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In principio è la relazione: la meccanica quantistica di Carlo Rovelli

di Emilia Margoni

wright meccanica quantisticaParte ampia della fisica del Novecento è legata alle sorti di un gatto: confinato in una scatola, in pericolosa prossimità con un congegno mortale, attende il compiersi del proprio destino. Il suo futuro è legato a un fenomeno dal carattere ambiguo[1], che può tanto verificarsi quanto non verificarsi: il decadimento di una sostanza radioattiva, che potrebbe innescare la macchina mortale. Fuori dalla scatola, un pubblico di osservatori incerti e in attesa: ignari dell’evoluzione dei fatti, si chiedono se il fenomeno si sia verificato oppure no. Il gatto è morto o è vivo? O, nell’avviso di molti fisici, non può dirsi né vivo né morto? Sul criterio con cui orientarsi per rispondere a queste domande, il dibattito a quasi un secolo di distanza – ovvero quando nel 1935 Erwin Schrödinger lanciò l’ipotesi animalicida per indicare l’impasse della meccanica quantistica allorché applicata a sistemi fisici macroscopici – è ancora in corso. Sinora nessuno è riuscito a offrire una ricostruzione convincente delle circostanze, tale cioè da mettere tutti d’accordo sulle sorti dello sventurato felino. A chi volesse chiarirsi le idee sul perché questo esperimento mentale rappresenti il fulcro di una delle teorie più sofisticate della fisica teorica contemporanea gioverà addentrarsi nella lettura di un felice libretto di Carlo Rovelli.

A distanza di soli tre anni dalla pubblicazione de L’ordine del tempo (Adelphi, 2017), il noto fisico italiano torna alle stampe con Helgoland (Adelphi, 2020), accattivante lettura su un tema – la meccanica quantistica – tutt’ora al centro di un vivace dibattito. Anzitutto, una premessa. Sarebbe ingenuo intendere il testo come una ricostruzione storica accurata o un manuale divulgativo per non addetti ai lavori.

L’autore dedica sì una prima sezione alle principali tappe del processo di formalizzazione della meccanica quantistica e ai protagonisti che ne hanno preso parte – dopotutto, Helgoland è proprio uno dei luoghi in cui sbocciano le prime rocambolesche proposte per una nuova teoria dei quanti. Vero è anche che bisogna riconoscere a Rovelli una singolare abilità nel rendere accessibili argomenti di elevata difficoltà teorica. Eppure, a mano a mano che si procede nella lettura, emerge sempre più il carattere autoriale del testo – e per “autoriale” intendo un certo tipo di ingresso nei dibattiti secondo una linea originale e personalissima. Traendo spunto dalla lezione di Rovelli, varrà allora la pena di sottoporre il testo a un’opera di estrazione, senza la pretesa di restituirne fedelmente il contenuto o la trama concettuale.

Il libro è diviso in tre parti. La prima è dedicata a una ricostruzione, (inevitabilmente) idiosincratica, dei momenti salienti nella messa a punto di una teoria microscopica della materia. La seconda parte esplora sinteticamente le principali interpretazioni che sono state offerte da illustri rappresentanti della fisica novecentesca a proposito di tale teoria. Nell’ultima parte, Rovelli delinea i tratti di quella che viene indicata come interpretazione relazionale della meccanica quantistica, da lui stesso elaborata a partire dalla fine degli anni ’90 del Novecento. La mia rapida sortita nel libro si atterrà a tale tripartizione.

La fisica dello scorso secolo viene generalmente contraddistinta, in quella sempre forzosa suddivisione per grandi fasi storiche, quale epoca di transizione rivoluzionaria. L’avvento della teoria della relatività, assieme alla formulazione e al progressivo consolidamento della meccanica quantistica, hanno segnato uno spartiacque senza precedenti nella storia della scienza e della metafisica contemporanee. Inutile sottolineare come l’elaborazione di tali teorie trovi le proprie origini in anomalie sperimentali e formalizzazioni matematiche ottocentesche e come, pertanto, il grande salto della fisica contemporanea sia legato piuttosto a un progressivo lavoro d’inclusione di tali singolari fenomeni e alla loro successiva sistematizzazione entro paradigmi teorici innovativi. D’altra parte, se non sono mai semplicemente i singoli individui a definire e imporre un modello – e questo individualismo quasi-metodologico è spesso rimproverato alle ricostruzioni di Rovelli – certo è che la knabenphysik continua a costituire, a distanza di quasi un secolo dal suo primo avvio, un rompicapo di non facile risoluzione per fisici e vari altri esperti del settore.

Eccoci allora nel vivo della questione.

Com’è ormai noto, il principio di indeterminazione di Heisenberg comporta l’impossibilità di determinare con precisione arbitraria coppie di variabili cosiddette coniugate. Tali variabili, quali ad esempio velocità e posizione, vengono pertanto definite osservabili incompatibili: tanto più alta è la precisione con cui conosco il valore di una delle due, tanto più cresce l’incertezza sul valore dell’altra. Questo principio implica, tra l’altro, che qualunque tipo di interazione tra sistemi fisici ne modifichi le rispettive proprietà interne – in particolare, nel caso in cui uno strumento di misura venga adoperato per calcolare lo stato di un sistema fisico d’interesse, l’interazione tra i due comporta un’inevitabile alterazione di tale stato. A seconda del paradigma interpretativo che si intende avvalorare, tale principio assume tuttavia significati affatto diversi. E proprio alle proposte interpretative della meccanica quantistica è soprattutto dedicato il testo di Rovelli. Senza entrare nei dettagli, che possono essere consultati nella scorrevole e sempre godibile analisi offerta in Helgoland, il punto cruciale su cui la critica si divide è il tipo di implicazioni che la teoria sembra suggerire circa il carattere della realtà fisica. Oltre al principio di indeterminazione, infatti, a qualificare la meccanica quantistica concorre tutta un’altra serie di ingredienti. Rovelli ne individua tre: l’attenzione rivolta ai soli parametri osservabili, il carattere probabilistico delle predizioni e la struttura granulare delle variabili fisiche coinvolte.

Come si diceva in apertura, la meccanica quantistica rappresenta a detta di molti esperti del settore una delle teorie più sofisticate della fisica teorica contemporanea. Eppure, a ben vedere, il tutto può essere ricondotto all’esperimento mentale di Schrödinger, di cui ora posso offrire maggiori dettagli. Il fisico austriaco ci invita a immaginare che un gatto si trovi all’interno di una scatola in cui un fenomeno quantistico può accadere con probabilità di ½ (come abbiamo appena visto le previsioni della meccanica quantistica hanno infatti carattere probabilistico). Se il fenomeno in questione si verifica, un congegno attiva l’emissione di una dose di cianuro e il gatto muore. Se invece non si verifica, il gatto rimane in vita. Il problema diviene allora: dall’esterno della scatola, cosa possiamo dire circa lo stato del gatto? Stando alle previsioni della meccanica quantistica, dal momento che il fenomeno ha pari probabilità di verificarsi e di non verificarsi, fintantoché non lo osserviamo, sulle condizioni del gatto non si può raggiungere nessuna conclusione – in gergo tecnico, il gatto si trova in uno stato di sovrapposizione quantistica. Eppure, persino prima di poterci esprimere sulla possibilità o l’impossibilità di poter dire qualcosa sul verificarsi del fenomeno, c’è un equivoco di fondo da sciogliere: la questione ha natura ontologica o epistemica? Fuori dalle gergalità, con il suo esempio, Schrödinger vuole dire che il gatto, quale entità concreta, si trova effettivamente in una condizione indeterminata o che, di contro, è l’osservatore che non ha modo di valutarne le condizioni?

Come si accennava, molte sono state le proposte avanzate. Senza poterle qui menzionare tutte, c’è chi ritiene, come nel caso dell’interpretazione a molti-mondi, che il gatto esista in entrambi gli stati, ciascuno associato al corrispondente fenomeno quantistico. I sostenitori di tale interpretazione ritengono pertanto che esistano tanti mondi paralleli quanti sono i possibili esiti di ciascun fenomeno quantistico. Altri, viceversa, come nel caso del q-bismo[2], intendono la meccanica quantistica quale prezioso strumento di calcolo che rende conto solamente delle condizioni di possibilità della nostra conoscenza di un sistema fisico, anziché del suo effettivo stato.

Per uscire dalla impasse, Rovelli avanza un’intrigante proposta, che va sotto il nome di interpretazione relazionale. L’idea, elaborata in un articolo del 1996 e ribadita nel libro di cui qui si discute, è quella di rinunciare alla nozione di stato assoluto di un sistema fisico. Secondo Rovelli, la meccanica quantistica descrive il modo in cui i sistemi fisici si determinano in rapporto ad altri sistemi fisici. A suo avviso, le proprietà di tali sistemi non possono intendersi quali intrinseche, bensì disposizionali. Detto altrimenti, i valori specifici di una certa variabile fisica emergono soltanto in virtù dell’interazione con altri sistemi fisici. “Gli oggetti sono caratterizzati dal modo in cui interagiscono” (p. 84); e ancora, “non ci sono proprietà al di fuori delle interazioni” (p. 88). Questo implica, tra l’altro, che una stessa sequenza di eventi può essere definita e detta in molti modi: “Le proprietà degli oggetti esistono solo nel momento delle interazioni e possono essere reali rispetto a un oggetto ma non rispetto a un altro” (p. 90).

Questo, in effetti, rende la distinzione tra ontologia ed epistemologia quantomeno impropria, se non fuorviante. Infatti, solo l’interazione tra sistemi fisici rende possibile la reciproca informazione. Al contempo, tutti i sistemi fisici sono equivalenti, nel senso che non esiste un sistema di riferimento privilegiato che risponda alla condizione di osservatore: chi sta fuori dalla scatola è un sistema tanto quanto il gatto dalle incerte sorti. Gli esseri umani che si interrogano su quanto sta accadendo nella scatola non sono da intendersi come persone esterne alla scena che semplicemente osservano un qualcosa, bensì fenomeni fisici, al pari di quelli che si producono entro la scatola, e che in quanto tali possono entrare in interazione con questi ultimi. Questa proposta, il cui intento è quello di mettere in questione la distinzione tra soggetto e oggetto, osservatore e sistema, è una delle conseguenze più dirompenti dell’interpretazione relazionale della meccanica quantistica. La nozione di stato assoluto di un sistema viene rimpiazzata dall’idea di mutua informazione[3] tra sistemi fisici. Tale informazione – che di fatto indica una correlazione tra sistemi fisici – è un effetto combinato di disposizioni, ovvero lo spettro di possibili esiti di un fenomeno quantistico, e attualizzazione di determinati esiti allorché il sistema interagisce con altri.

Tale visione della realtà fisica, quale combinazione tra disposizioni e interazioni gode di una ricca tradizione filosofica. Non è un caso che la posizione di Rovelli riecheggi le proposte di alcuni filosofi contemporanei[4] che fanno esplicito riferimento alla filosofia processuale di Alfred N. Whitehead. L’idea che anima tale proposta è che la realtà fisica non corrisponda a un insieme di elementi (siano essi particelle, atomi, molecole e così via verso aggregati sempre più complessi) che entrano poi in relazione tra di loro. Piuttosto, l’identi(ficabili)tà di un certo elemento (particella, atomo, molecola) è possibile soltanto grazie all’insieme di relazioni in cui tale elemento s’inserisce. In altre parole, il processualismo àncora l’individualità di un’entità all’insieme di relazioni che tale entità dispiega quando si lega ad altre entità. Gli oneri dell’ipotesi in questione sono tutt’altro che leggeri: non esistono proprietà intrinseche alle cose.

Chi abbia avuto la pazienza di giungere sin qui si starà forse chiedendo cosa l’interpretazione relazionale abbia da dire sul destino del gatto nella scatola. Come si è visto, secondo il paradigma avanzato da Rovelli, le proprietà di un sistema non sono mai definite in senso assoluto, perché dipendenti dalle relazioni che i sistemi intessono tra loro. Questo significa che le proprietà, reali per un secondo sistema con cui il primo si trovi ad interagire, possono non esserlo (ed anzi in generale non lo sono) rispetto a un terzo con cui il sistema non si trova a interagire. Sicché, la risposta al quesito di cui sopra è bell’e pronta. Supponiamo, dice Rovelli, di prendere i panni del famigerato gatto. Per noi, che ci troviamo all’interno della scatola, il fenomeno quantistico o avviene o non avviene. Tertium non datur. Ovvero, l’interazione tra i due sistemi fisici (rispettivamente, il fenomeno quantistico e noi) definisce, per tali sistemi, il valore delle variabili coinvolte. Viceversa, per una persona esterna alla scatola, che non si trova a interagire con il suo contenuto, noi ci troviamo in una condizione di sovrapposizione quantistica: “le variabili fisiche non descrivono le cose: descrivono il modo in cui le cose si manifestano le une alle altre” (p. 91).

Proporre un’interpretazione della meccanica quantistica è senza dubbio un atto d’azzardo, persino per un fisico di fama mondiale come il nostro autore. Questo in ragione non solo del grado di estrema densità concettuale della teoria, ma anche del grado di dissenso che divide i suoi interpreti, tra cui figurano alcune tra le più brillanti menti della fisica del Novecento. La proposta di Rovelli però si lascia apprezzare proprio per la sua audacia, oltre che per il carattere di innovazione che potrebbe portare in campi esterni alla fisica, in particolare la filosofia: il suo invito è quello di trattare gli oggetti come precipitati. Detto altrimenti, un ente non è nulla al di fuori della serie di interazioni che intesse con altri enti. Al contempo, non esiste una prospettiva esterna, oggettiva, da cui descrivere gli enti e le loro interazioni. Ogni analisi è situata, nel senso che si cala in una prospettiva inevitabilmente parziale. Ne risulta un’idea della fisica assai lontana da quella boriosa “teoria del tutto” con cui alcuni fisici contemporanei intendono mettere un punto alla storia millenaria della riflessione umana: la fisica non è che la descrizione parziale di come alcune partizioni arbitrarie della realtà si co-determinano in un rapporto di mutua reciprocità.


Note
[1] Mutuo qui il termine “ambiguo” dall’acuta analisi del fisico teorico Niels Bohr circa lo statuto della traiettoria nel contesto della meccanica quantistica. Per una discussione sul tema, si veda David Bohm & F. David Peat, Science, Order and Creativity. A Dramatic New Look at The Creative Roots of Science and Life, New York, Bantam Books, 1987, pp. 84-87.
[2] Il termine q-bismo, che gioca volutamente sulla consonanza con la nota corrente artistico-culturale novecentesca, deriva dai <<qbit>>, unità di informazione adoperate nei computer quantistici.
[3] Come spiega Rovelli, la nozione di informazione cui qui si sta facendo riferimento indica la presenza di un “vincolo di qualche tipo […] per cui il valore di una variabile implica qualcosa per il valore dell’altra” (p. 111).
[4] Si veda, ad esempio, Nicholas Rescher, Process Philosophy: A Survey of Basic Issues, Pittsburgh, University of Pittsburgh Press, 2000; Paavo T.I. Pylkkänen, Mind, Matter and the Implicate Order, Dordrecht, Springer, 2007; Anna Marmodoro & David Yates, The Metaphysics of Relations, Oxford, Oxford University Press, 2016.

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carlo rao
Saturday, 28 November 2020 03:56
Per questo motivo Feynman assegna a tale principio il compito di giustificare l'intera teoria quantistica, e come ebbe a scrivere (in “Sei pezzi facili”): “ Il principio di indeterminazione protegge la meccanica quantistica”. Rimane il fatto che il gatto di Schrödinger pone il problema del dualismo tra oggetto quantistico e soggetto macroscopico. In MQ gli scienziati operano in un livello classico e da lì osservano un livello quantistico di cui danno una descrizione soggettiva in termini di procedure e risultati nel dominio classico. Questa descrizione è fatta per mezzo di funzioni di stato quantistiche che permettono di fare previsioni sugli eventi successivi. Ma nessuno pare sappia quale è il confine tra i due livelli. L'equazione di Schrödinger non ce lo dice; per questo motivo applicandola a oggetti macroscopici si può pensare che il gatto sia vivo e morto contemporaneamente. Per dirla in altro modo: sembra che l'osservatore sia esterno all'ambito descritto dall'equazione (esternalità = collasso della funzione d'onda Ψ), in accordo con l'interpretazione della “Scuola di Copenaghen”. Ma allora, se assumiamo che la funzione d'onda Ψ è in grado di descrivere l'intero universo fisico, dove collochiamo l'osservatore? E cosa sta facendo la funzione d'onda su un pianeta inabitato, da sempre privo di scienziati che lo studiano? Se invece assumiamo che non sia in grado di descrivere tutto l'universo fisico, allora non è una teoria fondamentale. Eppure, è altrettanto verificato che nelle applicazioni sperimentali la MQ mostra un livello di precisione quale non si era mai visto nelle teorie fisiche precedenti. Quando una particella (dominio quantistico) incide una lastra fotografica (modifica l'assetto degli atomi componenti la lastra), che è propriamente un apparato esterno di misura (dominio classico), si ha una riduzione (collasso) del pacchetto d'onda. Perciò quasi tutta l'onda incidente la lastra viene scartata, tranne quella sua parte localizzabile nell'intorno del punto dove si suppone che la particella abbia inciso la lastra. Se si volesse individuare con precisione assoluta il punto incidente (misura di posizione), avremmo come conseguenza un onda luminosa emergente da una sorgente puntiforme (punto preciso dove arriva a impattare la particella), ma in questo caso gli effetti di diffrazione sarebbero diffusi su un angolo troppo esteso per permettere all'osservatore la individuazione di un punto preciso (la diffrazione è inversamente proporzionale alle dimensioni del punto sorgente); l'osservatore vedrebbe sulla lastra una macchia estesa, non puntiforme. La dispersione angolare dell'onda fa perdere la precisa localizzazione della particella, secondo il principio di Heisenberg. Ma lo stesso principio ci offre anche la via d'uscita, laddove stabilisce che la misurazione della posizione è limitata dalla lunghezza d'onda della luce “visibile”, quindi entro tale margine di imprecisione non causa una diffrazione così estesa da disperdere eccessivamente la traccia rilevabile che risulta incisa sulla lastra. Adottando le misure compatibili trovate da Heisenberg possiamo determinare una posizione approssimativa della particella entro uno spazio abbastanza contenuto da poter essere assimilato a una traccia puntiforme sulla lastra. La trasformata di Fourier nell'analisi armonica fornisce lo strumento matematico per compiere questa operazione di approssimazione. Fondamentalmente è questo il modello utilizzato in tutte le applicazioni della MQ, compresi i ciclotroni odierni come quello del C.E.R.N. a Ginevra. Questo modello non chiarisce il “vecchio” dualismo onda – particella, ma in un certo senso si limita a prenderne atto trattando gli enti atomici alternativamente come onde o particelle a seconda delle esigenze sperimentali. Ne tanto meno affronta il dualismo oggetto – soggetto entro il quale collocare un livello di realtà indipendente dall'osservatore. Il fisico John S. Bell riassume così la situazione: “Il problema è questo: la MQ riguarda fondamentalmente le osservazioni. Essa suddivide necessariamente l'universo in due parti: una che è osservata e una che compie l'osservazione. I risultati dipendono, nel loro dettaglio, proprio da come si effettua questa suddivisione, anche se non viene fornito alcun criterio ben definito su come effettuarla. Tutto ciò che abbiamo è una ricetta che, a causa delle limitazioni pratiche umane, è sufficientemente non ambigua per gli scopi pratici...Così sembra che, in realtà, la modalità di descrizione della teoria quantistica difetti di perfezione ideale, nel limite in cui è ritagliata a misura d'uomo.”
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carlo rao
Saturday, 28 November 2020 03:51
Per questo motivo Feynman assegna a tale principio il compito di
giustificare l'intera teoria quantistica, e come ebbe a scrivere (in “Sei pezzi facili”): “ Il principio di
indeterminazione
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carlo rao
Saturday, 28 November 2020 03:44
Per questo motivo Feynman assegna a tale principio il compito di giustificare l'intera teoria quantistica, e come ebbe a scrivere (in “Sei pezzi facili”): “ Il principio di indeterminazione
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carlo rao
Saturday, 28 November 2020 03:40
Schrödinger riteneva che la MQ non fosse una teoria fondamentale, dal momento che anche di un sistema fisico di grandi dimensioni e che quindi si dovrebbe ritenere ben osservabile (come un gatto!) non è in grado di fornire una descrizione se non in termini puramente probabilistici. Si potrebbe obiettare che un oggetto di grandi dimensioni esula dal campo d'indagine che la MQ si prefissa, gli atomi, ma allora perché lo strumento di misura, che viene ritenuto esterno al sistema quantistico indagato, e che possiamo interpretare come un oggetto di grandi dimensioni, è tuttavia ritenuto in grado di “osservare” il sistema quantistico? Nell'ambito di tale uso non dovrebbe sottostare agli effetti quantistici di diffrazione e interferenza, essendo pur esso costituito da atomi? Della stessa opinione fu Einstein, e ad esempio in tempi più recenti anche il premio Nobel Penrose ha più volte argomentato in tal senso. Feynman e altri, al fine di uscire da questa contraddizione, argomentano che tali effetti si verificano anche a livello macroscopico, ma che per il principio di indeterminazione le frequenze in fase non sono misurabili in quanto il loro spettro è troppo grande (dispersivo) per poter essere misurato, data la lunghezza d'onda estremamente piccola associata a oggetti di grandi dimensioni. Per questo motivo Feynman assegna a tale principio il compito di giustificare l'intera teoria quantistica, e come ebbe a scrivere (in “Sei pezzi facili”): “ Il principio di indeterminazione
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Eros Barone
Friday, 27 November 2020 16:19
Intanto rilevo una contraddizione performativa, giacché coloro che parlano di "principio di indeterminazione" gli conferiscono proprio quella portata filosofica che vorrebbero negargli. I fisici preferiscono infatti parlare - e non è semplicemente una scelta terminologica - di "relazione di indeterminazione". Dopodiché conviene chiarire un punto cruciale, e cioè che l'essenza del paradosso di EPR è che l'esistente teoria quantistica è incompatibile con la filosofia del realismo locale a livello empirico. Sennonché questo fatto è sorprendente: l'esistente teoria dei quanti, le cui predizioni empiriche violano le conseguenze più immediate del realismo locale, non risulta compatibile con questa stessa filosofia! Abbiamo quindi l'esempio di una teoria che non può essere accettata da tutti i filosofi, ma che deve essere rifiutata dai 'realisti'. In modo simmetrico, la stessa teoria quantistica 'dimostra' errato a livello empirico il realismo locale. Questa è una situazione inedita, perché ogni teoria scientifica precedente risultava compatibile con ogni tipo di filosofia. Tanto per fare degli esempi: nessuno si è mai sognato di sostenere che il razionalismo cartesiano fosse incompatibile con la fisica newtoniana o che il positivismo di Mach fosse falsificato dalle equazioni di Maxwell. Oggi siamo invece proprio in una situazione del genere, poiché le predizioni empiriche della meccanica quantistica sono irrimediabilmente incompatibili con il realismo locale di Einstein... e Dio sembra proprio giocare a dadi! Se ne inferisce inevitabilmente che o la teoria quantistica o il realismo locale sono errati: non è logicamente possibile una loro convivenza. Dal canto suo, Popper nel suo libro "La ricerca non ha fine" descrive lo stato della fisica teorica moderna come uno stato di crisi derivante dal rifiuto del programma scientifico di Faraday-Einstein-Schroedinger. Tale rifiuto, egli dice, "è dovuto alla prevalente filosofia della scienza, cioè all'accettazione quasi universale dello strumentalismo, la teoria delle teorie che il cardinale Bellarmino (uno degli inquisitori di Galileo) ed il vescovo Berkeley svilupparono allo scopo di contrastare la concezione di Galileo e di Newton secondo cui la scienza può cercare la verità con le sue sole forze senza ricorrere alla divina rivelazione. Come è noto, in questo grande scontro filosofico, epistemologico e metodologico tra 'realisti' e 'strumentalisti' la maggior parte degli esponenti della teoria quantistica (tranne Einstein e Schroedinger) si sono schierati con Bellarmino e con Berkeley contro Galileo, Keplero e Newton, e quello che Lukacs ha definito il "compromesso bellarminiano" tra una concezione strumentalistica della scienza e l'ontologia religiosa di carattere biblico è la norma tuttora vigente, salvo poche e coraggiose eccezioni, nella comunità dei ricercatori.
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carlo rao
Thursday, 26 November 2020 03:38
Tutta la costruzione della MQ poggia essenzialmente sul principio di indeterminazione, secondo il quale non è possibile andare oltre la raccolta di dati statistici dai quali ricavare una distribuzione di probabilità su dove e con quale velocità si trova una particella atomica a un dato istante di tempo. In questo quadro Heisenberg trova quale è la misura della maggiore precisione possibile, espressa col simbolo ℏ ("h tagliato"). Dato che ℏ è estremamente piccola, l'incertezza sulla misura contemporanea di posizione e velocità (o sulla coppia Energia-Tempo) è minimale. Già con oggetti delle dimensioni di una molecola la precisione possibile è dunque altissima, tanto che si può ragionevolmente affermare che non ci sono limiti naturali a questo livello. Solo su scala atomica il principio di indeterminazione mostra i suoi effetti. Ad esempio un elettrone entro un atomo ha una posizione definita con una incertezza pari al diametro atomico, quindi del valore di 10 alla -10 metri, ma la sua velocità ha una indeterminazione pari a circa un milione di metri al secondo, 10 alla sesta mt/sec. Se applichiamo la formula di De Broglie, λ = ℏ /mv , a un oggetto di grandi dimensioni (cioè grande valore di “m”), vediamo come il valore della lunghezza d'onda λ è infinitesimale: un proiettile di piccolo calibro avrebbe una lunghezza d'onda di 10 alla -30 mt, molto inferiore al diametro di un atomo. Per poter rilevare gli effetti di diffrazione e interferenza di una pallottola dovremmo misurare una altissima frequenza concentrata in uno spazio piccolissimo, ma anche con la trasformata di Fourier non è possibile farlo. Si può affermare che tutta la materia, compresi gli aggregati di grandi dimensioni, è soggetta al moto ondulatorio, ma gli effetti connessi sono rilevabili solo a livello atomico/molecolare e misurabili con precisione non superiore alla scala di grandezze derivabili dalla costante di Planck. Da questi esempi si ricava che il principio di indeterminazione aumenta la precisione ipotizzabile nella misurazione dei fenomeni, in quanto ne definisce il limite in modo preciso entro le dimensioni atomiche. In ciò il principio si pone nel solco della teoria dei moti ondosi e della termodinamica, dove già si definiva un principio di esattezza finita nelle misurazioni. Del resto in ambito fisico non dovremmo ammettere la possibilità di valori infiniti (di precisione o di altro concetto), che in quanto tali sarebbero ontologicamente non misurabili. In altre parole, una “filosofia della fisica” dovrebbe giungere per via euristica alle stesse conclusioni evidenziate dalla formula di indeterminazione di Heisenberg. E' ben nota la frase di Einstein “Dio non gioca a dadi”, da lui formulata in risposta alle posizioni di alcuni fisici teorici protagonisti della nuova meccanica. Spesso la si intende riferita al principio di indeterminazione, ma è una semplificazione. Nell’ esperimento “mentale” col quale Einstein e altri intendevano dimostrare i limiti della teoria quantistica ( il cosiddetto “effetto EPR”) in realtà non si mette in discussione il principio di Heisenberg, che in sostanza deriva dalla meccanica ondulatoria e dalla termodinamica del 1800, dove già era accolto l'ambito statistico, ma semmai l'interpretazione “ontologica” che ne dettero Heisenberg e Bohr. Per essi se una realtà non era osservabile, ciò equivaleva a ritenere che non esisteva. In ambito fisico strettamente inteso sono portato a dare ragione a Bohr, in un certo senso. La fisica deve occuparsi di eventi misurabili, oltre si sconfina nella filosofia. Ed Einstein era fisico e filosofo a tutti gli effetti. Ma quando Bohr argomentava sull'esistenza o meno di quel che può essere o non essere nel campo dell'indeterminato, sconfinava anch'egli nella filosofia, e in tale ambito la discussione in merito è del tutto aperta. E comunque, è una discussione di tipo filosofico che ritengo improprio far gravare tutta sulle spalle di un principio, quello di Heisenberg, di carattere essenzialmente tecnico, e questa annotazione ritengo valga in generale per la MQ nel suo insieme. La vera questione da indagare, in ambito scientifico, è il problema della incompatibilità tra la MQ e la teoria gravitazionale relativistica, e su questa faccenda pare che lo studio dei buchi neri possa condurre a qualche passo avanti nella ricerca di una possibile unificazione delle due teorie.
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Mauro
Wednesday, 25 November 2020 18:44
Lettura consigliata: L.Geymonat L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica Feltrinelli. Per chiarirsi le idee
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Giulio Bonali
Wednesday, 25 November 2020 09:27
Quello della relazionalità fra enti ed eventi fisici mi sembra un vecchio trucchetto pseudofilosofico (fatto passare per scienza) irrazionalistico, relativistico, antimsterialistico già ampiamente praticato dopo la relatività einsteiniana.
Che in natura tutto, a cominciare dalle misure di enti ed eventi reali, sia relativo o é una lapalissiana scoperta dell' acqua calda, oppure é il tentativo di far confondere l' ovvia relatività di enti ed eventi reali gli uni agi altri (e delle conoscenze che se ne possono avere) SECONDO DETERMINATE, OGGETTIVE, NON ARBITRARIE CONNESSIONI, con una pretesa assenza dal mondo di tale determinatezza oggettiva e non affatto arbitrariamente, dipendente dai soggetti osservatori (che sono anche oggetti naturali del divenire naturale, ovviamente) assolutamente, id est: a prescindere dalla realtà dagli oggetti osservati.
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Eros Barone
Monday, 23 November 2020 18:56
Il punto di partenza corretto, nella critica delle varie versioni della meccanica quantistica, è il paradosso di Einstein, Podolsky e Rosen, definito da Popper “il più importante problema aperto della scienza alla fine del secolo XX”. Questo paradosso formula un controesempio all’universale validità delle relazioni di Heisenberg, assumendo che due sistemi quantistici correlati cessino di interagire quando la loro distanza diventa macroscopicamente grande (postulato della separabilità). Benché questa sia un’ipotesi ragionevole, Niels Bohr, il padre fondatore della meccanica quantistica, la rifiuta perché, accettandola, si arriva a concludere con gli autori del paradosso che la meccanica quantistica esistente è una teoria incompleta, cioè che esistono nella realtà oggettiva più proprietà fisiche dei sistemi considerati di quante ne contenga la funzione d’onda, che è il solo legame fra la teoria e la realtà. Insomma, il dibattito originario verte sulla completezza della teoria, anche se uno scienziato sagace come Schroedinger intuiva che la portata della questione era molto più ampia. Infatti, la conseguenza (non solo metrologica ma anche epistemologica) era che, stando alle predizioni della meccanica quantistica, la realtà di uno dei sistemi può essere modificata facendo misure sull’altro sistema anche quando la separazione è enorme. Successivamente, la scoperta del teorema di Bell ha portato a riconoscere che le idee di realtà fisica e di separabilità portano da sole ad inferire certe diseguaglianze fra grandezze misurabili che la teoria quantistica esistente invece viola. E’ muovendo da qui che si pone la questione del concetto di infinito in fisica, poiché le violazioni in questione non sono differenze trascurabili, ma sono importanti a livello osservativo (dell’ordine del 40%). Ne segue che la meccanica quantistica è incompatibile con il realismo locale e che i due sistemi continuano ad interagire fra di loro anche ad una distanza tendente all’infinito. Sennonché nessuno ha mai visto una cosa simile sotto il cielo, eppure si tratta di una ‘consequentia mirabilis’ della teoria quantistica, da cui deriva che il realismo locale non vale in natura. Ora, ci sono due possibilità logiche: la prima è che abbia ragione la teoria in parola; la seconda è che la teoria non sia più corretta per distanze macroscopiche fra oggetti atomici. Einstein, De Broglie, Schroedinger e Bohm, per citare alcuni importanti fisici di orientamento realista, propendono per il secondo corno dell’alternativa fino a prova sperimentale contraria. D'altra parte, se questa possibilità fosse falsificata, è chiaro che l’infinito (quanto meno quello potenziale, non quello in atto) rientrerebbe trionfalmente nel mondo della fisica e che questo evento renderebbe onore, in un certo senso, a Nicola Cusano e a Giordano Bruno (tralasciamo in questa sede sia il problema del rapporto tra infinito matematico, infinito fisico e infinito filosofico, sia il fatto che ci sono argomenti non trascurabili a favore della finitezza del nostro universo).
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Alfonso
Monday, 23 November 2020 09:18
Per quanto ne so, Rovelli potrebbe trovarsi sotto pressione, come ogni altro essere umano che non ha altra risorsa che vendere la propria forza-lavoro per campare, e nel suo ambiente butta male per i divulgatori, e volersi elevare dalla massa. Non abbiamo bisogno di oscuri frammenti heideggeriani per renderci conto che anche un idealtipico passa il quotidiano. Forse si sente un intellettuale, una figura al di sopra delle classi, prebellico, garante della pax perpetua. Potrebbe incontrare lo spirito del tempo a cavallo, e se non vive a Jena riesce a tornare a casa tranquillo. Lasciamolo investigare, Eros. Persino Engels era stato paziente con Helmholtz, e qualche intuizione trova ancora oggi terreno fertile [sic!]. Detto questo, compito dei rappresentanti politici dell'unico agente storico in campo è quello che la filosofia non riesce a fare, 'svelare di che lagrime grondi, e di che sangue'. Nella comunità scientifica, il campo degli interpretatori si trova sotto pressione, da una parte chi vuole rinunciare (in politica, Rand Paul particolarmente ostile contro Fauci 'forse come umanità nulla possiamo di fronte alla natura'), dall'altra chi vuole chiarezza sulla guida per l'azione (la rivoluzione causale in epidemiologia e non solo). Mantenere un atteggiamento conciliatorio, come Carlo Rovelli fa ("The macroscopic world we work with has a fixed past determined by abundant present traces and memories, while it is compatible with a number of different futures, that do depend on what happens in our brain. This is the openness of the future that our feeling veridically captures." o anche "Ultimately, agency is always nothing else than ignoring some physical links.", in http://arxiv.org/abs/2007.05300v1), nega al soggetto storico la necessità, come se vi fossero tanti mondi possibili che noi, ognuno di noi, sceglie. In soldoni, non sconfiggi la TINA dominante con 'parliamone, forse ci sono alternative'. Ultima cosa, per tirare Rovelli su di morale, sono d'accordo che la meditazione aiuta molto quando sei sotto tortura, sempre che vivi per raccontarlo. Grazie
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claudio della volpe
Monday, 23 November 2020 08:59
PS per quel che scrivevo prima ricordo con piacere il libro di Fiscaletti: http://www.tecalibri.info/F/FISCALETTI-D_gatti.htm e per chi volesse approfondire a livello divulgativo un post che scrissi ann i fa: https://ilblogdellasci.wordpress.com/2014/06/20/il-buonsenso-e-morto-affatto/
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claudio della volpe
Monday, 23 November 2020 08:56
Esistono come si sa molte interpretazioni della MQ che pur conservandone l'approccio matematico se ne differenziano sul piano del modello di realtà che ne viene fuori, a mio parere l'uniico che sia coerente con una visione materialistica della realtà è quello di David Bohm , che accetta la sfida della non località (in questo senso si possono interpretare le relazioni fra le cose, tutto è connesso tramite le onde di De Broglie) mentre conserva la realtà oggettiva (le cose esistono anche se non le guardo) e anche la completezza probabilistica della conoscenza; in accordo con le disuguaglianze di Bell la realtà è non locale, l'azione a distanza oggi espressa anche tramite il termine "entanglement"; dunque mi farebbe piacere capire come si situa questa concezione di Rovelli rispetto alle disuguaglianze di Bell ed alla visione di Bohm
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Eros Barone
Sunday, 22 November 2020 22:13
L'autore, illuminato a suo tempo dal verbo di Nagarjuna (si vedano le sue surreali "Lezioni di fisica buddhista", ci informa ancora una volta, con questo "Helgoland", che "la realtà ultima, l’essenza, è assenza, vacuità", in altre parole "non c’è". Sennonché, se l'informativa trasmessaci da Rovelli può risultare stimolante per un metafisico udenologo (= studioso del Nulla), pochi cultori delle discipline filosofiche sarebbero disposti a sottoscrivere un giudizio così enfatico, a meno che non vogliano prestare un omaggio all’attuale ‘vague’ nichilista, postmoderna e anti-fondazionalista, cui il nuovo adepto di Nagarjuna - che è anche una firma ormai accreditata del "Corriere della Sera" - reca il suo deferente tributo. Anzi, a pensarci bene, uno vi sarebbe e, se fosse vivo, si compiacerebbe sicuramente dell'importante scoperta filosofica di Rovelli, secondo il quale "le cose sono solo relazioni": si tratta di Giovanni Gentile (certo, è più 'chic' evocare Nagarjuna, ma la stretta parentela con l'idealismo è sempre la medesima). In effetti, come non rammentare a proposito di tale ‘vague’, usando una celebre immagine del grande Hegel (vero bersaglio di quell’irrazionalismo contemporaneo i cui epigoni non mancano neanche nelle file della fisica odierna), “la notte in cui tutte le vacche sono grigie”? Una simile notte è, ad un tempo, il luogo da cui muove (e in cui è destinato a scomparire) l’attacco degli irrazionalisti contemporanei alla ragione materialistica. Basta un solo raggio di luce affinché questa potente lampada fumivora dissolva i riti misteriosofici di quelli. Così, don Rovelli, che noi conoscevamo come un fisico ed ora ci appare vestito di arancione secondo la foggia buddhista, dopo aver proclamato l'inesistenza della dura realtà, ci offre la tazza del consolo assicurandoci che quella di Nagarjuna "non è stravaganza metafisica: è semplicemente sobrietà" e "nutre un atteggiamento etico profondamente rasserenante", che il suo portavoce occidentale riassume, in un italiano alquanto malcerto, in questi termini: "è comprendere che non esistiamo che ci può liberare dall’attaccamento e dalla sofferenza". Va bene, la verità che ci regala è degna di un redivivo Monsieur de La Palice e obiettarvi sarebbe come mettere in discussione che l'autunno viene prima dell'inverno, ma don Rovelli, per avvalorare le sue opzioni
filosofico-religiose di stampo cripto-gentiliano e buddhistico, non dovrebbe giocare sui significati delle parole e, scambiando il relazionismo con il relativismo e la fisica con "Alice nel paese delle meraviglie", non dovrebbe darci ad intendere che essa coonesta il relativismo e smentisce il realismo: quel realismo che, quando viene attaccato dai preti di tutte le risme (con o senza abito talare e, comunque, ignari della lezione di un grande realista quale fu S. Tommaso di Aquino), viene sempre definito "ingenuo", come se ciò, per gli epistemologi superciliosi, fosse un difetto e non un pregio. Così, a distanza di quasi un secolo dalla pubblicazione di "Materialismo ed empiriocriticismo" di Lenin (1909), ci tocca prendere atto che non mancano (e forse abbondano) nella comunità scientifica ricercatori che, attaccando il materialismo e il realismo, portano acqua al mulino delle forze reazionarie. Ci dispiace per Rovelli. Leggendo alcuni suoi contributi, avevamo avuto una diversa impressione, dalla quale, ora che è diventato una star mediatica della stampa borghese e dei ceti semicolti, ci dobbiamo ricredere.
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