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maggiofil

Gramsci a Wuhan*

di Valerio Romitelli

e3098320bc9e754479592595bffb1b21 ML’epoca d’oro della democrazia all’americana, ovvero neoliberale, è decollata col crollo del muro di Berlino e ha cominciato a declinare da quando Cina e Russia sono ridiventati protagonisti della scena mondiale. Se è vero che l’epoca in corso è caratterizzata dall’emergere del modo sovranista e populista di pensare e sperimentare la politica[1], ciò è possibile anche per il ritorno alla ribalta di questi due paesi ex comunisti, il primo dei quali restato tale almeno ufficialmente.

Anche le elezioni di Trump, così come molte sue scelte, sarebbero restate impensabili nel mondo precedente, quello nel quale gli Stati Uniti godevano di una superpotenza illimitata. Parecchi fatti storici cruciali attestano l’esaurirsi di questa supremazia globale di Washington. Tra di essi l’andamento della guerra in Siria, nel quale la distruzione sistematica del paese adottata per la Libia di Gheddafi è stata bloccata dall’intervento russo. Ma anche nell’emergenza pandemica, mentre gli Stati Uniti hanno dimostrato inefficienze disastrose, la Cina, nonostante tutte le calunnie occidentali, è apparsa capace di mettere in opera la soluzione di distanziamento e controllo della popolazione che a partire da Wuhan è diventata il modello promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità e seguito in ogni angolo del globo. Quello che è stato l’«Impero di mezzo», già tre secoli fa esempio del mercato prediletto dallo stesso Smith[2], sembra oggi tornare a primeggiare non più solo in fatto di commercio e produzione.

 

Stato e corpi collettivi

Per arrivare subito al cuore del primo punto occorre sbarazzarsi del maggiore pregiudizio che su simili temi viene diffuso dalla propaganda in uso in paesi vassalli degli Stati Uniti come il nostro.

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micromega

Crisi della globalizzazione e attualità delle teorie della dipendenza

di Carlo Formenti

visalli dipendenzaSecondo Fukuyama, il marxismo sarebbe morto assai prima del 1989, in assenza della miseria del mondo sottosviluppato, fenomeno che ha consentito alla scuola dei teorici della dipendenza di prolungarne la vita, sia pure al prezzo di alcuni “tradimenti” nei confronti della versione “canonica” che i fondatori avevano consacrato fra fine Ottocento e primo Novecento. Il libro di Alessandro Visalli, Dipendenza, da poco approdato in libreria per i tipi dell’editore Meltemi, esordisce citando questa opinione dell’autore della Fine della storia. Sappiamo che poi la storia non è affatto finita, e che il filosofo nippoamericano è stato altrettanto imprudente nel recitare il de profundis per il marxismo, cui la crisi del sistema liberal liberista sta oggi concedendo più di una rivincita, ma questo non è l’unico, né il più significativo, argomento della corposa (400 pagine abbondanti) e documentatissima ricerca che Visalli ha condotto sulla scuola della teoria della dipendenza.

Parliamo di una scuola che rappresenta una delle più affascinanti avventure del pensiero critico dell’ultimo mezzo secolo, un pensiero che, pur con i diversi accenti e sfumature che ognuno dei suoi vari esponenti vi ha incorporato, si è evoluto nei decenni senza mai rinunciare al filo rosso di una tesi di fondo comune: il sottosviluppo non è il prodotto di una carenza di capitali e tecnologie, né di insufficienti livelli di modernizzazione, bensì delle forme specifiche che il modo di produzione capitalistico ha assunto in determinati Paesi, e della loro collocazione nel sistema internazionale. Per argomentare questo punto di vista, Visalli ha scritto un libro difficilmente inquadrabile in un'unica categoria disciplinare, visto che può essere definito come un saggio di storia delle idee e delle teorie economiche, ma effettua frequenti incursioni in campi come la geopolitica, l’antropologia e la politologia.

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la citta futura

La battaglia delle idee: come è stata costruita l’egemonia statunitense

di Alessandra Ciattini

L’egemonia culturale statunitense non è casuale, ma è stata promossa dal secondo dopoguerra da istituzioni ben finanziate e organizzate come la CIA

cf11b3f20e3d67835224e7f80e1cebe3 XLÈ noto che l’espressione battaglia delle idee viene già utilizzata da Marx negli anni ’40 dell’’800 e successivamente da Gramsci allo scopo di sottolineare che la lotta per la costruzione di un nuovo modello di società tocca in maniera profonda anche la coscienza degli individui e il loro modo di concepire la vita collettiva.

Negli anni ’80, all’epoca dello scontro con gli Stati Uniti per la restituzione al padre del piccolo Elián González, Fidel Castro rilancia questo termine e dà impulso ad una serie di importanti misure, il cui scopo è quello di elevare il livello intellettuale dei cubani; tra queste cito lo sviluppo di un programma educativo volto ad estendere la preparazione universitaria, la creazione di un canale televisivo educativo (Universitad para todos), che si è mostrato molto utile in questa fase di confinamento per l’insegnamento a tutti i livelli, l’universalizzazione dell’università; quest’ultima, il cui scopo era quello di consentire l’accesso all’università di tutti i lavoratori sociali con l’aiuto dell’impegno volontario dei docenti, purtroppo non ha dato buoni risultati.

Successivamente, dopo il dissolvimento del blocco dell’est, e quindi con l’impossibilità di contrapporre il capitalismo ad un altro modello di società, il governo cubano decise di incrementare questa politica, passando da un atteggiamento difensivo ad uno aggressivo, colpevolizzando con insistenza l’attuale sistema economico-sociale dei gravi problemi con cui si deve confrontare l’umanità. In questo contesto nel 2003 si costituì ad opera di intellettuali cubani e messicani la Rete degli intellettuali in difesa dell’umanità, che ha avuto un illustre antecedente nell’Alleanza internazionale degli scrittori, il cui primo Congresso si tenne a Parigi nel 1935. La Rete è animata dalla volontà di opporsi alla barbarie, all’ingiustizia, a difendere la pace, la dignità umana e a preservare ciò che caratterizza l’essere umano in quanto tale.

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marx xxi

Socialismo o imperialismo europeo?

di Alessandro Pascale

Articolo pubblicato su Cumpanis.net nel settembre 2020. Disponibile in PDF su Academia

pascale cumpanisL'uscita dall'Unione Europea rappresenta un punto ineludibile non solo per i comunisti e i “sovranisti” (di qualsivoglia fatta) ma anche per le forze borghesi “realiste” e soprattutto per la stragrande maggioranza dei lavoratori e dei subalterni di questo paese. Una gran parte del popolo la pensa però diversamente, e pur mostrando ormai un'ampia diffidenza, ritiene ineludibile la permanenza nell'UE. Quali sono le loro ragioni? Raccogliendo i principali atteggiamenti socio-individuali sull'Europa, si possono costruire i seguenti ideal-tipi, che racchiudono modi di sentire presenti sia tra le classi dominanti che tra quelle dominate. Queste ultime per varie ragioni subiscono l'egemonia borghese, senza esserne pienamente consapevoli.

 

1) Gli "ingenui europeisti”

La prima categoria, facilmente identificabile, è quella che chiamerei gli “ingenui europeisti”, ossia coloro che rivendicano la bontà dell'esperimento europeo. “L'Europa ci ha dato prosperità e sviluppo, ha garantito 70 anni di pace, libertà e diritti umani”. Spesso tale tendenza è accompagnata da una sensibilità cosmopolita o da un'autodenigrazione nazionale che ritiene gli italiani incapaci di auto-governarsi a causa della dilagante corruzione, stupidità e incapacità che sarebbero insiti nel nostro DNA. Inoltre ci si richiama al percorso che ha ormai permesso di costruire un'identità europea, specie tra le giovani generazioni grazie a progetti come l'Erasmus.

Gli “ingenui europeisti” si dividono in due filoni: i “truffatori” e gli “ingannati”.

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marx xxi

Beirut Addio

di Marco Pondrelli

Questo articolo scritto dal direttore del sito Marco Pondrelli compare in contemporanea su ‘marx21’ e su Ragioni&Conflitti

PORTL'esplosione del 4 agosto al porto di Beirut ha provocato una vera e propria strage, ovviamente la politica e la stampa, italiane e non solo, sanno già chi sono i responsabili: i 'terroristi' di Hezbollah. Questa propaganda prolifera sulla scarsa conoscenza del Libano e di tutto il Medio Oriente (o Vicino Oriente). Quando si parla di politica internazionale queste posizioni sono la norma ma è solo grazie all'elargizione di luoghi comuni a piene mani che si possono fare affermazioni a dir poco azzardate come, ad esempio, definire l'Iran antisemita, dimenticando (o forse ignorando) quali sono le popolazioni semitiche e che, tolto Israele, la più grande comunità ebraica del Medio Oriente si trova in Iran, dove gli ebrei non solo godono di molti più diritti dei palestinesi ma sono anche presenti in Parlamento.

È necessaria quindi un'analisi che espunga questi luoghi comuni e che si basi sulla lettura della realtà e non su interpretazioni fantasiose.

 

Enigma Libano

Un bel film di Ziad Doueri, l'insulto, uscito nel 2017 racconta un processo in cui sono coinvolti un cristiano ed un rifugiato palestinese, è un processo che spacca il paese, perché viene a caricarsi di significati che vanno oltre la contesta fra due persone. È un film che rappresenta bene l'attuale Libano, un paese prostrato da infinite guerre.

Un piccolo excursus storico è il punto da cui partire per capire come quella che un tempo era conosciuta come la Svizzera del Medio Oriente sia ora persa in una durissima crisi: politica, economica e sociale.

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sinistra

Tra Italia e Bielorussia c’è di mezzo il mare (oceano atlantico)

di Massimiliano Bonavoglia

minsk belarus 1La Bielorussia è oggi nell’occhio del ciclone mediatico (occidentale). Sino a poco tempo fa molti manco sapevano esattamente dove fosse collocata geograficamente, ma dopo quelle deprecabili elezioni ora tutti finalmente sanno che laggiù, anzi lassù, la democrazia non è di casa.

Lasciamo per un momento questo argomento e andiamo dall’altra parte dell’Atlantico. La cosiddetta pandemia ancora in corso nel pianeta ha colpito duro anche gli USA. La FED ha stampato trilioni di dollari su ordine di Trump, si sono dati sussidi a fondo perduto come non mai nella storia americana, enorme ossimoro per il Paese più capitalista del mondo, gesto voluto da un presidente repubblicano, liberale e molto ricco di suo, il 2020 è un anno che troverà ampio spazio nei libri di storia dei prossimi secoli. Il PIL americano è calato, la disoccupazione è esplosa, i volumi nei mercati sono scesi, ma gli indici azionari, dopo un grande tonfo sono risaliti. Che sta succedendo? Proprio quest’anno, i colossi multinazionali si sono arricchiti in modo impressionante, come mostra un recente articolo di Forbes:

(https://www.forbes.com/sites/niallmccarthy/2020/06/22/us-billionaire-wealth-surged-since-the-start-of-the-pandemic-infographic/#5e03e8643f8b)

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mondocane

Lukashenko “come Videla”

Il grande blob: odio, paura, menzogna

di Fulvio Grimaldi

Rivoluzioni colorate, la pandemia vera

demo MinskOgni volta che ti trovi dalla parte della maggioranza, è il momento di fermarsi e riflettere”. (Mark Twain)

Cercate su Google un’immagine dei 65mila (3000 per i nostri media) che l’altro giorno hanno manifestato per Lukashenko inalberando bandiere rossoverdi (quelle sovietiche). A fatica ne troverete una. Ma ne troverete tantissime con le bandiere biancorosse, quelle del dopo-URSS, di altre migliaia di manifestanti (milioni per i nostri media). Quelle pro-USA e pro-UE. Le uniche viste sui giornali e in tv. E’ la stampa, bellezza.

 

Badanti

Finora non se n’erano mai viste. A pulire le terga degli anziani non autonomi, a stramazzarsi a lavare scale e cantine, a spingere carrozzelle con vecchi e disabili, a procurare e procurarsi documenti fino alle sevizie e all’esaurimento nervoso, a essere imputati di untorame slavo da Coronavirus, a farsi pagare cinque euro/ora per spazzare una casa da cima a fondo, o svellere uva dai tralci, ad avere come unico momento di tregua e di socialità, in mancanza di figli o dei vecchi rimasti in patria, la panchina al parco con le sorelle della deportazione, ci avevamo le moldave, le ucraine, le bulgare, le rumene, le polacche, qualche russa. Se va male, per strada, a volte nelle “case”.

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mondocane

Beirut come Belgrado, Kiev, Teheran, Bengasi, Damasco

Minsk come Caracas, Roma come allora. Anzi, peggio

di Fulvio Grimaldi

rivoluzione colorataI “comunisti” neocon del Terzo Millennio e i loro “rivoluzionari”

In prima pagina, con esaltata gigantografia, titolo e occhiello che un giornale, con la tracotanza di chiamarsi “quotidiano comunista”, dovrebbe dedicare all’ottobre 1917 di Leningrado, al luglio 1789 di Parigi, al gennaio 1959 dell’Avana. E, invece, confermandosi organetto dei neocon globali, sussidiato da pubblicità turbocapitaliste e, indecentemente, da cittadini ignari depredati per questo scopo dallo Stato, celebra in tal modo il contrario di quanto chiedevano le lotte di massa in quegli eventi emancipatori.

Le rivolte in cui il giornale, peggio mimetizzato da indipendente, o di sinistra, si riconosce sono altre. Tutte di destra estrema. Quelle i cui fili dipartono dalla Vedova Nera, il mostro letale che fa tessere la sua tela a Langley, Wall Street, Pentagono, Bilderberg, Davos. Parliamo dei “rivoluzionari libici”, così omaggiati da Rossana Rossanda, dei vari “colorati” alla Otpor, dei “ribelli democratici” di Hong Kong o Portland, di “Black Lives Matter”, Me TooI e affini. E, si parva licet, delle nostrane Sardine, anch’esse fasulle e dunque di vita brevissima, rispetto a quella dei nobili pesci di cui avevano usurpato il nome.

Il modo più facile per riconoscerli è l’uniformità degli slogan, l’attrezzatura logistica omogenea e immediata, la violenza estrema e indistinta nella ricerca del caos, lo sfruttamento di rivendicazioni popolari mutate, su ordine della Cupola, in regime change attraverso il depistaggio su obiettivi che i militari chiamano “falsi scopi”. Immancabili il plauso unanime di tutta la propaganda finto-giornalistica del globalismo, il finanziamento da centrali occulte, ma per niente oscure, tipo Open Society di Soros, Fondazione Ford, Fondazione Rockefeller, National Endowment for Democracy e tante altre.

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lordinenuovo

Bielorussia: un futuro complesso tra due imperialismi in lotta tra loro

di Redazione

S Tikhanovskaya 768x461Le elezioni in Bielorussia hanno portato alla riconferma per la sesta volta consecutiva del presidente uscente Aleksandr Lukašenko, rieletto con l’80,23% dei voti.

È opportuno precisare subito che il presidente bielorusso non è un comunista, ma un “paternalista autoritario”, fautore di “un’economia di mercato socialmente orientata”. Nel 1994, anno della sua prima elezione, basò la sua campagna elettorale su un programma di lotta alla corruzione dilagante negli apparati statali e di introduzione di riforme di mercato e di privatizzazioni meno selvagge che nelle altre repubbliche ex-sovietiche.

Successivamente ha più volte ribadito la necessità di favorire e accelerare la destatalizzazione dell’economia, pur mantenendo il controllo pubblico dei grandi monopoli strategici, organizzati in forma di società per azioni, cioè di imprese capitalistiche, in cui lo stato viene ad assumere il ruolo di “capitalista collettivo”: una cosa ben diversa dalla proprietà socialista. Non stiamo parlando, quindi, di un’economia socialista pianificata, ma di un tipo di gestione della restaurazione dell’economia di mercato in maniera meno selvaggia che altrove. Un capitalismo di stato che, tuttavia, ha permesso alla Bielorussia di ottenere una buona performance economica, con la disoccupazione allo 0,5% (percentuale ben più bassa che negli USA e in tutti gli stati europei), il PIL pro capite più alto tra tutte le repubbliche ex-sovietiche, un apparato produttivo solido e funzionante per il 50% ancora nelle mani dello stato, un welfare molto più sviluppato che in altri paesi, una sanità efficiente ereditata dall’Unione Sovietica e un tenore di vita discretamente elevato. Sono queste le ragioni del relativo consenso di cui gode Lukašenko tra la popolazione.

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contropiano2

Libano: il collasso del neo-liberalismo e la prima tappa della nuova guerra fredda

di Rete Dei Comunisti

Libano botteLunedì 10 agosto il governo libanese si è dimesso a fine giornata, sei giorni dopo l’esplosione che ha devastato il porto ed il centro di Beirut ed al terzo giorno consecutivo di proteste popolari.

L’esecutivo uscente con a capo Hassan Diab era in carica da gennaio dopo le dimissioni di Saad Hariri lo scorso ottobre che erano state provocate da inedite mobilitazioni popolari per la storia recente del Libano.

Lo scorso sabato il premier nel tardo pomeriggio aveva promesso che lunedì avrebbe chiesto “elezioni anticipate”, chiarendo che sarebbe potuto rimanere in carica “per due mesi” cioè il tempo necessario affinché le forze politiche si fossero accordate per tale fine.

Ma l’effetto domino delle dimissioni “a catena” di vari ministri, la pressione popolare e le non poche interferenze straniere hanno spinto per la scelta delle dimissioni “in toto”, aprendo una fase di “vuoto politico” in una situazione sull’orlo della bancarotta economica e con classe dirigente delegittimata.

Per comprendere la situazione che si sta sviluppando nel “Paese dei Cedri” è indispensabile capire come questa sia diretta conseguenza di un modello di sviluppo al capolinea, di un sistema politico che ha portato il Libano ad essere uno “Stato Fallito”, con il concorso dell’Occidente così come delle petrol-monarchie del Golfo.

Il sistema politico di stampo confessionale sostanzialmente tuttora vigente sorto dopo la Seconda Guerra mondiale sulle ceneri del colonialismo francese, è stato costruito più in una logica di spartizione di potere tra notabili delle comunità principali, piuttosto che sulla necessità di dare rappresentanza a tutte le componenti della popolazione del complesso mosaico etnico-confessionale.

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contropiano2

La proiezione internazionale della Cina nello stallo degli imperialismi

di Paolo Beffa e Lorenzo Piccinini

cina stallo imperialismiIn questo articolo presenteremo una breve ricostruzione della storia della proiezione internazionale della Repubblica Popolare, per poi ripercorrere come il recente protagonismo cinese stia venendo interpretato in occidente, in particolare riguardo alle teorizzazioni di un “imperialismo” cinese.

Infine abbiamo tradotto e pubblichiamo un articolo dello studioso zimbabwiano Sam Moyo su un aspetto specifico della proiezione internazionale cinese: Prospettive riguardo le relazioni Sud-Sud: la presenza cinese in Africa.

 

1. Il contesto internazionale: lo stallo degli imperialismi

Ci troviamo ormai da decenni all’interno di una crisi sistemica del sistema sociale ed economico capitalista, che periodicamente si manifesta sotto forme diverse. Che sia come crisi finanziaria o, come stiamo vivendo in questi mesi, una crisi sanitaria globale che impatta in maniera più forte quei paesi che del libero mercato hanno fatto il proprio feticcio, la causa di fondo rimane la stessa: una disperata difficoltà a livello globale di valorizzazione degli investimenti, che spinge il capitale a cercare i profitti di cui disperatamente ha bisogno nella speculazione finanziaria, nella distruzione dell’ambiente naturale, nel saccheggio del patrimonio pubblico, nelle privatizzazioni barbariche e sregolate.

Con l’esaurirsi della spinta data dalla mondializzazione avviata dopo la caduta del muro di Berlino, questa sempre maggiore difficoltà alla valorizzazione sta portando sempre di più ad una competizione internazionale tra macro-blocchi che si fa sempre più accesa (vedi per un’analisi più approfondita http://lnx.retedeicomunisti.net/2020/01/21/dazi-monete-e-competizione-globale-lo-stallo-degli-imperialismi-3/).

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mondocane

Beirut: chi, cosa, dove, quando, perchè

Basta riavvolgere il filo

di Fulvio Grimaldi

Beirut fumo“La fiducia dell’innocente è lo strumento più utile al bugiardo” (Stephen King)

Disinformare evitando il contesto

Clicca qui per vedere l'intervista fattami da Edoardo Gagliardi di Byoblu (aprire con CTRL e clic sul link), a poche ore dalle due esplosioni che il 4 agosto hanno distrutto il porto di Beirut, ucciso circa 150 persone, ferito altre 5000 e devastato gran parte della capitale libanese. Qui si tratta di un primo giro d’orizzonte lungo le domande che, codificate un tempo dalla stampa anglosassone, un qualsiasi cronista dovrebbe porsi. Le risposte dovrebbero inserire il fatto con le sue coordinate nel suo contesto ambientale, politico, geopolitico, temporale, storico. Un’abitudine da lungo tempo persa, o piuttosto abbandonata, dalla stragrande maggioranza della stampa nazionale e occidentale, che, in omaggio agli interessi dei suoi editori e referenti politico-economici, preferisce fornire le risposte da costoro richieste. Avendo attraversato più di mezzo secolo di pratica giornalista per un notevole numero di testate stampa, radio e televisive, sono testimone di questo trapasso.

 

Libano, la preda negata

E ho potuto anche essere testimone di ciò che è culminato ora a Beirut: una storia dei popoli arabi che, liberatisi dal gioco coloniale europeo, da quel momento subiscono la ritorsione, via via più feroce e letale, degli ex-colonialisti, dei quali hanno preso la guida due nuove presenze innestate in Medioriente, Usa e Israele.

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resistenze1

Marxismo senza socialismo, socialismo senza marxismo

di Greg Godels

7d67a3c7c87129c52fa2934291f8b660 soviet art soviet unionNegli Stati Uniti è appena iniziata una crisi inedita e multiforme, e sarebbe lecito attendersi che i nostri acuti pensatori cogliessero l'occasione per offrire risposte coraggiose e originali. Di fronte alla reazione popolare di rifiuto del razzismo, all'infuriare di un virus che semina morte, alla catastrofe del sistema bipartitico e a quella che è soltato la prima ondata di un disastro economico senza precedenti, saremmo indotti a sperare nella formulazione di soluzioni radicali, in grado di rispondere a sfide altrettanto radicali.

Al contrario, molti dei più influenti pensatori della sinistra statunitense ci stanno propinando del tè annacquato - un'improbabile serie di risposte tiepide, trite e scontate. Dopo le micidiali purghe anticomuniste attuate negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, i movimenti dei lavoratori, per la pace, per l'eguaglianza razziale e delle donne e per la giustizia economica sono stati incatenati a forza alle ideologie anarchica, liberale e socialdemocratica. Di conseguenza, il «marxismo» anticomunista occidentale può entrare nel dibattito soltanto se depurato da qualsiasi aspirazione al socialismo. E di socialismo si può discutere soltanto prescindendo dalle idee fondamentali di Marx e Lenin.

Il «marxista» forse più noto negli Stati Uniti è il professor Richard D. Wolff. Nel corso della sua carriera ha contribuito attivamente a far conoscere Marx e il marxismo. È il punto di riferimento scontato a cui si rivolgono i media quando sono in cerca di un «marxista» accessibile ed eloquente. Purtroppo, non sempre notorietà e accessibilità costituiscono una garanzia di chiarezza o di una visione coraggiosa.

Il professor Wolff ravvisa giustamente nel momento attuale - questa inedita combinazione di disastri biologici, economici, sociali e politici - un'occasione irripetibile di cambiamento. In un recente articolo (How Workers Can Win the Class War Waged Against Them, Counterpunch, 19-6-2020), Wolff offre una breve ma attendibile ricapitolazione degli eventi essenziali che hanno condotto al momento attuale, sottolineando il ruolo fondamentale della classe operaia per il suo superamento.

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lantidiplomatico

"Venezuela e guerra in Siria sono fondamentali per individuare i pacifinti"

Geraldina Colotti intervista Massimo Zucchetti

22fb87e7c470b8e91600bb3e87708c5eMassimo Zucchetti è un ingegnere nucleare italiano che ha al suo attivo una impressionante quantità di pubblicazioni specialistiche, ma anche militanti. Infatti, quando firma i suoi articoli che coniugano la precisione dei dati con una visione radicale e controcorrente rispetto alla subalternità culturale che di solito abita il mondo accademico italiano, si definisce “scienziato, comunista, disordinatore delle narrazioni tossiche del potere”.

* * * *

Che significa, Massimo, questa definizione? Qual è stato il tuo percorso professionale e come si è intrecciato con l’impegno politico?

Mi sono laureato in ingegneria nucleare magna cum laude nel 1986, ma, un mese dopo: ecco il disastro di Chernobyl! Un decennio prima, al liceo, divenni anarchico leggendo “In his own write” di John Lennon: niente Bakunin o Kropotkin, niente laurea in scienze politiche su Marcuse, purtroppo non tutti hanno nobili origini come i Grandi Padri Fondatori della Sinistra Intellettuale. L’abitudine alle discipline tecniche mi ha lasciato il colpo d’occhio e l’intuizione per capire quando dietro una bella narrazione si nasconda il nulla montato a neve, come d’uso nella sinistra, oppure si celino depositi ideali di liquami tossici e fecali, come di norma nel centro-destra-sinistra di governo. Questa specie di talento è un dono di natura e, sebbene io sia ateo, ritengo sarebbe un peccato non metterlo a frutto, un po’ come nella parabola dei talenti, appunto. Da qui discende il mio impegno come anarco-comunista, scienziato contro la guerra, ambientalista. Sono un professore universitario da ormai un trentennio, ma non sono democristiano.

 

Tu insegni anche in una prestigiosa università statunitense. Come valuti le due esperienze, come funziona negli USA?

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contropiano2

Gli Usa sono fottuti, parola di finanziere

di Claudio Conti

In calce un intervento di Maurizio Novelli

usa fottutiDare un’occhiata a quel che pensano e scrivono gli “operatori sul mercato” (finanzieri, ossia “investitori professionali”) è sempre molto interessante. Permette infatti di vedere cosa c’è al di sotto dell’oceano di pessima informazione depistante che sgorga dai media mainstream.

Per la terza volta ci ha colpito l’analisi di Maurizio Novelli, del fondo di investimento svizzero Lemanik, che con grande disinvoltura elenca problemi del capitalismo attuale senza troppi giri di parole né rassicurazioni consolanti per i non addetti ai lavori.

Il titolo, anche stavolta su Milano Finanza, è decisamente “acchiappesco”: Perché è il momento di vendere Usa allo scoperto.

Le “vendite allo scoperto” sono una tecnica di mercato finanziario con cui si vendono titoli (azioni, bond statuali o aziendali, prodotti derivati, ecc) che non si possiedono. Come si fa? Ce li si fa “prestare” a termine prefissato, con la garanzia di restituirli al prezzo che avranno a quella scadenza.

Di fatto, una volta avuti li si vende massicciamente al prezzo di oggi, quindi si provoca un’offerta esagerata di quei titoli sul mercato, dunque un abbassamento drastico del loro prezzo in modo da resituirli avendoci guadagnato la differenza tra il prezzo attuale e quello futuro abbassato scientemente.

Speculazione pura, certo, ma dagli effetti molto reali.

Ma perché un finanziere svizzero (di lingua italiana) è pronto a speculare su titoli statunitensi di ogni tipo manco fossero i Cct italiani ai tempi della lira?