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"Ossigeno ora in cambio di anni di austerità? La 'troika fatta in casa' è il delitto perfetto delle classi dominanti"

L'Antidiplomatico intervista "coniarerivolta"

Intervista al collettivo di economisti 'Coniare Rivolta': "Il comportamento delle istituzioni europee, indecoroso quanto si vuole è totalmente coerente con quanto abbiamo osservato ogni giorno, ogni mese e ogni anno, ben prima che la parola Covid diventasse di uso comune."

Da alcune settimane come AntiDiplomatico abbiamo iniziato una collaborazione costante con il collettivo di economisti "Coniare Rivolta" che ci inorgoglisce molto. Attraverso il loro blog "Coniare Rivolta, l'economia dalla parte del manico" forniscono sistematicamente analisi complete e dettagliate sulla situazione economica italiana con riferimento alle variabili internazionali e europee in continua mutazione. Sulla crisi la loro opinione è chiara: "Gli economisti che ce la spiegano sono meri strumenti di propaganda ideologica: raccontano una storia in cui i sacrifici sono necessari ed inevitabili, in cui le soluzioni ai problemi sono solamente tecniche e mai politiche, in cui siamo tutti sulla stessa barca. Una visione armoniosa della società, in cui non vi è spazio per un’opposizione alle leggi del mercato. Questa è la narrazione economica che vogliamo criticare, per liberare i processi economici dal carattere di necessità che gli è attribuito e dunque aprire la strada al dissenso. Per farlo dobbiamo riprenderci l’economia, e farne uno strumento utile alla comprensione della società in cui viviamo e delle sue contraddizioni. Dunque uno strumento di lotta, perché i conflitti sociali possono trovare nell’analisi dei processi economici solide basi per essere alimentati, estesi e sostenuti."

La pandemia economica che ci sta travolgendo sta facendo venire al pettine tutti i nodi delle distorsioni economiche che hanno costretto l'Italia e molti altri paesi della zona euro a sacrificare diritti sociali, Costituzione e welfare per seguire feticci fallimentari. La pandemia economica che stiamo vivendo richiede misure eccezionali, i cui costi non possono essere pagati come in passato dagli strati più bassi della società per salvare i privilegi dei soliti noti. Ma qui sorge la domanda centrale troppo spesso elusa nel dibattito odierno: è possibile per l'Italia farlo non mettendo in discussione una volta per tutte le strutture dell'architettura istituzionale europea? Con gli economisti di Coniare Rivolta abbiamo cercato alcune risposte.

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Per la Germania gli Eurobond sono fuori discussione: il ministro dell'Economia Altmeier ha affermato che «la discussione sugli eurobond è un dibattito sui fantasmi», mentre Otmar Issing, ex capo economista della BCE ha ricordato che comunque sarebbero incostituzionali secondo la legge tedesca e la misura dovrebbe essere sottoposta a referendum popolare. La trattativa in corso per salvare la zona euro dopo il fallimento del Consiglio europeo di giovedì scorso ruota ora ad un'alternativa a tempo, una misura ridotta di mutualizzazione del debito nota nel dibattito come "coronabond". Potrebbe essere una soluzione efficace?

La proposta di Coronabond svolge, in questa fase, una funzione meta-economica, prettamente discorsiva. Aspira, infatti, a veicolare la rappresentazione di un’idea astratta e scollegata dalla realtà, quella di un’Unione Europea solidale, che nell’emergenza ritrova la coesione perduta e, unita come non mai, affronta in maniera solidaristica e collegiale un problema comune. Tale rappresentazione, però, è ingannevole. Il Coronabond non rappresenta altro che un feticcio che fornisce l’immagine ribaltata della realtà, alimentando l’illusione di una “Europa dei popoli”, unita e solidale, proprio mentre il dispositivo disciplinante dell’austerità si accinge ad imporre ai popoli piegati dalla pandemia il ricatto del debito. La sua natura di feticcio è evidente anche a diversi commentatori liberisti, ultimo dei quali Roberto Perotti, che parla esplicitamente de ‘L’illusione dei Coronabond’ e spiega come i paesi del nord Europa non abbiano alcun bisogno di forme di mutualizzazione dei rischi quali Eurobond o Covidbond. Senza considerare il fatto che proprio le ragioni che, su di un piano meramente teorico, renderebbero strumenti del genere appetibili ai paesi della periferia europea – l’assenza di condizionalità o una condizionalità più blanda rispetto ad altre forme di aiuti – sono viste come il fumo negli occhi dalle élites dei paesi nord europei, che le considerano una maniera di alleggerire la pressione dei mercati su paesi ad alto indebitamento quali l’Italia e incentivare così comportamenti ‘spendaccioni’. Evidentemente poter spendere in maniera adeguata alle esigenze sanitarie ed economiche, senza temere né la scure dei mercati né la morsa asfissiante dell’austerità non piace alle classi dominanti. Non a caso si sono inventati l’architettura istituzionale europea.

 

Sul Sole 24 ore di oggi incredibilmente torna prepotentemente l'opzione del Mes al centro del dibattito. Dato che "il Mes senza condizionalità" non esiste, come hanno ribadito Germania e Olanda chiaramente, chi ha interesse in Italia alla sua attivazione?

Anche qui, giungono in soccorso le parole del ‘nemico’. Gentiloni dice esplicitamente, parlando del Mes, ‘la discussione è sulla condizionalità, e si parla di alleggerirla ma non sono molto ottimista nemmeno su questa’. Non solo la condizionalità è elemento imprescindibile e costitutivo del Mes – e, se è per questo, di ogni forma di aiuto all’interno della cornice fornita dalle istituzioni europee – ma la condizionalità non deve essere blanda. È evidente che Conte e Gualtieri stanno cercando di giocare su più tavoli, cercando un pertugio nella via stretta dell’austerità per poter fare qualche minimo intervento tampone. Conte ha ricevuto, tra l’altro, un quasi unanime plauso per le sue frasi dopo lo stallo che ha paralizzato i lavori dell’Eurogruppo: ‘faremo da soli, spenderemo quanto serve’, lasciando prefigurare l’intenzione di provare a finanziarsi sui mercati, tramite l’emissione di ‘normali’ titoli del debito pubblico italiano. Tuttavia, questa rischia di essere una minaccia vuota, senza alcuna volontà e capacità politica di essere conseguenti e mettere la BCE di fronte ad un bivio: aiutare l'Italia nella tempesta finanziaria, intaccando, anche solo momentaneamente, il fronte del rigorismo, o lasciarla affondare e mostrare il suo vero volto di amministratore dell’austerità per conto terzi. I primi segnali al riguardo sono eloquenti, con lo spread tornato a risalire alla riapertura dei mercati. La BCE sembra non smentirsi mai: la disciplina da impartire tramite il ricatto del debito viene sempre prima di ogni altra considerazione.

 

La Bce continua a non essere un garante di ultima istanza, come ha ricordato Isabel Schnabel, membro tedesco del Comitato esecutivo della BCE, che ha dichiarato recentemente come gli interventi decisi dalla BCE per affrontare l’emergenza Coronavirus «naturalmente non sono» un piano di soccorso pensato per l'Italia. L’Italia potrebbe essere presto sotto attacco speculativo della finanza internazionale e senza armi necessarie per proteggersi quindi?

Si è discusso fino allo sfinimento in merito alle dichiarazioni della presidentessa della BCE, Christine Lagarde, lo scorso 12 marzo. O meglio, si è discusso molto sulla prima parte della frase incriminata: ‘useremo tutta la flessibilità a nostra disposizione, ma non siamo qui per contenere gli spread’. Incidentalmente, la Lagarde ha detto la pura e semplice verità, ribadendo quello che prima di lei Trichet e Draghi hanno operativamente messo in pratica dall’inizio della crisi europea: la BCE non presta soldi ai Paesi in difficoltà, il suo compito non è quello di contenere il costo del debito pubblico dei singoli Paesi. La Lagarde tuttavia, come dicevamo, non si è fermata qui, ma ha aggiunto – nonostante finti ingenui e altri-europeisti in libera uscita non se ne siano apparentemente accorti – un ulteriore tassello: ‘Questa [contenere gli spread] non è né la funzione né la missione della BCE; vi sono altri strumenti per fare questo, altri attori che possono gestire questo problema’, riferendosi neanche troppo velatamente al cosiddetto Meccanismo Europeo di Stabilità. Detto in parole povere, la BCE non contrasta la speculazione finanziaria, al massimo la orienta, la gestisce. E lo fa con finalità disciplinanti, per impartire un messaggio chiaro. Un corollario di questo messaggio è: se vuoi che la cavalleria venga a salvarti, devi tenere presente che non sarà gratis. Se vuoi aiuto oggi, c’è Il MES che ti aspetta a braccia aperte. Passata la nottata, faremo poi i conti negli anni a venire.

 

Forme di monetizzazione diretta dei deficit nazionali da parte della BCE - come sono in procinto di fare tutte le altre banche centrali del mondo e come suggerito da Paul De Grauwe e altri - non sono neanche prese in considerazione in questo momento. È possibile per l’Italia uscire da questa crisi devastante restando nella zona euro?

È evidente che l’austerità è uno degli elementi cardine del progetto di integrazione europea e che la rinuncia alla sovranità monetaria mette un Paese in una situazione di vulnerabilità e impotenza pressoché totali, che rendono impossibile o quasi anche solo il provare a ribellarsi allo stato delle cose. All’interno del contesto dato, si è strutturalmente alla mercé del ricatto dei ‘mercati’, pedine del disegno politico delle classi dominanti che, senza scrupoli, usano le crisi economiche come un dispositivo disciplinante nei confronti delle classi popolari. È però altrettanto innegabile che l’austerità è un progetto politico complesso, che non si nutre esclusivamente di politiche restrittive. In una fase di recessione su scala continentale, di portata tale da intaccare anche la massa di profitti, le istituzioni europee non lasceranno andare in malora Paesi interi. Le classi dominanti non possono permettersi la distruzione di capacità produttiva e l’annichilimento di interi mercati interni. Questo per dire che, in una maniera o l’altra, all’Italia verrà, prima o poi, fornita un’àncora di salvataggio sotto forma di aiuto economico di qualche sorta. Il problema sarà ovviamente il dopo, le condizioni alle quali gli aiuti verranno elargiti. Avere ossigeno ora in cambio di anni di austerità dopo è uno scenario tanto realistico quanto spaventoso. Da questo punto di vista, già si possono vedere in controluce gli elementi del delitto perfetto. È difficile non leggere nelle recenti dichiarazioni di Draghi le premesse ad una possibile futura discesa in campo quale salvatore della patria, caldeggiata tra l’altro anche da pezzi rilevanti di padronato e loro epigoni. Sarebbe l’austerità senza troika ma fatta in casa, la condizionalità non scritta ma in carne e ossa.

 

«Uniti come nel dopoguerra» è un mantra che ci ripetono quei politici che hanno propagandato e applicato quelle politiche criminali causa e con-causa del dramma odierno sia sanitario che economico. Ma come faremo a ricostruire il paese con la stessa classe dirigente che l’ha distrutto?

Dal punto di vista delle classi dominanti, la risposta è semplice: finita l’emergenza sanitaria, si deve ritornare più presto possibile a fare business as usual. Non appena la polvere si sarà posata, si deve tornare immediatamente a saccheggiare la sanità pubblica a vantaggio dei profitti di pochi, il personale medico e infermieristico assunto con contratti precari per far fronte all’emergenza può tornare a spasso seguendo i dettami dell’austerità, lo Stato deve tornare nel suo cantuccio e non disturbare il normale funzionamento del ‘mercato’, dove questo significa precarietà esistenziale e lavorativa per fette crescenti della popolazione e salari da fame. Del resto, già una decina di giorni fa e senza nessuna vergogna, il presidente degli industriali di Milano dettava le sue condizioni: ora che ci serve aiuto, ben venga l’intervento dello Stato. Ma dal minuto dopo che la crisi sanitaria sarà passata, torniamo noi a dettare le regole e nessuno deve metterci bocca. È evidente che, dal punto di vista delle classi popolari, questo scenario è odiosamente inaccettabile. Il richiamo ad una presunta unità nazionale è la fregatura standard con cui si cerca di rifilare a chi ha di meno l’impressione di trovarsi ‘tutti sulla stessa barca’, il trucco retorico con cui si mandavano i lavoratori a combattere in trincea nelle guerre mondiali mentre i padroni facevano profitto comodamente seduti in poltrona. Oggi questa fregatura potrebbe passare per la condivisione delle perdite provocate della crisi a danno dei lavoratori, che già oggi si concretizza nella rinuncia alle ferie da parte di molti e che potrebbe tradursi domani in un’impennata di licenziamenti una volta finite le risorse per la CIG. Paradossalmente, però, la ricostruzione offrirà anche uno spiraglio per provare a costruire e immaginare un’alternativa. Se queste settimane ci insegnano qualcosa è che senza intervento pubblico, affidandosi alle virtù autoregolatrici dei mercati, si finisce rapidamente a gambe all’aria e a pagare sono soprattutto i soggetti più fragili. Un altro elemento di chiarezza è rappresentato dal comportamento delle istituzioni europee, indecoroso quanto si vuole ma totalmente coerente con quanto abbiamo osservato ogni giorno, ogni mese e ogni anno, ben prima che la parola Covid diventasse di uso comune. Spetterà a chi milita nella sinistra anticapitalista farsi carico di tradurre questo sentimento che serpeggia e conquista sempre maggiore consapevolezza popolare in lotta politica. Anzi, spetta, non spetterà, proprio perché non c’è nessuna unità nazionale da difendere e oggi più che mai, nel pieno dell’emergenza, è fondamentale passare all’offensiva e mettere alle strette l’ideologia dominante.

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