- Details
- Hits: 2011
La riforma del lavoro francese, la Nato e la fine del ruolo del Ps
di Lorenzo Battisti
Dodici manifestazioni nazionali, milioni di lavoratori in piazza, duri scontri tra la polizia e i sindacati, con continue provocazioni e arresti arbitrari. Questo ha provocato la legge di riforma del codice del lavoro fatta dai socialisti. Con questa il Ps ha voluto inaugurare il suo ultimo anno alla guida delle Francia. Difficile non fare il confronto con la reazione nulla che i sindacati italiani ebbero quando il loro governo approvò prima la riforma Fornero e poi il Jobs Act di Renzi. A questo si aggiunge il ruolo sempre più importante giocato dalla Francia all'interno della Nato.
La legge sul lavoro: la distruzione del codice del lavoro francese
Proprio nelle settimane che hanno preceduto la presentazione della riforma del lavoro, tra censure più o meno esplicite, è uscito in Francia un documentario (sul genere di quelli di Michael Moore) che si chiama “Merci, Patron” (Grazie Padrone), dove si racconta la storia di una coppia che perde il lavoro a causa di una delocalizzazione in Polonia. Il documentario offre uno spaccato della Francia odierna e del dramma del lavoro al tempo della crisi capitalistica.
- Details
- Hits: 3782
UE-EURSS? No, totalitarismo neo-liberista del mercato
di Quarantotto
1. Come spesso capita, seguendo una prassi "conservativa", dei commenti più stimolanti, ci soffermiamo sulla questione della "spontaneità" dell'ordine naturale del mercato per arrivare poi a verificare la presunta equiparabilità dell'Unione Europea all'URSS.
Muoviamo dalla notazione di Philip Mirowsky (et al.) suggerita da Francesco:
“il Mercato” non fa apparire naturalmente e magicamente le condizioni per il suo continuo fiorire, per questo il neoliberismo è in primis e soprattutto una teoria su come ristrutturare lo Stato al fine di garantire il successo del mercato e dei suoi attori più importanti (…)” [P. MIROWSKI - D. PLEHWE, The Road from Mont Pelerin, Harvard University Press, Cambridge, 2009, 161]".
Non che Mirowsky sia un entusiasta assertore di tutto questo: anzi, egli è uno dei più acuti e ironici osservatori critici di quel paradigma neo-liberista, che controlla saldamente governi nonchè opinione pubblica e di massa, avendo unificato il pensiero politico-filosofico (prima ancora che, ovviamente, quello economico), ormai praticamente in tutto il mondo:
- Details
- Hits: 3863
Il mancato golpe in Turchia
Sabotaggio, incompetenza o inganno?
di Federico Pieraccini
Il Golpe in Turchia rimane ancora da decifrare ma le prime conseguenze iniziano a rivelarsi
Per capire il colpo di Stato in Turchia, bisogna analizzare le motivazioni che hanno portato il golpe a fallire. Una premessa: c’era davvero l’intenzione rovesciare il potere e arrestare Erdogan ? Chi sono i mandanti ? Partendo da questi interrogativi e vagliando le possibili risposte, si ottiene un quadro ragionevole e autentico in una vicenda ancora molto confusa.
Partiamo da qui. Ipotizzando l’esistenza di un manuale del ‘Perfetto Colpo di Stato’, è molto probabile che tratterebbe e spiegherebbe accuratamente l’importanza dei primi obiettivi da mettere a segno per il buon esito di un golpe:
- L’arresto del Capo di Stato
- La nomina di un Rappresentate dei golpisti e di una conferenza stampa attraverso i media nazionali per tranquillizzare la popolazione.
- Il controllo di tutte le fonti di informazione/comunicazione.
- L’appoggio di almeno una parte consistente delle forze dell’ordine.
- Il controllo dei ministeri.
- Il controllo degli aeroporti civili e militari.
- Il controllo del parlamento.
- Il controllo dei cieli.
- Il Coprifuoco.
Il mancato arresto di Erdogan è una vicenda molto indicativa delle reali intenzioni del golpe.
- Details
- Hits: 3317
Turchia: sono capaci di tutto
di Fulvio Grimaldi
“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre.” (Frank Zappa)
“Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali”. (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880).
Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2001, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.
Lo sibila tra i denti anche lo stesso Gulen che, ovviamente, rintanato negli Usa sotto tutela e controllo di Washington, non c’entra niente. Anche perché quando mai lui, islamista integralista quanto Erdogan, avrebbe potuto/voluto lanciare contro il sultanato una forza militare che, a dispetto delle epurazioni islamizzanti subite negli anni, mantiene una robusta base secolare e nazionalista. Anche perché per una roba del genere i suoi sorveglianti americani non gli avrebbero mai allentato le briglia.
- Details
- Hits: 2960
Deleuze, il movimento reale del molteplice
Giso Amendola
Il saggio «Gilles Deleuze» (DeriveApprodi) di Michael Hardt libera il campo dalla lettura neoliberista del filosofo francese. E svela la politicità dell’opera, considerandola come un nodo nella trama critica dello status quo
All’inizio degli anni Novanta, nel 1993, due anni prima della morte di Gilles Deleuze, Michael Hardt pubblica uno dei primi lavori monografici in lingua inglese dedicati al filosofo di Logica del senso e Differenza e ripetizione: oggi Gilles Deleuze. Un apprendistato in filosofia torna disponibile grazie a DeriveApprodi e alla “neonata” collana Operaviva (l’edizione italiana è a cura di Girolamo De Michele, la traduzione è di Cecilia Savi).
Quando esce originariamente il libro di Hardt, la recezione di Deleuze nei paesi anglosassoni sta avvenendo a seguito di quell’ondata di interesse per il pensiero radicale continentale che ci avrebbe fatto parlare poi di una French Theory. Il libro di Michael Hardt ha davanti originariamente questo panorama: il poststrutturalismo è stato sì accolto nel panorama americano, ma è stato letto soprattutto come una sorta di più o meno ironica e disincantata critica del fondamento, un abbandono lineare e senza scosse della tradizione filosofica, senza che questo congedo riesca a sviluppare una reale potenza costruttiva e critica.
L’obiettivo dichiarato di Hardt è quello di ribaltare questa visione del poststrutturalismo: si tratta di rivendicare al poststrutturalismo la capacità di attraversare la modernità cercandone le “filiazioni alternative”, e di affrontare la questione del fondamento evitando di rimanere impigliati nella meditazione perpetua sulla sua eclissi.
- Details
- Hits: 2955
Il regime europeo del salario 2
La loi travail e il governo della precarizzazione
di Lavoro Insubordinato
Lo scorso 5 luglio Manuel Valls ha messo fine al dibattito parlamentare sulla loi travail con un atto di forza. Per scavalcare una peraltro timida opposizione, il governo ha fatto nuovamente ricorso all’articolo 49.3 della costituzione, una procedura d’emergenza che dovrebbe garantire l’interesse generale della nazione. Poco importa che negli ultimi quattro mesi milioni di uomini e donne abbiano scioperato e manifestato chiarendo che di quell’interesse generale non sanno che farsene. Un governo sotto assedio invoca lo stato d’assedio per stringere la morsa neoliberale sulla vita di quelle donne e di quegli uomini. Dopo che la Commissione europea ha imposto il suo diktat alla Grecia – cancellando senza esitazioni il risultato del referendum dello scorso luglio – e dopo l’imposizione del Jobs Act a colpi di fiducia in Italia, ora anche la Francia si adatta alla tendenza europea che pretende di stabilire il comando del potere esecutivo sul lavoro vivo. Invocando l’articolo 49.3, il governo francese non si libera soltanto di una patetica opposizione parlamentare, ma pretende anche di sovrastare il rifiuto espresso in questi mesi dalle piazze per imporre un incontrastato predominio del capitale. Definendo le condizioni politiche dello sfruttamento, di una completa disponibilità al lavoro e quindi un’estensione del comando capitalistico anche al di là del rapporto di lavoro salariato in essere, la loi travail è l’espressione nazionale del regime europeo del salario. La sollevazione francese degli ultimi mesi è però il chiaro segno che precarie, operai e migranti non sono affatto disposti a sottostare a un simile regime.
- Details
- Hits: 2641
Lotta teorica è prassi
di Francesco Schettino
“Solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia” (V.I. Lenin, Che fare? 1902) : brevi riflessioni sul ruolo della teoria rivoluzionaria
Lotta teorica e socialismo scientifico
Nella storia del pensiero marxista – o più in generale all’interno dei movimenti o partiti ispiratisi almeno vagamente all’idea del comunismo (o del socialismo) nell’ultimo secolo – il rapporto tra teoria e prassi rivoluzionaria ha senza dubbio ottenuto un posto di primaria importanza nel dibattito che negli anni si è svolto, per quanto spesso con esiti abbastanza avvilenti. In questo breve articolo non si vuole proporre una rassegna di quelli che sono stati gli ultimi, tra l’altro spesso poco incisivi, sviluppi della questione: al contrario, prendendo a riferimento l’esempio cubano, oltre che quello dei paesi a capitalismo avanzato, si tenterà di proporre un contributo che possa consentire una riflessione su questioni che, oramai, sono solo di rado tenute in adeguata considerazione.
Punto di partenza per affrontare una discussione di questo genere, evitando di scivolare su posizioni che in fin dei conti hanno dimostrato tutta la loro velleità e sterilità, è la considerazione, fin troppo distorta o aggirata, di Lenin che, nel Che fare? giustamente sosteneva che “senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”.
- Details
- Hits: 2882
Il potere liquido del Panopticon
Federico Rahola
Con la Rete, la sottrazione dalle tecnologie del controllo non può limitarsi all’anonimato e all’invisibilità. Un sentiero di lettura a partire dai testi di Michel Foucault, Alice Goffman e dall’annuncio, non confermato, dell’identità dell’artista Bansky
Il rapporto tra poteri e resistenze è anche una partita tra luce e ombra. E non si tratta di stabilire una volta per tutte un primato tra i due ambienti, piuttosto di tracciare la loro reversibilità tattica. Ma se è vero che il controllo oggi si gioca sulla necessità di prevedere il comportamento di soggetti liberi e mobili, ciò significa che la luce su cui si fonda dovrà partire dai soggetti stessi. Da qui, forse, la necessità di un elogio dell’ombra, a quarant’anni da Sorvegliare e punire di Michel Foucault e a più di sessanta da L’uomo invisibile, unico romanzo compiuto di Ralph Ellison.
Sessant’anni potrebbero essere un tempo congruo per disperdere l’eco delle prime parole di quel libro. Eppure erano potenti, le note di un manifesto a venire, una new thing: «sono un uomo invisibile. No, non sono uno spettro, come quelli che ossessionavano Edgar Allan Poe; e non sono neppure uno di quegli ectoplasmi dei film di Hollywood. Sono un uomo che ha consistenza, di carne ed ossa, fibre e umori, e si può persino dire che posseggo un cervello. Sono invisibile semplicemente perché la gente si rifiuta di vedermi: capito?» Poche frasi e la voce si localizza, facendo di un seminterrato l’indirizzo da cui recapitare un’autobiografia a ritroso destinata a insinuarsi di piatto nelle pieghe di un secolo tagliato a metà dalla linea del colore: «vivo abusivamente in un edificio affittato solo ai bianchi, in una sezione del seminterrato che fu interrotta e dimenticata durante il XIX secolo».
- Details
- Hits: 3558
Golpe in Turchia. Tutto previsto, o quasi
di Pino Cabras
Il confuso colpo di Stato in Turchia non ci sorprende. È finito un ciclo storico di cui molti osservatori hanno avvertito per tempo la resa dei conti
Il golpe in corso in Turchia non ci sorprende. Un anno fa ospitammo su queste pagine un articolo profetico di Thierry Meyssan, intitolato "Turchia in pericolo", che prediceva un'imminente guerra civile causata dai disastri e le convulsioni cui Recep Tayyip Erdoğan aveva sottoposto questo paese chiave della NATO, per non parlare dei contraccolpi derivanti dal suo ruolo più criminale, quello di coordinatore del terrorismo jihadista che insanguina Siria e Iraq. Sempre Meyssan annunciava in un altro articolo: "Verso la fine del sistema Erdoğan". Qualunque sia l'esito finale del colpo di Stato, possiamo già dire che siamo al termine di tutti gli equilibrismi turchi degli ultimi 15 anni, sintetizzati via via in un regime personale sempre più repressivo, triplogiochista, antidemocratico. Che Erdoğan sia rovesciato o che riconquisti provvisoriamente il potere, come sembra probabile, a chi prenderà in mano il comando rimarrà un paese diviso, con le istituzioni umiliate dalla diffidenza reciproca, l'assenza di un progetto convincente in mezzo a una situazione internazionale esplosiva.
Un altro articolo interessante è stato scritto da Luisanna Deiana su SpondaSud il 13 aprile 2016, che riproponiamo qui di seguito.
- Details
- Hits: 2926
La situazione delle ferrovie italiane
di Marco Cedolin
Ci troviamo oggi di fronte ad una serie d’investimenti di portata epocale, operati da parte dello Stato e finalizzati alla costruzione di nuove infrastrutture ferroviarie. Per avere un’idea delle grandezze economiche oggetto della questione, basti pensare che i costi della sola tratta TAV Torino – Milano – Napoli si aggirano sugli 80 miliardi di euro, ai quali andranno aggiunti gli 11 miliardi di euro (previsti quindi soggetti ad incrementi esponenziali) della linea Torino – Lione, più altri investimenti nell’ordine delle decine di miliardi di euro per la futura tratta Milano – Venezia – Trieste e per il terzo valico Milano – Genova.
Le infrastrutture per i treni ad Alta Velocità dovrebbero rappresentare comunque un valore aggiunto all’attuale rete ferroviaria italiana, non potendo vantare caratteristiche funzionali atte a migliorarla, né tanto meno a sostituirla. Senza soffermarci ad analizzare la mancanza di motivazioni che sostengano la necessità delle nuove infrastrutture, dovrebbe essere prerogativa imprescindibile di ogni investimento aggiuntivo il fatto che la rete ferroviaria oggi operativa sia perfettamente funzionante, il più possibile sicura, sufficientemente moderna, e totalmente in grado di rispondere alle normali esigenze del traffico su rotaia.
- Details
- Hits: 2924
Democrazia senza partiti? Prospettive, interrogativi e intelligenze artificiali
di Francesco Piccinelli
Se è vero che la democrazia rappresentativa e i partiti sono in crisi, essi devono cercare un modo per rinnovarsi anche se i modelli proposti negli ultimi 70 anni non sembrano essere particolarmente soddisfacenti
E’ possibile immaginare una democrazia senza partiti? La risposta d’istinto è un fermo no, perché i partiti servono a mettere in contatto cittadini e istituzioni ed e attraverso la loro organizzazione che le domande che arrivano dall’esterno arrivano dove vengono prese le decisioni. Eppure, se c’è una cosa che stiamo imparando in questi ultimi anni è che i partiti tradizionali in Europa contano sempre meno e vengono progressivamente sostituiti da altro, da movimenti di estrema destra o da partiti antisistema.
Certo, vengono sostituiti da organizzazioni che sono comunque partiti. Il problema di questi nuovi partiti è che non hanno la democrazia nel loro orizzonte e, apparentemente, usano il consenso democraticamente costruito per abbattere la democrazia, come sta accadendo in Polonia e Ungheria, per esempio. È ancora presto per stabilire se siamo di fronte a due casi isolati o siamo davanti a un nuovo vento dell’Est che contagerà anche il resto del Continente. Quello che è certo, però, è che siamo davanti a un’Europa dove la democrazia rappresentativa è in crisi e dove va trovata una soluzione, soprattutto se la sinistra vuole avere un futuro.
Il punto è che cittadini e politici non sono mai stati così distanti. Lo racconta benissimo Peter Mair in “Ruling the Void”, libro che mette in evidenza come la politica sia, ormai, una questione privata per politici che governano isolati dal resto del mondo mentre i cittadini osservano da spettatori data la crisi – per esempio – del partito di massa novecentesco.
- Details
- Hits: 3417
I concetti fondamentali di «Il capitale»
di Renato Caputo
La prima parte del capolavoro di Karl Marx ha enorme importanza per comprendere il mondo sempre più ingiusto e irrazionale in cui siamo ancora condannati a vivere. Alla luce di quanto segue – certo noto ma per questo non sempre realmente conosciuto – appare evidente, a chiunque non sia interessato a vivere dello sfruttamento del lavoro altrui, la necessità di organizzarsi per consentire l’affermazione di un modo di produzione maggiormente razionale
Nel primo libro de Il capitale Marx muove da una constatazione, un dato di fatto di per sé evidente, secondo il noto principio alla base del moderno metodo scientifico elaborato già da Cartesio: la ricchezza delle società in cui domina il modo capitalistico di produzione si presenta come un’immensa raccolta di merci. A chi, abituato oggi a vivere da sempre in una società a capitalismo avanzato, non apparisse altrettanto immediatamente evidente, provi a considerare una società in cui il capitalismo non si è ancora affermato, a certi paesi dell’africa subsahariana ad esempio. La singola merce può, perciò, essere considerata la cellula del modo di produzione capitalistico.
Il duplice valore della merce
Ma, come sappiamo da Hegel, ciò che appare evidente spesso non è realmente conosciuto, in effetti la merce ha una struttura complessa, che non si manifesta altrettanto immediatamente, ma richiede una riflessione e una certa capacità di astrazione.
- Details
- Hits: 4518
Che roba, contessa! (Brexit e dintorni)
Mimmo Porcaro
“Che roba, contessa!” Un tempo qualcuno cantava, e con accenti vibranti, questa vecchia canzone di Paolo Pietrangeli in faccia al clericofascismo nostrano spaventato e disgustato dalla riscossa degli operai italiani. Oggi, molti di quei “qualcuno” cantano ancora la stessa canzone, ma sono loro, questa volta, ad essere spaventati e disgustati: dal “no” degli operai inglesi all’Europa. E con l’immaginaria contessa condividono il rimpianto per i bei tempi in cui l’intelligenza (la loro) contava ancora qualcosa, lo stupore per quei molti che si considerano vessati da quel gioiellino che è l’Unione europea, il fastidio per il fatto che ormai anche l’operaio vuol decidere di testa sua : “non c’è più morale, contessa!”.
Oggi, dopo la Brexit, è tutto un “sì, ma…”: la democrazia è bella, ma…, i referendum saranno pure importanti, ma…, il suffragio universale non si tocca, ma… siamo sicuri che il voto di un qualunque tizio privo di cultura debba valere quanto il nostro? E su questioni così complesse, poi! E via sproloquiando. Dopo aver distrutto la scuola pubblica se la prendono con l’ignoranza del popolo. Dopo aver smantellato le concentrazioni operaie, dopo aver annichilito i partiti, dopo aver dichiarato che ogni ideale di eguaglianza (anzi, ogni e qualsiasi ideale) è pericoloso, hanno il coraggio di lamentarsi del populismo.
- Details
- Hits: 2972
Trame di luglio
di Leonardo Mazzei
Sul referendum il regime trema. Ecco allora l'ipotesi "spacchettamento", un trucco per rimandare il voto sulla controriforma costituzionale al 2017
Avete in mente il Renzi che già pregustava una vittoria plebiscitaria in autunno? Bene, non c'è più. Avete in mente i commentatori che erano comunque certi della vittoria del Bomba? Spariti come neve al sole. Idem quelli sicuri della tenuta dell'Italicum, la legge che vorrebbe garantire la "governabilità" - cioè gli interessi di lorsignori - per l'eternità.
Certo, Renzi è ancora al suo posto, l'Italicum è in vigore da ben 9 giorni, e perfino i pennivendoli di regime sono ancora a stipendio pieno. Tanto loro sono riciclabili, come la carta igienica.
Il quadro però sta cambiando. La Brexit gli ha fatto perdere la testa e le oligarchie sono all'opera per imbrogliare le carte. Volevano vincere a man bassa il referendum, del quale il sì sparato di Confindustria chiarisce assai bene la matrice di classe. Ora si sono accorti che quella vittoria è assai complicata. Certo, potrebbero ancora provarci con l'unica arma che gli è rimasta: la paura. Ma si è visto oltre-Manica che anche quest'arma potrebbe rivelarsi spuntata. Ecco allora la pensata: prendere tempo rimandando il referendum. Già, ma come, visto che la legge prevede una rigida tempistica?
- Details
- Hits: 3303
Dall'era moderna a quella complessa
Transizione dalla logica del dominio a quella del condominio
di Pierluigi Fagan
La presente riflessione, non breve perché l’argomento non lo consente, raccoglie un percorso di pensiero che ho sviluppato da tempo in vari articoli che gli interessati troveranno riportati nelle note. Riepiloga ed argomenta intorno alla tesi che noi si sia entrati una nuova era, l’era della complessità. Entriamo in questa nuova condizione del mondo, con istituzioni, credenze ed immagini di mondo, ereditate da una lunga storia che va indietro anche oltre la modernità, una storia che aveva caratteristiche del tutto diverse. Ne consegue il concreto rischio di dis-adattamento
L’epoca in cui siamo capitati (Heidegger avrebbe detto “siamo stati gettati”) la definiamo “complessa”. Questa complessità ne è il concetto, come moderno è stato il concetto di quella che sta finendo. L’era della complessità subentra al moderno e termina anche quella lunga incertezza definitoria che è ricorsa all’utilizzo dei “post-qualcosa” per segnare la fine del moderno ma non ancora la nascita di qualcos’altro.
Vorremmo argomentare su tre punti: 1) perché definiamo la nostra, addirittura una “nuova era” e perché la definiamo complessa; 2) che cosa intendiamo per complessità; 3) cosa differenzia il complesso dal moderno e cosa ci indica, sul piano del cambiamento adattivo, questa differenza. I primi due punti si co-implicano e quindi l’argomentazione verrà svolta in un’unica soluzione prima di argomentare sul terzo
1) UNA NUOVA ERA? Da tempo è in questione, presso i geologi e da loro alla comunità scientifica in senso più ampio, se definire la nostra era in maniera nuova rispetto alla precedente. L’ipotesi in discussione è sul termine “antropocene”, l’era antropica ovvero l’era in cui non è più e solo la Natura a determinare il suo stesso stato e divenire ma la relazione tra questa è l’umano.
- Details
- Hits: 3289
I misteri della sinistra per Michéa e Bordiga
di Armando Ermini
In questo numero proponiamo la recensione del bel libro di Jean Claude Michéa, I misteri della sinistra, insieme ad uno scritto di Amadeo Bordiga del 1922. Michéa racconta le tappe storiche della deriva culturale della sinistra e della sua progressiva subordinazione a una visione del mondo, quella borghese, estranea ai motivi ispiratori del socialismo delle origini, che aveva invece forti accenti comunitaristi. Discutendo delle cause di quella deriva, lo studioso francese arriva alla conclusione che il termine sinistra non è piú spendibile per un progetto politico di uscita dal capitalismo liberale.
Di Amadeo Bordiga, fondatore del PCd’I, proponiamo invece un testo del 1922 sulla massoneria e la sua infiltrazione nel movimento socialista.
Secondo Bordiga — ed è una tesi storiografica curiosamente dimenticata — fu proprio il controllo della massoneria sul movimento operaio che permise di coinvolgerlo, contro i suoi interessi, nell’Union sacrée contro l’Austria, ultimo residuo del Sacro Romano Impero.
Non abbiamo elementi per avvalorare o smentire l’ipotesi bordighiana. Possiamo solo dire che Bordiga in quegli anni poteva vedere questi fenomeni da posizione privilegiata. D’altra parte, l’analisi delle concezioni culturali e antropologiche della sinistra attuale, compresa quella antagonista, non può non rivelarne l’affinità con quelle liberalmassoniche.
- Details
- Hits: 2977
La via normativa al socialismo
Considerazioni sul libro di Axel Honneth “L’idea di socialismo”
di Lucio Cortella
In Aprile “Il Rasoio di Occam” ha pubblicato in anteprima la traduzione della prefazione e dell'introduzione al nuovo libro di Axel Honneth, L'idea di socialismo. Ora, in questo articolo, Lucio Cortella riattraversa la sostanza argomentativa del libro, mettendone in luce i lati problematici. L'articolo è ripreso dal sito, appena inaugurato, della Società Italiana di Teoria Critica
Nel 1989, alla caduta del muro di Berlino, Jürgen Habermas, scrivendo le sue riflessioni sulla “nachholende Revolution” (la “rivoluzione”, allora in atto in Germania e in tutta l’Europa orientale, il cui significato – secondo Habermas – era quello di rimediare [nachholen] agli errori della ormai consumata esperienza del cosiddetto “socialismo reale”), si chiedeva quale futuro potesse ancora avere un socialismo che rischiava di essere trascinato nel crollo del comunismo sovietico. Secondo il pensatore tedesco dalle ceneri di quell’esperienza poteva ancora essere salvato il nucleo essenziale, vale a dire «l’intuizione normativa di una vita comunitaria non violenta, che consente un’autonomia e un’autorealizzazione individuali non al prezzo ma sulla base della solidarietà e della giustizia». Insomma l’idea di una libertà nella solidarietà, di una libertà non “contro” gli altri ma “assieme agli altri”. Più che un modello di società quest’idea era da considerare – secondo Habermas – un correttivo critico dei nostri rapporti sociali ed economici, uno standard ideale col quale confrontare sperimentalmente i risultati e le conseguenze del capitalismo, «un’autocritica radicale e riformista della società capitalista» che «scomparirà solo insieme all’oggetto della sua critica».
La concezione che Honneth elabora nel suo ultimo libro, L’idea del socialismo. Un sogno necessario, parte da lì, dalla persistenza normativa di quell’ideale socialista.
- Details
- Hits: 4258
Il fondamentale libro di Andrew Spannaus su Donald Trump
di Davide Rossi
l giornalista e politologo Andrew Spannaus apre il suo interessantissimo e approfondito libro “Perché vince Trump”, edito da Mimesis, con un’affermazione forte, ricordando ai lettori di lingua italiana che, al di là delle sparate razziste e xenofobe, le sole lasciate emergere dal sistema mediatico, tutto prono ai poteri forti che sospingono la Clinton, Donald Trump “si è posizionato a sinistra non solo del proprio partito, ma anche di Hillary Clinton”. Il mostro bicefalo democratico-repubblicano, come non solo io lo definisco, da anni esprime candidati che al di là delle differenze di facciata promuovono tutti “meno welfare, più finanza e più guerra”, come spiega Spannaus. Tuttavia questa volta la rivolta dei cittadini e degli elettori a stelle e strisce è stata più forte degli interessi delle multinazionali e dei politici a loro subalterni. In campo democratico la rivolta è quasi riuscita a imporre Sanders, in quello repubblicano invece Trump ha scardinato ogni possibilità di vittoria del vecchio apparato del partito.
Trump è “contro il TPP, l’accordo di libero scambio con le nazioni che si affacciano sul Pacifico, paragonato agli accordi del passato che hanno già tolto lavoro produttivo agli americani” e in egual maniera, come tutta la sinistra radicale europea, è contro il TTIP, il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti, ancora in discussione, ma invocato dalla Clinton e da tutto l’establishment. Proprio contro l’establishment lotta Trump, perché gli apparati dei due maggiori partiti pensano ai loro interessi e a quelli dei poteri forti con i quali sono conniventi e “non a quelli della maggioranza della popolazione”, tanto che “la differenza tra i democratici e i repubblicani è meno rilevante di quella tra il sistema di potere centralizzato e la popolazione in generale”.
Vale la pena leggere un lungo brano, potentemente esplicativo, di Spannaus:
- Details
- Hits: 3838
I comunisti, il blocco sociale antagonista possibile, l’inchiesta di classe
di Sergio Cararo
Relazione al seminario della Rete dei Comunisti su “La ragione e la forza” di Sergio Cararo (RdC)
Dopo la sconfitta dei 35 giorni alla Fiat nel 1980, ai cancelli di Mirafiori venne affisso un cartello scritto a mano. C’era un volto di Marx stilizzato e una scritta che diceva: “Avevamo la ragione e la forza. Ci è rimasta la ragione. Coraggio compagni!”.
Sono passati più di trentacinque anni da quell’episodio decisivo per le sorti del movimento operaio nel nostro paese. Oggi credibilità e le possibilità di una opzione comunista nel XXI Secolo – dunque la ragione e la forza – in una realtà come quella italiana integrata nella dimensione europea, non possono non fare i conti con le modificazioni sociali e produttive intervenute in questi ultimi tre decenni nella realtà di classe e nella società. Modificazioni oggi nuovamente e fortemente scosse dalla nuova fase della crisi sistemica dell’economia capitalista.
In questi anni di lavoro di inchiesta e confronto ancora in corso sulla ricomposizione di un blocco sociale antagonista – di cui i comunisti dovrebbero tornare ad essere espressione politica e ipotesi strategica di affermazione degli interessi nel nostro paese – abbiamo cercato di individuare i punti in cui la quantità delle contraddizioni può diventare qualità sul piano della lotta per il cambiamento.
- Details
- Hits: 3304
Brexit, uscita obbligatoria a destra?
di Giovanni Di Benedetto
Nessuna lettura unilaterale delle dinamiche modernizzatrici del capitalismo è oggi possibile. Viviamo un tempo nel quale sembrano riemergere, a condizionare e compromettere un’impossibile linearità dello svolgimento storico, ambiguità drammatiche e contraddizioni laceranti. Le convinzioni interiori dei singoli cittadini e la cultura politica dei singoli militanti non sono entità isolate ma forme ideologiche, espressione del vivere collettivo, che si sedimentano dentro gli abissi del disordine capitalistico. Alienazione e sfruttamento delle soggettività, oppressione e manipolazione delle coscienze sono il frutto avvelenato di tendenze che, su livelli differenti, ci parlano del sovrapporsi di crimini neocoloniali, guerre di religione, divaricazione scandalosa delle ricchezze, imbarbarimento delle periferie, estinzione dello spazio pubblico, violenza razziale, impoverimento culturale e materiale generalizzato, e altro ancora. Senza il riferimento a questo scenario più generale, di carattere economico, politico e sociale, essenzialmente determinato dall’estensione del capitalismo fino a costituire un unico e pervasivo mercato mondiale e compromesso dalle conseguenti linee di faglia fra sfera dell’economico, con le sue assurde pretese di autoregolamentazione, e la sfera del politico, diventa complicato elaborare un pensiero, per così dire, sine ira et studio, capace di fornire una chiave di lettura dotata di senso su quanto è accaduto con il Brexit. Laddove per dotato di senso è da intendersi, va da sé, lo sforzo di collocare l’evento, unico e irripetibile nella sua natura contingente, entro un contesto storico più grande e complesso, la lunga durata dei processi storici citando Braudel, per l’appunto entro una più ampia cornice di senso.
- Details
- Hits: 2070
Dal BDS alla CGT: cronaca della criminalizzazione attraverso la politica della paura
di Saïd Bouamama
La campagna politica di criminalizzazione della CGT [Confédération générale du travail, il principale sindacato francese, n.d.t.] e il tentativo di interdire una manifestazione sindacale sono fatti caratteristici di questo periodo. Il principale sindacato operaio di Francia viene accusato esplicitamente da un prefetto, e implicitamente da un ministro, di complicità quantomeno passiva con i cosiddetti «casseurs». La logica qui all’opera non è nuova. È stata largamente utilizzata in passato e nel presente contro i militanti e le organizzazioni impegnati nel sostegno alla lotta del popolo palestinese, nonché contro quelli provenienti dall’immigrazione. In entrambi i casi si tratta di produrre, dal punto di vista politico e mediatico, un «nemico pubblico» al fine di autorizzare l’assunzione di misure eccezionali a lungo termine, il tutto col pretesto di proteggere la società e i suoi «valori repubblicani»
Dal nemico di civiltà…
I sistemi di dominazione hanno un bisogno consustanziale di suscitare la paura e mettere in scena un qualche pericolo. Il non potersi presentare per ciò che sono li costringe a legittimarsi tramite una simile minaccia artefatta, dalla quale affermano di preservarci.
- Details
- Hits: 3913
Un mondo senza guerre, tra idee e realtà
E. Alessandroni intervista Domenico Losurdo
In un’intervista esclusiva per il nostro sito, Domenico Losurdo, Presidente dell’Associazione Politico-Culturale Marx XXI, presenta il suo nuovo libro, “Un mondo senza guerre”
Iniziamo da un nesso immediato: il tema centrale del tuo nuovo libro (D. Losurdo, Un mondo senza guerre. L’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci, Roma) non può che richiamare alla mente, a quel lettore che ha seguito un poco il tuo percorso intellettuale, un altro tema a cui hai dedicato attenzione nel corso dei tuoi studi: quello della non-violenza (cfr. La non-violenza. Una storia fuori dal mito, Laterza, Roma-Bari 2010). Esiste un filo conduttore tra questi argomenti e tra queste due ricerche?
Il libro sulla non-violenza giunge a un risultato assai sorprendente per il comune lettore. Al momento dello scoppio della prima guerra mondiale Gandhi si offriva quale «reclutatore capo» di truppe indiane per l’esercito britannico e lanciava un appello alla mobilitazione totale: l’India doveva essere pronta a «offrire nell’ora critica tutti i suoi figli validi in sacrificio all’Impero», a «offrire tutti i suoi figli idonei come sacrificio per l’Impero in questo suo momento critico»; «dobbiamo dare per la difesa dell’Impero ogni uomo di cui disponiamo». Lenin invece esprimeva tutto il suo orrore per la carneficina che infuriava, invitava a porvi fine e promuoveva la rivoluzione in nome anche della pace.
- Details
- Hits: 3319
Brexit: cosa significa uscire dall’Unione europea
di Valigia Blu
Introduzione
Si sta parlando molto degli effetti politici della Brexit, ma che succede effettivamente se il Regno Unito lascia l’Unione europea? Riprendendo l’ampio lavoro fatto da Full Fact, organizzazione britannica indipendente di fact-checking, abbiamo provato a descrivere le possibili conseguenze che ci saranno riguardo importanti temi, come il commercio, le finanze pubbliche, gli investimenti esteri, l’immigrazione, il lavoro e i diritti umani.
Commercio
L'Unione Europa è il principale partner commerciale del Regno Unito, con il 53,2% delle importazioni di beni e servizi e il 44,6% delle esportazioni nel 2015, come certificato dall’Office for National Statistics (l’istituto statistico del Regno Unito). Come cambierà il rapporto commerciale tra Ue e Regno Unito non si può ancora sapere, dipenderà infatti dall’accordo che sarà raggiunto.
- Details
- Hits: 5347
L’imperialismo nel XXI secolo
di John Smith
Introduzione
La globalizzazione della produzione e il suo spostamento verso i paesi a basso reddito costituiscono una delle più significative e dinamiche trasformazioni dell’era neoliberista. La sua forza trainante fondamentale consiste in quello che numerosi economisti chiamano “arbitraggio globale del lavoro”: lo sforzo compiuto dalle imprese in Europa, Nord America e Giappone al fine di tagliare i costi e aumentare i profitti rimpiazzando il relativamente ben pagato lavoro domestico con manodopera estera a basso costo, ciò sia attraverso l’emigrazione della produzione (la cosiddetta “esternalizzazione”) sia tramite l’emigrazione dei lavoratori. La riduzione dei dazi e la rimozione delle barriere ai flussi di capitali hanno stimolato la migrazione della produzione in direzione dei paesi a basso reddito, ma la militarizzazione delle frontiere e il crescere della xenofobia hanno creato l’effetto opposto sulla migrazione dei lavoratori provenienti da questi stessi paesi – non fermandoli del tutto, bensì inibendo il loro flusso e aggravando il già vulnerabile status di serie B dei migranti. Di conseguenza, le fabbriche attraversano liberamente il confine USA-Messico e passano agevolmente i muri della fortezza Europa, così come le merci in esse prodotte e i capitalisti che le possiedono, mentre gli esseri umani che vi lavorano non godono del diritto di passaggio. Si tratta di una parodia di globalizzazione – un mondo senza frontiere per tutto e tutti a esclusione dei lavoratori.
- Details
- Hits: 4409
Tra Lenin e Fanon. Per una “teoria critica” del presente
di Giulia Bausano
L’occasione della ripubblicazione di una raccolta antologica di alcuni scritti della RAF[1] è stato il quarantennale dall’assassinio di Ulrike Meinhof, uccisa nel carcere di Stammhein il 9 maggio 1976. Ma l’intento di questo lavoro non è né celebrativo, né esclusivamente memorialistico, ritenendo che la memoria non possa che consistere in una ripresa in mano, da parte dell’odierna generazione di militanti rivoluzionari, di quanto dell’esperienza RAF sembra avere ancora qualcosa di importante da dire nello scenario attuale. Pertanto con l’introduzione ai testi abbiamo provato ad individuare e riflettere su alcune ipotesi della RAF che, a nostro avviso, hanno trovato conferma nella realtà in cui viviamo: cioè l’odierna fase imperialista del capitalismo globale.
Sintetizzando, le intuizioni teoriche e pratiche della RAF, che ci sembrano aver trovato un riscontro fecondo nella cornice storica attuale, sono:
- l’eclissi della dimensione dello stato nazione e l’internazionalizzazione di fatto di ogni dimensione politica
- lo sviluppo della tendenza alla guerra come elemento centrale dell’attuale fase imperialista
- Le trasformazioni che hanno interessato la composizione di classe dentro il cuore del sistema imperialista che tendono a confermare come l’attenzione, e conseguente centralità, posta dalla RAF per le “masse senza volto” cogliesse appieno ciò che il destino riservava alle classi sociali subalterne. Oggi, ciò che negli anni 70 del Novecento poteva apparire ancora come un’eccezione (causando spesso alla Raf accuse di deliberato minoritarismo o estremismo) sembra diventare, attraverso un processo a cascata, la regola.
Page 334 of 553