Da Roma a Gaza: Palestina vincerà!
di Militant
Il 4 ottobre è stata una giornata figlia di un lungo percorso, durato due anni, che ha visto nel suo corteo oceanico uno dei momenti di apice per un movimento che in questo autunno ha iniziato a dispiegare tutta la sua capacità di mobilitazione. Una settimana lunga e intensa, inedita, che ha portato milioni di persone in piazza in tutta Italia e che ha saputo esprimere numerosi momenti di conflitto. Questa settimana ha dimostrato plasticamente che la società italiana è schierata convintamente per la Palestina e contro le politiche terroristiche di Israele, contro il sionismo colonizzatore, e contro un sistema di relazioni internazionali marcio e complice, che permette da 70 anni al sionismo genocida di annientare un popolo senza Stato, senza esercito e senza economia, armato solo della convinzione e della necessità di dover resistere per sopravvivere.
Un movimento ormai composto dai più diversi settori sociali e che rivendica con forza il proprio sostegno alla resistenza palestinese. Che ha preso le mosse dalle organizzazioni della diaspora palestinese che per prime si sono organizzate all’alba del 7 ottobre e che hanno avuto la capacità di generalizzare, nel pieno di una crisi di mobilitazione che durava da un decennio, le ragioni della Palestina e dell’opposizione all’operato del governo Meloni, uno dei più filo-irsraeliani d’europa, in piena e sostanziale sintonia con quello di Netanyahu.
Come Miltant, Alberone, ORA, studenti del Settimo Movimento e compagne e compagni sia di Roma che di altre città abbiamo dato vita a uno spezzone determinato e combattivo che aveva l’obiettivo di ribadire un fatto decisivo: la questione palestinese non è un fatto che si può ridurre alla solidarietà umanitaria, ma è un fatto politico, di lotta e di resistenza, di presa di coscienza, un fatto che impone un posizionamento. Una lotta e una resistenza, quella palestinese, che possono e a volte devono essere anche armate, conflittuali, militari, clandestine. Non si sopravvive allo sterminio con i buoni propositi e i tentativi di riconciliazione con una popolazione, quella di Israele, che in questi decenni è stata spesso complice dei suoi governi, quando non sostenitrice delle sue politiche coloniali.
Vorremmo, davvero, avere degli interlocutori in Israele, ma dove sono oggi questi interlocutori? Dov’è questo popolo Israeliano che rifiuta il genocidio, che si mette a disposizione della lotta palestinese, che la sostiene non solo con le parole e gli editoriali sui giornali progressisti, ma con le azioni, le mobilitazioni, i sacrifici, le rinunce, le fratture insanabili che una posizione del genere genererebbe nella società israeliana? Oggi noi non vediamo sponde, né in Israele né in quei governi occidentali che provano a ripulirsi la coscienza attraverso riconoscimenti di comodo e condizionati alla salvaguardia della dimensione neocoloniale in Palestina
È importante dire che quella palestinese è la lotta di tutto un popolo: non esistono i palestinesi cattivi perché violenti, da contrapporre magari a quelli buoni perché “pacifici” – peraltro giudicati tali perché complici con i governi sionisti. La resistenza è una e si organizza nelle forme, nei modi e nella dialettica politica in Palestina, a Gaza come in Cisgiordania. Non siamo noi a dover insegnare ai palestinesi come si lotta.
Siamo di fronte al primo vero movimento di massa e conflittuale in Italia dopo la mobilitazione no global dei primi anni Duemila. Anzi, è il primo vero movimento di massa transnazionale, pienamente globale, da vent’anni a questa parte. Ricorderemo a lungo le macchine in coda applaudire i cortei che bloccavano la circolazione e gli abitanti sostenere dai tetti e dalle finestre i serpentoni che si snodano ovunque in un clima di mobilitazione totale così come la politicizzazione di intere nuove generazioni di militanti. Anche di questo dovremo ringraziare il popolo palestinese: di aver contribuito alla ripresa delle lotte di classe qui in Occidente, in Europa e in particolare in Italia. Il loro modello è il nostro modello, il loro esempio è per noi un’indicazione di lotta.
Come al solito, assistiamo al tentativo disperato da parte dei media mainstream di delegittimare la mobilitazione e sabotare la sua capacità ricompositiva, tirando in mezzo slogan troppo truculenti, striscioni ritenuti troppo radicali e agitando il solito spauracchio degli infiltrati. Mettetevi l’anima in pace, qui non c’è nessuno spazio alla divisione tra buoni e cattivi. Ci teniamo quindi a esprimere la nostra solidarietà e complicità nei confronti dei due compagni fermati e processati per direttissima stamane, per i quali è stata disposta la convalida degli arresti ma non sono state emesse misure cautelari. Siamo inoltre al fianco di tutte le persone fermate, identificate e ferite in piazza. La repressione non deve farci paura, la solidarietà è l’arma più potente che abbiamo.
Da due anni la storia si è rimessa in cammino, in Palestina così come in Europa e nel resto del mondo. La pace, in Palestina così come nella guerra tra la Russia e la Nato, è una parola d’ordine che smentisce le politiche di riarmo e guerrafondaie di tutto l’Occidente. Siamo davanti ad un’occasione storica. Proprio per questo le mobilitazioni di massa – questa grande novità di questi ultimi due anni – non bastano più. Bisogna tornare a fare politica e a fare conflitto. Quello di oggi è un punto di partenza: l’obiettivo è generalizzare la lotta, collegare la mobilitazione per la Palestina con le lotte di classe in Italia, contro il liberismo europeista e il governo Meloni. Abbiamo questa occasione che il sacrificio palestinese ci dona: cogliamola.