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lafionda

La trinità dell’austerità

di Antonio Semproni

inequality.jpgSe si raffigura il capitalismo come un organismo complesso, è consequenziale intendere il neoliberismo come il suo modus vivendi ottimale e l’austerità come il suo sistema immunitario. L’austerità è infatti, come insegna Clara E. Mattei nei suoi “Operazione austerità. Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo” (Einaudi, 2022) e “L’economia è politica” (Fuori Scena, 2023), un insieme di politiche volte alla salvaguardia dei rapporti di produzione capitalistici e atte a costringere il popolo a produrre di più e a consumare di meno; le misure di austerità sono propugnate da caste di economisti neoclassici, che mirano a condizionare la politica economica perseguita entro l’ordine politico e, quando riescono in simile intento, giungono a costituire una vera e propria tecnocrazia. “Produrre di più” implica accrescere la quota di plusvalore destinata al capitale, soprattutto quando questo imperativo è collegato a quello di “consumare di meno”, che presuppone il contenimento salariale e mira in ultima analisi a garantire la stabilità dei prezzi e dunque a evitare spirali inflative, così da garantire profitti ai risparmiatori-investitori. Si noti come il “produrre di più” è strumentale a garantire i profitti di chi investe in (e movimenta) capitale di rischio, cioè è titolare di azioni o comunque quote sociali, mentre il “consumare di meno” è funzionale a salvaguardare le rendite di chi investe in (e movimenta) capitale di debito, cioè obbligazioni (di Stato e non). Le misure di austerità incidono in tre distinti settori della politica economica: monetaria, fiscale e industriale.

L’austerità monetaria consiste in misure deflative (cioè di abbassamento dei prezzi) volte a rendere il denaro “caro” e l’accesso al credito difficoltoso: in pratica la banca centrale alza il tasso ufficiale di sconto, cioè il tasso al quale presta il denaro alle banche commerciali, provocando un innalzamento generalizzato dei tassi di interesse.

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eticaeconomia

Può la ricchezza crescere più della produzione? Ritorno su alcuni fondamentali

di Sergio Bruno

ricchezza scaledSergio Bruno riflette sull’incapacità delle teorie macroeconomiche di spiegare le crescenti diseguaglianze e l’aumento del peso relativo della ricchezza improduttiva e della liquidità. Solo adottando una prospettiva inter-temporale e ragionando criticamente sugli spunti di Keynes e Tobin è possibile cominciare a far luce sugli interrogativi posti da tali fenomeni, incompatibili con dinamiche di equilibrio, indicando come i deficit di bilancio sarebbero una risposta quasi necessitata al tesoreggiamento, che è il vero evento dannoso.

* * * *

La risposta alla domanda che compare nel titolo di questo articolo è: si, è possibile, è anzi un fatto divenuto vistoso da almeno un secolo. Segno che la ricchezza improduttiva cresce più della capacità produttiva, grosso modo correlata alla produzione.

Paradossale è solo che la ricchezza improduttiva non interessi molto le riflessioni sistemiche degli economisti.

L’enfasi sulla domanda di riserve liquide, posta da Keynes insieme a quella sul ruolo della domanda finale, avrebbe potuto aprire uno spiraglio. Purtroppo solo il ruolo della domanda ha cambiato “le vecchie idee”, quelle che Keynes considerava l’impedimento maggiore a più profondi cambiamenti di prospettiva. (“The difficulty lies not in the new ideas, but in escaping from the old ones, which ramify, for those brought up as most of us have been, into every corner of our minds”).

L’idea che Keynes non è riuscito a scalfire è che la moneta serva solo a finanziare le transazioni produttive e l’inflazione dei flussi delle merci prodotte.

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Un’analisi di tutto rispetto

di Laura Baldelli

Recensione del libro di Antonio Calafati L’uso dell’economia. La sinistra italiana e il capitalismo 1989-2022

joanna kosinska B6yDtYs2IgY unsplash.jpgNell’analisi dell’autore, critica del pensiero liberale, non troveremo le categorie e i termini marxiani come coscienza di classe, conflitto di classe, imperialismo. Non si mette in discussione il capitalismo, né il liberismo, bensì il neoliberismo del capitalismo sovrano che non vuole sottostare alle regole della democrazia. Il prof. Calafati contesta l’uso ideologico dell’economia politica, definito “una patologia mortale per la democrazia” e quindi per lui è consequenziale anche la condanna delle società del socialismo reale. Il saggio è affascinante come un romanzo, dove l’approccio storico e filosofico ci guida al pensiero di Adam Smith, di Friedrick Engels, di Alexis de Toqueville, di John Stuart Mill, di Joseph Alois Schumpeter per spiegare epoche ed eventi storici della società europea e della metamorfosi della Sinistra Italiana.

Il prof. Antonio Calafati è un economista urbanista. È stato docente universitario presso l’Università Politecnica di Ancona, facoltà di economia Giorgio Fuà, alla Friedrich-Schiller-Universitat di Jena e all’Accademia di Architettura di Mendrisio, inoltre ha coordinato l’International Doctoral Programme in Urban Studies a L’Aquila. È autore dei saggi come Città in nuce nelle Marche, scritto con Francesca Mazzoni per Franco Angeli ed. 2008, Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia” ed. Donzelli 2009, Città tra sviluppo e declino (a cura di) ed. Donzelli 2013. La sua ricerca parte sempre dall’osservazione del mondo reale, con un approccio multidisciplinare, contrassegnata da una grande onestà intellettuale e libertà di pensiero, offrendoci una riflessione della storia recente del nostro Paese dall’’89 al ’22, con gli strumenti dell’economia, dell’urbanistica e della sociologia.

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kriticaeconomica

Un keynesiano “tecnologico”

L’economia politica di Luigi Pasinetti

di Stefano Lucarelli

L’economista italiano sviluppò la teoria di Keynes approfondendo l’importanza del progresso tecnico. E il suo contributo alla scienza economica resta fondamentale

29 febbraio 2024 lucarelli 1 683x1024.jpegLuigi Lodovico Pasinetti è stato uno dei più importanti economisti italiani. Il progetto teorico che ha caratterizzato il lavoro intellettuale di questo 'signore' appare molto distante dagli obiettivi di ricerca che oggi dominano nei dipartimenti di scienze economiche. Pasinetti aspirava infatti alla costruzione di un paradigma economico alternativo essenzialmente fondato sul fenomeno della produzione e del cambiamento tecnologico, in contrapposizione al paradigma prevalente basato essenzialmente sul fenomeno dello scambio e sulla scarsità delle risorse naturali1.

Nelle note che seguono cercherò di mettere a disposizione dei lettori alcuni elementi sostanziali che emergono da quei lavori di Pasinetti che, nella mia esperienza di insegnamento, rappresentano dei passaggi formativi imprescindibili2.

Come per Keynes, anche per Pasinetti i problemi economici principali che occorre risolvere in una economia monetaria di produzione sono l’incapacità a provvedere a una occupazione piena e la distribuzione iniqua della ricchezza e del reddito. Ma, a differenza di Keynes, egli non limita la sua analisi agli effetti dei cambiamenti della domanda finale sull’occupazione e sulla distribuzione della ricchezza. Pasinetti, infatti, approfondisce anche gli effetti che il progresso tecnico può avere sui principali problemi economici, nella convinzione che il processo di produzione industriale implichi una applicazione continuativa nel tempo dell’ingegno umano per l’organizzazione e il miglioramento dei processi produttivi.

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effimera

Questione meridionale: una questione di sviluppo?*

di Augusto Graziani

Pubblichiamo un inedito di Augusto Graziani nel decimo anniversario della sua morte sulla cd. “questione meridionale” Il testo viene accompagnata da una prefazione di Francesco Maria Pezzulli, che ha scoperto la registrazione dell’intervento, e da una breve postfazione di Andrea Fumagalli

Augusto Graziani.jpgPrefazione di Francesco Maria Pezzulli

Questo testo inedito di Augusto Graziani è particolarmente utile perché vi è riassunto il suo punto di vista, in modo semplice e dialogico, su una delle tematiche che lo ha accompagnato per tutta la vita: la questione meridionale. Oserei dire che in queste poche pagine, oltre alla competenza scientifica del grande economista, emerge anche una sua positiva “classicità”. Graziani comincia la sua discussione con gli studenti ricordando loro, fatemela passare, che lui è un economista di sinistra, che ha abbracciato cioè quel principio secondo il quale, con Marx, sono le condizioni d’esistenza delle classi sociali che condizionano le loro dimensioni culturali e che dunque queste due cose vanno tenute insieme se si vogliono intendere per davvero le dinamiche di cambiamento. Ma parlando agli studenti, in modo sornione e divertito, si rivolgeva anche ai sociologi ed agli economisti del Mezzogiorno presenti, ai quali, prendendoli un pò in giro, gli rimproverava di aver dimenticato questo dato scientifico e politico essenziale. Con le sue parole: «gli economisti, e qui torno al mio peccato originale, non solo si muovono terra-terra ma sono anche colpevoli di un peccato di ambizione e cioè ritengono che il progresso della ricchezza materiale (della produzione, dei consumi individuali e collettivi) sia alla base, e che tutto il resto (lo sviluppo della cultura, della civiltà, dello spirito di convivenza e di tutte le altre virtù sociali che potete elencare) sia una conseguenza. Si potrebbe riassumere dicendo che per un economista la povertà è una cattiva consigliera, mentre la ricchezza apre la strada al progresso anche culturale e sociale».

Per Augusto Graziani la questione meridionale è stata sempre e soprattutto un problema concreto di rottura con il passato, con ciò che un tempo venivano definiti “residui feudali” delle società sottosviluppate. Ed è innegabile che tali residui fossero presenti nel Mezzogiorno e che, sotto certi aspetti, lo sono ancora oggi.

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officinaprimomaggio

Profitti reali ed eresie immaginarie

di Giacomo Cucignatto, Lorenzo Esposito, Matteo Gaddi, Nadia Garbellini, Joseph Halevi, Roberto Lampa, Gianmarco Oro

Una risposta a Problemi e contraddizioni del capitalismo negli anni del ritorno dell’inflazione di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri

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Gli autori del volume L’inflazione: falsi miti e conflitto distributivo hanno risposto alla recensione di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri

Diamo spazio alle loro argomentazioni perché ci sembra interessante poter guardare da vicino un dibattito su temi economici spesso lasciati alla sola disputa tra esperti. Sempre più sentiamo la necessità di riflettere su proposte di politica economica che vengano però da una prospettiva di classe e in conflitto con le sfide poste dal capitalismo contemporaneo.

 

Premessa

Sono contro le discussioni astratte. Il marxismo ci richiama sempre al concreto
(G. Lukács, 1968)

Quando abbiamo deciso di scrivere L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo il nostro obiettivo era quello di preparare il materiale didattico per un corso di formazione sull’inflazione rivolto a funzionari e delegati sindacali. In particolare, ci premeva chiarire alcuni punti di carattere generale e avanzare un’analisi dell’esplosione della dinamica dei prezzi nel 2022-2023. Scopo del corso era quello di fornire ai lavoratori e ai loro rappresentanti strumenti per rispondere concretamente al crollo dei salari reali.

Dopo le prime giornate di inizio marzo – a Milano, Mestre e Bologna – il corso è stato replicato una ventina di volte in svariati contesti territoriali, e altre “repliche” sono in preparazione.

Si è trattato di uno sforzo realmente collettivo: sebbene ciascuno di noi abbia partecipato direttamente alla stesura di uno o più capitoli, la struttura del volume e i contenuti di ogni saggio sono stati discussi e condivisi collettivamente, e dunque il contenuto di ciascun capitolo è da attribuire a ciascuno di noi.

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kriticaeconomica

Guerre teoriche? No, meglio interrogarsi sulle sfide dell'economia

Bisogna partire dalle idee che guidano la politica economica

di Roberto Romano

Continua il dibattito sull'insegnamento dell'economia neoclassica. Dal Pil potenziale al tasso naturale di interesse, i concetti possono essere riempiti in modo diverso a seconda dell'approccio teorico. Per Roberto Romano è più importante coltivare questa consapevolezza che cercare di delegittimare gli approcci mainstream

caffe libreria tagliata 801x1024.jpgDobbiamo smettere di insegnare l’economia neoclassica, come si sono chiesti Rochon e Rossi in un recente intervento su queste pagine? È una domanda retorica e forse inutile, sebbene lecita. Non appena si affaccia una sconfitta delle idee più o meno socialiste, ci domandiamo se la scienza mainstream debba avere ancora diritto di cittadinanza1. In realtà, sarebbe più comprensibile questa domanda: siamo all’altezza delle grandi sfide sociali, culturali, scientifiche, economiche e teoriche che attendono l’umanità?

* * * *

La ricerca economica è pervasa da troppi cliché, dalla necessità di pubblicare su riviste di classe A, da un bisogno spasmodico di penetrare ogni intercapedine della produzione di sapere. Tanto che, siamo onesti, si è persa la voglia di capire e comprendere il suo vero oggetto: la società. Perché non riprendiamo a studiare il mondo per come funziona realmente? Perché non ci facciamo più le domande di senso? Perché l’economia è uscita dal suo alveo naturale di scienza sociale?

Spesso mi sono posto domande su concetti come il Pil potenziale, la domanda effettiva e il tasso naturale di interesse. Ho cercato la risposta leggendo gli autori che, a torto o ragione, consideriamo autorevoli da entrambi i lati della “barricata”. Ma se mettiamo in una stanza dieci di questi autori, sono altrettanto certo che possiamo uscirne con più di dieci ipotesi di lavoro o proposte di soluzioni.

Che cosa si nasconde dietro questa incertezza? Il capitalismo è un modo di essere delle società che non si distrugge nelle crisi, ma evidentemente si trasforma e, una volta trasformato, dà luogo a una nuova cultura capitalistica e a nuovi rapporti tra il capitale, lo Stato e gli stessi capitalisti2.

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officinaprimomaggio

Zwischen den zeiten. Problemi e contraddizioni del capitalismo negli anni del ritorno dell'inflazione

di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri 

Recensione al volume L’inflazione: Falsi miti e conflitto distributivo, Edizioni Punto Rosso

pastello carrelli.pngDiamo spazio a una densa recensione di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri al volume L’inflazione: Falsi miti e conflitto distributivo.
Ci sembra infatti utile cercare di approfondire questioni economiche che troppo spesso restano appannaggio di una ristretta cerchia di specialisti, ma ancora più sentiamo la necessità di riflettere su proposte di politica economica che vengano però da una prospettiva di classe e in conflitto con le sfide poste dal capitalismo contemporaneo.

Di seguito una sintesi della recensione scritta dagli stessi autori.

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Il saggio che qui si presenta dialoga con le tesi contenute in L’inflazione: Falsi miti e conflitto distributivo, edito quest’anno da Edizioni Punto Rosso e contenente saggi di vari autori. Il volume si pone il compito urgente, e con cui non possiamo che concordare, di comprendere i fattori alla base della recente fiammata inflazionistica. Si intende farlo dal punto di vista del mondo del lavoro, armati di una coscienza teorica critica in grado di demistificare le narrazioni dominanti e di svelare i conflitti sociali dietro l’apparente neutralità dell’economico.

Lo scritto è diviso in sette parti. Nella prima, si ricostruisce il contesto all’interno del quale il ritorno dell’inflazione è venuto a manifestarsi fin dal 2021. Si dà brevemente conto dello scenario macroeconomico seguito alla pandemia e all’invasione russa dell’Ucraina. Gli effetti dei lockdown sono stati dirompenti sulle catene transnazionali del valore: aggravati dalle politiche fiscali e monetarie negli Stati Uniti e in Europa, così come dal tentativo dell’Unione Europea di ridurre drasticamente la propria dipendenza dalle importazioni di gas metano proveniente dalla Russia.

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kriticaeconomica

Dobbiamo smettere di insegnare l'economia neoclassica?

Perpetuarla non aiuta gli studenti

di Louis-Philippe Rochon, Sergio Rossi

keynes1200 1024x538.jpgDobbiamo insegnarla, ma solo per confutarla, per rendere gli studenti consapevoli di ciò che vi è di sbagliato ed estraneo al funzionamento dei mercati. Occorre fare una distinzione: se è vero che i mercati non seguono le leggi dell'economia neoclassica, il mondo è però dominato dalla sua pratica. Gli specialisti del governo, i politici, i banchieri e i professori preferiscono ignorare questa linea di separazione. Ma sono proprio questa consapevolezza e questa distinzione che dobbiamo insegnare ai nostri studenti.

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Ci sono molti articoli, blog e libri che criticano l'economia neoclassica - l'economia "volgare" - e che mettono in luce i suoi numerosi fallimenti. L'elenco è troppo lungo per discuterli tutti in questa sede, ma è abbastanza facile trovarli elencati nel canone della letteratura post-keynesiana ed eterodossa.

Autori come Paul Davidson hanno messo ripetutamente in discussione il realismo delle ipotesi neoclassiche, che non sono una descrizione adeguata del "mondo reale". Altri ancora, come Vicky Chick, hanno lamentato i difetti metodologici dell'economia neoclassica e la sua dipendenza dall'individualismo atomistico, dalla convergenza all'equilibrio, da meccanismi di autoregolazione e simili. Per alcuni, l'economia neoclassica "è morta", come sostiene Steven Klees, dell'Università del Maryland.

Eppure, una rapida occhiata a quasi tutte le riviste e ai dipartimenti universitari conferma che l'economia neoclassica non è morta, anzi. Essa prospera nei dipartimenti universitari ed è ancora considerata l'unica opzione disponibile, nonostante l'ascesa di punti di vista alternativi, come la Modern Money Theory, o di idee eterodosse che lentamente si insinuano negli approcci tradizionali.

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economiaepolitica

Le banche tra finanziamento e finanziarizzazione

di Stefano Figuera, Andrea Pacella

Educazione finanziaria 2022 scaled 1 2048x1366.jpg1. Introduzione

A quarant’anni dalla pubblicazione del saggio di Augusto Graziani “Moneta senza crisi” che costituì un passaggio fondamentale nell’elaborazione della teoria monetaria della produzione, il contributo teorico dell’economista napoletano continua ad essere un imprescindibile punto di riferimento per la comprensione del funzionamento dell’economia capitalistica in quanto economia monetaria. Di fronte ai rilevanti mutamenti registrati dalla struttura finanziaria, la teoria monetaria della produzione si conferma come un importante strumento di analisi.

Ponendosi in tale prospettiva, il presente contributo si propone di offrire elementi per una lettura dell’evoluzione del ruolo del sistema bancario. Preziosa è, a tal fine, la distinzione tra finanziamento della produzione, finanziamento degli investimenti e finanziamento dell’economia teorizzata da Graziani.

 

2. Una visione circuitista del finanziamento

Un passaggio nodale della teoria monetaria della produzione è rappresentato dalla separazione tra settore delle banche e settore delle imprese. Da esso deriva la centralità del finanziamento e l’origine endogena della quantità di moneta che circola nel sistema economico.

“Il settore bancario (banca centrale più banche di credito ordinario) produce moneta ma non la utilizza; il settore delle imprese utilizza moneta ma non la produce. Quando si afferma che l’impresa impiega denaro per ricavarne maggior denaro, si intende quindi che l’impresa impiega denaro a prestito dal settore bancario. Ecco perché il primo atto del processo economico è un atto di finanziamento, mediante il quale il sistema delle banche crea mezzi di pagamento (o crea credito, come avrebbero detto Wicksell e Schumpeter) e li dà a prestito al sistema delle imprese, il quale si impegna a restituirli con la maggiorazione dell’interesse pattuito”.

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Esoterismo e politica economica

di Roberto Artoni

Stregoni dei conti300.jpgLe decisioni sono soggette ad ampi margini di discrezionalità per l’inosservabilità di molti parametri che ne dovrebbero essere la base. E’ comunque illusorio definire le scelte con il ricorso a modelli e relative stime econometriche che per la loro molteplicità e indeterminatezza non possono che far emergere nell’adozione di specifiche politiche presupposti collocabili fra l’ideologico e il prescientifico.

* * * *

1 - Le scelte di politica economica sono caratterizzate da un notevole grado di esoterismo: la stragrande parte della popolazione ritiene più o meno consciamente che esista una verità univocamente definita, penetrabile solo da pochi sacerdoti e non acquisibile dai profani.

L’esempio, a mio giudizio tipico, è costituito dalle manovre dei tassi di interesse attuate da Federal Reserve e Banca Centrale Europea al fine di controllare il tasso d’inflazione, riportandolo al valore obiettivo. Conviene premettere che il tasso di interesse manovrato dalle autorità monetarie è costituito dal tasso di rifinanziamento principale, ovverosia dal tasso che le banche devono corrispondere all’ECB quando prendono a prestito a breve termine.

 

2 - Nell’interpretazione delle manovre di politica monetaria delle banche centrali, è ricorrente nei testi di politica economica la cosiddetta regola di Taylor [Storm 2023], che ha a prima vista un aspetto non accattivante, ma è facilmente intellegibile:

i = p +r* + a(p –p*) +b (y – y*)-

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moneta e credito

Salvatore Biasco e l’instabilità dell’economia mondiale nella prospettiva dei “cicli valutari”

di Daniela Palma

salvatore biasco.pngAbstract: Con il saggio su “I cicli valutari e l’economia internazionale” di fine anni Ottanta (1987), Salvatore Biasco avvia una importante riflessione teorica sul regime di fluttuazione dei cambi, confutando sulla base di un approccio keynesiano la validità dei modelli di determinazione del tasso di cambio ispirati ai principi di efficienza dei mercati finanziari. A partire da un quadro analitico di determinazione su base finanziaria del tasso di cambio nel quale le scelte di portafoglio degli operatori internazionali avvengono in condizioni di incertezza e di razionalità limitata, l’analisi mette in luce come la finanza speculativa di breve periodo amplifichi i movimenti della fluttuazione, provocando squilibri strutturali dell’economia reale, che retroagiscono sulla dinamica del cambio e concorrono a destabilizzare il quadro macroeconomico. Su questa linea interpretativa l’analisi di Biasco approda successivamente a una lettura del disequilibrio economico che ha caratterizzato la dinamica dello sviluppo mondiale fino al culmine della crisi finanziaria internazionale del 2007-2008, sottolineando il ruolo del dollaro, in quanto valuta di riferimento del sistema monetario internazionale, e il contributo dell’instabilità dei mercati valutari alla crescente fragilità finanziaria che ha investito l’economia capitalistica.

* * * *

Quando nel marzo del 1973, sotto i colpi della speculazione, il sistema di Bretton Woods dei cambi fissi andò definitivamente in crisi ed ebbe inizio il regime della fluttuazione,

non si avevano [di quest’ultimo] che vaghe nozioni a priori. Per gli stessi libri di testo di economia internazionale la fluttuazione era solo un’occasione di esercizio logico […]. Si pensava che il movimento dei cambi avrebbe corretto automaticamente gli squilibri che il vecchio sistema delle parità fisse lasciava accumulare. Apparentemente i cambi si muovono per riportare l’equilibrio, ma il loro stesso movimento muta all’interno e all’esterno le condizioni dell’equilibrio. Esso viene continuamente inseguito; viene raggiunto spontaneamente solo dopo lungo tempo e dopo mutamenti spesso intollerabili” (Biasco, 1985, p. 114).

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Il marxismo-keynesismo di Giovanni Mazzetti: una proposta per uscire dalla crisi

di Lorenzo Palaia

marx keynes capitalismo 2014.jpgL’ esegesi e la sintesi tra il pensiero di Marx e quello di Keynes, per mano del già professore di economia presso l’università della Calabria Giovanni Mazzetti, non costituiscono un’oziosa operazione speculativa ma vogliono rispondere ai problemi concreti con cui la nostra società si trova a confrontarsi quotidianamente, cruccio di tanti intellettuali: perché questa disoccupazione e stagnazione strutturali continuano senza soluzioni, nonostante i tanti tentativi di mettervi mano? Perché le nostre società dei paesi sviluppati sono in una crisi che, nonostante i tentativi di dissimulazione, non è affatto contingente e sembra non presentare sbocchi? L’immagine eloquente in quarta di copertina del libro di Mazzetti, Dieci brevi lezioni di critica dell’economia politica, pubblicato dal sempre attento e interessante editore triestino Asterios (con cui l’autore ha pubblicato diversi altri libri), raffigura un robot alla catena di montaggio che licenzia il lavoratore umano e ne prende il posto. Si tratta del problema epocale con cui economisti e sociologi si trovano a dover fare i conti, dai quali l’autore prende ad esempio alcuni argomenti tipici – tra gli altri le tesi di Riccardo Staglianò, Domenico De Masi e Yuval Noah Harari – per confutarne le diverse impostazioni finora adottate. Sintetizzando, potremmo dire che l’atteggiamento più errato è quello di chi non concepisce affatto il problema perché non ne vede la novità: per costoro, l’innovazione tecnologica si trova oggi a produrre ciò che ha fatto sempre, distruzione di posti di lavoro e creazione di nuovi; così il capitalismo si auto-riprodurrebbe sempre ponendo esso stesso le condizioni per uscire dalle crisi in cui si caccia, che sono dunque in ogni caso crisi congiunturali.

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coku

Saint-Simon, precursore di Keynes

di Leo Essen

credito 1220x600Andate a rileggere «Moneta e crisi» di Sergio Bologna, prendete questo testo del 1974 – dice Negri nel 78 – e ci troverete tutto ciò che è Autonomia Operaia.

Cosa fa Bologna in questo testo? Inizia la decostruzione – sacrosanta – della differenza tra capitale industriale e capitale finanziario.

In Lotte di classe in Francia, Marx definisce l’aristocrazia finanziaria come la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese, e, dunque, gli attribuisce tutte le caratteristiche del Lumpen (arretratezza, parassitismo, furto, infamia, eccetera).

In questo giudizio storico, dice Bologna, si trova tutto il Manchesterismo di Marx. Si trova quella partizione tra lavoro produttivo (industriali e proletari) e lavoro improduttivo e parassitario (finanza e sottoproletariato – e attaché di Stato).

Nel 50 Marx dice che l’aristocrazia finanziaria non esprime il momento core del capitale, ma solo un aspetto, per così dire, accessorio. Eppure, dice Bologna, nel 56 il punto di vista cambia e la banca diventa il punto di partenza per l’analisi dell’intera borghesia. Cos’è successo?

È successo che in Francia Emile e Isaac Péreire fondano il Crédit Mobilier e lanciano il socialismo bonapartista. Marx intuisce di trovarsi di fronte a un mutamento nei meccanismi di estrazione di plusvalore.

Bonaparte, dice Bologna, non poteva più contare su un controllo diretto dalla forza lavoro di fabbrica. Una classe operaia che aveva fatto il 48, dice, non si lasciava più sfruttare oltre certi limiti, pagare sotto certi limiti.

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acropolis

La Great Recession e la teoria delle crisi di Marx

di Andrew Kliman

Da Countdown vol. V/VI Studi sulla crisi, ed. Asterios

decontrol uwe fuhrmann phenomenal world jain family institute1. Introduzione

Perché si è verificata la Great Recession? Che cosa potrebbe, al limite, prevenire in futuro lo scoppio delle gravi crisi economiche del capitalismo?

La risposta alla prima domanda è semplice e piuttosto prosaica e sottolinea le diverse carenze di lungo periodo che hanno portato la crisi finanziaria del 2007-2008 ad innescare una profonda recessione nell’economia “reale” e ad un rallentamento prolungato una volta terminata ufficialmente la Great Recession.

Il saggio di profitto delle corporation statunitensi ha registrato una tendenza al ribasso per quasi tutto il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Il declino persistente della profittabilità ha portato ad un calo persistente del tasso di accumulazione del capitale (tasso di crescita degli investimenti nella produzione).

Ciò non deve sorprenderci; la creazione di profitto è ciò che rende possibile l’investimento produttivo di quest’ultimo e l’incentivo ad investire viene ridotto se la profittabilità diminuisce e le imprese non prevedono un futuro più roseo. Il declino del tasso di accumulazione ha portato, a sua volta, ad un calo del tasso di crescita della produzione e del reddito, ed il rallentamento della crescita è stato la causa fondamentale dell’aumento dell’onere del debito pubblico e privato (vale a dire, il debito come percentuale del reddito).

Un’altra causa importante della Great Recession è dovuta al fatto che il governo degli Stati Uniti e la Federal Reserve hanno tentato ripetutamente di gestire o invertire la caduta della profittabilità, degli investimenti e della crescita attraverso politiche fiscali e monetarie di stimolo che hanno avuto successo a breve termine ma che hanno esacerbato il problema del debito facendone aumentare l’accumulo.

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acropolis

Introduzione alla storia delle teorie sulla crisi

di Anwar M. Shaikh

Schermata del 2023 07 03 18 23 39Presentazione. La crisi e le teorie delle crisi è una raccolta monografica tratta delle teorie sulla crisi ed intende contribuire all’approfondimento di un tema che viene continuamente affrontato da molti ma con una superficialità disarmante. A grandi linee, quando useremo il termine “crisi” ci riferiremo ad un insieme generalizzato di fallimenti nel sistema delle relazioni politiche ed economiche della riproduzione capitalistica. Stando così le cose occorre riprendere un dibattito sulla crisi e le sue tipologie che nel corso del tempo si è sviluppato tra gli studiosi che hanno abbracciato la teoria generale di Marx e di coloro che hanno invece utilizzato il suo metodo per poter analizzare le dinamiche di una economia che, dopo il “miracolo” manifestatosi nel dopoguerra, manifesta regolarmente dei crolli alternati a fasi di ripresa sempre più asfittiche. Occorre ormai rassegnarsi allo stato comatoso in cui versa il modo di produzione capitalistico sul lungo periodo che è stato pesantemente peggiorato dal dramma della pandemia che non vogliamo intenzionalmente affrontare vista la miriade di articoli e studi caratterizzati dalle più svariate impostazioni.

Inizialmente la raccolta si apre con un vecchio articolo di Shaikh che riassume le posizioni più importanti delle teorie delle crisi espresse dalla scuola marxista, mentre Maniatis riprende tali teorie approfondendone la critica. L’intervento intitolato “Una critica alle tesi della finanziarizzazione delle imprese non finanziarie” di Francisco Paulo Cipolla e Paolo Giussani (l’ultimo lavoro che ha prodotto prima di venire a mancare) ha il pregio di criticare alla radice le tesi che imputano la crisi recente esclusivamente alla finanziarizzazione dell’economia ponendo al centro il fattore strutturale della crisi rappresentato dal declino permanente degli investimenti con una spiegazione adeguata.

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moneta e credito

Paolo Baffi: la moneta europea e “il crepuscolo degli esperti”

di Alberto Baffigi*

Paolo BaffiAbstract: Il lavoro affronta una questione centrale nella storia del pensiero economico: quella del rapporto fra teoria economica e scelte politiche. Lo fa studiando il pensiero economico di Paolo Baffi (1911-1989), Governatore della Banca d’Italia dal 1975 al 1979, còlto in un momento particolare della storia europea e italiana: quello che precede immediatamente l’avvio del Sistema monetario europeo (SME), nel 1978, e gli anni successivi. Sono i primi passi dell’integrazione monetaria europea. Il ruolo di Baffi nel negoziato sullo SME è centrale, ma ne esce sconfitto. Allora come ora, gli esperti erano criticati in nome della democrazia. Lo fu anche l’esperto Paolo Baffi, per le perplessità pubblicamente espresse sulla costruzione di un sistema monetario a guida tedesca che avrebbe comportato l’adesione a una politica monetaria di alti tassi di interesse. Una riflessione sul pensiero e sull’azione istituzionale di Baffi può essere utile nella ricerca di una sintesi fra tecnica e politica, oggi quanto mai urgente.

Per uso pubblico della propria ragione io intendo quello che un individuo può esercitare in quanto esperto della materia di fronte al pubblico intero del mondo dei lettori. Chiamo, invece, uso privato quello che è consentito a un individuo in quanto gli è stata affidata una determinata carica civile o funzione pubblica.

Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (Kant, 1997, pp. 26-27)

1. Paolo Baffi e l’uso pubblico della ragione

Quello del rapporto fra i tecnici e la politica è un tema centrale nel dibattito pubblico odierno. Lo è in particolare in relazione al progressivo scollamento fra i due ambiti, della crescente sfiducia reciproca. Non è una novità.

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e l

Caffè, l’economia come impegno civile

di Roberto Schiattarella

Sbaglierebbe chi considerasse marginale il suo contributo sul piano della produzione scientifica. Molti non hanno ben compreso il modo in cui Caffè ha affrontato la questione della complessità della cultura in un contesto in cui possono coesistere molti percorsi scientifici

agenda 2030Il fatto che a 35 anni dalla sua scomparsa si continui a parlare di Federico Caffè testimonia in maniera evidente la capacità di suggestione che la sua visione dell’economia ha ancora soprattutto presso un pubblico di non addetti ai lavori. Oggi come in passato, ciò che colpisce chi legge i suoi lavori è, oltre alla chiarezza dell’esposizione, la sua lettura dell’economia come disciplina morale. Meno attenzione è stata data invece al modo in cui lo studioso è arrivato a definire questa visione. Un vuoto di analisi che ha finito col lasciare lo spazio all’idea che ci si trovi di fronte ad un economista certamente motivato sul piano dei valori, ad un profondo conoscitore della materia, che ha tuttavia avuto una importanza relativamente marginale sul piano della produzione scientifica e che, in ogni caso, non ha dato alcun contributo significativo al dibattito economico italiano e internazionale.

Due conclusioni largamente discutibili non solo perché il suo impegno etico sociale è il punto di arrivo di un percorso scientifico profondamente radicato nella letteratura economica del suo tempo, ma anche perché Caffè ha arricchito questa stessa letteratura con contributi tanto originali quanto poco compresi. Una difficoltà di comprensione che può essere superata solo collocando la sua opera nel contesto in cui questo studioso si è formato. Un passo che va fatto evidentemente per qualunque economista, ma che spesso ci si dimentica di fare quando una visione dell’economia diventa egemone al punto da apparire l’unica possibile. Un passo indispensabile in particolare per uno studioso come Caffè che si è formato in una stagione del tutto particolare sia della politica che della cultura in generale e, in particolare, di quella economica. Molte tra le sue prese di posizione, che al lettore di oggi possono apparire stravaganti, erano del tutto simili a quelle prese da molti tra gli economisti del suo tempo.

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moneta e credito

Victoria Chick (1936-2023)

di Maria Cristina Marcuzzo*

Abstract: Questo articolo ripercorre il tentativo di Chick, durato tutta la vita, di smascherare ciò che è stato ed è tuttora distorto nell’interpretazione e nell’applicazione della Teoria Generale. Per semplicità, ho elencato alcune delle distorsioni su cui Chick, insieme ad altri, ha richiamato l’attenzione nel corso degli anni. L’elenco non vuole essere esaustivo e alcune distorsioni sono correlate tra loro, ma spero che il mio catalogo catturi la maggior parte delle questioni che sono state al centro del dibattito e del confronto con la Teoria Generale che ha impegnato Chick per tutta la sua vita.

FmlWdj8WQAAzoVfLa scomparsa di Victoria (Vicky per tutti noi) Chick a Londra il 15 gennaio 2023, è un grave lutto per la comunità dei post-Keynesiani e degli economisti eterodossi di diverse scuole. Perdiamo una delle più intelligenti interpreti di Keynes che con tenacia lo ha difeso da tante riletture spurie e a volte fuorvianti, e una economista autrice di penetranti analisi della teoria e politica monetaria contemporanee.

Chick era nata a Berkeley, in California, nel 1936. Dopo la laurea e il master a all’Università di California, Berkeley, dove ha avuto come insegnante Hyman Minsky, si laurea di nuovo alla London School of Economics (LSE), nel 1960, a cui segue, tre anni dopo, il primo incarico accademico presso l’University College di Londra (UCL), dove rimarrà in vari ruoli, fino all’ultimo, quello di Professore Emerito.

I suoi corsi di macroeconomia, teoria monetaria e bancaria hanno ispirato innumerevoli studenti, di varie nazionalità, molti dei quali hanno ottenuto il Ph.D con la sua supervisione. Alcuni di noi, studenti italiani alla LSE, a metà degli anni Settanta andavamo a UCL a sentire le sue lezioni, come antidoto alla versione IS-LM del pensiero keynesiano che ci veniva somministrata nel corso di Macroeconomia.

Quest’opera è distribuita con licenza internazionale Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0. Copia della licenza è disponibile alla URL http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/

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moneta e credito

Luigi Lodovico Pasinetti

Zanica, 12 settembre 1930 - Varese, 31 gennaio 2023

di Joseph Halevi1

71x2sGKAASLAbstract: L’articolo commemora la vita intellettuale di Luigi Pasinetti, purtroppo scomparso alla fine del mese di gennaio di quest’anno. Vengono presentate e discusse le fasi salienti dei suoi studi e dei suoi contributi scientifici culminati nell’opera Structural Change and Economic Growth pubblicata nel 1981. Nell’articolo si mostra come Pasinetti avesse sviluppato le idee principali che guideranno la sua ricerca già tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta del secolo scorso. In questo contesto viene evidenziata l’importanza dirompente della sua teoria concernente i processi produttivi verticalmente integrati e come questa rappresenti uno sviluppo positivo rispetto ai dibattiti riguardo alla teoria neoclassica del capitale e della distribuzione. Si conclude sottolineando la coerenza tra l’approccio teorico di Pasinetti e la sua filosofia morale incentrata sulla priorità del lavoro sul capitale.

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Luigi Pasinetti nacque il 12 settembre 1930 a Zanica, un piccolo paese nella provincia di Bergamo. Secondo la biografia scritta da Mauro Baranzini e Amalia Mirante (2018), la perdita prematura nel 1949 della madre, che lavorava come ostetrica ufficiale del paese e che costituiva un’importante fonte di reddito dal momento che l’impresa edile del padre incontrò difficoltà economiche a causa della guerra, costrinse il giovane Luigi a cercare lavoro appena terminate le scuole secondarie. Si iscrisse dunque ai corsi serali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università Cattolica di Milano, da cui si laureò nel 1955 con una tesi intitolata Modelli econometrici e loro applicazione all’analisi del ciclo commerciale.

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eticaeconomia

Riscoprire Richard Kahn. Pensiero e attualità di un economista keynesiano di Cambridge

di Paolo Paesani

Paolo Paesani ricorda Richard F. Kahn, esponente di punta della scuola keynesiana di Cambridge, traendo spunto da un volume di recente pubblicazione. Paesani richiama alcuni aspetti importanti del contributo di Kahn, sul piano analitico e metodologico, e ne illustra l’attualità anche rispetto alla possibilità d’inquadrarli nell’ambito della costruzione di un nuovo approccio classico-keynesiano allo studio dei problemi economici

kahn richard 1905Richard Ferdinand Kahn, nato a Londra nel 1905, morto a Cambridge nel 1989, è stato un importante economista britannico, un protagonista del pensiero economico del Novecento, meno noto di altri ma non per questo meno interessante. La recente pubblicazione di una raccolta dei suoi scritti (R.F. Kahn, Collected Economic Essays, a cura di M.C. Marcuzzo e P. Paesani, Palgrave Mcmillan, 2022) offre l’occasione per riaccendere l’attenzione su Kahn e sull’originalità dei suoi contributi. 

Richard Kahn è stato prima di tutto un discepolo di Keynes, come recita il titolo della lunga, bella intervista concessa a Cristina Marcuzzo nel 1987 (R.F. Kahn, Un discepolo di Keynes, 1988, Garzanti) e tradotta di recente in inglese. Il sodalizio, intellettuale e personale, tra Keynes e Kahn inizia nel 1927 quando Keynes segue Kahn come tutor a Cambridge (l’altro tutor è Gerald Shove, economista marshalliano di Cambridge) e prosegue ininterrottamente per i diciannove anni successivi, fino alla morte di Keynes. Sono gli anni della elezione di Kahn a Fellow del King’s College nel 1929 (con una tesi sull’Economia del breve periodo), dell’articolo del 1931 sul moltiplicatore, dell’esordio come insegnante all’Università di Cambridge, del Cambridge Circus, il gruppo di giovani economisti che seguono e incoraggiano Keynes nella gestazione della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta

Venuto a mancare il suo mentore, Kahn acquisisce progressivamente una sua propria autorità intellettuale nel solco del Keynesismo della scuola di Cambridge. Come ha ricordato Luigi Pasinetti, in un saggio in memoria di Kahn, c’è stato un momento, fra gli anni Cinquanta e i Sessanta, in cui “come Chairman della Facoltà di Economia, Professorial Fellow e Fellow Elector del King’s college, organizzatore del cosiddetto ‘Seminario segreto’, sembrava che tutto il processo di formazione del pensiero economico di Cambridge ruotasse intorno a lui”.

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antiper

Il dibattito sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. La teoria del profit squeeze

di Xepel

correttoiuhtQuesto brano è tratto da un testo più lungo che si intitola Su alcuni aspetti della teoria delle crisi. Lo pubblichiamo in quanto introduttivo di una teoria – il cosiddetto “profit squeeze” – che si può riassumere nell’idea che alle origini delle crisi capitalistiche vi sia la capacità dei lavoratori di imporre significative conquiste salariali ai capitalisti riducendone così i profitti. Questo contributo è interessante soprattutto in quanto ribadisce l’importanza sia delle dinamiche economiche globali, sia delle dinamiche della lotta di classe locali [Antiper].

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Il dibattito sulla legge della caduta tendenziale [*] si intreccia al problema della teoria delle crisi. Negli anni ’70, alcuni economisti inglesi (soprattutto Glynn e Sutcliffe) avanzarono una teoria nota come “profit squeeze”, secondo la quale la caduta del saggio di profitto non era attribuibile alla crescita della composizione organica del capitale, che la svalorizzazione del capitale costante può contrastare indefinitamente, ma alle difficoltà nel contenere la crescita del capitale variabile (i salari) come conseguenza della piena occupazione e della forza del movimento operaio. A dimostrazione che il clima esplosivo di quegli anni aveva contagiato gli intellettuali, uno di questi economisti, professore a Oxford, aderì alla tendenza marxista del partito laburista, il Militant, e vi portò il dibattito sulla sua teoria del profit squeeze.

I partecipanti al dibattito erano d’accordo sul fatto che ci fosse stata una caduta della profittabilità come conseguenza dell’accumulazione di capitale. Non concordavano sul fatto che ciò dipendesse dall’operare della legge.

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eticaeconomia

Pasinetti e l'approccio classico-keynesiano

di Paolo Paesani

Paolo Paesani, ricordando Luigi Pasinetti, si misura con la sua proposta di sviluppare un nuovo approccio alla teoria e alla politica economica, fondato sulla sintesi tra l’economia classica e l’economia keynesiana. Paesani richiama i 9 elementi che lo stesso Pasinetti aveva indicato come base per costruire quella sintesi e, attingendo anche a un recente volume curato da Bellino e Nerozzi, illustra l’importanza ma anche la difficoltà di approfondire e integrare tra loro quei 9 elementi

1juytd0Luigi Pasinetti, scomparso di recente, è stato uno dei più importanti economisti teorici italiani del secondo dopoguerra. Uno degli assi portanti del suo programma di ricerca, come sottolinea Sebastiano Nerozzi nel suo ricordo in questo del numero del Menabò, è il tentativo di costruire un nuovo approccio alla teoria e alla politica economica, fondato sulla sintesi tra economia classica ed economia keynesiana, in alternativa al marginalismo e all’individualismo metodologico tuttora dominanti.

Dall’economia politica classica, Pasinetti trae l’idea che il sistema economico debba essere concepito come un insieme di settori produttivi interconnessi che si possono analizzare indipendentemente dallo studio delle scelte degli agenti individuali che si muovono al loro interno. Queste connessioni costituiscono la struttura dell’economia, una struttura che cambia nel tempo per effetto del progresso tecnologico e del mutamento dei consumi secondo una dinamica ciclica. Da Keynes e i keynesiani, Pasinetti trae il principio della domanda effettiva, l’ipotesi, empiricamente fondata, che la propensione al risparmio dei percettori di profitti sia maggiore di quella dei salariati, l’idea che gli investimenti hanno un ruolo centrale nel determinare la dinamica dell’economia e la convinzione che disoccupazione e disuguaglianza siano i mali principali del capitalismo.

In un libro del 2007, Keynes and the Cambridge Keynesians, Pasinetti affronta il problema di definire le basi dell’approccio classico-keynesiano, nell’ambito di una riflessione più ampia sulla rivoluzione incompiuta di Keynes, sui contributi principali di alcuni esponenti della Cambridge School of Economics (Kahn, Robinson, Kaldor, Sraffa, Goodwin) e sui legami tra quei contributi e gli schemi analitici da lui stesso elaborati.

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economiaepolitica

Ricordo di Luigi Pasinetti

di Nadia Garbellini

Si ringraziano sentitamente Louis-Philippe Rochon e la rivista Review of Political Economy per aver consentito la traduzione in lingua italiana di questo articolo di prossima uscita su Review of Political Economy – April, 2023 – 35 (2)

Luigi L. PasinettiScrivere queste righe è straordinariamente difficile. Luigi Pasinetti è il mio maestro, ma soprattutto ero legata a lui da un affetto profondo. Sentirò immensamente la sua mancanza.

L’ho incontrato per la prima volta alla fine del 2006. All’epoca, stavo scrivendo la mia tesi magistrale in Economia Politica, a Pavia. Avevo detestato praticamente ogni cosa studiata in quei cinque anni; avevo fretta di laurearmi e trovare un lavoro, e ho chiesto di essere mio relatore all’unico professore il cui corso alla magistrale avevo seguito con interesse: Gianni Vaggi. Che cambiò ogni cosa.

Mi diede da leggere il libro del 1981, e mi assegnò il compito di confrontarne lo schema teorico con quello (neoclassico) dei modelli di crescita endogena. Io non sapevo nulla di questa contrapposizione – avevo seguito il corso introduttivo di Giorgio Lunghini al primo anno della triennale, ma allora non avevo gli strumenti per cogliere certi aspetti.

Ho scoperto un intero approccio alternativo molto più convincente di quello che ero stata costretta a studiare per cinque anni. C’erano però tante cose che faticavo a capire; avendo scoperto che Pasinetti era Professore Emerito alla Cattolica decisi di provare a scrivergli per porgli alcune domande.

Mi rispose quello stesso giorno. La settimana seguente eravamo a pranzo insieme alla mensa di Via Necchi. Pochi mesi dopo, appena laureata, ho iniziato ad aiutarlo con la correzione delle bozze di ‘Keynes and the Cambridge Keynesians’ (2007) e con il libro sulla teoria del valore che è stato la sua ultima fatica.

Ricorderò sempre quegli anni con grande tenerezza e riconoscenza.

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maggiofil

Il prestito al tulipano: ancora a lezione da Dgiangoz. Cronache marXZiane n. 10

di Giorgio Gattei

Tulipani11. Allorquando si presenta un sovrappiù di produzione, ossia un surplus rispetto a ciò che serve per riprodurre l’attività economica sulla stessa scala precedente, si aprono due questioni assai differenti. La prima riguarda la spartizione di quel sovrappiù tra i partecipanti alla sua produzione, che in prima battuta sono i lavoratori con il salario ed i capitalisti con il profitto, ed è per questo che l’astronomo “classico” David Ricardo aveva posto a prefazione dei suoi Principi di economia celeste «la determinazione delle leggi che regolano questa distribuzione (come) il problema fondamentale nell’economia politica». Tuttavia esso non è l’unico (sul quale peraltro si è speso fin troppo inchiostro), perchè ce ne è pure un secondo problema relativo alla destinazione di quel sovrappiù: che farsene, servirsene per accrescere la base produttiva già in essere (accumulazione) oppure consumarlo improduttivamente ossia, per dirla con Piero Sraffa, non utilizzarlo «né come strumento di produzione né come mezzo di sussistenza per la produzione di altre merci»? Come al solito questo secondo problema era già stato ottimamente colto da Karl Marx, il massimo geografo di quel nuovo pianeta comparso nel cielo dell’economia che da lui ha preso il nome, che così ne aveva discusso nel Capitale. Critica dell’economia celeste a proposito della “Trasformazione del plusvalore in capitale”: «la produzione annua deve fornire in primo luogo tutti quegli oggetti (valori d’uso) coi quali si debbono reintegrare le parti materiali del capitale consumate nel corso dell’anno. Detratti questi, rimane il prodotto netto o plusprodotto, nel quale ha sede il plusvalore.