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Dissenso informato
Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili
Prefazione
di Vittorio Agnoletto
AA.VV.: Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili, a cura di Elisa Lello e Nicolò Bertuzzi, Castelvecchi, 2022
«Non in televisione e non in prima serata, professore». Con queste parole Beppe Severgnini interrompe il prof. Andrea Crisanti che, la sera del 26 novembre 2021, durante la trasmissione Otto e mezzo, espone le sue perplessità sulla vaccinazione anti-Covid per i bambini; perplessità dovute alle limitate informazioni allora a disposizione della comunità scientifica. Severgnini insiste: «Ci sono i convegni e i congressi per dire certe cose; se voi le ripetete in prima serata, la gente si spaventa e non capisce più niente, mi creda».
27 novembre 2021. Il senatore a vita Mario Monti, durante la trasmissione In Onda, dichiara: «È una guerra, ma non abbiamo minimamente usato in nessun Paese una politica di comunicazione adatta alla guerra e forse oggi non si riesce più, anche se ci fosse una guerra vera, ad avere una comunicazione come quella che si aveva nel caso di guerre…»; «… La comunicazione di guerra significa che c’è un dosaggio dell’informazione […] bisogna trovare delle modalità meno, posso dire democratiche secondo per secondo…»; «In una situazione di guerra […] si accettano delle limitazioni alla libertà». La conduttrice Concita De Gregorio gli domanda chi dovrebbe decidere come dosare l’informazione; la risposta è netta: «… Il governo, ispirato, nutrito, istruito dalle autorità sanitarie».
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Capitalismo delle piattaforme, capital gain e revolving doors
di Andrea Pannone
Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Andrea Pannone, economista esperto nell'analisi dei processi di innovazione tecnologica e attualmente ricercatore senior alla Fondazione Ugo Bordoni. L’articolo, nell’analizzare le radici del profitto e del potere delle aziende a maggiore capitalizzazione, ha il merito di focalizzarsi su uno dei «meccanismi» reali con cui si costruisce la convergenza tra finanziarizzazione, grandi colossi hi-tech e potere politico.
Il contenuto dell'articolo è esclusiva responsabilità dell'autore e non coincide necessariamente con la posizione dell'Ente in cui lavora
Piattaforme digitali e «paradosso dei profitti»
La recente affermazione del «capitalismo delle piattaforme» – ossia di una forma organizzata di estrazione del valore basata sull’appropriazione dei dati e dei contenuti prodotti dagli utenti delle piattaforme digitali – ha fatto emergere tra molti ricercatori un notevole interesse sul concetto di «paradosso del profitto» (vedi ad esempio Eeckhout, 2021). Tale concetto è usato per spiegare perché, nelle ultime due/tre decadi, la maggior parte dei benefici economici derivanti dai progressi tecnologici connessi alla massiccia diffusione di Ict in tutti i settori dell’economia sono stati catturati da un numero estremamente limitato di imprese, che hanno aumentato a dismisura il proprio potere di mercato a scapito dei concorrenti e, di conseguenza, la propria capacità di aumentare i prezzi dei beni e servizi offerti, di comprimere i salari e di frenare la nascita di nuove imprese sul mercato. Dove sta il paradosso? Nel fatto che questo fenomeno contrasta con l’idea dominante, presente sin dagli albori della «rivoluzione digitale» nella letteratura economica e nei media, secondo cui l’uso generalizzato di Ict, combinato con la pervasività di Internet, avrebbe sicuramente eliminato quasi del tutto i vecchi intermediari nelle transazioni e abbattuto i costi connessi al funzionamento del meccanismo di mercato (noti come «costi di transazione» [1]). Questo processo avrebbe dovuto, nel tempo, guidare i mercati verso il funzionamento di perfetta concorrenza descritto nei testi di economia, che prevede prezzi decrescenti e tecnologie più efficienti a vantaggio dei consumatori.
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Il mondo secondo Xi Jinping: cosa crede davvero l’ideologo in capo della Cina
di Kevin Rudd
Introduzione a cura di Rete dei Comunisti
Traduciamo e pubblichiamo un articolo della prestigiosa rivista statunitense dedicata alle relazioni internazionali Foreign Affairs.
Scritto in prospettiva di commento del XX Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese che si svolge in questi giorni (lo abbiamo inquadrato qui), l’articolo si propone di inquadrare la visione del mondo del presidente Xi Jinping, che inizierà il suo terzo mandato proprio in questa occasione.
La rivista naturalmente si pone dal punto di vista dell’establishment della politica estera USA, quindi bisogna fare una accurata tara alle analisi espresse. A maggior ragione risulta interessante l’attenzione data a quella che viene individuata come la corrente ideologica più influente nell’azione di Xi, il marxismo-leninismo. Tale impianto teorico viene infatti sistematicamente ignorato dagli analisti occidentali, che, nonostante sia ancora l’ideologia ufficiale del PCC e della Cina, lo derubricano ad un pensiero morto senza influenza nel reale. L’influenza del pensiero marxista-leninista ha indubbiamente un peso nelle decisioni dei quadri del partito, che lo studiano approfonditamente.
Tuttavia la situazione è più complessa e, come qualsiasi cosa quando si parla di Cina, non può essere liquidata con semplicità da bianco/nero (abbiamo cercato di raccogliere contributi significativi per capire la Cina oggi all’interno di un Dossier Cina e in un numero dedicato di Contropiano). Se da un lato infatti sarebbe un errore accettare acriticamente i comunicati del PCC sul Socialismo con Caratteristiche Cinesi e individuare necessariamente la Cina come il Sol dell’Avvenire della rivoluzione globale, altrettanto sbagliato sarebbe considerare il paese come completamente rientrato nell’ovile capitalista a partire dal periodo di “riforme e aperture” sotto la guida di Deng.
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La guerra del silicio: perché Taiwan?
di Franco Maloberti
È ormai evidente che non c’è solo una guerra per l’energia ma anche un conflitto, fino ad ora silente ma altrettanto violento, sul controllo dei circuiti integrati (chiamati amichevolmente chip). Queste tesserine minuscole sono il cuore di quasi tutti gli apparati e sistemi moderni e la loro disponibilità fa la differenza tra dominio e dipendenza tecnologica. È sorprendente sapere che Taiwan detiene una quota del 64% del mercato globale delle fonderie di silicio. Il secondo produttore è la Corea del Sud con il 18%, poi la Cina con il 9%, e infine gli USA con un misero 6% [1].
Come si è arrivati a una tale situazione? La risposta la si trova lontano nel tempo, poco dopo gli anni 1980. Allora, gli Usa si resero conto, un po’ in ritardo, che la concorrenza giapponese aveva preso il sopravvento nella produzione di semiconduttori e in particolare delle memorie ad accesso dinamico (DRAM). La contromossa fu la creazione ad Austin nel 1987 di SEMATECH, un consorzio tra 14 industrie Usa e il governo americano [2]. L’obiettivo era risolvere problemi tecnologici e di produzione così da riguadagnare la competitività statunitense nel settore dei semiconduttori. Il dipartimento della difesa DARPA cofinanziò l’impresa con 100 milioni di dollari all’anno. La previsione era per un supporto statale di cinque anni; dopo il consorzio doveva sostenersi autonomamente. Al termine di tale periodo però, il programma fu prorogato per altri quattro anni. Dopo tale estensione, il consorzio ritenne non più opportuno godere di un ulteriore sostegno governativo. Dietro tale decisione, che creò ovvie difficoltà finanziarie, c’era un conflitto tra i diversi partecipanti. Alcuni abbandonarono e aziende non Usa furono invitate e accolte nel consorzio.
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“World alienation”. Dalla scoperta dell’America alla pandemia
di Ottavio Marzocca
1. L’alienazione dal mondo: eventi e implicazioni
Tre eventi segnano – secondo Hannah Arendt (1994) – l’inizio di ciò che nell’ultimo capitolo di Vita activa definisce alienazione dal mondo (world alienation nell’edizione originale dell’opera). Si tratta della scoperta dell’America, della Riforma protestante e dell’invenzione del telescopio.
1.1 La scoperta dell’America, secondo lei, inaugura la contrazione del globo che si realizza completamente con la perdita d’importanza delle distanze spaziali, provocata dal fatto che l’uomo moderno da allora ha cominciato a percorrere in lungo e in largo il pianeta con mezzi di locomozione sempre più veloci.
Infatti, nella nostra epoca ormai «[g]li uomini vivono (…) in una continuità globale che ha le stesse dimensioni della terra, una continuità in cui (…) la nozione di distanza (…) ha ceduto all’assalto della velocità» (ivi, p. 184).
Con la scoperta dell’America si innesca non solo un susseguirsi di altre scoperte, ma anche un accumularsi di conoscenze geografiche e cartografiche sempre più precise e dettagliate. Ne consegue «che nulla rimane immenso se può essere misurato, che ogni scoperta riunisce parti distanti e (…) stabilisce la prossimità dove prima regnava la distanza» (ivi, p. 185).
Si può dire perciò che «[p]rima della contrazione dello spazio e dell’abolizione della distanza a causa di ferrovie, navi oceaniche e aeroplani» si sia data «la contrazione infinitamente più grande e decisiva determinata dalla capacità di visione sintetica della mente umana», capacità sviluppatasi con l’elaborazione delle «mappe e [delle] carte di navigazione dei primi stadi dell’età moderna» (ibidem).
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Un volume sulla guerra ucraina: cause, impatto, conseguenze
di Andrea Catone
Introduzione al volume La guerra ucraina. Cause, impatto, conseguenze, a cura di Andrea Catone, Marx Ventuno edizioni, Bari 2022
Questo volume di “MarxVentuno” intende fornire strumenti di conoscenza, riflessione, analisi sulla guerra in corso e sulla nuova fase della storia mondiale che si è con essa avviata. Non esaurisce certamente il tema; alcuni aspetti del quale non sono qui ancora trattati; diverse questioni vanno riprese e approfondite. Ci impegniamo a farlo nei prossimi numeri, cercando di utilizzare al meglio quella “cassetta degli attrezzi” del marxismo, cui esplicitamente si richiama la nostra rivista.
L’intervento militare russo in Ucraina è oggetto di valutazioni diverse e contrastanti tra i partiti e gruppi di ispirazione comunista, socialista, marxista, sia a livello internazionale che in Italia. È di grande utilità a questo proposito l’ampio contributo di Fausto Sorini (datato a metà maggio), che, basandosi esclusivamente sulle risoluzioni e documenti ufficiali, traccia il quadro delle valutazioni e prese di posizione dei principali partiti comunisti nel mondo, concludendo, in estrema sintesi, che “la stragrande maggioranza dei comunisti a livello mondiale (tenendo conto del numero di iscritti, del consenso politico-elettorale, dell’influenza sui rapporti di forza mondiali) – oltre il 90% della forza complessiva – si è schierata dalla parte della Russia e ha fatto propria l’analisi strategica del quadro mondiale affine a quella del Pcfr. Ma tra questi, pochissimi hanno sostenuto apertamente l’intervento militare. Una piccola minoranza, con argomenti assai diversi al suo interno, ha assunto invece una posizione apertamente critica e/o di divergenza strategica”.
Anche in Italia vi sono state a sinistra posizioni articolate. I tre partiti comunisti che fanno capo alla rete Solidnet – Pci (segretario Mauro Alboresi), Prc (segretario Maurizio Acerbo), Pc (segretario Marco Rizzo) – e le diverse altre organizzazioni o gruppi della troppo frammentata galassia della sinistra italiana condividono la critica all’espansione ad est dell’Alleanza militare a guida Usa, di cui riconoscono il ruolo aggressivo.
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L’Occidente e la curva della rivoluzione
di Roberto Gabriele
"Cumpanis" riceve e molto volentieri pubblica questo importante contributo alla discussione del compagno Roberto Gabriele, auspicando che ciò sia l'inizio di una vera collaborazione
Da decenni molti compagni si sono arrovellati per trovare la soluzione al problema della ricostruzione di un partito popolare e di classe dopo la liquidazione del PCI, che ereditasse la parte migliore dell’esperienza comunista in Italia e rappresentasse un punto di ripresa di una visione mondiale del processo di trasformazione socialista.
La spinta emotiva per il crollo dell’URSS e lo scioglimento del PCI hanno portato a conclusioni affrettate su come reagire e questo spiega gli insuccessi registrati fino ad ora da coloro che hanno scelto la via del partito qui e subito. La valutazione è, peraltro, oggettiva e prescinde necessariamente dal grado di serietà o meno con cui questi tentativi sono stati condotti.
C’è bisogno, dunque, di ripartire da una analisi oggettiva delle cose per capire le difficoltà e i problemi da affrontare. L’analisi è tanto più necessaria quando si parla di paesi dell’occidente capitalistico, e tra questi l’Italia, dove l’urto delle contraddizioni è mediato da un sistema politico e da una condizione sociale che deve tener conto del ruolo dell’imperialismo e dei frutti che esso porta comunque alla società che lo esprime. Ricordiamoci a questo proposito ciò che Lenin sosteneva a proposito della classe operaia inglese.
Prescindendo però da considerazioni storiche, per cogliere i dati essenziali delle contraddizioni che vivono oggi anche i paesi capitalistici e porle alla base di un percorso di ricostruzione politica e organizzativa, bisogna necessariamente riferirsi all’insieme della dinamica del sistema imperiale occidentale senza cui non è possibile tracciare una strategia che punti a un processo di trasformazione del sistema economico e sociale anche in Italia.
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Una ciocca di capelli in Iran?
di Michele Castaldo
Inutile girarci intorno la questione è seria e complicata: l’Occidente ha sviluppato e costruito – attraverso la sua storia – un modello di rapporti sociali che il resto del mondo guarda con ammirazione e sgomento al tempo stesso, proprio mentre si avvia verso il crack il paese simbolo del liberismo, gli Usa. Dall’Iran all’India, o alla stessa Cina si moltiplicano i fenomeni di emulazione di costumi sorti in Occidente e che pongono la donna al centro della scena sociale, politica, culturale, religiosa e quant’altro ancora. Saranno anche minoritari certi episodi, ma segnano il senso di una tendenza destinata più a rafforzarsi che a ridursi. Altrimenti detto: l’Occidente ha sviluppato il culto del liberismo individualistico, ovvero il senso della libertà assoluta dell’individuo.
Come si affrontano tematiche così complicate e importanti che investono milioni di persone nei diversi continenti? Cerchiamo di ragionare sulla cosa senza veli ideologici, come purtroppo spesso si fa, o per partito preso come i tifosi di una squadra di calcio, ma entrando nel merito e cercando di storicizzare la questione, partendo sempre dai fatti per quello che sono realmente e non per quello che si vorrebbe che fossero, per ricavare le idee corrette su di essi.
«Le donne insorgono pubblicamente contro la polizia morale, una istituzione che sorveglia minuziosamente i comportamenti femminili», scrive Sergio Romano sul Corriere della sera di domenica 16 ottobre 2022. Posta nei termini in cui la pone Sergio Romano, chi oserebbe dare torto alle donne «che insorgono pubblicamente»? Qualunque persona, qui da noi, dotata di buon senso direbbe: ma che malfattori questi governanti persiani, questi islamici retrogradi, questi conservatori reazioni e chi più ne ha più ne metta.
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L’Europa alla canna del gas: disastri e profitti in tempo di guerra
di Giorgio Ferrari
L’espressione lessicale “essere alla canna del gas”, viene usata metaforicamente, tra il tragico e il grottesco, per rappresentare una situazione disperata tale per cui, volendo porvi fine, non resta che attaccarsi al tubo del gas e succhiare forte. Paradossalmente, dopo il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 (NS1 e NS2), questa possibilità non è più a portata di mano della stragrande maggioranza della popolazione europea la quale, ben lungi dal volersi suicidare, avrebbe voluto continuare a “succhiare” il gas russo (magari tappandosi il naso).
Nell’intricato scenario che abbiamo di fronte, l’azione distruttiva dello scorso 26 settembre contro i due gasdotti, segna una svolta nell’andamento del conflitto ukraino, non tanto da un punto di vista militare, quanto per le conseguenze ambientali e sociali che ne derivano.
Conseguenze ambientali
Entrambi i gasdotti erano fuori servizio al momento del sabotaggio, il NS1 per via delle controversie riguardanti le turbine Siemens della stazione di pompaggio russa, mentre il NS2 -benché ultimato e collaudato – non era mai entrato in servizio. Come previsto dalle norme di sicurezza internazionali, le quattro tubazioni di cui si compongono i gasdotti (anche se non operativi) erano piene di gas in pressione per cui la rapida depressurizzazione dei tubi conseguente alla rottura, ha causato la fuoriuscita del gas che vi era contenuto, stimato in 800 milioni di metri cubi (secondo Gazprom) o, più verosimilmente, tra i 400 e i 500 milioni, secondo altre stime, che hanno dato vita ad enormi bolle sulla superficie del Mar Baltico.
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Altro che abolizione della Fornero: il Governo che verrà è già all’attacco delle pensioni
di coniarerivolta
Il Governo Meloni non ha ancora preso forma, ma il contenuto reazionario della sua agenda è stato, sin dai primi giorni della campagna elettorale, orgogliosamente sbandierato ai quattro venti. In piena continuità con i precedenti governi, il programma della prima ministra in pectore si sviluppa sugli assi tradizionali delle politiche degli ultimi trent’anni: austerità di bilancio, attacco alla forza contrattuale dei lavoratori e allo Stato sociale (pensioni, istruzione, sanità, trasporti pubblici, etc.), riduzione delle tasse per i ricchi.
Più nel concreto, i partiti che si accingono a comporre la compagine di governo hanno agitato in campagna elettorale alcuni temi chiave esemplificativi della volontà di incarnare la variante “destra” di un programma neoliberista pienamente condiviso da tutto l’arco parlamentare: flat tax, eliminazione del Reddito di cittadinanza, esacerbazione del conflitto tra lavoratori autoctoni e stranieri. Nessun accenno, in questo coacervo di misure e spinte reazionarie, a qualsivoglia tematica sociale. Anzi, anche qui in perfetta continuità con la diffusa retorica padronale, le destre in ogni loro forma si sono più volte scagliate contro il Reddito di cittadinanza, reo – a loro avviso – di ridurre il numero di lavoratori (leggasi: schiavi) utili agli interessi delle imprese. Vi è, a dire il vero, un’altra apparente eccezione: l’annunciato intervento sulle pensioni per contrastare ancora una volta gli effetti più brutali della Legge Fornero che dal 2023, scadute le varie tamponature di quota 100 e 102, tornerebbe pienamente in funzione.
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Perché la transizione è verde
di L’Urlo della Terra
“Sebbene sia piuttosto vero che ogni politica radicale di applicazione delle teorie eugenetiche sarà impossibile per molti anni a venire (ragioni politiche e psicologiche lo impediranno), è importante che l’UNESCO continui a esaminare l’eugenetica con la massima attenzione, informando nel miglior modo possibile l’opinione pubblica sull’argomento e sulle sue possibili implicazioni. In questo modo, quello che oggi è considerato impensabile potrà in futuro almeno cominciare a essere preso in considerazione senza tabù di sorta.” Julian Huxley, 1946.
Nel programma di resettaggio e di Grande Trasformazione in corso tanti gli aspetti che vengono toccati, sia per trasformarli irrimediabilmente, sia per renderli obsoleti e quindi da destinare nel dimenticatoio della storia. Esiste però un aspetto che non solo è chiamato a comprendere tutti gli altri, ma ha anche origini più antiche: l’ecologia. Su questo tema vi sono questioni ampiamente denunciate e dibattute, a volte anche dagli stessi responsabili dell’ecocidio in atto. Nel tempo, denunciare il rischio ecologico e poi portare a risolverlo si è rilevato molto remunerativo per tutta l’industria, da quella chimica ed energetica a quella farmaceutica. Tutti parlano di ecologia, evidentemente a sproposito, per poi adottare strategie commerciali o politiche che rappresentano tutto l’opposto.
L’ecologia è talmente considerata che anche a Davos tra aguzzini della finanza e delle multinazionali gira una giovane ragazza in treccine che li riporta alle loro responsabilità in merito al cambiamento climatico, tanto da far percepire quasi un po’ di bonomia etica, ma è solo un attimo perché uno sguardo attento mostrerebbe subito gli artigli assassini di tutti costoro. Ormai sembra essere evidente ai più che tutta la ristrutturazione del comparto tecno-industriale si basa su retoriche ambientaliste, tanto che è stato coniato un termine specifico per evidenziare e denunciare questo fenomeno, ovviamente con un inglesismo: green wasching.
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Gli anni buoni, gli anni brutti e domani chissà!
di Valerio Romitelli
Premessa di Giorgio Gattei
Valerio Romitelli ha raccolto una serie di suoi interventi dal 2015 al 2021 (in parte occasionali, ma alcuni anche sistematici come “L’egemonismo, malattia senile del comunismo”) in un volume che ha intitolato L’emancipazione a venire. Dopo la fine della storia (DeriveApprodi, Roma, 2021) convinto com’è che l’emancipazione del/dal lavoro (però su questo scelta lui non si addentra) prima o poi ha da venire essendo iscritta nella “cosa del capitale” (alla faccia della maledizione keynesiana per cui «nel lungo periodo siamo tutti morti», ma «mica tutti assieme» gli aveva replicato la dispettosa discepola Joan Robinson). E a questa raccolta ha premesso una corposa introduzione in 13 punti che, «in barba alla complessità obbligatoriamente evocata in ogni discorso accademico contemporaneo, mireranno alla semplificazione sistematica dei temi affrontati».
In questa introduzione Valerio s’interroga, da «compagno/non compagno» (come si auto-definisce), ma «sempre controcorrente perchè condizione obbligatoria per poter pensare con la propria testa anche in merito a questioni come quelle politiche, le quali notoriamente obbligano alla condivisione con altri il più possibile estesa», su dove sia andata a finire la “sinistra di classe” e la specificazione è d’obbligo per evitare di confonderla con la melassa della “sinistra buonista” che sempre si commuove per la mala sorte degli sfruttati, dei poveri, dei deboli e li soccorre anche, ma non si propone mai il problema pratico, che innanzi tutto è teorico, di “superare” quella loro condizione di debolezza, povertà, sfruttamento.
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Eurafrica. Le origini coloniali dell’Unione Europea
Prefazione
di Étienne Balibar
Pubblichiamo la prefazione di Étienne Balibar al libro di Peo Hansen e Stefan Jonsson, Eurafrica le origini coloniali dell’Unione europea. Il libro, pubblicato in inglese, è stato recentemente tradotto in francese, da La Découverte, accompagnato da questo testo di Balibar. Su questo importante volume, Effimera ha pubblicato anche una recensione di Ludovic Lamant. La traduzione è di Salvatore Palidda.
Peo Hansen and Stefan Jonsson, Eurafrica: The Untold History of European Integration and Colonialism, Bloomsbury Publishing PLC, 2015
Peo Hansen et Stefan Jonsson, Eurafrique. Aux origines coloniales de l’Union européenne, préface d’Étienne Balibar, La Découverte, 2022
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Le circostanze in cui, in extremis, scrivo questa prefazione cui tenevo molto, sia per la stima che ho per gli autori, sia per l’importanza della questione che indagano, mi obbligano a essere breve. Ma non mi inducono a rinunciarvi, anzi.
Chiunque sia interessato all’Africa dovrebbe leggere questo libro e anche chiunque sia interessato all’Europa. E quindi chiunque sia interessato al mondo, di cui non c’è dubbio che l’Africa e l’Europa, insieme e separatamente, sono attori imprescindibili. Ma perché “Eurafrica”, questo strano composto (allo stesso tempo vicino eppure molto diverso, genealogicamente, da certi altri di cui si sente molto parlare in questo momento, come “Eurasia”)? Siamo abituati soprattutto forse sotto forma di aggettivo a “relazioni euro-africane”, “partenariato euro-africano”, apparentemente del tutto innocenti, puramente descrittivi.
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Putin, la NATO e noi
di Militant
Di seguito riportiamo il testo del nostro intervento, presentato durante il convegno nazionale dal titolo “La guerra in Ucraina, la crisi economica e il grande caos mondiale in arrivo. Che fare?”
La ‘questione guerra’ ha scompaginato il campo della sinistra radicale, almeno in Italia. Non è stata una novità, a ben vedere: è accaduto anche con la pandemia, pochi mesi prima. Divisioni, contrasti, imbarazzi e una fatidica incapacità di presentare quantomeno una lettura unitaria dei fenomeni in atto hanno confermato i problemi esistenti: invisibile nel “regime ordinario”, la sinistra che pretende di parlare a nome dei subalterni lo è anche in quello “straordinario”, totalmente incapace di “cogliere l’attimo” e di “accelerare la storia”, nonostante l’evidenza di essere una parte minoritaria della società e dunque l’opportunità di “fare di necessità virtù”.
Non fa parte degli obiettivi di questo intervento ipotizzare il perché di questa incapacità, “parossistica” anche rispetto a quanto capita negli altri Paesi occidentali. Qui vogliamo semplicemente sottolineare come le divisioni interpretative sulla guerra in Ucraina altro non sono che il punto di caduta di una questione spesso rimossa, ma che – quando affiorava – già nel passato era stata foriera di polemiche e contrasti. Mentre i contrasti sul Covid e, soprattutto, sulle misure di contenimento della pandemia dimostravano come il conflitto capitale vs lavoro avesse ormai ceduto il passo – nell’agenda di una sinistra radicale a parole, ma riformista nei fatti – alla centralità del sistema di libertà declinato individualmente, l’andare in ordine sparso sulla guerra è la conseguenza delle diverse valutazioni sul carattere imperialistico o meno della Russia di Putin.
Dicendo questo, vogliamo evitare un errore di fondo, che pure connota molte opinioni “di sinistra”: considerare l’attacco russo del 24 febbraio come un evento estrapolato dal contesto, finendo per assolutizzarlo.
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Resilienza: adattarsi a un mondo tossico
di Silvia Guerini
L’ultimo uomo è l’umano resiliente in perfetta sintonia con i dettami di Davos: dinamismo resiliente era una frase lanciata dal WEF nel 2013. Schwab delinea una società più inclusiva, resiliente e sostenibile. Non è un caso che il piano nazionale per l’economia approvato nel 2021 in Italia dopo la pandemia dichiarata al fine di velocizzare la transizione ecologica e digitale sia stato chiamato Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La parola resilienza entra così a pieno titolo nel leitmotiv di inclusività e sostenibilità. In perfetta sintonia con la fluidità che deve contraddistinguere ogni cosa e diventare una caratteristica di ogni individuo.
La resilienza in ingegneria si riferisce alla proprietà dei metalli di assorbire un urto seguendo il corso delle deformazioni senza spezzarsi. Così, come per i metalli, all’umano nelle nuove geometrie del mondo tecnomorfo viene chiesto di diventare poroso per assorbire ogni tipo di tossicità e di diventare plastico in grado di deformarsi senza più tenere memoria del suo stato originario. Dalla meccanica dei corpi alla meccanica dello spirito per una sopportazione dell’insopportabile.
In ambito psicologico la resilienza rappresenta la capacità di attraversare e superare dei traumi, per riuscire a far fronte a delle situazioni immodificabili come l’avvento di un tumore o la morte di una persona cara.
Quando alcune parole vengono fatte proprie dal potere chiediamoci cosa andranno poi a significare e cosa andranno a rappresentare nelle trasformazioni e metamorfosi messe in atto dal potere stesso. La resilienza, da qualità che può essere considerata positiva in ambito strettamente psicologico, viene resa modus operandis, ideologia, imperativo dominante.
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“Ricordare il futuro”
di Salvatore Bravo
Ricordare un autore significa renderlo compagno di viaggio nel presente, solo in tal modo il suo pensiero può dispiegarsi verso ciò che verrà. Non si tratta di idolatrica venerazione, nulla è più distante dalla filosofia, ma di confronto dialettico e plastico. Pensare un autore è confliggere, discorrere, prendere le distanze da errori e posture ideologiche non condivisibili. Il nuovo ha il suo “humus” nell’incontro-scontro, si tratta di un urto fecondo dal quale possono emergere nuove prospettive. Nessun autore pensato “resta nell’astratto” della mente, pensare in filosofia è prassi critica, per cui il pensiero si concretizza nell’effettualità della storia ponendo un proficuo circolo dialettico.
L’attività del pensiero è intenzionalità significante, pertanto gli autori nascono a nuova vita nella razionalità che li accoglie. Siamo vicini al decennale della morte di Costanzo Preve, nel 2023 saranno dieci anni dalla sua morte. La morte di un autore non conclude il suo ciclo razionale, in quanto le sue idee possono germinare al sole della critica e della ricerca.
Le sue parole sono state un confronto aspro e profondo con il suo e il nostro tempo, ciò che ha scorto e ha anticipato con lo sguardo della filosofia è tra di noi. Non voglio, pertanto soffermarmi sui testi pubblicati o solo sull’analisi al capitalismo, ma, forse, è il caso di porre in atto un riorientamento gestaltico, cambiare prospettiva, palesare gli aspetti costruttivi presenti nella filosofia di Costanzo Preve attraverso le sue interviste. Queste ultime si connotano per la spontaneità colloquiale non disgiunta dalla chiarezza concettuale.
La filosofia non è solo “domandare profondo” che apre campi semantici di ricerca, ma è anche fatica della risposta.
La fatica del concetto è l’incontro tra domanda e risposta.
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Capitale e natura. Dai “sapiens” al critico dominio del dollaro
di Carla Filosa
Unità di natura e modo di produzione storico
Un nuovo libro intitolato “Noi siamo natura” di Gianfranco Bologna, Edizioni Ambiente, sembra proporre un’ottica di cultura al servizio dell’azione a difesa dell’ambiente, senza avere più molto tempo per attardarsi. Ciò premesso, come possibile indicazione di riferimento di recentissima stesura, per affrontare il problema climatico che oggi mostra aspetti disastrosi già parzialmente visibili, si propone di considerare i cambiamenti climatici naturali separatamente da quelli determinati dalle attività umane. Questo per concentrarsi sui mutamenti, non da un punto di vista tecnico da demandare agli esperti del settore, ma da un punto di vista sia proprio della natura sia sociale e storico.
È bene rammentare che sul riscaldamento climatico (Global Warming), e non solo, si fa qui riferimento alle analisi effettuate sin dagli anni ’50 dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), quale massimo consesso mondiale di esperti sul clima. Al contrario, non si intende prendere nemmeno in considerazione le tesi relative all’“allarmismo climatico”, volte a minimizzare le rilevazioni scientifiche che potrebbero compromettere la regolare continuità delle incidenze umane. Queste sono infatti considerate altamente probabili – la cui possibilità è data al 95-100% - su un riscaldamento dell’atmosfera terrestre e degli oceani, che comporterebbe disastri quali scioglimento di nevi e ghiacci con conseguente innalzamento dei mari, pericolo per gli insediamenti umani sulle coste delle terre emerse, concentrazione di gas serra tra cui soprattutto CO2, ecc.
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Una visione eterodossa della Cina*
di Pompeo Della Posta
Pompeo Della Posta sostiene che parlando della Cina, i media europei si soffermano molto spesso sugli aspetti negativi che la caratterizzano, ignorando o sottostimando, quelli positivi e che ciò rischia di alimentare una crescente contrapposizione con l’UE, oltre a quella, già evidente, fra USA e Cina. Della Posta tenta di riequilibrare la narrativa su quel paese, con l’intento di favorire il mantenimento di un contesto di comprensione e dialogo con l’UE e aiutare così le prospettive di pace in un contesto internazionale sempre più difficile
Il XX Congresso del Partito comunista cinese, che si apre proprio mentre vengono licenziate queste note, vedrà, con ogni probabilità, la riconferma di Xi Jinping come Segretario generale del Comitato centrale per i prossimi 5 anni. La sua eventuale conferma sarà possibile grazie ad una modifica costituzionale del precedente limite di 2 mandati. Sotto la sua guida, iniziata 10 anni fa la percezione che il mondo ha della Cina è profondamente mutata. Nel parlare del “paese di mezzo”, infatti, i media europei si stanno soffermando in maniera crescente sugli innegabili aspetti critici che lo caratterizzano (ad esempio la censura operata sull’informazione), spesso utilizzando esclusivamente un metro di giudizio occidentale, senza porli in prospettiva storica, geografica o culturale e senza considerare la specificità di un paese popolato da 1 miliardo e 400 milioni di persone. Sono generalmente del tutto ignorati o sottostimati quelli positivi (fra le poche eccezioni vi è un articolo della Harvard Business Review che sottolinea “ciò che l’Occidente sbaglia sulla Cina”).
Tutto questo sta condizionando il sentimento comune nei confronti di quel paese, ma soprattutto rischia di alimentare la contrapposizione frontale con l’Unione europea (UE) , che andrebbe ad aggiungersi a quella, già evidente, fra Stati Uniti (USA) e Cina, con conseguenze per le prospettive future di pace nel mondo.
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Partenariato Orientale: la scommessa geopolitica dell'Ue che sta inabissando l'Europa
di Laura Ruggeri
Nel febbraio 2007, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, Vladimir Putin pronunciò un discorso molto incisivo che segnalava la ritrovata fiducia in se stessa della Russia e annunciava il desiderio e la disponibilità di Mosca a svolgere un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali. In quella sede il presidente russo criticò come pericolosi e futili i tentativi degli Stati Uniti di creare un ordine mondiale unipolare in un momento in cui stavano emergendo molti nuovi poli. Sottolineò anche con forza che l'espansione della NATO e il dispiegamento di sistemi missilistici nell'Europa orientale costituivano una minaccia per la sicurezza della Russia. Gli Stati Uniti ritennero il suo discorso un atto di sfida: le relazioni USA-Russia diventarono più fredde, più tese e Washington iniziò ad elaborare nuovi piani per contenere le legittime aspirazioni della Russia. L'attuazione di questi piani richiedeva una più stretta collaborazione tra la NATO e l'Unione Europea: spinta dagli USA, l'UE decise di intensificare il suo coinvolgimento nello spazio post-sovietico.
Ovviamente, l'UE aveva sempre avuto un interesse per i paesi situati fuori dai propri confini. Ad esempio, la strategia di sicurezza europea (ESS) del 2003 aveva già raccomandato un "impegno preventivo" attraverso la promozione di "un anello di paesi ben governati a est dell'Unione europea"(1), ma mancava un quadro istituzionale per coordinare gli sforzi. Il cambio di passo fu sollecitato dagli Stati Uniti dopo il discorso di Monaco.
Nel maggio 2008, al Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne dell'UE a Bruxelles, Polonia e Svezia presentarono la proposta di un partenariato speciale con Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina. Durante il vertice di Praga del maggio 2009, il concetto venne ufficialmente tradotto nel Partenariato Orientale (EaP).
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Guerra, crisi capitalista ed esigenza dell’unità delle forze comuniste, antimperialiste e anticapitaliste
Adriana Bernardeschi intervista Alberto Fazolo
Intervista ad Alberto Fazolo, giornalista, saggista, economista, militante politico antifascista e comunista. Esperto di questioni internazionali, ha vissuto due anni nel Donbass ed è autore, tra l'altro, del libro "In Donbass non si passa. La Resistenza antifascista alle porte dell'Europa", un reportage dai fronti di battaglia del Donbass, in vendita su diversi portali e-commerce
Ci troviamo all’apice della crisi del modello di sviluppo capitalista, una crisi strutturale a quel sistema economico che come già successo in passato trova la sua remissione (sempre temporanea) attraverso politiche di guerra (palliativo della sovrapproduzione) e attraverso la messa in scena della faccia “cattiva” del capitalismo, quella delle destra eversiva in grado di minare il sistema democratico per raggiungere i suoi scopi di massacro sociale. Di fronte a questo scenario, le recenti elezioni politiche hanno dato conferma della complessiva debolezza delle forze che si propongono di superare questo sistema in senso progressista, e del prendere vigore invece di quelle reazionarie e postfasciste, che raccolgono il malcontento popolare sempre più disorientato perché troppe volte tradito da chi avrebbe dovuto rappresentarlo.
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Quali sono stati, a tuo parere, gli errori più cruciali della sinistra di classe che hanno condotto a questo risultato di estrema debolezza?
R: Secondo me sono stati fatti degli errori sia di metodo che di merito, e alcuni errori sono un po’ a metà strada fra merito e metodo. Analizzare gli errori è un passo necessario per potersi migliorare risolvendoli e non ripetendoli in futuro. Secondo me il primo gravissimo errore di metodo è stato quello di accettare le regole del gioco imposte dall’avversario, e l’avversario in questo caso è lo Stato nelle sue massime espressioni, quindi Mattarella e Draghi, che hanno imposto delle elezioni in un momento in cui non ce n’era assolutamente bisogno perché Draghi aveva comunque un’ampissima maggioranza parlamentare che gli consentiva di guidare un governo senza nessuna apprensione.
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Sulla nullità dell’uomo moderno
di CdC
Nella sua opera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, pubblicata nel 1984, Milan Kundera sostiene che i tempi moderni sono quel periodo in cui l’importanza ed il peso della vita umana hanno perso di significato, diventando più leggeri. Witold Gombrowicz, scrittore polacco venticinque anni più vecchio di Kundera, ha un’idea allo stesso tempo comica e geniale per definire questa situazione. Secondo Gombrowicz, il peso del nostro Io dipende dalla quantità di popolazione presente sul pianeta: il peso dell’esistenza umana si è diviso e diluito in una tale quantità di parti, di porzioni differenti, da far sì che il peso ed il valore dell’esistenza stessa si sia ridotto, si sia alleggerito fino al punto da diventare insostenibile. Quindi il peso dell’Io diventa sempre più leggero man mano che la popolazione del pianeta aumenta, come se l’energia che dà peso all’Io fosse di quantità limitata e, poiché viene distribuita in un numero elevato di persone, finisce per essere di modesta quantità in ognuno. Volendo esprimere questo concetto con linguaggio matematico, si potrebbe dire che il numero è inversamente proporzionale alla sostanza.
Ciò che Kundera vuole porre sotto i nostri occhi è, probabilmente, la condizione in cui si trova l’uomo nei tempi moderni. L’uomo moderno è entrato in una fase della storia dove le forze individuali sono totalmente sottomesse alla gabbia di acciaio dell’amministrazione planetaria, sottomesse anch’esse dalle forze della storia, forze probabilmente scatenate dall’uomo stesso che, nell’intento di migliorare la propria vita, si “concede” alla tecnica, quella stessa tecnica di cui, però, ha perso il controllo e di cui adesso è inevitabilmente schiavo. L’uomo, per via del suo smanioso desiderio di onnipotenza, è causa del suo delirio e si ritrova anche ad essere effetto di quella causa.
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La caduta. Lineamenti e prospettive del prossimo futuro
di Piero Pagliani
Introduzione: i lineamenti della crisi in breve
La formidabile espansione economica occidentale del dopoguerra, guidata dagli Stati Uniti, ultimi eredi dell'egemonia occidentale sulla maggior parte del mondo, che era culminata con l'Impero Britannico, è entrata in crisi verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Si tratta di una crisi sistemica. Una crisi è sistemica quando non coinvolge un gruppo limitato di comparti economici né un gruppo limitato di Paesi ma investe tutta una economia-mondo e la sua organizzazione intorno al potere economico, finanziario, politico e militare di un centro egemone. Da quanto detto si capisce che ogni crisi sistemica ha un carattere “ibrido”, per l'appunto politico, militare, economico e finanziario. Ne ha ovviamente anche uno sociale, perché le economie-mondo reggono sistemi sociali e sono rette da rapporti sociali. E ne ha uno ideologico che riguarda il complesso delle idee dominanti.
Oggi l'economia-mondo in crisi ha un'estensione planetaria e il centro egemone in crisi sono gli Stati Uniti d'America. Ma la natura più spettacolare della crisi sistemica corrente è data dal fatto che con essa potrebbe chiudersi la lunghissima sequenza di economie-mondo che a partire da Venezia sono state centrate sull'Occidente e, al suo interno, la sequenza dei cicli sistemici dominati dal mondo anglosassone. Da qui il carattere fortemente ideologizzato dello scontro che va oltre le ovvie manovre di propaganda e disinformazione. Oltre ad avere arruolato militarmente gli eredi più puri del nazismo hitleriano, l'Occidente collettivo ha infatti dovuto riesumare anche l'armamentario lessicale del fascismo. Gli alti funzionari della UE ormai parlano della Russia in termini di “Paese non civilizzato” e dei Russi come “solo apparentemente europei”, così come al momento del lancio dell'Operazione Barbarossa si parlava di “barbarie dei territori orientali” e di popolazione “semiasiatica”. In definitiva, una professione di fede razzista da parte di chi per il resto della giornata parla di “inclusione” e “democrazia”.
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Rigassificatore, a Piombino si gioca il futuro energetico dell’Italia
di Verdiana Siddi e Massimo Cascone
C’era una volta una terra baciata da tramonti struggenti e accarezzata dalla schiuma che diede luce alla dea Venere, e sette son le perle che dal suo collo andarono in dono al mare davanti a Piombino.
In cerca del brivido degli affari se ne andava in giro un certo Roberto Cingolani, da docente a direttore scientifico per importanti istituti, poi per grandi multinazionali, fino a diventare direttore non esecutivo nel consiglio di amministrazione della Ferrari, ma fu da ministro che egli si occupò di enormi rigassificatori di gas liquido statunitense, il più osceno di tutti lo volle in dono al mare davanti a Piombino.
***
Sono passati solo pochi mesi da quel fatidico 7 aprile, quando Mr. Draghi pronunciò in conferenza stampa l’altrettanto fatidica frase:
Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Di fronte a queste due cose, cosa preferiamo: la pace oppure star tranquilli con l’aria condizionata accesa tutta l’estate?
Da allora molte cose sono cambiate – per non dire peggiorate: la guerra non è stata affatto fermata dalle famose sanzioni che “avrebbero dovuto mettere in ginocchio l’economia russa” (semi-cit.), ma anzi continua a essere alimentata dall’invio di armi; l’inflazione, o meglio la speculazione, ha portato i costi delle materie prime alle stelle; i più recenti avvenimenti (1) hanno messo in serio pericolo la nostra fonte sicura di metano, quella russa, il cui impianto è ancora funzionante ma con un flusso drasticamente ridotto a causa delle sanzioni e, Austria a parte, adesso non si tratta più di accendere l’aria condizionata d’estate ma piuttosto di non morire di freddo d’inverno.
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La guerra come automatismo di de-globalizzazione
di Franco Berardi Bifo
Il nazionalismo come forma generale della de-globalizzazione
In un libro del 1946 Die Schuldfrage, Karl Jaspers, uno degli ispiratori del movimento esistenzialista, disse che dovremmo distinguere tra il nazismo come evento storico e il nazismo come corrente profonda della cultura europea, che può riemergere.
Le dinamiche sociali e culturali che hanno dato origine al nazismo nel secolo passato hanno qualcosa di simile alle dinamiche sociali contemporanee, ma il contesto storico, psichico, e soprattutto tecnico è molto differente.
Jaspers scrive in quel testo che la caratteristica per eccellenza del nazismo è il tecno-totalitarismo e sostiene che una piena manifestazione della natura del nazismo potrebbe riapparire in futuro.
Ci si può chiedere se quel futuro sia adesso, e la mia risposta è che le condizioni di una riproposizione su scala enormemente allargata del nazismo stanno emergendo dalla proliferazione di movimenti identitari, neo-reazionari, e nazionalisti che prendono forme diverse e anche tra loro conflittuali come nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina, in cui due modelli ugualmente nazionalisti si scontrano militarmente.
Anche Timothy Snyder il quale, in Black Earth: The Holocaust as History and Warning, osserva che la l’impotenza e il terrore provocato da situazioni di emergenza di massa, come le catastrofi ecologiche o le prolungate crisi economiche sono le condizioni più inclini alla formazione di regimi totalitari.
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La terapia d’urto sull’economia mondiale
di Michael Roberts
“Chiaramente, le banche centrali non conoscono le cause dell’aumento dell’inflazione. Come ha affermato il presidente della Fed Jay Powell: “Capiamo meglio ora quanto poco sappiamo dell’inflazione”. Ma è anche un approccio ideologico dei banchieri centrali. Tutti i discorsi da parte loro sono la paura di una spirale salari-prezzi. Quindi la loro argomentazione sostiene che, poiché i lavoratori cercano di compensare l’aumento dei prezzi negoziando salari più elevati, ciò alimenterà ulteriori aumenti dei prezzi e di conseguenza le aspettative di inflazione.”
La terapia d’urto era il termine usato per descrivere il drastico passaggio da un’economia pianificata di proprietà pubblica nell’Unione Sovietica nel 1990 a un modo di produzione capitalista in piena regola. È stato un disastro per il tenore di vita per un decennio. La dottrina dello shock era il termine usato da Naomi Klein per descrivere la distruzione dei servizi pubblici e dello stato sociale da parte dei governi a partire dagli anni ’80. Ora le principali banche centrali stanno applicando la propria “terapia d’urto” all’economia mondiale, intente a far salire i tassi di interesse per controllare l’inflazione, nonostante la crescente evidenza che ciò porterà a una recessione globale il prossimo anno.
Questo è quello che dicono. Il membro del consiglio della Federal Reserve Chris Waller chiarisce che “non sto considerando di rallentare o fermare gli aumenti dei tassi a causa di problemi di stabilità finanziaria”. Quindi, anche se l’aumento dei tassi di interesse cominciasse a fare buchi nelle istituzioni finanziarie e nelle loro attività speculative, non importa. Allo stesso modo, il capo della Bundesbank Nagel è risoluto, nonostante l’Eurozona e la Germania in particolare stiano già scivolando in recessione: “I tassi di interesse devono continuare a salire – e in modo significativo”. Nagel non vuole solo tassi di interesse più alti; vuole che la BCE riduca il suo bilancio, cioè non solo smetta di acquistare titoli di stato per mantenere bassi i rendimenti obbligazionari, ma in realtà venda obbligazioni, portando a rendimenti in aumento.
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