel periodo. Craxi si presentò come il grande innovatore, ponendosi in concorrenza aggressiva sia della Dc sia del Pci, compiendo scelte che di volta in volta avevano come obiettivo quello di distinguersi a tutti i costi, il più delle volte in modo puramente propagandistico: valga per tutte, anche per il particolare cinismo, il modo in cui Craxi criticò, durante il rapimento di Aldo Moro, la linea ufficiale della fermezza, caldeggiata dalla maggioranza di governo di cui faceva parte, senza mai formulare proposte precise nelle sedi istituzionali, ma animando una strategia comunicativa e movimentista di iniziative velleitarie al solo servizio della propria visibilità. Venendo ora alle misure concrete, ricordo alcune scelte di allora, aggregando sinteticamente l’azione di tre esecutivi: i due di Craxi e il primo governo Amato che fu il precipitato massimo di un’intera stagione:

1. L’intento spaccare il movimento operaio e sindacale come premessa al punto 2 che segue;

2. L’abolizione per legge di 3 punti della scala mobile e la sua sostanziale demolizione che sarà completata successivamente;

3. La rottura formale dell’unità antifascista negli atti compiuti, negli atteggiamenti e nell’uso di un linguaggio arrogante che avrebbe fatto molta strada dopo di lui;

4. L’apertura a riforme istituzionali di tipo presidenzialista;

5. La manipolazione delle preferenze con l’invito a votare servendosi di strumenti (il normografo) che rendessero controllabile il voto stesso;

6. Una legge sui mezzi radiotelevisivi che mise nelle mani di Berlusconi un potere enorme - ma ancor più - che avviò la stagione della televisione spazzatura;

7. Il nuovo Concordato con il Vaticano.

8. Il taglio di 30.000 miliardi di spesa pubblica e il prelievo forzoso dai conti correnti, in modo indiscriminato. A questo proposito penso sia decisivo ricordare i comunicato stampa con cui Bruno Trentin diede le dimissioni da segretario generale della CGIL, il primo di agosto: Roma, 1 ago. (adnkronos) - Bruno Trentin ha scritto ieri sera ai componenti la segreteria nazionale della Cgil la seguente lettera: ''Vi confermo la mia decisione, che ho comunicato ad alcuni di voi nelal riunione di questa sera a Palazzo Chigi, di rimettere al comitato direttivo della Cgil il mio mandato di segretario generale e di membro della segreteria nazionale''. ''Vi prego quindi -continua- di voler trasmettere questa mia lettera di dimissioni al presidente del comitato direttivo in occasione della prima riunione di questo organismo, che auspico venga convocato il piu' rapidamente possibile, all'inizio del mese di settembre, in modo che esso possa deliberare sulla designazione del nuovo segretario generale in tempo utile per la partecipazione alla difficile ripresa delle trattative con il Governo e con il padronato''. ''Questa mia decisione -prosegue Trentin- e' dettata in tutta serenità dalla duplice e contraddittoria convinzione di avere operato per l'accettazione del testo finale del protocollo presentato dal presidente del consiglio, allo scopo di scongiurare l'impatto simultaneo, sui lavoratori e sull'opinione pubblica, in una situazione gia' cosi drammatica per il paese, di una possibile crisi di governo, di una frattura dei rapporti fra le tre confederazioni sindacali e di una crisi grave nei rapporti unitari in seno alla Cgil; e, nello stesso tempo, di avere così disatteso il mandato, da me stesso sollecitato, di acquisire dal governo alcune modifiche sostanziali del testo da questi predisposto, in modo particolare per quanto attiene alla salvaguardia, anche nel corso del prossimo anno, della libertà di contrattazione nell'impresa e nel territorio''.Dietro tali parole si sente il peso del ricatto cui fu sottoposto e l’isolamento in cui fu lasciato.

9. Le legge finanziaria del governo Amato con un taglio della spesa pubblica di 100.000 miliardi di lire dell’epoca che diede inizio al massacro sociale e alla demolizione del welfare: poi la definitiva abolizione della scala mobile per legge. Il fatto che il governo Amato sia stato varato quando la parabola di Craxi era già compromessa, non cambia nulla: nel gioco dei ricatti reciproci quella legge finanziaria doveva farla un socialista affinché il partito di Craxi pagasse il fio dentro una logica feroce che è quella dell’antico detto romano vae victis. Va da sé che i soli a pagare veramente furono i lavoratori e le lavoratrici italiane.

Le scelte politiche e sociali compiute dai governi Craxi e Amato (rimase in carica dal 28 giugno 1992 al 29 aprile 1993) aprirono le porte ad altre successive, varate da altri governi e alle misure più reazionarie e antipopolari, che pur venendo dopo, non sarebbero state possibili senza che si fosse aperta la breccia: la riforma delle pensioni di Lamberto Dini, la sciagurata scelta del sistema elettorale maggioritario, la separazione della Banca d’Italia dal Ministero del tesoro: tutto questo – è bene ricordarlo a chi scrive peana – avvenne nella parte conclusiva della Prima Repubblica. Gli atti di governo ricordati bastano e avanzano per un giudizio storico e politico irrevocabile su Bettino Craxi. Il resto e cioè gli episodi conclamati di corruzione che lo videro protagonista e giustamente condannato da un punto di vista giudiziario, ma ancor più la sua personale arroganza e presunzione, ne fecero il capro espiatorio ideale su cui riversare tutte le contraddizioni di un sistema politico bloccato che non aveva più vie d’uscita, anche perché, con la caduta del Muro di Berlino, era venuta meno la necessità di tollerare l’anomalia italiana nel campo occidentale: uno stato che pur appartenendo all’Alleanza Atlantica commerciava come nessun altro con il blocco sovietico, incassando così a due sportelli.

Ad anni di distanza da quegli eventi, le responsabilità politiche di Craxi e di Amato vanno allora riportate alle loro dimensioni importanti, piuttosto che a quelle che hanno segnato, a quel tempo, la fine politica del leader socialista. Non per caso, su tali scelte tutti tacciono a cominciare dagli ex dirigenti del Pci, ammesso che si ricordino di esserlo stati nella loro vita precedente. Nell’intervista concessa da Emanuele Macaluso a Radiopopolare alcuni giorni fa, l’esponente del Pci non ha speso una parola sui crimini sociali di quei governi, ma si è dilungato solo sulla vicenda giudiziaria. L’opposizione sociale ancora forte, nonostante la deriva degli anni ’80, fece quello che poteva per respingere l’assalto al welfare e questo va ricordato, come va ricordato che trovò poche sponde politiche. Alcuni astuti partecipanti al dibattito attuale, si sono sfilati dalle proposte di intitolazione di strade o altro, ma lo hanno fatto dicendo in sostanza “non è il momento”. Infatti, basterà lasciar passare qualche anno in più e tutto si aggiusterà, magari dedicandogli una strada senza uscita, se non si affrontano i problemi reali di quella stagione. Tuttavia, l’occasione del ventennale della morte può essere utilizzata per riaprire un dibattito serio.

 

Parte terza: la Seconda Repubblica

Sulla fine politica di Craxi, e aldilà delle sue responsabilità comprovate, che esistono e non vanno dimenticate e neppure cancellate con un colpo di spugna, così come non va dimenticato che fu un latitante che si difese dai processi e non nei processi e tanto meno un esule, hanno giocato altri fattori ed è su questi che sarebbe utile tornare. Cosa è successo nel biennio 1992-3, anni che fanno impressione soltanto a scorrere alcuni degli eventi accaduti (a questo proposito suggerisco proprio a chi legge di andare in Wickipedia e leggere, semplicemente leggere, la sequenza di eventi accaduto in quei due anni)? Come e su quali presupposti è nata la Seconda Repubblica? Chi ha voluto oltre, prima e dopo i giudici quel tipo di liquidazione della classe politica e perché? Dopo tutto quello che sappiamo sulle trame atlantiche e la strategia della tensione, si può essere tanto ingenui da pensare che la prova di forza del governo Craxi a Sigonella (una spacconata alla Ghino di Tacco che non modificò in nulla la subordinazione agli interessi statunitensi), non abbia suscitato il desiderio di vendetta degli occupanti e dei loro apparati? Quali complicità politiche ed eterogenesi dei fini si sono coagulati intorno ai protagonisti apparenti e occulti di Mani Pulite? Come mai una volta rotto l’uovo malefico della Prima Repubblica la sorpresa dentro l’uovo si chiamava Silvio Berlusconi?

Sono soltanto alcune delle domande. Molti protagonisti di Mani Pulite lo furono in buona fede, altri furono usati sia a livello giudiziario, sia politico, altri furono dei comprimari, altri ancora delle macchiette manovrate più o meno consapevoli di esserlo, come sempre avviene in questi casi. Quanto poi all’arroganza e alla presunzione degli eredi dell’ex Pci i quali ritennero che, abolendo una classe politica, si sarebbero aboliti anche i loro elettori, c’è poco o nulla da aggiungere, se non che la vergogna del sistema elettorale maggioritario fu da loro voluta nella convinzione di vincere e addirittura stravincere.

 

Conclusioni provvisorie

Il miracolo italiano fu la resistenza popolare a trenta e più anni di aggressioni eversive, una resistenza capace di salvaguardare finché fu possibile, conquiste importanti, tanto importanti che ci sono forze reazionarie che vorrebbero oggi abolire definitivamente quel poco che ne rimane per cancellarlo anche dalla memoria storica: un sistema sanitario pagato con la fiscalità generale e ancora senza ticket (anni ’70), lo statuto dei lavoratori (fine anni ’60 e inizio ’70), il nuovo diritto di famiglia, la legge sul divorzio, la 194 sull’interruzione della gravidanza (anni ’70), una scuola in cui si ruppe la gabbia di una educazione autoritaria (dall’inchiesta sul giornale scolastico la Zanzare del ’65 e dal ’68 in poi), la nascita dei consultori e di altri organismi di autogestione dal basso della salute (anni ’70), l’uso del diritto di sciopero in forme degne di questo nome, /anni ’60 e ’70) la possibilità dei lavoratori di organizzarsi sui luoghi di lavoro, /anni ’70) una società – pur nei passaggi tragici che ho ricordato - fatta di relazioni più libere, la nascita dei movimenti femministi e di una nuova considerazione del rapporto fra personale e politico (anni ’70).

Tutto questo cominciò a finire con gli anni ‘80 e la tragedia della lotta armata, su cui molto c’è ancora da capire, non può cancellare la responsabilità storica delle classi dirigenti di quegli anni e sarà bene non dimenticarlo. I diversi passaggi fra le diverse repubbliche sono stati gestiti dagli stessi protagonisti delle diverse strategie della tensione e è proprio su tali passaggi che bisognerà tornare al più presto. Concludo, allora, invitando all’ascolto di questa intervista rilasciata dal giudice Nicola Gratteri e che ha avuto un’immediata diffusione ani su rai News poi immediatamente revocata, immagino per ordini superiori e che le sardine calabresi e altri collettivi stanno diffondendo a livello nazionale:

https://youtu.be/0ZkbHjAY8so

Il video è stato boicottato anche dalla RAI. È comparso una sola volta su Rai 24 e poi silenzio assordante.

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