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Moneta, consumi e risparmi ai tempi del coronavirus

di Maurizio Caserta1

Screenshot from 2020 04 20 12 42 38Quello che segue è un piccolo diario della crisi e delle sue fondamentali implicazioni economiche, via via che le questioni si sono presentate all’interesse di ciascuno di noi. Si alternano le preoccupazioni immediate con quelle di prospettiva. Poi sintetizzate nella riflessione finale. Non ci sono valutazioni politiche, ma solo questioni ‘contabili’.

 

1.

La crisi comincia con una decisione delle famiglie di comprare di meno. Escono meno, viaggiano meno, rinviano gli acquisti non essenziali. In tempi di incertezza sulla sicurezza dei consumi e sulla possibilità di goderne è meglio restare più liquidi e rinviare a tempi migliori. Ciò fa crescere le scorte invendute dei commercianti e dei produttori. Se fosse un comportamento passeggero delle famiglie, i commercianti e i produttori potrebbero considerare questa oscillazione come una oscillazione di breve durata facile da assorbire nel ciclo delle vendite. Ma l’incertezza delle famiglie va sui produttori e sui commercianti, i quali sospenderanno gli ordini già fatti in attesa di capire che succederà. Parte cosi il perverso meccanismo de-moltiplicativo del reddito. Un’iniziale flessione della domanda di beni e servizi si allarga a macchia d’olio investendo l’intera economia. Se poi quella flessione diventa azzeramento perché quello stabilimento (negozio o fabbrica) viene chiuso, l’effetto è ulteriormente amplificato. Come si blocca questo effetto perverso? Immettendo o non ritirando denaro.

Il commerciante che non può rientrare nelle spese perché ha chiuso resta in debito con i fornitori e/o con le banche. Solo sostenendolo in questo obbligo sarà possibile permettergli di riprendere, dopo la sospensione di qualche mese. Altrimenti sarà difficile esporsi di nuovo per riprendere l’attività. Dunque ci vuole denaro fresco per impedire l’innesco del circolo vizioso della demoltiplicazione del reddito. Succederebbe comunque, ma potrebbe essere contenuto entro limiti tollerabili. È come un ‘ferma-gioco’ in cui mettiamo a disposizione i nostri risparmi per sostenere chi ne ha bisogno in quel momento. A condizione che non ci si metta la finanza, ossia i mercati finanziari, di mezzo.

 

2.

Quando scoppia una crisi nel sistema reale, ossia quello dove le cose utili si producono, diventa cruciale il ruolo del risparmio. Il risparmio è quella parte di reddito che le famiglie temporaneamente non consumano. Rendendo così quei beni, che avrebbero potuto consumare, disponibili per altri scopi. Normalmente quelle risorse vengono destinate all’allargamento e al rafforzamento del capitale. A volte servono però per garantire il consumo a quelle famiglie che di quel risparmio hanno bisogno poiché non hanno neanche un reddito. La crisi che stiamo vivendo esige il rafforzamento di questo particolare uso del risparmio. Una parte di quel risparmio deve essere certamente destinata al rafforzamento dei presidi dell’emergenza, ma una parte deve garantire il sostegno a chi ha perso il reddito. Nel caso in cui il risparmio interno non bastasse, bisognerebbe ricorrere a quello creato in altri paesi. Tutto questo ovviamente non si fa trasferendo beni e servizi da una famiglia all’altra (se non in piccolissima parte attraverso le reti di solidarietà) ma attraverso i flussi finanziari. Il primo intervento sui flussi finanziari passa attraverso l’incremento del deficit di bilancio pubblico. Aumentare il deficit di due punti percentuali significa mettere in campo risorse pari a 30/35 miliardi di euro. È evidente che esiste un problema di come restituire queste risorse prese a prestito. Ma per adesso c’è da salvare la vita. Questo pensiero dovrebbe estendersi pure alla finanza privata. Molti non potranno rientrare nei prestiti contratti. C’è bisogno di allungare i tempi. Innanzitutto il sistema bancario dovrebbe allungare i tempi di rientro dei prestiti. Potrebbero subentrare problemi di liquidità. Ma per quello c’è la Banca Centrale. Che ovviamente deve mettersi a completa disposizione.

 

3.

Gli strumenti finanziari che abbiamo nelle mani incorporano sempre un credito, o comunque un diritto ad accedere a delle risorse. Ovviamente la possibilità di conservare quel credito o quel diritto dipende dalla capacità del sistema di conservare quelle stesse risorse nel tempo. Se questa capacità viene meno, viene meno anche la nostra possibilità di tornarne in possesso. Per quanto complesso e articolato possa essere il sistema finanziario, alla fine esso non potrà restare insensibile al destino di quelle risorse. Per esempio, se il debitore è capace di conservare (e possibilmente accrescere) ciò che ha preso a prestito, lo strumento finanziario corrispondente rifletterà quella capacità. Ma se il debitore, come sta avvenendo adesso, non ha suo malgrado quella capacità, lo stesso strumento finanziario rifletterà quella difficoltà perdendo valore. Ciò impoverisce chi possedeva quegli strumenti finanziari, riducendo la loro capacità di spesa e la loro capacità di far fronte ai loro debiti. Questo può innescare una serie di reazioni a catena, trascinando verso il basso i valori di tutti gli altri. Salvo che si capisca che, con una massiccia immissione di liquidità, quel meccanismo perverso possa essere bloccato. L’annuncio dello straordinario intervento di BCE di oggi dovrebbe produrre esattamente questo effetto. Ossia rassicurare gli operatori che i debiti saranno pagati.

 

4.

L’improvviso bisogno che tutti abbiamo sentito di possedere una mascherina mostra, innanzitutto, come il profilo dei consumi può cambiare repentinamente e, poi, come aver relegato la produzione di quel bene lontano da noi abbia effetti indesiderati. Se, come sembra confermato, tutte le mascherine che il mondo compra sono fatte in Cina, può essere complicato organizzare un carico in tempi brevissimi. Come è noto, si è cercato di ovviare a tutto questo, riconvertendo rapidamente molte produzioni nazionali verso la produzione di mascherine. Questo esempio di riconversione è molto istruttivo. Molti si chiedono come si riprenderà l’economia reale al termine di questa crisi. Questo è un modo (tra gli altri). Riconvertendo rapidamente alcune produzioni nazionali. Meno armi, più presidi sanitari; più telecomunicazioni meno concerti negli stadi; più intelligenza artificiale e meno viaggi. Occorre dunque favorire questo processo di riconversione sfruttando le contiguità tecnologiche. Molte aziende tessili, per esempio, si sono riconvertite più facilmente verso la produzione di mascherine. Ma tutti dovremo imparare a riconvertirci rapidamente. Anche nella ricerca cambieranno le priorità. Questo è uno degli sforzi che tutti saremo chiamati a sostenere. E potrebbe essere perfino bello. Significa tutto questo rinunciare alla globalizzazione ed ai suoi benefici? Non credo. Abbiamo solo imparato che le distanze contano, sia quelle troppo vicine sia quelle troppo lontane.

 

5.

Tutti si chiedono: quando la crisi sanitaria si attenuerà come si farà a ripartire? La questione del meccanismo che fa partire, o ripartire, un’economia è una questione che ha occupato le menti dei migliori economisti nel tempo. Posto che l’economia può essere rappresentata come una rete di scambi, la questione gira attorno a chi tesse questa rete. Due sono le possibilità: la rete è costruita da qualcuno esterno al sistema oppure si costruisce dall’interno. La prima strada non ha portato molto lontano perché le esigenze umane non possono aspettare i tempi di qualcuno che si metta a costruire la rete. La seconda è certamente quella più proficua. Le esigenze umane ci portano a stabilire relazioni tra noi per dotarci di ciò di cui abbiamo bisogno. Insomma, la rete siamo noi a costruirla, nodo per nodo, connessione per connessione. E occorre soprattutto qualcuno che stabilisca la prima connessione. Ecco il punto. È il denaro la chiave. Dotare qualcuno di uno strumento di pagamento gli permetterà di stabilire la prima connessione, alla quale seguiranno tutte le altre. Ecco perché il sistema finanziario e quello bancario sono assolutamente fondamentali in questi passaggi. Devono essere i protagonisti centrali della ripresa. Assicurando, a chiare lettere, che ci saranno sempre quando occorre. Ricordo, infatti, che all’uscita da questa emergenza, il potenziale produttivo del paese non sarà stato distrutto. Questa non è una guerra che distrugge i ponti, le strade e le fabbriche. Inoltre, tocca marginalmente la forza lavoro attiva del paese. Avrà distrutto invece il patrimonio di certezza e sicurezza negli scambi. Quello si ricostruisce con un eccezionale sostegno monetario, ma pure con un eccezionale sostegno politico e istituzionale. Deve essere chiaro a tutti che chi ha responsabilità di governo è seriamente impegnato nel percorso di ricostruzione, senza tentennamenti e opportunismi.

 

6.

La logica dei mercati finanziari è quella di trasferire risorse da chi le ha temporaneamente in eccesso a chi le ha temporaneamente in difetto. È abbastanza chiaro che più è ampia la platea dei mercati maggiore sarà la possibilità per i soggetti in deficit di trovare quelli in eccesso. È un vantaggio per tutti far parte di questa platea, poiché può capitare di passare da una condizione all’altra; è bene quindi poter contare sempre su qualcuno in eccesso. Ciò è ancora più vero se si riflette sul fatto che chi presta denaro può trarre vantaggio dalle attività di chi riceve denaro, non solo – ovviamente – perché riceverà un interesse su quelle somme, ma perché quelle attività possono estendere i loro vantaggi a chi ha prestato. Per esempio, se finanzio un ospedale in un paese diverso dal mio, avrò il vantaggio di trattenere in quel paese le persone ammalate. Nelle circostanze che stiamo vivendo, questo vantaggio è particolarmente importante. Se quest’affermazione è vera, si dovrebbe superare il dubbio sulla solvibilità dei paesi particolarmente indebitati. Piuttosto sono proprio quei paesi che hanno bisogno del sostegno, per metterli nelle condizioni di poter ripagare il loro debito pregresso in futuro. Restano le incertezze? Certamente. Ma lì deve soccorrere il senso della storia, la consapevolezza del dramma, l’autorevolezza delle persone, il coraggio della responsabilità.

 

7.

Non si è mai spento e riprenderà presto il confronto sui vantaggi del commercio internazionale rispetto ai vantaggi dell’autosufficienza economica di un paese. Comprare qualcosa a prezzi più bassi in un paese diverso dal proprio, per le famiglie e per le imprese, è una tentazione cui è difficile resistere. È possibile tuttavia che quel vantaggio di prezzo sia annullato, in tutto o in parte, da un costo cui quell’acquisto fuori dal paese espone. Basti pensare, per esempio, ai ritardi con cui quella merce può essere consegnata. Quel ritardo può diventare un costo che annulla il vantaggio del prezzo più basso. Può accadere però che la percezione del costo sia meno forte della percezione del beneficio, inducendo pertanto in errore. In queste circostanze, garantirsi l’autosufficienza per quel particolare bene è certamente più saggio e preferibile al comprare quel bene all’estero. Questo è un pezzo di antica saggezza. Già nel 1933 John Maynard Keynes in un articolo su ‘The Yale Review’, pur essendo un convinto sostenitore del commercio internazionale, non disconosceva i vantaggi di una certa misura di autosufficienza economica nazionale. Lo faceva mettendo a confronto costi e benefici di una scelta di relativa autosufficienza. Nei prossimi mesi, quando il mondo si dovrà riorganizzare a fondo, sarà bene mettere da parte le ideologie e fare un po’ di calcoli.

 

8.

Che fare per far ripartire l’economia? È la domanda che si fa il mondo intero. Una risposta buona arriverà. Siamo bravi. Abbiamo un cervello potente. Vi dico la mia. Occorrono tre fasi: Riattivare, Riequilibrare, Rilanciare. Da intrecciare e sovrapporre. Prima di ogni altra cosa occorre Riattivare il flusso dei pagamenti con una iniezione di liquidità: salari, stipendi, forniture, debiti, bollette. La circolazione del denaro è la condizione essenziale per proseguire gli scambi; se questa circolazione si ferma ad uno scambio che non può avere luogo, ciò avrà affetti su un numero molto più grande di scambi. Se non vado a comprare un abito, il negozio di abiti non potrà pagare i fornitori, che non potranno pagare i loro, e cosi via. Ciò dovrebbe permettere alle attività economiche di restare in vita prima della ripresa. Ma non tutti ce la faranno. Ecco la necessità di Riequilibrare, cioè di trasferire risorse da chi è rimasto in piedi verso chi ha ceduto. Ciò permette di tenere minimamente salda la struttura e il tessuto sociale. Arriverà poi il momento di Rilanciare, ristrutturando il sistema produttivo. Per quello occorrerà uno sforzo di investimento colossale. Serviranno risorse finanziarie certamente, ma da sole non basteranno. Si dovrà lasciare amplissimo spazio alla creatività ed alla innovazione; non solo nel campo delle tecnologie, ma anche nel campo delle relazioni umane e dei bisogni. Sarà un momento in cui ai rendimenti finanziari bisognerà cominciare ad affiancare i rendimenti sociali. Non sarà difficile; una cosa l’avremo imparata, ossia che una spesa apparentemente inutile oggi può rivelarsi molto utile in futuro. Dovremo diventare più pazienti (nel senso di esercitare la pazienza) e non pretendere di vedere i vantaggi delle nostre azioni immediatamente. Sarà una buona cosa da insegnare ai nostri figli.


Notes:
1 Professore Ordinario di Economia Politica,Laurea in Economia e Commercio – Faculty of Economics University of Catania, 1984
M.Phil. in Economics – Faculty of Economics and Politics – University of Cambridge (U.K.) 1988
Dottorato di Ricerca in Economia Politica – University of Naples, Italy 1991
Ph.D. in Economics – Faculty of Economics and Political Science – University College London, 1994

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