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sinistra

Fortebraccio: uno dei più grandi scrittori satirici italiani

di Eros Barone

«Attraverso i tuoi corsivi io ho imparato ad essere ‘comunista’ con serietà e nel medesimo tempo a prendere la vita con ironia quel tanto che basta per sopravvivere in mezzo a certe iene.»

Mina Buschini [Lettera inviata da una lettrice a Fortebraccio in occasione dei suoi 85 anni]

Il 29 giugno scorso cadeva il trentesimo anniversario della sua scomparsa, ma non mi risulta che sulla stampa o nella Rete sia stato ricordato. Mi riferisco a Mario Melloni (1902-1989), un giornalista che ebbe il coraggio di passare dal «Popolo», quotidiano della DC di cui era stato direttore, al quotidiano «l’Unità», dove diventò un popolare autore di corsivi con lo pseudonimo di “Fortebraccio”. Dalla DC, peraltro, era uscito fin dal 1954, dopo aver votato alla Camera contro il Patto Atlantico. Fu così che un prosatore, incline come lui a uno stile salottiero come quello che era in voga negli anni Trenta, divenne titolare di una rubrica dell’«Unità» destinata a riscuotere un largo e duraturo successo. Mario Melloni, lo ammetteva a denti stretti anche chi avrebbe preferito non ricordarne la figura e l’opera, era infatti un grande giornalista che proveniva dalle file della sinistra democristiana ed era passato, negli anni Cinquanta, al PCI, dove trovò ben presto una collocazione ideale, sia in senso politico che letterario, come corsivista dell’«Unità». Fortebraccio era il ‘nom de plume’ che con felice intuizione gli aveva attribuito Maurizio Ferrara, il direttore del giornale, e con questo pseudonimo shakespeariano Melloni firmò per un quindicennio quei corsivi contrassegnati dallo spillone rosso che apparivano ogni giorno nella prima pagina dell’«Unità».

Erano le prime righe che andavano a cercare con ansia i suoi avversari preferiti (dai socialdemocratici, oggetto degli attacchi più caustici, al padrone della Fiat, l’avvocato Basetta, che, afferma Fortebraccio, «preferisce farsi chiamare con lo pseudonimo di Gianni Agnelli»), ed erano le prime righe che andavano a cercare con gioia i fratelli che egli si era scelto, ossia i compagni di base del Partito, che da quei testi fulminanti ricavavano, oltre a citazioni che spaziavano tra la letteratura italiana, francese e inglese, oltre a un gusto variegato che poteva essere quello del fine sorriso o della schietta risata, altrettante frecce per i loro archi, da usare nella quotidiana battaglia di classe contro ‘lor signori’. Espressa con il piglio calcolatamente guascone di chi aveva scelto di camminare “in direzione ostinata e contraria”, fu questa la scommessa di Melloni. A misurare fino a che punto essa sia riuscita può essere utile un volume apparso, a suo tempo, nella BUR: Fortebraccio, Facce da schiaffi, a cura di Filippo Maria Battaglia e Beppe Benvenuto, i quali per l’occasione, attingendo dalla cornucopia dei corsivi, allestirono una gustosa galleria gremita di maschere. Tre erano i giacimenti dai quali l’autore le aveva estratte: l’ ambiente dei padroni (detti «lor signori»), la politica e il giornalismo.

Uso il presente storico e chiedo venia per la seguente carrellata di esponenti politici della “prima Repubblica”, assai noti a chi ha la mia età ma probabilmente ignoti ai lettori più giovani di questa nota. Ecco, ad esempio, un cammeo sullo storico presidente della Confindustria, Angelo Costa, che, «quando parla, licenzia sempre qualcuno». Segue una chiosa impagabile: stiamo parlando, precisa il corsivista, del capo degli imprenditori italiani. «Imprenditori, come dicono coloro che credono di essere riguardosi chiamando israeliti gli ebrei». Dalla vocazione di Giuseppe Petrilli, presidente a vita dell’IRI, hanno origine sia il verbo «petrillare» («io petrillo, tu petrilli»), sia «la carica del petrillaggio a vita, trasmissibile agli eredi». I socialdemocratici vengono còlti da Fortebraccio mentre raggiungono a piedi palazzo Chigi per iniziare una "verifica", la «numero 376 dopo Cristo». In compagnia di Mario Tanassi c’è Saragat che procede a rilento perché il suo compagno e gregario, facendo delle «fermatine da cocker, intende dimostrare che è ridiventato fedele». Forlani, «neghittoso e disutile», somiglia secondo Melloni «a una tanica vuota». Di Scalfaro lo colpisce «la frivolezza proverbiale»: al suo confronto «il vescovo Lefebvre pare Brigitte Bardot». In La Malfa ammira «l’illimitata capacità di straziarsi». Scorge Piccoli nei locali dell' «Alpen Bar, un posticino piacevole dove si gioca al biliardo con l' alpenstock». Nei raduni della DC individua un signore «immobile ed eterno». È Taviani. La sera «gli inservienti lo coprono con un telo sagomato per ripararlo dalla polvere, al pari delle altre poltrone». Un ingrediente consueto del menù satirico è Spadolini, «l’anziano storico infantile», abituato a scrivere «in uno stile lapidario-sussultorio che dava le convulsioni. Ora (1971) non lo fa più, sebbene non vada immune da ricadute. Domenica, per esempio, ha concluso il suo articolo con questa frase di due parole, perentoria e insensata: "Guardiamoci intorno". Professore, non ricominciamo, eh!». Vi è da dire che Fortebraccio a volte si domandava, fra le righe, se personaggi così sarebbero stati rimpianti, un giorno. Scherzava, non sospettando di essere un po’ profeta.

In occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa, quindi nel 2009, apparve un libro, Fortebraccio. Vita e satira di Mario Melloni, che era un doveroso, ma ancora insufficiente, omaggio a uno dei più grandi scrittori satirici italiani. Dico insufficiente perché, a mio modesto giudizio, sarebbe opportuno raccogliere, ad esempio in uno di quei volumi che i “Meridiani” della Mondadori dedicano ai maggiori poeti, narratori e giornalisti della letteratura italiana, gli oltre cinquemila corsivi (o almeno un’ampia scelta) che Fortebraccio scrisse tra il 1967 e il 1982 sul quotidiano «l’Unità». Osservava Michele Serra nella prefazione al libro or ora menzionato, riferendosi a Melloni: «Di lui hanno memoria viva soprattutto gli italiani che hanno passato i cinquanta, e si sono formati negli anni del grande scontro tra DC e PCI…I corsivi di Fortebraccio raccontarono quell’Italia, e quello scontro, con una forza polemica e una leggerezza incomparabili. Le due qualità, forza polemica e leggerezza, parrebbero in contrasto. Non lo furono, in Fortebraccio, in virtù di uno stile signorile e di una prosa educata che inquadravano in forma controllatissima i giudizi più ostili, le opinioni più crudeli». Non so se il binomio ‘forza polemica/leggerezza’, pur ravvisabile nei testi di Fortebraccio, si possa considerare esaustivo di uno stile e di una prosa che, alternando il fioretto con la sciabola e la mazza, erano, spesso e volentieri, così laceranti e percussivi, da lasciare segni profondi e indelebili sulla carne e sulle ossa degli avversari del PCI e dei nemici della classe operaia. Rivolgendosi nel 1977 all’autore di una famosa vignetta contro Enrico Berlinguer, allora segretario nazionale del Pci, Fortebraccio si esprimeva così: «Forattini ha detto a mio riguardo…che sono stalinista. Gli rispondo subito che non me ne offendo affatto, anzi…aggiungerei che, data l’esistenza di personaggi come lui, accetto lietamente di essere definito stalinista». Chissà che cosa scriverebbe, oggi, oltre che del decotto Berlusconi, del rampante Salvini, dell’abatino Di Maio, del ‘servo NATO’ Zingaretti e di tanti squallidi personaggi del nuovo potere, colui che amava ripetere di sé: «Io sono un giornalista e non uno scrittore, un giornalista per élite: e infatti scrivo per i metalmeccanici»?

Comments

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Federico
Tuesday, 23 July 2019 21:25
Grazie al compagno Eros Barone per questo gradito ricordo. I miei genitori avevano varie raccolte degli scritti satirici di Fortebraccio e io imparai la satira politica grazie a lui, da piccolo. Ricordi di un’epoca che certamente non va idealizzata (anni 70) ma che certamente conteneva spazi di libertà politica e culturale che oggi ci sogniamo.
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