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marx xxi

Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori

Da Norimberga a Baghdad

di Maria Morigi

Maledire la guerra come assassinio e poi pretendere dagli uomini che essi facciano la guerra e in guerra uccidano e si lascino uccidere, affinché ‘non vi sia mai più una guerra’, è un inganno manifesto”. (Carl Schmitt *).

Da queste parole prende le mosse Danilo Zolo, filosofo e giurista scomparso nel 2018, nel saggio La giustizia dei vincitori: Da Norimberga a Baghdad (Laterza 2014) per definire il carattere antidemocratico e asimmetrico dell’ordinamento ONU che, nonostante l’elenco di buone intenzioni e le proibizioni solenni presenti nello statuto di fondazione, risulta inapplicabile per domare le forze che minacciano la pace mondiale.

La critica di Zolo si appunta sulle prerogative della sovranità contenute nella “Dichiarazione universale” del 1948. la Dichiarazione infatti, nella carenza di strumenti giurisdizionali che possano rendere l’individuo effettivo soggetto del diritto internazionale, proietta su scala globale un insieme di aspirazioni che sono in gran parte il frutto della sola cultura occidentale.

Il testo del ’48, viziato da etnocentrismo, infatti riflette l’aspirazione delle potenze occidentali a dominare il mondo, attraverso il proprio linguaggio e la propria cultura, nei quali l’individualismo ha peso centrale.

La Dichiarazione, proprio per questo motivo, non è in grado di rappresentare alcuna universalità. Tuttavia questa pretesa universalità continua ad informare le relazioni internazionali provocando la moltiplicazione di guerre “umanitarie”, guerre per “esportare la democrazia”, classificazione di “Stati canaglia” (rogue States come Cuba, Iran, Sudan, Siria, Nord Korea, Venezuela… ) nei cui confronti tutto è possibile per condurre ad un global humanitarian regime, nel quale il potere imperiale non sia condizionato da regole.

La critica di Zolo al diritto internazionale e alla “giustizia al di sopra degli Stati” individua elementi che minano l’autorevolezza dell’Onu e delle sue decisioni. La simulazione di un “governo mondiale” infatti ha condotto l’Onu allo scacco di questi anni proprio per l’iniziativa di interventi militari di parte, ma ‘gestiti’ e amministrati in nome della comunità internazionale.

Una enorme perdita di prestigio per l’ONU che ha praticato misure di particolare odiosità, quali i processi imbastiti dai vincitori per riaffermare la ‘morale globale’ e le guerre di aggressione giustificate come guerre umanitarie o come guerre preventive contro il terrorismo. Una ‘giustizia su misura’ per cui le grandi potenze occidentali godono di assoluta impunità.

Negli ultimi anni vi è stato un revival delle Corti penali internazionali ad investitura Onu, ma finanziate, sostenute e sorrette dalle maggiori potenze e in particolare dagli Usa. Tali potenze mentre ospitano nel loro territorio zone di totale illegalità come Guantanamo, impongono a stati “minori”, già debellati militarmente, corti come quella sui crimini nell’ex Jugoslavia, che agiscono – prive di autentica imparzialità ed indipendenza – come tribunali dei vincitori.

Norimberga e Tokyo sono state le sedi dei Tribunali penali internazionali istituiti per processare i nemici sconfitti della seconda guerra mondiale. Dopo la pausa della guerra fredda, l'esperienza della “giustizia dei vincitori” si ripete, scrive Zolo, a carico dei vertici politici e militari della Repubblica Federale Jugoslava, e, in Iraq, a carico degli esponenti politici e militari del partito Ba'ath e del presidente Saddam Hussein.

Nulla però è accaduto ai criminali responsabili delle stragi atomiche di Hiroshima e di Nagasaki o dei bombardamenti delle città tedesche e giapponesi, nulla è accaduto alle autorità politiche e militari della Nato, responsabili della guerra di aggressione contro la Repubblica Jugoslava. E mai saranno puniti i responsabili della strage di decine di migliaia di civili innocenti compiuta dalle armate angloamericane. Del tutto impunite resteranno la strage di civili di Fallujah, così come le torture di Abu Ghraib. E altrettanto succederà per i crimini commessi nel corso dell'occupazione della Palestina, o per l'etnocidio in Cecenia.

In verità, ricorda Zolo, questi esiti non erano stati previsti dal solo Carl Schmitt, ma anche dal suo avversario, Hans Kelsen, che aveva prefigurato un’altra linea di sviluppo per il diritto sovranazionale dopo la sconfitta della Germania nazista, suggerendo che si seguisse la strada della giustizia internazionale attraverso Corti super partes a carattere permanente, previa codificazione degli illeciti perseguibili. Ebbene l’Onu non ha seguito questa strada, ha istituito al contrario Corti ad hoc che si accaniscono contro i soli perdenti.

Dopo la lettura del Saggio di Zolo si può riflettere sul fallimento delle istituzioni universalistiche e della giurisdizione penale internazionale, incapaci di garantire al mondo una pace stabile e universale e di condizionare l'inclinazione delle grandi potenze ad usare la forza. Ed è sconfortante dover amaramente ripetere le parole di Radhabinod Pal, giurista indiano membro della Commissione di diritto internazionale ONU dal 1952 al 1966 e coraggioso giudice del Tribunale di Tokyo: “Solo la guerra persa è un crimine internazionale".


*Le categorie del «Politico»: saggi di teoria politica (a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera), Il Mulino, Bologna 1972. Raccoglie saggi di Carl Schmitt (1888-1985) giurista, filosofo e politologo tedesco, esperto di diritto pubblico e internazionale ,professore all'Università Humboldt di Berlino dal 1933, aderì al partito nazista il 1º maggio 1933.

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