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Giuliano Da Empoli e l’Intelligenza Autoritaria

di Lelio Demichelis

978880627061HIG.jpegGuardare il potere da dentro o da vicino, osservare i suoi uomini (molti) e donne (poche) con lo sguardo dell’osservatore-sociologo e quindi con il dovere di un pensiero critico che ne metta in luce soprattutto atteggiamenti, paranoie, meschinità, egocentrismi, narcisismi, spregiudicatezza, volontà di onnipotenza, vanità, predazione e corruzione, irresponsabilità e immoralità, sfruttamento e doppio standard.

Una storia antica – pensiamo solo ai Borgia e a Machiavelli e al suo Principe – che arriva infine a oggi, con il trionfo di algoritmi e intelligenza artificiale e al potere delle macchine che imparano da sole e a una società amministrata e automatizzata dalle macchine, cioè totalitaria e senza più libertà soprattutto cognitiva (la libertà di pensare con una intelligenza naturale da potenziare invece di delegare tutto all’IA) come temeva la prima Scuola di Francoforte e con gli uomini ridotti a imparare solo quali pulsanti premere rispondendo ai comandi dei dispositivi tecnici (ultima forma del potere); finendo con gli oligarchi/oligopolisti della tecnologia che stanno spazzando via la vecchia classe politica e le vecchie élite, cieche come talpe davanti al nuovo potere della tecnica, ma la tecnica avendo anche la loro correità (e la nostra) come feticisti dell’innovazione per l’innovazione e per lo sviluppo sempre e comunque delle forze produttive, la tecnica (soprattutto quella digitale) vista come forza di emancipazione e di liberazione quando è vero il contrario.

E dunque, quale potere? Quello dei predatori, come li definisce Giuliano da Empoli – saggista e consigliere politico che vive a Parigi e che insegna a Sciences Po – in questo suo breve ma importante saggio (L’ora dei predatori, Einaudi Stile libero, pag. 123, € 14.00), scritto con uno stile narrativo che prende e chiama il lettore a capire in che mondo i predatori e i Borgiani eredi di Cesare Borgia (ma “i signori del digitale sono Borgiani a tutti gli effetti”) lo stanno portando, fin qui a sua insaputa: un saggio (una analisi del Nuovo potere mondiale visto da vicino, come da sottotitolo) che “conquista come un romanzo o una tragedia greca”, come ha sintetizzato Le Monde, ma che è anche, per noi, un potentissimo e splendido saggio di filosofia politica.

Un libro che è il resoconto di fatti accaduti e che stanno accadendo, letti con il gusto del polemista e lo sguardo dell’antropologo e del sociologo del potere; un libro, come confessa l’autore “scritto dal punto di vista di uno scriba azteco e alla sua maniera, per immagini più che per concetti, nell’intento di cogliere il soffio di un mondo che sprofonda nell’abisso e la gelida morsa di un altro mondo che prende il suo posto”; con “Trump che si è messo alla testa di un variopinto corteo di autocrati disinibiti, di conquistadores tecnologici, di reazionari e di complottisti impazienti di costruire un mondo nuovo. Un’era di violenza illimitata si profila all’orizzonte”, ma questo orizzonte forse è già qui. I predatori e i Borgiani hanno infatti capito come sfruttare il caos che essi stessi contribuiscono a creare, perché il caos è il loro ambiente naturale, le regole valgono solo se imposte da loro per loro vantaggio e il vecchio ordine del diritto e dei diritti viene distrutto (la possiamo chiamare disruption politica, morale, ecologica), affinché prevalgano solo la forza “del fuoco e della spada”.

Un mondo – quello governato sempre più dall’intelligenza artificiale e dai predatori che la stanno imponendo sul mondo intero, a prescindere dalla sua affidabilità, sicurezza e sostenibilità e da ogni regola/principio di democrazia, che ha avuto la sua anticipazione, scrive da Empoli, nel Processo di Kafka, “dove nessuno capisce ciò che sta succedendo, né l’imputato né i giudici che lo stanno processando, eppure gli eventi seguono il loro corso inesorabile” – ma forse (aggiungiamo) sono proprio i predatori a guidare gli eventi e volgerli a loro profitto, facendoci però credere che gli eventi seguano un corso inesorabile, come recita il mantra per cui l’innovazione (cioè il profitto, ma questo non si deve dire) non si può e non si deve fermare mai. Oppure l’altro grande romanzo di Kafka, Il castello, “allorché K, il protagonista, si sforza di concentrarsi sul centro di potere che controlla il suo destino, senza mai accedervi […] il suo sguardo scivola via senza riuscire ad aggrapparsi a nulla”. In realtà forse anche i predatori/oligarchi non fanno che sfruttare l’ontologia e la teleologia di una tecnica/tecnologia che ormai procede in modo auto-poietico e auto-telico, causa sui. Il problema è che noi appunto lasciamo fare, che è ciò che chiedono i predatori (vogliono cioè la nostra saggia rassegnazione alle esigenze dell’industria, come richiesta già da positivisti/industrialisti come Comte nella prima metà dell’Ottocento) – altrimenti non potrebbero predare a loro piacimento, sempre impuniti. Semmai, e peggio, venerati come visionari e come guru, con tutti in pellegrinaggio di devozione alla Silicon Valley.

Conferma da Empoli: ”nel corso degli ultimi tre decenni, i responsabili politici delle democrazie occidentali si sono comportati, nei confronti dei conquistadores del digitale, esattamente come gli aztechi del XVI secolo. Si sono sottomessi ai lampi e ai tuoni di Internet, dei social e dell’intelligenza artificiale [come gli aztechi di allora alle armi e ai cavalli di Cortés] nella speranza che un po’ di polvere magica si riversasse su di loro. Ho perso il conto del numero di volte in cui mi è capitato di assistere a questi rituali di degradazione. In qualsiasi capitale, la scena è sempre la stessa”, con il politico di turno, di destra o di sinistra, che accoglie l’oligarca tecnologico dedicando la maggior parte del tempo “a supplicarlo di concedergli un polo di ricerca, un laboratorio di sviluppo della IA”, senza accorgersi che così ne sta legittimando il potere autocratico e antidemocratico, insieme delegittimandosi come potere politico. “Dopo avere fatto mossa di rispettare la loro autorità finché erano in posizione di inferiorità” – finché avevano bisogno del potere politico, cioè fino agli anni Settanta – “i conquistadores hanno progressivamente imposto il loro regno”.

Regno che prescinde dalla democrazia, che esclude sempre più la democrazia, che vive di autocrazia. Perché in realtà capitale e tecnologia prescindono per loro essenza dalla democrazia e dalla libertà e quindi in un mondo di macchine governato da macchine e dalla razionalità irrazionale del calcolo e del numero, la democrazia e la libertà devono scomparire. E anche l’IA, scrive da Empoli “non s’imbarazza di regole né di procedure. Nessuno, nemmeno i suoi ideatori, sa come prende le sue decisioni. L’unica cosa che conta è il risultato […] comunque lo si raggiunga. Non c’è nulla di democratico, né di trasparente nel potere dell’IA. Più che artificiale” – perfetta e potente ridefinizione che ci offre da Empoli – “l’IA è una forma di Intelligenza Autoritaria, che accentra i dati e li trasforma in potere. Il tutto nella più totale opacità, sotto il controllo di un pugno di imprenditori e di scienziati che cavalcano la tigre sperando di non esserne divorati”.

E se ieri il problema/dilemma che ha strutturato la politica era il rapporto tra Stato e mercato, oggi, scrive da Empoli “il divario decisivo è tra l’uomo e la macchina”, ovvero: “in che misura le nostre vite devono essere sottomesse a potenti sistemi digitali – e a quali condizioni?” Con una IA “che si nutre [anch’essa] del caos e il cui potere risiede nella sua capacità di produrre stupore”, promettendo un nuovo ordine e un governo razionale. E quindi, “affinché venga il regno dell’IA è necessario sostituire la conoscenza con la fede” e a questo pensano appunto i predatori; cioè “come il Dio di Kierkegaard, l’IA non può essere pensata in termini meramente razionali”, ma per accettarla serve appunto un atto di fede e “la sua promessa è quella di prevedere anche senza capire. Ma i tecnologi non vedono dove stia il problema. Non interessandosi di storia o di filosofia, non si rendono conto che la loro proposta equivale a un ritorno all’epoca preilluminista, a un mondo magico e incomprensibile governato dall’IA che pregheremo come gli dei dell’antichità”. Per questo, “gli ingegneri della Silicon Valley hanno smesso da tempo di programmare computer e si sono trasformati in programmatori di comportamenti umani”.

Di più: “Negli ultimi anni, l’illusione che la supremazia tecnologica possa sostituirsi a un’analisi approfondita delle diverse situazioni locali ha trasformato il ricorso alle armi, fisiche e digitali, da strumento imperfetto ed estrema risorsa in una delle principali molle della politica estera”. E “anche nella dolce Europa, chiunque osi appellarsi a uno sforzo diplomatico, viene messo alla gogna, gettato nel dimenticatoio della Storia”. Di più e peggio: “Oggigiorno attaccare costa meno che difendersi. Molto meno. E il costo continua a scendere”. E “secondo la stessa azienda che lo produce, l’ultimo modello di ChatGPT ha aumentato in modo significativo il rischio di un uso improprio dell’IA per creare armi chimiche, biologiche e nucleari. […] il che però non ha impedito a Open AI di immettere il prodotto sul mercato, senza che nessuna autorità di regolamentazione sollevasse la minima obiezione”. Predatori sempre. E “il caos non è più l’arma dei ribelli, ma il sigillo dei potenti”.

E allora – con Trump o con il principe saudita bin Salmān (e a come ha stroncato oppositori e avversari al Ritz Carlton di Riyad) – si torna a Machiavelli “che farà di Cesare Borgia il modello del suo Principe, non il sovrano ideale ma il reale animale di potere, metà volpe e metà leone, capace di usare l’astuzia per blandire gli uomini e la forza per sottometterli”. E i nuovi Principi usurpatori e avventurieri di oggi, molti sono gli insegnamenti che possono trarre da Borgia e da Machiavelli (ma anche da Curzio Malaparte e dal suo Tecnica del colpo di Stato), ma “uno spicca su tutti: la prima legge del comportamento strategico è l’azione”, e soprattutto “l’azione avventata, l’unica in grado di produrre lo shock su cui si basa il potere del Principe”.

Che è quella di Trump sui dazi (Trump che non legge neppure gli appunti preparati dai suoi consiglieri e “funziona solo in modalità orale” perché “la conoscenza è la peggiore nemica dell’azione”), quella di Netanyahu nel genocidio, di Sam Altman per l’intelligenza artificiale e di Zuckerberg e del suo motto muoversi in fretta, rompere cose, eccetera eccetera. E quindi, “in questo nuovo mondo, tutti i processi in corso saranno spinti alle estreme conseguenze, nessuno di essi sarà contenuto o governato in alcun modo […] il piede a tavoletta degli accelerazionisti diventa l’unica opzione possibile” – come a dire, tanto peggio tanto meglio – e noi rassegnati, incapaci di reagire, semmai accomodandoci ai piedi dei predatori/Borgiani. Magari rimpiangendo Obama (con Eric Schmidt) che in realtà e prima di Trump e di Musk aveva usato la tecnologia digitale per manipolare le elezioni, con il progetto Narvalo. E allora è quindi chiaro che “la convergenza tra signori del digitale e predatori è strutturale. Entrambi traggono il loro potere dall’insurrezione digitale e nessuno dei due gruppi è disposto a tollerare alcun limite alla propria volontà di potenza […]. Nell’era dei predatori, i Borgiani al potere offrono i territori che governano a mo’ di laboratori ai conquistadores digitali, permettendo a questi ultimi di dispiegare la propria visione del futuro senza essere vincolati da leggi e diritti d’altri tempi”.

Tutto è allora perduto? Pessimista, da Empoli, oppure lucido realista come noi crediamo? Nelle ultime pagine del libro, da Empoli ci porta a Lieusaint, alla periferia di Parigi. Un tranquillo comune – Luogo santo – di quattordicimila abitanti all’improvviso trasformato in un inferno urbano di traffico, inquinamento e dove era pericoloso portare i figli a scuola. La causa? “Waze, la app di Google che suggerisce i percorsi più veloci in tempo reale” – e Waze “ha una sola missione: far risparmiare tempo ai suoi utenti. Qualsiasi altra considerazione lo lascia indifferente”. Il sindaco Bisson tenta di reagire, modifica la viabilità, cerca di rallentare il traffico, ma non basta. Si rivolge ai cartografi di Waze, li riceve, spiega i suoi problemi, ma capisce subito che non otterrà niente. Ai predatori i suoi problemi non interessano.

Eppure – dice – la lotta continua. E la nostra, contro predatori e Borgiani, potrà mai cominciare?

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