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cumpanis

La “questione comunista” e la fase che viviamo

di Fosco Giannini

50735“Si abbonda nei dettagli, quando a mancare è l’essenza”. È una citazione di Luigi Pintor, che invita noi comunisti italiani a non perderci in mille fumisterie, ma andare all’essenza delle cose. E tale essenza è la seguente: il movimento comunista italiano versa, oggi, in una crisi profondissima, una crisi innanzitutto teorica, ideologica e conseguentemente sociale e politica, una crisi enorme di radicamento, di militanza, di capacità di elaborazione tattica e strategica. Tutto ciò in forte e nefasta controtendenza con lo stato delle cose del movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario mondiale che, in questa fase, governa circa un quinto dell’intera umanità e agisce positivamente su oltre la metà della popolazione mondiale e su tanta parte degli Stati del mondo.

Una crisi, questa del movimento comunista italiano, che si manifesta nel pieno della sconfitta strategica del sistema capitalista, platealmente incapace di uscir fuori dalle gigantesche contraddizioni – sociali, economiche, politiche, culturali – da esso stesso prodotte se non attraverso l’acutizzazione dello sfruttamento operaio generale e internazionale, sulla spoliazione dei popoli e attraverso le guerre.

In sintesi: è lo stesso, attuale, contesto storico e internazionale a rendere oggettivamente necessaria la presenza del partito comunista in Italia, necessitato il suo ruolo politico e sociale. Sarebbe lo stesso quadro mondiale a favorire l’unificazione e il rafforzamento del movimento comunista italiano, se ciò non fosse scientemente impedito dalla presunzione e dalla cieca ostinazione alla divisione praticata dai diversi gruppi dirigenti comunisti italiani.

Chiediamoci: l’attuale movimento comunista italiano sta agendo in modo da risolvere la propria crisi, in modo da rispondere alla stessa crisi strategica del sistema capitalista, per essere all’altezza dello sviluppo straordinario del movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario internazionale?

Il fatto che l’insieme dei tre partiti comunisti italiani (PCI, PRC, PC) abbia circa 10mila iscritti e, ancora nel suo insieme, abbia appena – grosso modo – un migliaio di militanti; che il radicamento sociale complessivo dei tre partiti comunisti non si discosti troppo dallo zero; che la ricerca politico-teorica complessiva, volta alla ridefinizione di un partito comunista all’altezza dei tempi e dello scontro di classe, sia pressoché inesistente; che il movimento comunista italiano sia quasi sconosciuto all’attuale senso comune di massa e, da un tempo lunghissimo (dal 2008), sia fuori dal Parlamento; che i diversi gruppi dirigenti dei partiti comunisti del nostro Paese sembrino, a partire dai loro comportamenti e dalle loro scelte politiche, non avere affatto presente questo stato di cose, tutto ciò ci dice che il movimento comunista italiano non sta affatto agendo al fine di risolvere la propria crisi ma, al contrario, perseguendo un ormai costante cupio dissolvi, sta lavorando alla propria consunzione. La stessa modalità con la quale i tre diversi partiti comunisti italiani hanno scelto di andare – più divisi che mai – alle prossime elezioni, conferma questa strategia nichilista.

Se i gruppi dirigenti comunisti fossero in grado di immergersi nel senso comune della classe operaia, dei lavoratori, del proletariato, degli intellettuali, credete che ne uscirebbero fuori con risposte positive rispetto alla loro politica divisiva, al fatto che esistono ben tre, quasi inutili per il loro peso politico specifico, partiti comunisti e che queste tre minime organizzazioni hanno scelto di andare divise alle prossime elezioni, scegliendo, nella maggior parte dei casi, partner che nulla hanno a che fare con la storia del movimento operaio e comunista? Chi scrive crede che se questa “immersione” nel mondo operaio complessivo fosse davvero possibile, i tre gruppi dirigenti comunisti attuali, una volta “spiegata” la linea divisiva ai lavoratori, verrebbero ridicolizzati e poi presi a calci nel culo.

In questo contesto, e per riprendere Luigi Pintor: perché affermiamo che i gruppi dirigenti comunisti italiani, oggi, abbondano nei dettagli evitando di misurarsi con l’essenza delle cose?

Perché, di fronte alla crisi terribile del movimento comunista italiano, i tre piccolissimi partiti comunisti scelgono, per opera dei gruppi dirigenti e davvero follemente, tre diverse tattiche e opzioni elettorali, scelta volta all’ennesima polverizzazione comunista che esclude a priori anche i minimi elementi strategici volti alla ricostruzione/riaffermazione di un unico e unitario partito comunista in Italia.

I variegati minestroni delle alleanze comuniste di questa tornata elettorale, le povere, meschinelle diatribe tra gruppi dirigenti comunisti tutte appiattite sulla più pura e distorcente contingenza politicista, le vecchie ruggini, le antipatie tra leader e segretari dei diversi partiti comunisti italiani, questioni che hanno un tasso di interesse popolare pari a quello della trasmigrazione delle coccinelle: tutta questa è la marea dei dettagli che offusca il cuore delle cose. Negli odierni balletti politico-elettorali dei partiti comunisti non vi è nulla che può essere interpretato come disegno strategico generale funzionale all’unità dei comunisti e al rilancio del partito comunista in Italia, anche se dalle movenze sacrali e dal drammatico e aulico linguaggio politico degli attuali gruppi dirigenti comunisti italiani sembrerebbe che le loro, tutte diverse, scelte elettorali, abbiano in sé – ognuna – il senso pieno della storia e del divenire.

Si sta “strategicamente” e pomposamente, da una parte, con strani alleati dal neonazionalismo privo di afflato socialista e comunista e dunque particolarmente ambiguo e, d’altra parte, per miseri obiettivi elettoralistici, con De Magistris: due vie diverse ed entrambe lontane anni luce dall’obiettivo del rilancio dell’opzione comunista in Italia. Anche se, nella tignosa quanto disgraziata pulsione alla loro inessenziale autoreferenzialità, i gruppi dirigenti hanno trovato, per i partiti comunisti italiani, un comun denominatore: la rinuncia secca all’unità dei comunisti e la conseguente rinuncia a costruire e rafforzare un partito comunista quale punto di riferimento per la “classe”. Ed è così vero, ciò, che nessuna delle variegate alleanze elettorali dei comunisti risponde al quesito centrale: quale partito, quale politica per la “classe”? Come ci rivolgiamo alla “classe”? Sembra che tale quesito – il partito per “la classe”, per il movimento generale dei lavoratori e delle lavoratrici e non per aree sociali tanto attualmente tumultuose quanto strategicamente transeunti – non interessi nemmeno più la gran parte dei tre gruppi dirigenti comunisti: il PC sostituisce la “classe” e il movimento operaio complessivo con l’ideologia, sempre ambigua e oscura, dell’“antisistema” (Sorel, Mussolini, L’Uomo Qualunque, Beppe Grillo sono tutti esempi, nefasti, di “antisistema” populista, concezione e prassi che nulla ha a che vedere con la trasformazione sociale comunista, tanto destrutturante dello status quo quanto razionale nel proprio progetto strategico); il PRC si abbandona languidamente all’ennesimo sogno movimentista e arcobalenista, segnato dal “comando” moderato di De Magistris e da tutti gli infiniti fallimenti dei vari arcobaleni; il PCI va alle elezioni disperatamente da solo dopo aver sempre rinunciato ad una politica di unità dei comunisti per “la classe” e dopo aver decimato e consumato la propria organizzazione.

I tre partiti comunisti italiani hanno cercato tutte le alleanze elettorali possibili meno che una, quella più consona, più razionale: quella tra comunisti. Così facendo, i loro gruppi dirigenti hanno negato al movimento comunista italiano complessivo quella speranza, quella passione militante, quella visione strategica diretta ad un più forte partito comunista in Italia che sarebbero state insite in una Lista Comunista Unitaria, recando un danno gravissimo al movimento comunista italiano.

Chi pagherà il conto di questo grave danno, di questo colpo inflitto al movimento comunista? I diversi gruppi dirigenti comunisti che hanno tolto al movimento comunista italiano questa possibilità unitaria – se non sul piano elettorale immediato, sicuramente vincente sul piano politico e strategico – dovranno ancora guidare i loro partiti? Dovranno ancora restare alla testa di una politica che perpetua la divisione dei comunisti? O è forse l’ora che questi gruppi dirigenti, pagando il prezzo dei loro errori, della loro alterigia antiunitaria e contraria agli interessi della “classe”, pagando il prezzo della progressiva consunzione dei loro stessi partiti, finalmente scompaiano, si facciano da parte, lasciando ai comunisti e alle comuniste italiane la possibilità di essere liberi e libere per costruire la loro unità, il loro, unico, partito comunista, finalmente democratico all’interno, lontano dalle vigenti monarchie e, soprattutto, volto alla lotta antimperialista, anticapitalista, alla costruzione scientifica dei quadri in un’ottica di linea di massa e alla ricerca politico-teorica aperta?

Si dirà, con molte ragioni, che non è affatto facile, in virtù delle loro differenze ideologiche, unire le tre basi militanti dei tre partiti comunisti. Ma anche per questo problema occorre andare al cuore delle cose: la differenziazione ideologica dei militanti è cresciuta con la divisione organizzativa e politica, ed è questa una colpa che ricade interamente sulle spalle di gruppi dirigenti assurdamente pieni di sé e incuranti della primaria necessità dell’accumulazione di forze comuniste militanti ideologicamente e culturalmente omogenee; di gruppi dirigenti che hanno creduto di risolvere il problema della ridefinizione di una spina dorsale ideologica dei loro partiti attraverso quattro slogan – spesso vuoti quanto divisivi, di stampo o “bertinottiano-liquidazionista” o rozzamente ultra dogmatico – e non è certamente responsabilità delle basi militanti che, con la guida di un gruppo dirigente unitario, democratico, coraggioso e volto alla riapertura di una ricerca politico-teorica alta, collettiva e condivisa, avrebbero potuto, e ancora potrebbero, possono, debbono, aspirare a giungere ad una ridefinizione unitaria dell’apparato politico-teorico-organizzativo, da sintetizzare nello studio e nella lotta comuni.

Studio e lotta comuni: una questione decisiva lontanissima dall’orizzonte politico e dalla pratica degli attuali gruppi dirigenti, votati solamente, consapevolmente o meno, alla riproduzione di se stessi. A conferma di ciò basterebbe scorrere i nomi dei componenti le segreterie nazionali dei tre partiti comunisti, uguali a se stesse da congresso a congresso, come se grandi vittorie politiche e grandi avanzamenti politico-organizzativi fossero lì a sancire la loro divina immodificabilità.

È la giornata di Luigi Pintor, che asseriva: “Tutti i posti sono eguali, se manca la prospettiva. Se andassi in un luogo solitario lo vorrei affollato, se fosse affollato lo vorrei solitario, se freddo lo vorrei caldo e viceversa. Tutti i posti sono eguali e contrari, se manca la prospettiva”.

Ecco, questa è la sintesi perfetta delle tre linee elettorali attuali dei tre partiti comunisti italiani: scelte tatticistiche vuote mascherate da una risibile “grandeur” politica e tutte drammaticamente segnate dall’assenza totale dell’unica prospettiva credibile e necessaria per i comunisti: quella della costruzione dell’unità dei comunisti e di un solo e più forte partito comunista, obiettivo recisamente negato dalla voluta, reiterata, divisione dei comunisti, praticata da tutti, e dalla ricerca di alleati elettorali fortemente improbabili.

È possibile che i tre gruppi dirigenti comunisti non sentano mai il bisogno morale di spiegare all’intero movimento comunista italiano, quello organizzato nei partiti e quello, molto probabilmente ben più ampio, dei non organizzati, il perché di scelte tanto divisive quanto nefaste? Peraltro, mentre aspettiamo, sicuramente invano, questa loro spiegazione, crediamo che già il movimento comunista italiano vada dimostrando ampiamente, attraverso la negazione del voto e della militanza ai tre partiti comunisti, cosa esso pensi di questa politica ostinatamente divisiva.

Si abbonda nei dettagli quando l’essenza manca, dunque. E di una pioggia infinita di inutili dettagli è segnata la discussione divisiva e surreale dei tre partiti comunisti italiani. Che su tutto aprono una discussione (dalla questione sulle più che ambigue forze “antisistema” con le quali i comunisti dovrebbero strategicamente allearsi, sino alle forze “di sistema” con le quali costruire arcobaleni tanto ripetuti quanto perdenti), meno che sull’unità dei comunisti. Che cercano tutte le vie elettorali meno che quella dell’unità elettorale comunista, probabilmente la più invisa ai gruppi dirigenti attuali poiché codinamente vissuta come la via per la perdita della loro, povera, leadership.

La verità è difficile da dirsi e, soprattutto, da ascoltare. Ma è razionalmente così: se si dovesse promuovere un processo unitario è chiaro che i gruppi dirigenti cambierebbero e i nuovi gruppi dirigenti si formerebbero attraverso lo stesso processo unitario. E chi glielo dice ai piccoli sepolcri imbiancati?

Una marea di dettagli cancella l’essenza delle cose, che i tre partiti comunisti – qui veramente uniti – non vogliono affrontare. E l’essenza delle cose è la stessa “questione comunista”.

Una questione comunista apertasi in Italia – attraverso la rottura col movimento comunista mondiale, l’eurocomunismo con la conseguente abiura del leninismo, la scelta strategica della Nato, il degrado politicamente e sindacalmente ultramoderato consustanziale al “compromesso storico” – sin dalla seconda metà degli anni ’70 e mai più risolta dal movimento comunista italiano.

Ogni volta, ad ogni “tappa” politico-organizzativa, i gruppi dirigenti dei nuovi partiti comunisti – dal PRC al PC, passando dal PdCI all’attuale PCI – hanno conclamato, persino credendoci e attraverso rifondazioni, scissioni e costituenti varie, di aver risolto, sul piano teorico e politico, la “questione comunista” italiana.

Ma essa, la “questione comunista”, sempre “risolta”, o attraverso vere e proprie, violente, liquidazioni nichiliste del pensiero marxista e leninista (Bertinotti e molti dei suoi attuali epigoni), o attraverso il rilancio di un pensiero neo-amendoliano ben più povero dello stesso, vero, pensiero di Amendola e tutto volto, nella pratica, a fare del partito comunista una mosca cocchiera del centro sinistra, sino all’accettazione della guerra imperialista contro la Jugoslavia (gran parte del PdCI); o attraverso proposte di un pensiero tanto dogmatico quanto fragile, segnato da sin dall’inizio, e per oltre un decennio, da una politica internazionale delirante, nella misura in cui inquinava la lettura del quadro mondiale a partire dalla definizione della Repubblica Popolare Cinese, sulla scorta dell’analisi trotzkista, un Paese imperialista (il PC); o – parliamo dell’attuale PCI – attraverso fasi “costituenti aperte alle forze comuniste” che in verità hanno finito per essere solamente la magra confluenza di una decina/quindicina di quadri e militanti provenienti dal PRC nel corpo, solo in apparenza disciolto, dell’ex PdCI. Per un processo “unitario” sfociato in tempi brevi in una totale negazione dello stesso processo costituente sbandierato e nella convinzione, da parte dei gruppi dirigenti, che, in quel PCI, dentro quel PCI, solo in quel PCI, la “questione comunista”, attraverso un “titanico” sforzo politico-teorico (purtroppo, e drammaticamente, ironizziamo) era stata risolta una volta per tutte.

In verità, la “questione comunista”, in Italia, è ancora, dalla seconda metà degli anni ’70 almeno, totalmente aperta e irrisolta; ogni campo della ricerca politico-teorica (la storia del movimento comunista internazionale, liquidata da Occhetto e Bertinotti con una scopa socialdemocratica o “radical”, attraverso la formula idiota di Alfonso Gianni e Fausto Bertinotti (“sono tutti morti – i pensatori e i rivoluzionari del ‘900 – e non solo fisicamente”); la storia del movimento comunista italiano nella sua totalità, non solo quella del PCI; il “berlinguerismo” e le sue responsabilità; il quadro internazionale; l’Ue; il campo mondiale in cui collocare l’Italia in relazione alla necessaria uscita dall’Ue; la forma-partito comunista; il rapporto tra partito di quadri e linea di massa; le trasformazioni dello sviluppo capitalistico in Italia; la penetrazione economica imperialista nel nostro apparato industriale e nel nostro intero Paese; la questione della trasformazione della “classe” in Italia) è ampiamente inevasa.

Affermava Antonio Gramsci che gli intellettuali sono coloro che amano le idee. Ecco, è qui il punto: gli attuali gruppi dirigenti comunisti italiani tutto amano meno che le idee, tutto cercano meno che sostenere con analisi politiche e teoriche fondate le scelte politiche contingenti. La rinuncia al progetto dell’unità dei comunisti, un progetto che richiederebbe uno sguardo ampio e rivolto al futuro, al movimento operaio e alle nuove generazioni e un grande impegno politico-teorico, non è davvero cosa per chi non ama le idee.

È questo il cuore delle questioni: il modo in cui si vuol risolvere la “questione comunista” al fine di dotare il nuovo partito comunista che dovrà nascere dall’unità dei comunisti di un apparato politico e teorico all’altezza dei tempi. Capace di garantirne l’unità, la coesione, la capacità di lotta e la linea di massa.

Le altre questioni, dall’alleanza, sembra strategica, con le squinternate quanto intellettualmente e politicamente povere e caricaturali “forze antisistema”, all’alleanza con le forze arcobaleno-moderate, rappresentano l’abbondanza dei dettagli che oscurano e rimuovono l’essenza delle cose.

Il quadro generale del movimento comunista in Italia non è facile. I vari gruppi dirigenti anti-unitari aggravano la situazione. Ma i comunisti e le comuniste del nostro Paese hanno dimostrato più di una volta, dal 1921 e per un lungo tempo storico, di quale tempra siano fatti. E siamo certi che grazie alla loro forza, alla loro capacità di resistenza e al loro senso dell’avvenire, le sorti del movimento comunista italiano saranno di nuovo rilanciate, l’unità comunista arriverà, il partito comunista unito tornerà.

Noi saremo a fianco di queste compagne e di questi compagni in questa lotta.

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