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Blackrock, la ‘roccia nera’ alla conquista del mondo

di Giacomo Gabellini

Le nuove guerre si combattono con la finanza

Amministrando un patrimonio quantificabile complessivamente in oltre 4.000 miliardi, offrendo software per la gestione di altri 11.000 miliardi di dollari e occupandosi di obbligazioni, azioni commodity e immobili, Blackrock è divenuta la più grande società di investimento del mondo, esercitando un controllo diretto, grazie all’abilità dell’influente direttore Laurence Fink, sull’intero spettro della speculazione finanziaria – che si divide tra gli enti che vendono (banche) i prodotti finanziari e quelli che li comprano (clienti privati, fondi pensione, fondazioni, hedge fund, divisioni finanziarie delle imprese multinazionali, ecc.). Dal momento che tale compagnia si è posta nelle condizioni di svolgere tanto i compiti di consulenza per quanto riguarda le valutazioni e le scelte dei migliori investimenti, quanto quelli riguardanti l’intermediazione e la gestione di interi pacchetti di titoli, compresi quelli maggiormente a rischio (e pertanto anche maggiormente remunerativi), Blackrock ha potuto accumulare un potere finanziario immenso. La notevole capacità di operare sugli stock market ha infatti permesso a tale società di acquisire pacchetti azionari (o di controllo) di Adidas, Allianz, Badische Anilin und Soda Fabrik (Basf), Deutsche Bank, Merck e HeidelbergCement, General Electric, Nestlé, Toyota, Novartis, Apple, Google, Microsoft, Jp Morgan Chase, Wells Fargo, ExxonMobil, Chevron, Shell, ecc.

Blacrock si trova particolarmente a proprio agio nell’investire attraverso gli Exchange Traded Fund (Etf), ovvero delle specifiche forme d’investimento ‘passive’ che vengono negoziate in Borsa alla stessa stregua delle azioni e mirano unicamente a riprodurre l’indice al quale fanno riferimento (benchmark), fornendo al tempo stesso una ridotta esposizione al rischio e un buon livello di trasparenza.

Il potere di Blackrock è stato ampiamente dimostrato in Italia, dove tale società ha ridotto drasticamente la propria esposizione nei confronti di Unicredit, affossando tale banca mentre era in atto l’aumento di capitale di inizio 2012, ed ha venduto un pacchetto azionario del 2,3% di Saipem pochi istanti prima che la società crollasse in Borsa, perdendo il 35% circa del valore in un solo giorno. Detenendo quote molto considerevoli delle due maggiori agenzie di rating (Moody’s e Standard & Poor’s), il gruppo Blackrock ha inoltre potuto disporre della facoltà di influenzare pesantemente il mercato obbligazionario in chiave geostrategica, intaccando la solidità di aziende e Stati attraverso l’emissione di giudizi falsi e/o tendenziosi dettati dalle esigenze della più pura tempra politica.

Il soverchiante peso finanziario assunto da Blackrock ha conferito a tale organo anche un notevolissimo peso politico, testimoniato dal fatto che nel marzo 2008 questa azienda sia stata incaricata dalla Federal Reserve di New York guidata da Timothy Geithner di stimare l’esposizione della Bear Stearns – poi acquisita da Jp Morgan Chase – nei confronti dei derivati basati sui mutui subprime e di gestire la montagna di Credit Default Swap (Cds) che avevano mandato sull’orlo della bancarotta il gigante assicurativo Aig. Come ha inoltre osservato l’analista tedesco Heike Buchner

«Blackrock ha assistito la Federal Reserve nelle sue transazioni miliardarie con i titoli legati ai mutui ipotecari e le ha offerto una consulenza per l’ingresso nel capitale della banca Citigroup. I suoi esperti sono stati assoldati anche per esaminare i conti dei colossi ipotecari para-pubblici Fannie Mac e Freddie Mac. L’azienda inoltre ha ottenuto molti contratti di consulenza con lo Stato senza che fosse indetta una gara pubblica».

La caratteristica di gestire unicamente i capitali affidati dai singoli investitori per mezzo dei fondi pensione o di altri fondi comuni senza impegnare nulla di proprio conferisce a Blackrock e ad altri hedge fund un livello di affidabilità ben maggiore rispetto a tutte le grandi banche di Wall Street, che in seguito alla rimozione del Glass-Steagall Act grazie all’approvazione del Financial Modernization Act (o Gramm-Leach-Bliley Act) poterono tornare ad operare senza alcuna restrizione. Il Financial Modernization Act è la legge che eliminò le normative atte a disciplinare l’attività degli istituti bancari di Wall Street soppiantando il Glass-Steagall Act, la legge fondamentale del New Deal rooseveltiano risalente al 1933 che sanciva la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento allo scopo di proteggere l’economia reale dalle pericolosissime attività finanziarie. Con la ratifica del Senato statunitense e l’approvazione del presidente Bill Clinton, il Financial Modernization Act entrò definitivamente in vigore, consentendo a investitori istituzionali, fondi pensioni, compagnie assicurative, banche commerciali e banche d’investimento di integrare liberamente i propri compiti e le proprie funzioni.

Con la crisi del 2008 la Casa Bianca e il Congresso presero però atto della necessità di trasmettere all’opinione pubblica la volontà di punire Wall Street per i suoi “eccessi”. Così, nel 2010 venne solennemente varato il Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act, che avrebbe dovuto ricalcare i principi del Glass-Steagall Act del 1933. Sebbene in base a questa legge, caldeggiata dall’ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker, le banche non avrebbero più potuto utilizzare i fondi depositati dai propri clienti per negoziare affari in conto proprio, Goldman Sachs ha riunito singoli enti privati ed altri potenti colossi finanziari per continuare ad operare esattamente come prima attraverso il Multi-Strategy Investing (Msi, una sorta di hedge fund di cui sono entrati a far parte alcuni dei più aggressivi speculatori di Wall Street), aggirando agevolmente i vincoli del Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act. Anche l’accordo noto come ‘Basilea 3’, che si proponeva ufficialmente di ridurre sensibilmente l’effetto leva e, soprattutto, di irrigidire complessivamente le regole per quanto riguarda l’operato degli hedge fund, è sostanzialmente naufragato.

Oltre che da questo genere di vicissitudini, la vicinanza della classe politica al potere finanziario è peraltro testimoniata dal fatto che, dalla primavera del 2011, gli hedge fund sono tornati ad amministrare un patrimonio superiore a quello che gestivano durante il periodo immediatamente precedente alla crisi. Nessuno degli organi istituzionali incaricati di monitorare e disciplinare le attività finanziarie ha inoltre impedito al Marathon Asset Management, hedge fund che gestisce ‘appena’ 11 miliardi di dollari, di ‘acquisire’ la cittadina californiana di Scotia, finita in bancarotta municipale alcuni mesi prima, fornendo in tal modo un precedente assai insidioso che fondi ben più potenti potrebbero sfruttare per alzare il tiro su obiettivi maggiormente appetibili come Detroit, metropoli spopolata e dissestata messa letteralmente all’asta dal curatore fallimentare. Di questo passo, intere città potrebbero finire sotto il controllo diretto degli hedge fund.

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