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lacausadellecose

Nell’inferno del saccheggio africano

di Michele Castaldo

5788453 2032 congo obbligo perL’uccisione nella Repubblica Democratica del Congo dell’ambasciatore italiano e del carabiniere che gli faceva da scorta offre l’occasione per riflettere su quello che è un vero e proprio inferno causato dalle potenze coloniali in quel continente in una fase di crisi, come quella attuale, del moto-modo di produzione capitalistico, aggravata per di più dalla pandemia del Covid-19.

Ovviamente si sprecano da una parte le parole di riprovazione e di orrore nei confronti dei responsabili del fatto di sangue, mentre dalla parte opposta si sprecano gli elogi per le qualità delle due vittime cadute nell’imboscata in quel paese. E il popolo “beve”. Passano pochi giorni e tutto si dimentica, tutto riprende come prima. Eppure

tutti quelli che devono sapere sanno, ma tutti fingono di non sapere. Tutti conoscono la verità, ovvero gli interessi da cui sono mosse determinate strutture statali e/o umanitarie, ma tutti mentono spudoratamente sapendo di mentire. Eppure la verità è talmente evidente in certi ambienti che nel darne notizia – come nel caso del telegiornale delle 20 de La7, il suo direttore Mentana dice due cose in netto contrasto fra loro: « Diamo notizia del tremendo fatto di sangue avvenuto nel Congo, un paese poverissimo », per poi proseguire affermando, poche parole dopo: « una nazione ricchissima di materie prime di importanza strategica ». Una realtà talmente forte che, come la tosse, non può essere contenuta e fuoriesce dalle labbra di un noto asservito al potere del capitale.

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illatocattivo

Ancora su Covid-19 e oltre

Un aggiornamento

di Il Lato Cattivo

adobestock 333508830«L’inizio della Grande Depressione nel 1929 – o più esattamente il tracollo dell'economia mondiale e la rovina del capitalismo liberale – segnalò uno stato di emergenza per l'intero mondo capitalista. […] Il disastro economico e l'angoscia esistenziale divisero la società in due fronti politico-ideologici, inasprendo il conflitto. Quello che un individuo pensava o faceva non era più una faccenda personale, ma era diventato di colpo, che piacesse o no, espressione dello scontro politico in atto sulle cause e sulle possibili soluzioni della crisi globale.» (Wolfgang Schivelbusch, Tre New Deal)

 

Introduzione

A distanza di dieci mesi dalla pubblicazione di Covid-19 e oltre1, è venuta l’ora di riesaminare sommariamente l'insieme di quelle analisi e ipotesi formulate più o meno «in presa diretta», per vedere dove avevamo colto nel segno e dove invece è necessario, alla luce degli ulteriori accadimenti, aggiustare il tiro. In seconda istanza, procederemo ad isolare alcuni momenti forti di questa prima fase della crisi mondiale, e ne proporremo un'analisi.

Cominciamo col ricapitolare gli elementi della nostra diagnosi che ci sembrano confermati dal corso degli eventi. In essa, la pandemia da Covid-19 assumeva una pluralità di significati e di funzioni oggettive, che proveremo qui a riassumere. Essa appariva ad un tempo (e in ordine sparso):

  • come fatto di accertata gravità dal punto di vista puramente medico-sanitario (sembra un'ovvietà, ma a scanso di equivoci…), destinato dunque a perdurare per un certo tempo;

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contropiano2

Forum Cina /2. La linea di Mao

di Roberto Sassi

Intervento al convegno La Cina nel mondo multipolare il 16 Gennaio 2020

forum cina linea maoPremessa

La mia relazione coprirà un arco di tempo piuttosto ampio ed affronterà problemi complessi, fortunatamente come introduzione ai temi trattati posso rimandare all’ottimo intervento del compagno Angelo D’Arcangeli per l’Accademia Rebelde il 27 novembre 2020 (https://youtu.be/ltRjeWEkAuo), che ripercorre in maniera sintetica le origini della rivoluzione cinese, il suo sviluppo e i primi decenni dell’edificazione socialista.

Nel periodo che va dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 al 1976, anno in cui muoiono Zhou Enlai e Mao Zedong e la Cina cambia profondamente, esulando dai dati meramente macroeconomici, l’aspettativa di vita è passata da 40 a 65 anni (in India, nello stesso periodo, è passata da 38 a 54); la popolazione cinese è cresciuta da circa 550 milioni a circa 900 milioni di abitanti; il tasso di alfabetizzazione è passato dal 20% ad oltre il 65%; l’emancipazione della donna ha raggiunto grandi traguardi.

In questi anni, il governo è stato saldamente in mano al Partito Comunista Cinese, che pure ha sviluppato al suo interno e riversato nella società un ampio e spesso aspro confronto sui temi dell’edificazione della società socialista, così come ampio ed aspro fu spesso il confronto durante il precedente sviluppo della guerra di popolo.

Le figure di Mao Zedong e Zhou Enlai sono espressione con una certa evidenza di due tendenze: una dinamica, volta al movimento, al superamento degli assetti raggiunti, l’altra equilibratrice, volta alla stabilizzazione, al consolidamento dei risultati ottenuti.

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carmilla

Mi è semblato di vedele un gatto!

di Nico Maccentelli

Schermata 2020 01 02 alle 08.48.44 300x293Il balzo del gatto “rosso”

In questo periodo la Cina è balzata alla ribalta nel mondo per la sua poderosa crescita economica, con le sue svolte pianificate sia a livello interno che nei rapporti internazionali, e non ultima per la capacità di affrontare velocemente crisi d’ogni tipo, compreso quella pandemica del covid. Ovviamente il mainstream prosegue la sua demonizzazione con la stantia vulgata anticomunista, con le solite modalità di amplificare e distorcere ogni episodio repressivo, quando poi tace sui crimini in Colombia, Cile, Palestina, Ucraina, Siria, nei feudi dell’impero USA-UE-NATO. Ma in realtà si tratta di comprendere una realtà sociale e culturale nettamente diversa dalla nostra, al di là delle veline di regime. Anche nell’ambito della sinistra anticapitalista le posizioni sono variegate e spesso in polemica tra loro. Ma l’esigenza di approfondire il tema della Cina da più approcci, economico, sociale, politico e culturale è un’esigenza sempre più sentita tra i compagni: proprio oggi alle ore 15,00 è possibile assistere al forum dal titolo: La Cina nel mondo multipolare, organizzato dalla Rete dei Comunisti, su fb con interventi di spessore (1). Inoltre segnalo due contributi: l’opera di Pasquale Cicalese: Piano contro mercato (2) e per quanto riguarda la storia della Cina nel periodo della Rivoluzione Socialista (fino alla Rivoluzione Culturale inclusa), suggerisco il seminario tenuto da Roberto Sassi nel 2017 a Pisa, dal titolo: Ribellarsi è giusto! visionabile su youtube (3)

Il mio scopo in questo intervento è però quello di partire da un approccio politico, che investe la visione stessa di socialismo sulla scorta di un’esperienza in buona parte già esaurita, e che riguarda principalmente quella porzione di mondo che la vulgata borghese occidentale definisce tutt’oggi come “comunismo” e che costituiva la quasi metà del pianeta. Una porzione di mondo che comprendeva con la Cina il socialismo reale sovietico.

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lantidiplomatico

2021, il risveglio dei popoli dell'America Latina. Sfide e prospettive

di Geraldina Colotti

720x410c50Per la rivoluzione bolivariana, l’anno politico si è aperto con l’assunzione del nuovo Parlamento, a maggioranza chavista, frutto delle elezioni del 6 di dicembre. Una vittoria della democrazia partecipata e protagonista, che continua a scommettere sulla coscienza e l’organizzazione popolare per affrontare le sfide a cui deve far fronte, sia all’interno che all’esterno del paese.

Basta confrontare le immagini convulse e grottesche diffuse dopo l’assalto trumpista al Campidoglio negli USA con quelle corali, sorridenti e piene di dignità dei 277 deputati e deputate della nuova legislatura in Venezuela, per rendersi conto della diversità dei due modelli, della prospettiva e degli effetti divergenti che producono.

Basta confrontare la levatura del discorso di Jorge Rodriguez, psichiatra e poeta, figlio di un rivoluzionario ucciso dalle democrazie camuffate della IV Repubblica, eletto a capo della giunta direttiva, con il semplicismo torvo e minaccioso di Trump e dei suoi accoliti, per capire quale sia la “minaccia inusuale e straordinaria” rappresentata dalla rivoluzione bolivariana per l’imperialismo.

Da una parte, i versi di Pablo Neruda, con i quali Rodriguez ha concluso il suo discorso, dall’altra le urla suprematiste dei continuatori del Ku Klux Klan. Da un lato, le proposte chiare e dirette, aperte al dialogo ma con rispetto, dei deputati chavisti, dall’altra un sistema in crisi conclamata, che affida i suoi piani all’aggressione aperta o a quella nascosta, ma che risulta comunque nefasto per il suo stesso popolo e per quelli che vorrebbe sottomettere.

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carmilla

Il declino dell’impero americano

di Sandro Moiso

Rambo TrumpE’ certamente difficile scrivere nell’immediato per spiegare quanto è accaduto il 6 gennaio al centro dell’impero occidentale. Ma alcune considerazioni si possono trarre fin da ora, naturalmente cercando di andare oltre le vuote formule democraticistiche espresse dai media internazionali e nazionali e, soprattutto, andando oltre la parziale spiegazione dei fatti attribuiti ad un unico deus ex machina: il presidente ancora in carica, anche se è ormai difficile capire per quanto tempo, Donald Trump.

Certamente il piagnisteo democratico, espresso sia da Joe Biden che dai suoi colleghi stranieri, non serve a spiegare i fatti, piuttosto tende ad intorbidirli, rivendicando per gli Stati Uniti un primato nella difesa dell’ordinamento democratico che dimentica il ruolo apertamente controrivoluzionario e reazionario che la capitale dell’impero e i suoi massimi rappresentanti hanno svolto a livello internazionale e interno.

Elencare le decine di azioni militari, poliziesche e golpiste condotte dall’intelligence e dalle armi statunitensi in ogni angolo del globo e del paese sarebbe qui troppo lungo, ma almeno alcuni fatti vanno ricordati: dall’intrusione di inizio Novecento, armi alla mano, negli affari interni del Messico e del Nicaragua per impedire o stravolgere le rivoluzioni in atto alla rimozione golpista di Mohammed Mossadeq in Iran nel 1953 per impedirgli di nazionalizzare il petrolio e rinsaldare sul trono la fedele dinastia Pahlavi oppure dal rovesciamento violentissimo del governo Allende in Cile nel 1973 al colpo di Stato in Brasile del 1° aprile 1964, che instaurò una dittatura militare filo-statunitense che durò ben 21 anni, fino ai più recenti tentativi di rovesciamento del governo venezuelano, solo per fare alcuni esempi.

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infoaut2

Dopo Trump?

di Raffaele Sciortino

Avvertenza: nonostante l’assertività della comunicazione scritta, quanto segue intende presentare una serie di ipotesi di lettura di una dinamica complessa e aperta a più esiti

e5e236d8 e58d 4db6 8409 5a606a96e8ed“I marxisti, non potendo oggi essere protagonisti della storia,
nulla di meglio possono augurare che la catastrofe,
sociale, politica e bellica,
della signoria americana sul mondo capitalistico”
Bordiga, 1952

Oggi e ieri

Nulla dice di più sullo stato del mondo attuale del fatto che gli Stati Uniti sempre più si presentano come una equazione impossibile. Il primo paese mercantile-capitalistico puro nella storia - privo di un passato premoderno - si divincola tra la crisi del suo comando globale e l’impossibilità di ripristinarlo nella cornice consueta dell’ordine internazionale liberale, tra spinte anti-globalizzazione e destino che ne fa la nazione “indispensabile”, per sé e per le altre, del sistema mondiale, tra crescente polarizzazione interna e aleatorietà di qualunque nuovo patto sociale che possa ricostruire un grande consenso, tra scarico dei costi all’esterno e montante riottosità di alleati e avversari a sostenerli al modo di prima.

Le elezioni di novembre sono l’ennesima conferma di questo paradosso, degno di una configurazione quasi imperiale: il disordine nel ventre della bestia oggi non equivale di per sé al benessere del resto del mondo, così come, nel passato, ogni ricomposizione interna, sociale e politica, progressista è sempre stata ricetta per disastri. Dalla guerra civile, compimento dell’emancipazione nazionale borghese, sono venuti fuori i robber barons e il decollo imperialista e nessuna soluzione alla questione dei neri. Dal New Deal e dall’alleanza “democratica” nella seconda guerra imperialista è nata la spinta decisiva al dominio mondiale; dal compromesso sociale fordista è scaturito il consenso alla Guerra Fredda e all’aggressione al Vietnam.

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materialismostorico

Guerra commerciale USA-Cina: il vero ladro finalmente smascherato

di Rémy Herrera, Zhiming Long, Zhixuan Feng e Bangxi Li*

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 1/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, pp. 177-190, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0

1200px FugueKarl Marx ha sostenuto che il commercio intemazionale potrebbe espandersi nel senso indicato da David Ricardo, soprattutto se i paesi coinvolti consentissero un aumento della produzione a un costo inferiore. Tuttavia, Marx ha anche aggiunto che nonostante questo guadagno immediato lo scambio opera a scapito delle economie meno industrializzate e si rivela in realtà disuguale, cioè come una forma di esproprio, non appena si tiene conto delle quantità di lavoro e degli sforzi produttivi che entrnao nella merce scambiata1. È quanto accade se un paese meno sviluppato presenta una produttività del lavoro inferiore a quella dei suoi partner di commercio estero, con meno ore di lavoro incorporate nelle merci che importa rispetto alle ore incluse nelle proprie esportazioni. I rapporti tra quantità di lavoro richieste da esportazioni e importazioni (quelle che più avanti verranno chiamate “ragioni di scambio fattoriali”) sono in questo caso sfavorevoli al Paese meno avanzato, il quale viene sfruttato per quanto riguarda i rispettivi contributi di lavoro. Tuttavia, i marxisti dopo Marx, a partire dai teorici del sistema-mondo capitalistico, mostrerebbero che l’entità delle disuguaglianze tra i paesi coinvolti nello scambio può dipendere dal differenziale nella remunerazione del lavoro, inferiore alla periferia rispetto a quanto sia al centro pur con uguale produttività2. Rivelando così la natura ineguale o espropriativa dello scambio imperialistico, Marx ha quindi confutato l’idea di un commercio internazionale che porta a equalizzare o correggere gli effetti delle disuguaglianze e ha sottolineato piuttosto i meccanismi di dominio e sfruttamento che colpiscono le economie meno industrializzate e portano alla loro sottomissione nei confronti dei paesi capitalisti ricchi3.

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mondocane

Assassinio Kakhrizadeh, un'altra guerra?

di Fulvio Grimaldi

Nagorno Karabakh – Iran: obiettivo Mosca. Chi, come, perché

striscioneIl Mossad è un’organizzazione criminale con la licenza”
(Tamir Pardo, ex-capo del Mossad)

Attentato, com’è andata davvero

Tra le tante versioni che circolano, quello più attendibile in base a fonti non interessate è esemplificata nella mappa. Per certo non è credibile la fesseria di una mitragliatrice automatica, su un mezzo poi fatto saltare in aria. Operazione in grande stile, invece, con la partecipazione di 62 persone delle quali 12 in azione armata. 1) Il convoglio dello scienziato di tre vetture blindate entra nella rotonda da cui si arriva alla cittadina di Asbard. 2) Salta per aria un’autobomba che abbatte un traliccio, provoca un blackout nell’area e colpisce la vettura di coda. 3) Un’auto Hyundai Santa Fè con 4 passeggeri, quattro motociclette e due cecchini, è appostata al lato opposto. Da qui si apre il fuoco dopo l’esplosione che ha bloccato le macchine.4) Uno del commando trascina Fakhrizadeh dalla macchina e lo finisce sulla strada, dove, infatti, resta una larga pozza di sangue.

Perché il governo di Ahmed Rouhani parla di un’operazione assai meno complessa? Perché si tratta di occultare l’inefficienza dei servizi di sicurezza a protezione dello scienziato, denunciata anche dagli ambienti militari, e l’impressionante grado di infiltrazione di elementi nemici e di collaborazionismo interno. Una debolezza che contrassegna l’intero mandato dell’attuale presidente, espressione, dopo gli anni di Ahmadinejad e nonostante i tentativi di contrasto dei cosiddetti “radicali”, o “conservatori”, di quelli che in Occidente vengono magnificati come “”moderati”. Come spesso succede, la divisione di classe si traduce in divisione geopolitica: da una parte il popolo, antimperialista e per la sua sovranità, dall’altra l’élite, propensa alla consociazione nel segno del mercato senza confini.

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rproject

Un grande, devastante confinamento

di Gilbert Achcar*

Come la pandemia di Covid-19 accresce la dipendenza dei paesi poveri nel terzo mondo, un “grande confinamento” devastante

Schermata del 2020 11 25 12 45 18Con la pandemia di Covid-19, il pianeta sta attraversando la sua più grande crisi economica dal periodo tra le due guerre. Esplosione della disoccupazione, insicurezza alimentare, dispersione scolastica…: gli effetti del «grande confinamento» si fanno sentire dappertutto, ma sono ancora più gravi nei paesi poveri, dove il settore informale, per definizione privo di protezione sociale, occupa un posto preponderante.

Così come le conseguenze del cambiamento climatico si fanno sentire a tutte le latitudini, la pandemia di Covid-19 non risparmia nessuno, che si sia ricchi o poveri, capi di Stato o rifugiati. Tuttavia, è risaputo che queste crisi planetarie non colpiscono tutti gli esseri umani allo stesso modo. Oltre a implicare vulnerabilità differenti a seconda dell’età e di vari fattori di rischio, la pandemia, è come il riscaldamento globale, ha un impatto molto diverso sia su scala mondiale che all’interno di ciascun paese, in base alle tradizionali linee di demarcazione tra ricchi e poveri, bianchi e non bianchi, ecc. Certo, il contagio di Donald Trump ha confermato che il virus non ha alcun riguardo per il rango politico, ma le cure eccezionali di cui ha beneficiato il presidente degli Stati uniti, con un costo stimato in oltre 100.000 dollari per tre giorni di ospedalizzazione(1), dimostrano che se gli esseri umani sono tutti uguali di fronte alla malattia e alla morte, alcuni, come ha scritto George Orwell ne La fattoria degli animali, sono «più uguali di altri».

Come al solito, è il terzo mondo a essere colpito più duramente dalla crisi economica in corso, che il Fondo monetario internazionale (Fmi), nel suo rapporto semestrale dell’aprile 2020 (2), ha definito «grande confinamento» – una crisi che già adesso può essere considerata la più grave dai tempi della Grande depressione tra le due guerre.

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cumpanis

L’imperialismo multinazionale, fase “sublime” del capitalismo

di Gianfranco Pala*

pala foto articolo Grave, difficile e pericolosa materia è questa
in cui il mio istituto mi mena,
e tale che io mi sarei ben volentieri astenuto d’entrarvi dentro,
se l’avessi potuto decentemente fare
[Ferdinando Galiani, Della moneta (Del frutto della moneta)]

Il mese di ottobre non si addice a Wall Street. Il grande crollo del 1929, la grande paura del 1987, il piccolo crollo del 1989, sono avvenuti tutti in ottobre. Noi non conosciamo la serie storica delle statistiche di borsa relative al primo mese d’autunno. Né ci interessa, e lasciamo volentieri che, in questo mondo di cabala, qualcun altro possa esaminarla. A noi, per la Contraddizione, basta studiare le cause strutturali di codesti fenomeni monetari. I pochi lettori che hanno seguito le nostre precedenti analisi non si saranno sorpresi affatto dello scoppio dell’ultima bolla di sapone speculativa “made in Usa”. Era stata annunciata, nella sua stessa effimera volatilità. Tutto secondo il copione e la regìa della grande finanza transnazionale. La conferma di ciò, tuttavia, non equivale a ridurre la questione a un semplice e banale contrattempo. Al contrario. Sono anni che, seguendo le analisi di Marx, indichiamo nella “sovraproduzione irrisolta su scala mondiale” la causa efficiente della perdurante crisi, non solo finanziaria, dell’imperialismo multinazionale. Gli stessi fenomeni di parvenza monetaria (inflazione, disinflazione, tassi di interesse e debito pubblico), a carattere nazionale, sono riconducibili tutti alle medesime determinanti connesse all’arresto del processo di accumulazione sul mercato mondiale. Anche quando, da altri, essi sono acutamente descritti nella loro immediata fattualità di cronaca e storia, noi li intendiamo sempre ascritti alle cause strutturali della sovraproduzione generale.

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sinistra 

Cosa ci porta una presidenza Biden/Harris? NATO first, Make NATO great again

di Luigi Ambrosi

Joe Biden e Kamala Harris si sono presentati insieme per la prima volta davanti alle telecamerePremesso che la partita elettorale negli USA non si è ancora conclusa considerate le denunce in corso per frodi elettorali, la nomina di Biden alla Presidenza è per ora solo una forzatura dell'apparato mediatico globalista, la reale e legale nomination avverrà non prima del 6 gennaio allo stato attuale delle cose; Biden per ora è solo un Presidente mediatico, anche se sta accelerando la formazione della nuova governance per cercare di imporre la sua presidenza come fatto compiuto.

Biden Presidente è "altamente probabile" ma non ancora certo.

Se poi i Repubblicani conservassero il controllo del Senato (5 gennaio), la eventuale presidenza Biden sarà quella di una anatra zoppa; altrimenti se i Democratici riuscissero a conquistare anche il Senato, le forze globaliste avrebbero strada libera, ma dovrebbero pur sempre fare i conti con gli USA profondamente divisi. Di altamente certo è che la società americana è e resterà a lungo profondamente divisa, quindi più debole nella sua governance locale e mondiale, per la felicità dei popoli del mondo; per questo la prima insistenza di Biden è di presentarsi vanamente conciliante come il Presidente di tutti.

Occorre riconoscere la potenza di fuoco raggiunta dalle forze globaliste mondiali, intendendo le grandi multinazionali occidentali (e le loro Agenzie di controllo e di propaganda) che sono riuscite a condizionare e ribaltare gli esiti elettorali nella sede della principale potenza mondiale.

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marxismoggi

Lotta alla povertà e alla disuguaglianza in Cina. Una risposta a Thomas Piketty

di Gianni Cadoppi

157033 mdIntroduzione

Si tratta di un insieme di saggi scritti nel corso degli anni e solo parzialmente aggiornati ma il cui senso rimane a mio avviso intatto. Spesso la questione della disuguaglianza in Cina è affrontata con metodologie parziali che non tengono conto dell’insieme dello sviluppo economico e sociale del grande paese asiatico e della sua unicità dal punto di vista dell'estensione territoriale e come paese più popoloso del mondo. A volte il saggio risulterà abbastanza ripetitivo perché i singoli capitoli sono stati scritti in maniera autonoma. Credo che il saggio sia tornato di attualità dopo le critiche di Thomas Piketty alla Cina sul tema delle disuguaglianze. Questi saggi sono stati scritti originariamente prima del libro di Piketty e il berseglio erano coloro che nella sinistra occidentale sostenevano l’inesorabile deriva capitalistica della Cina.

Per Thomas Piketty le società post-comuniste in toto sono le più fedeli alleate dell'ipercapitalismo. L’economista francese nel suo ultimo saggio parla del «disastro comunista» così grande da mettere in ombra anche i danni causati dalle ideologie schiavistiche, colonialiste e razziste oscurando i forti legami tra queste ideologie e quelle dell'ipercapitalismo.

Il presidente cinese Xi Jinping aveva dimostrato invece interesse per il suo best seller Il capitale nel XXI secolo (2014).

Nel suo discorso del 2015, Xi ha affermato che il libro di Piketty ha suscitato un acceso dibattito nella comunità accademica internazionale e che le sue argomentazioni sull'impatto del "capitalismo incontrollato" sulla disuguaglianza di ricchezza erano degne di considerazione. Xi infatti scriveva:

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sinistra

Scendete dal taxi e prendete la limousine!

di Piotr

Questo articolo viene pubblicato in contemporanea anche su Megachip

2d6ab313 aac1 4ab4 b10a 0e78fd393d9f«Il Presidente Trump è solo il conducente di un taxi che porta i passeggeri che ha accettato di far salire – Pompeo, Bolton e i Neoconservatori con la sindrome dell’Iran – dovunque gli dicano di andare. Vogliono fare una rapina, e viene utilizzato come guidatore per la fuga (e lui accetta completamente il suo ruolo)»

Michael Hudson

Un'amica di sinistra mi ha suggerito di leggere un articolo sulle presidenziali statunitensi scritto da Nadia Urbinati per il quotidiano “Domani”, il giornale di De Benedetti. Cosa che ho diligentemente fatto.

Nadia Urbinati è docente di scienze politiche alla Columbia University, una studiosa che da brava signora liberal newyorchese si pone il problema teorico se il Bolivarismo sudamericano (tout-court definito “populismo”) sia fascismo. La risposta è negativa (il Bolivarismo è addirittura ossessionato dalla necessità di elezioni – però, ahi ahi, anche per ottenere conferme plebiscitarie), ma già il dilemma posto conferma che la coscienza di classe e l'ideologia sono dettate dall'essere sociale, come aveva perfettamente intuito György Lukács. Io semmai mi porrei il problema se il Bolivarismo sia socialismo. Mi porrei cioè, nel suo senso più generale, un problema di rapporti sociali.

E qui entriamo nel vivo.

L'articolo accenna alla questione razziale e ripete le usuali accuse a Trump suggerendo che con Biden e la Harris le cose cambieranno.

In realtà quello che dice l'articolo può essere riferito pari pari anche ai Democratici. È noto, ad esempio, che sotto i due mandati di Obama si è toccato un numero record di neri uccisi dalla polizia (record rinnovato sotto Trump) e molti osservatori liberal hanno registrato l'incapacità o impossibilità da parte di Obama di, non dico migliorare, ma almeno fermare il peggioramento delle condizioni economiche e sociali degli afroamericani.

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aldogiannuli

Approfondimento: le elezioni americane, il Covid e le rivolte razziali

di Aldo Giannuli

elezioni 2020 usaNormalmente, in un’ elezione qualsiasi quello che conta è chi ha vinto e chi ha perso, ma in queste elezioni presidenziali americane la cosa mano importante è se vincerà un candidato o l’altro. Certo Trump è un orrore, ma anche se dovesse vincere quel pesce lesso di Biden, non è che ci sarebbe da mettersi a ballare. Qui quello che conta è che America sta venendo fuori da queste elezioni e questo è già chiaro come il sole.

a. un paese spaccato esattamente a metà, su precise coordinate geografiche (coste contro l’interno) con due metà che si odiano come mai nella storia del paese

b. con una corrente politica come il trumpismo che non è cosa di breve durata e che ha sostituito il vecchio partito repubblicano

c. che si avvia ad una crisi istituzionale senza precedenti e si avvia ad una conflittualità interna senza precedenti, perché segnata dallo scontro fra due integralismi che hanno travolto il tradizionale pragmatismo americano.

d. nel quale sono totalmente saltate le regole del far play istituzionale mettendo a nudo un sistema elettorale demenziale

e. un paese nel quale il Covid, prima e le rivolte razziali dopo, hanno fatto da molla alla rivincita democratica e, più in generale, alla crisi del sistema.

Il primo dato è la divisione a metà su aree geografiche abbastanza omogenee: le coste ai democratici, il centro del paese ai repubblicani (salvo qualche sporadica eccezione da un lato e dall’altro).