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Nuove alleanze, nuovo governo, gli operai continuano a morire

di Enzo Acerenza

Annotiamo da subito che nello stesso periodo in cui hanno aperto la crisi e i rappresentanti dei partiti si incontravano e discutevano, negli ovattati saloni dei ministeri, quattro operai al giorno morivano sul lavoro. Tanto per avere un’idea della realtà

Il nuovo governo Conte è pronto per andare al voto di fiducia. Si fonda su una nuova maggioranza PD- 5 stelle. Salvini e la Lega da forza di governo sono finiti all’opposizione. Salvini mezzo bevuto e mezzo invasato ha aperto, agli inizi di agosto, la crisi di governo. Tutti si sono chiesti come ha potuto fare un errore del genere ma in fin dei conti non si tratta di nessun errore, ha solo agito sotto la pressione dei piccoli e medi padroni del Nord, di artigiani e bottegai, di pensionati benestanti. Si è fatto prendere dal sostegno di massa di questa gente e ha creduto che fosse il momento del grande balzo per conquistare il potere governativo da solo. Si era impegnato a ridurre drasticamente le loro tasse, a togliere lacci e laccioli alle loro piccole attività imprenditoriali al limite della legalità, di liberarli dalle norme europee e si è reso conto che non poteva farlo con un governo di cui l’altra metà rappresentava una piccola borghesia proveniente dal lavoro dipendente impiegatizio, dai disoccupati del meridione con un titolo di studio elevato.

Gli interessi economici di questi due ali della piccola e media borghesia, rappresentati da Lega e 5 stelle non potevano più essere mediati e si divaricavano man mano che si avvicinava il tempo di decidere sull’uso dei soldi delle casse dello Stato, la legge finanziaria. Questa è la base materiale sulla quale si è prodotta la crisi di agosto. Nei tempi e modi in cui Salvini la ha aperta ha contato anche il sostegno sfacciato e senza remore di quel “popolo” che si sente minacciato nei piccoli privilegi dallo straniero, dall’emigrante, dal povero. Questo entusiasmo balneare ha ubriacato, oltre agli alcolici veri, il capo leghista che ha pensato che poteva conquistare a furore di popolo il governo come uomo solo al comando.

Solo che nella struttura economica dell’Italia, paese a capitalismo maturo, non ci sono solo i piccoli e medi padroncini, i bottegai, i padroni degli stabilimenti balneari. Non ci sono solo gli strati arrabbiati del lavoro dipendente impiegatizio, ci sono i grandi manager industriali e finanziari, ci sono gli strati superiori delle libere professioni, c’è una borghesia con interessi internazionali che vuol contare e conta nella gestione degli affari di governo. Oltre agli operai di cui parleremo di seguito. Ora era chiaro, che numeri parlamentari alla mano, una nuova maggioranza politica era possibile, una nuova alleanza fra le classi era praticabile. La piccola e media borghesia di Di Maio poteva, attraverso il PD, stringere un patto politico con la borghesia industriale e la finanza che vuole stabilità, con i manager di Stato che tengono nelle loro mani i conti pubblici e vogliono difendere i loro investimenti dagli sconti a pioggia per gli evasori fiscali, un patto politico con i padroni che vogliono lo sfruttamento dentro regole definite e gestite dai sindacati confederali. Il nuovo governo Conte sancisce politicamente questa alleanza e mette da parte Salvini e i suoi medi e piccoli padroncini arrabbiati. Nella sostanza le due grandi ali della piccola borghesia in Italia si scindono politicamente ed ognuna si mette a fianco dei grandi borghesi di riferimento. Salvini con i capitalisti medi e grandi del Nord anche se con difficoltà, i borghesi alla Berlusconi vogliono un’alleanza e non un’integrazione nello stesso partito sotto il comando leghista. La piccola e media borghesia industriale e commerciale non può comandare da sola isolandosi dai rapporti con le borghesie europee, e Forza Italia lo sa e lo ripete ogni volta. Di Maio, ammaestrato dall’esperienza pratica di governo, ha ridimensionato di molto le sue sfuriate contro la casta ed ha trovato nell’accordo di governo col PD il modo di farsi accettare dalla grande borghesia industriale, dalla finanza, dai gestori -di alto grado- dello stato.

Gli operai hanno subito e subiscono. Non hanno una propria rappresentanza politica e devono tendere la mano nell’illusione che qualche briciola cada dai tavoli romani. Illusione perché dai governi dei borghesi sono arrivate solo misure anti-operaie. Per ricordare solo le ultime. Dal partito democratico guidato da Renzi è venuta la libertà di licenziare, che ha modificato il rapporto operai-padroni in modo radicale. Da li in poi l’argine al ricatto, alla discriminazione è stato ampiamente superato. L’ultimo governo Salvini – Di Maio ha tolto agli operai le forme di lotta più incisive in un momento di crisi industriali. Ha fatto diventare reati da perseguire con denunce e galera il presidio dei cancelli, le manifestazioni di strada, i picchetti duri. È arrivato a dare alle guardie giurate di fabbrica la possibilità di intervenire pesantemente nei conflitti di lavoro. Quota cento e reddito di cittadinanza sono stati cuciti addosso a lavoratori che hanno potuto ridursi la pensione e a nulla-tenenti che per avere un misero sussidio devono morire di fame. La realtà è che il salario operaio è bloccato da dieci anni, le pensioni operaie diminuiscono, e, fatto innegabile e vergognoso gli operai morti sul lavoro aumentano ogni anno: siamo a quota quattro al giorno. Nel nuovo governo c’è la stessa piccola borghesia che ha collaborato con Salvini a condurre una guerra contro gli emigranti e i poveri. Ma non c’è più la Lega rappresentante di gente capace, se perde qualche privilegio, di scaricare la sua rabbia verso il basso o il diverso, mai verso l’alto, verso i grandi padroni industriali e banchieri.

Nella storia, la piccola borghesia rovinata ha spianato la strada al fascismo ed al nazismo individuando come nemici proprio gli operai non bisogna mai dimenticarlo. La caduta del primo governo Conte non è stata opera di tumulti di piazza, di un’azione sociale degli operai ma della coglioneria stessa del capo della Lega, della crisi interna di due settori di piccola borghesia, per questa ragione non è il caso di lasciarsi andare a facili entusiasmi. Ora il nuovo governo e i suoi ministri sono capaci di imporre agli operai, per legge e per contratto, qualunque sacrificio, pronti ad accettare qualunque chiusura di fabbriche purché tutto venga suffragato da un piano industriale per fare profitti. Nel governo Conte 2 siedono ministri del job act e ministri dell’impunità ai padroni delle acciaierie di Taranto. Non c’è da fidarsi.

Ora è tempo che la massa oscura degli operai, impegnati giorno per giorno a portare la pelle a casa, impegnati a cercare un compratore delle proprie braccia per non fare la fame trovi la forza di imporsi socialmente e di far pesare i propri interessi. Almeno su questo occorre imparare dalla piccola borghesia, dare vita ad un proprio movimento politico, ad un proprio partito indipendente.

Comments

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michele castaldo
Tuesday, 17 September 2019 17:30
Non c'è dubbio alcuno: l'unico "commento" di rilievo del professor Barone è l'aver riportato la citazione di Rosa Luxemburg alla sua amica Matilde Wurm sugli umori delle masse, come per ribadire che viviamo un momento di vigliaccheria popolare o giù di lì e che il proletariato tornerà a bussare prepotentemente alle porte della storia.
Avrebbe detto Eduardo De Filippo: Addà passà 'a nuttata.
Diciamoci la verità: è un modo come un'altro per darci coraggio, per non affliggerci. Ma da un punto di vista del materialismo storico non ci fornisce nessuna spiegazione dell'attuale stallo della condizione del proletariato mondiale, se non una credenza fideistica, misteriosamente messianica priva di fondamenti scientifici. Non credo che al compagno Enzo Acerenza - che conosco da una vita - possa bastare nell'aumentata quantità del proletariato come risposta a certe domande che da vecchi militanti ci andiamo ponendo. Anche perché il professor Barone - che si è tanto spremuto le meningi - per storia del movimento operaio come "soggetto" mette insieme troppe cose che purtroppo insieme non stanno, o perlomeno che non stanno sullo stesso piano.
Cerco di ragionare per punti.
Scrive il professore:
«la classe operaia [.. ] è la più grande scoperta all’interno della società e il più grande investimento sul futuro che possa compiere un intellettuale capace di ragionare [...]».
Un certo Dietzgen sosteneva in modo semplice e lineare che «nessuna cosa è tale se non in rapporto con un'altra cosa». Per serietà un materialista per poter correttamente ragionare deve mettere la classe proletaria in relazione con il capitale. Non solo, ma deve spiegare cosa è il capitale, ovvero l'insieme di più componenti e di più fattori che a loro volta sono in relazione con altre componenti ed altri fattori. Questa operazione fu portata avanti in modo scientifico (coadiuvato da Engels) da Marx prima coi Grundrisse e successivamente bibbiata con «IL CAPITALE». Quest'opera straordinaria non è una poesia, cioè Marx non porta a spasso i sogni, ma incardina il lettore studioso a capire il meccanismo infernale dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Successivamente l'Aquila reale - quella Rosa L. che i più utilizzano in malo modo - partendo da una contraddizione ( che non sto qui a spiegare per ragioni di tempo e spazio) scrive un testo - L'accumulazione del capitale - dove dimostra che il Modo di Produzione Capitalistico produrrà conflitti interimperialistici e che comunque è destinato al crollo perché è un un Movimento Storico Finito, ovvero nasce, cresce e muore. Un testo che mandò su tutte le furie la socialdemocrazia. Si dà il caso che di lì a qualche anno scoppia il primo conflitto mondiale e dopo 20 anni il secondo conflitto mondiale. La grande intuizione di Rosa trovò conferma storica a dispetto della socialdemocrazia eurocentrica che pensava ad un cammino equilibrato del capitalismo e ad un passaggio non traumatico al socialismo.
L'espressione «KROLLO» viene allontanata con disprezzo dal proprio impianto ideale da tutti i soggettivisti, da tutti coloro che ritengono che la storia possa essere diretta dal proprio pensiero. Il professor Barone appartiene a questa categoria di intellettuali che in Occidente hanno avuto sempre la mamma incinta.
Poi però la storia, quella vera con la S maiuscola, non la sua agiografia, presenta il conto e se non torna bisogna rifarlo, se vogliamo essere persone serie.
Ora per non fare torto al professor Barone cito Marx:
«Il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». Che vuol dire? E' una frase ad effetto che dice tutto e niente. Un materialista non può né deve mai assolutizzare e questa espressione è assolutistica e non dice niente oltre l'effetto poetico, perché tutte le azioni sociali sono "comunistiche" nel senso che vengono operate in comune.
Il nostro Comunismo, quello con la C maiuscola si distingue per una ragione storicamente determinata, che fa leva sì sulla forza degli oppressi e sfruttati della terra, ma nella convinzione che essi sono intrappolati in un movimento storico - il Modo di Produzione Capitalistico - che è divenuto una «Gabbia d'acciaio» dove tutto si tiene o niente si tiene. Engels - studioso serio - parlando al plurale fece autocritica su «La condizione della classe operaia in Inghilterra».
Le domande che ci dobbiamo porre sono: a) quale significato assegnare alle lotte del proletariato mondiale degli ultimi 200 anni; b) che ruolo hanno avuto le lotte anti-coloniali e antimperialiste dello stesso periodo.
Le risposte non possono che essere:
a) il proletariato si è battuto per aumentare la sua quota parte data al processo di accumulazione capitalistico;
b) i paesi oppressi dal colonialismo e dall'imperialismo hanno ingaggiato una durissima guerra per sottrarsi al giogo coloniale e imperialistico e entrare a far parte a pieno titolo dello stesso modo di produzione.
b1) la lotta dei contadini è parte integrante del punto B.
Entrambi i movimenti si sono richiamati al Socialismo e al Comunismo, e per questa ragione le dobbiamo difendere con le unghie e con i denti, ma senza identificarle per lotte per il Comunismo. Perché per Comunismo intendiamo il superamento del Movimento storico del Modo di Produzione Capitalistico - perché questo si darà - SE SI DARA' - solo con l'implosione del Modo di produzione Capitalistico.
Se definiamo l'Urss, leninista o stalinista, la Cina di Mao, il Vietnam di Ho Ci Min, la Cuba di Fidel e altre espressioni di lotta anti-coloniale come stati socialisti raccontiamo un falso storico che ci si ritorce contro, come sta accadendo in questi anni e siamo paurosamente allo sbando. Mi capisce professor Barone?
In chiusa del suo articolo lei mostra di non avere dimestichezza con l'uso della zappa, perché anziché scavare se la tira sui piedi citando Marx: «Non si tratta di sapere che cosa questo o quel proletario, o anche il proletariato tutto intero, si 'propone' temporaneamente come meta. Si tratta di sapere 'che cosa esso è' e che cosa esso sarà storicamente costretto a fare in conformità a questo suo 'essere'».
Dunque non centra niente la coscienza - che è sempre successiva all'azione - e ancor meno le meningi degli intellettuali che le impegnerebbero meglio se cercassero di capire il capitalismo come un movimento storico, come tale aggregato atomistico destinato a finire.
Capito mi ha professore?
Michele Castaldo
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Eros Barone
Monday, 16 September 2019 20:05
Alcuni anni fa, un mio conoscente mi chiese riguardo alla funzione storica della classe operaia e al significato dell’impegno espresso dagli intellettuali che ne hanno sposato la causa: “Ma ne vale la pena?”. Leggendo il nitido articolo di Enzo Acerenza, mi è tornato in mente questo minimo ma significativo episodio. Premetto che lo scrivente è un intellettuale marxista che ha passato oltre cinquant’anni della sua vita a stillarsi le meningi e a rompersi le tasche sulla condizione, le lotte e le prospettive della emancipazione di questa classe, senza che i singoli membri di questa classe, a parte alcune rare e indimenticabili testimonianze, lo abbiano minimamente ripagato dell’impegno profuso e dei sacrifici affrontati. “Ma ne vale la pena?”, mi chiese con un mezzo sorriso, il volto atteggiato ad un'espressione scettica, quel mio conoscente. A quella domanda risponderò alla fine di questo commento, dopo aver prodotto qualche dato e qualche deduzione. La centralità della classe dei lavoratori salariati (o, se si preferisce, dei venditori di forza-lavoro) risulta da una duplice cinematica: a mano a mano che si diffonde nel pianeta il modo di produzione capitalistico, cresce insieme con esso il peso del lavoro salariato, che (secondo i dati dell’Oil) passa da 1,3 miliardi di persone nel 1965 a 2,4 miliardi nel 1995, sino a 3 miliardi nel 2000 con una previsione di 3,6 miliardi nel 2025. Naturalmente, occorre tenere conto del fatto che questa espansione produce in pari tempo una crescita della disoccupazione di massa, poiché la velocità di espulsione della manodopera rurale è nettamente superiore alla capacità di assorbimento di industria e servizi. Sempre secondo l’Oil, una persona su tre è disoccupata, e ciò significa che «un miliardo di persone nel mondo, un terzo della forza-lavoro, vive in condizioni precarie e con scarse protezioni sociali». In conclusione, la mondializzazione capitalistica produce simultaneamente l’espansione del lavoro dipendente e la sua svalorizzazione. Ciò significa, in altri termini, che, lungi dall’essere il miraggio di un intellettuale affetto da romanticismo piccolo-borghese, la classe operaia (cioè la classe dei lavoratori salariati produttori di valore divenuta cosciente di sé stessa) è la più grande scoperta all’interno della società e il più grande investimento sul futuro che possa compiere un intellettuale capace di ragionare (non in termini soggettivistici e autoreferenziali ma) in termini di continenti e di generazioni.
In questo senso, la sinistra ha dentro di sé una lunga storia che parte dalla prima rivoluzione industriale alla fine del Settecento, passa attraverso tutte le esperienze di lotta e organizzazione dell’Ottocento (cooperativismo, mutualismo, sindacalismo, internazionalismo) e giunge alle grandi esperienze del Novecento (rivoluzioni, costruzione di regimi socialisti, guerre di liberazione contro il nazifascismo, compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro, temporanea sconfitta dei primi grandiosi esperimenti di socialismo realizzato). Protagonista di tutte queste esperienze è stato il movimento operaio, un soggetto sociale incentrato sulla classe operaia, con una propria organizzazione e una propria teoria. Nel ciclo neoliberista, che sta giungendo al termine mentre è in pieno svolgimento la terza crisi generale del capitalismo iniziatasi intorno alla prima metà degli anni Settanta del secolo scorso e ora in fase di acutizzazione, la centralità politica della classe operaia è stata negata, ma la crisi stessa ne ripropone costantemente la centralità sociale. Orbene, il passaggio da questo tipo di centralità (che si chiama essenzialmente sfruttamento, precarietà e disoccupazione) a quel tipo di centralità (che si chiama egemonia) ha un nome preciso e insostituibile: partito comunista. Da qui occorre ripartire: da una forza autonoma che deduce dalla centralità economica del plusvalore nel sistema capitalistico la centralità politica della classe operaia nel rovesciamento di tale sistema. Una forza autonoma capace di usare l’arma della lotta di classe e lo strumento dell’organizzazione (applicati a tutti e tre i fronti di engelsiana memoria: teorico, politico ed economico) non solo per fronteggiare l’impatto della crisi con le sue inevitabili ristrutturazioni produttive e per sostenere i lavoratori che vengono colpiti da essa, ma anche per indicare una prospettiva ben precisa: quella del controllo operaio e delle nazionalizzazioni. Del resto, la necessità che legittima una forza di questo tipo non nasce unicamente da un’elementare esigenza difensiva, ma nasce, a un livello più profondo, strategico e ideale, dalla esigenza e dall’urgenza di proporre un’alternativa di civiltà e di ‘ordine nuovo’ al caos e alla barbarie scatenati dal capitalismo. So bene che queste indicazioni sono schematiche, ma le ritengo tuttavia necessarie, anche se non sufficienti, al fine di delineare lo spazio, per l’appunto strategico e ideale, di una transizione rivoluzionaria dal modo di produzione capitalistico al modo di produzione comunista. In questo senso, la classe operaia è una realtà attuale che ha, dentro di sé e davanti a sé, un avvenire importante e decisivo per l’intera società umana.
La risposta finale alla domanda da cui ho preso le mosse è stata data varie volte nella storia del movimento operaio rivoluzionario. Io mi limito a trascrivere quella fornita da Rosa Luxemburg in una lettera scritta dal carcere, il 16 febbraio 1917, a Mathilde Wurm, una sua amica e compagna. «Tutta la tua argomentazione contro il mio motto: “Qui io resto, non posso altrimenti” [è il motto attribuito dalla tradizione a Lutero, il quale lo avrebbe pronunciato rivolgendosi all’imperatore Carlo V nella Dieta di Worms del 1521 che lo condannò per eresia], si riduce a quanto segue: è tutto molto bello ma gli uomini sono vili e deboli per un tale eroismo, per cui bisogna adattare la tattica alla loro debolezza e rispettare il principio: chi va piano, va sano. Che ristrettezza di vedute e di senso storico! Non c’è nulla di più mutevole della psicologia umana. Soprattutto la psiche delle masse racchiude in sé, come “thàlatta”, il mare eterno, tutte le possibilità allo stato latente: mortale bonaccia e bufera urlante, la più abbietta vigliaccheria ed il più selvaggio eroismo. La massa è sempre quello che deve essere a seconda delle circostanze storiche, ed è sempre sul punto di diventare qualcosa di totalmente diverso da quello che sembra. Bel capitano sarebbe uno che dirigesse il corso della nave solamente in base all’aspetto momentaneo della superficie delle acque e che non sapesse prevedere l’arrivo delle tempeste in base ai segni del cielo e del mare. Bambina mia, essere “delusi dalle masse” è sempre il peggiore attestato delle qualità di un capo politico. Un dirigente in grande stile regola la sua tattica non in base all’umore momentaneo delle masse, ma in base a leggi eterne dello sviluppo, si attiene alla sua tattica a dispetto di qualunque delusione e quanto al resto lascia tranquillamente che la storia porti a maturazione la sua opera.» Dal canto suo, Marx nella "Critica della critica critica", ovverosia nella "Sacra famiglia" (1844), individuava in questi termini la funzione del proletariato moderno come protagonista della rivoluzione socialista: «Non si tratta di sapere che cosa questo o quel proletario, o anche il proletariato tutto intero, si 'propone' temporaneamente come meta. Si tratta di sapere 'che cosa esso è' e che cosa esso sarà storicamente costretto a fare in conformità a questo suo 'essere'».
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michele castaldo
Thursday, 12 September 2019 18:34
Caro Enzo Acerenza,
diciamoci la verità: siamo in braghe di tela, come si diceva un tempo e non riusciamo a raccapezzarci, non riusciamo a capire perché il proletariato, in modo particolare in Occidente, è andato così degradando di anno in anno e non è capace di darsi un colpo di reni e tornare a schiena dritta. Come mai?
Quello che scrivi in questo articolo è giusto, ma è un lamento, è l'espressione della nostra frustrazione per l'impotenza proletaria. Tale frustrazione è legata ad una nostra visione ideologica della storia, della società, della lotta di classe e della rivoluzione. Abbiamo vissuto una vita intera (io ne conto 74) con l'idea - del Manifesto - che la classe operaia potesse essere una classe rivoluzionaria capace di disarcionare la borghesia e instaurare la propria dittatura.
Abbiamo dovuto scoprire, invece, che essa - il proletariato classe operaia - è una classe complementare del e nel Modo di produzione capitalistico. Di conseguenza che si comporta - nei confronti del capitale - come i girasoli verso il sole.
E' una amara verità, ma è la verità che non vogliamo in alcun modo accettare.
Il proletariato una classe antagonista? No, non è perché non lo può essere perché è prigioniera in quanto merce delle maglie del mercato e Marx lo dimostrerà molto bene nel Capitale, ma Il Manifesto lo aveva ormai scritto e non lo poteva annullare.
E' da quel ceppo teorico che sono cominciati i problemi seri per tutte le correnti che si sono richiamate a Marx.
E allora?
Alla prossima.
Michele Castaldo
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