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lacausadellecose

Briatore e l'umana ipocrisia

di Michele Castaldo

Si fa tanto parlare in questi giorni del fatto che Flavio Briatore sia stato contagiato dal Covid-19. E allora? In decine di migliaia sono stati contagiati solo in Italia, uno in più uno in meno cosa si vuole che conti? Ma il nome è altisonante per mille e più motivi, uno su tutti quello di aver protestato contro il sindaco di Arzachena per le misure che imponevano la chiusura a una certa ora alle discoteche fra le quali veniva colpita una delle più famose discoteche d’Italia, il Billionaire di Porto Cervo, vanto dello sfarzo e del disprezzo del senso della misura. È vero che chiudono anche altri locali e cala il sipario sulle notti un tempo magiche della Costa Smeralda e arrivano le squadre dell’unità d’emergenza, ma Briatore è Briatore, un nome una garanzia. Il personale è contagiato senza distinzione, compresi i titolari, i gestori, fino ai camerieri. Quanti? A che serve contare, è una logica da pallottoliere per morbosi di numeri e statistiche che dicono tutto per non dire niente.

Il mondo degli intellettuali, dei politici, dei mass media colgono l’occasione per promozionarsi. L’insieme del mondo democratico si genuflette a che Briatore trovi pronta guarigione, una sua seria meditazione sul Covid-19 e la necessità delle misure da adottare.

Insomma si spera che un personaggio di tal portata si converta al buon senso e, abbandonando i suoi averi e la sua arroganza, si converta sulla via di Damasco, alla bontà cristiana.

Ora, premesso che della vita di personaggi alla Flavio Briatore non importa niente alla gran parte dell’umanità, verrebbe solo da dire che tutto accade a caso ma non per caso. È certamente un caso che il Flavio bello e affascinante, arrogante e prepotente sia stato contagiato da Covid-19, e francamente viva o muoia cosa si vuole che conti. Il punto è che lui si è ostinato fino all’ultimo contro i divieti del sindaco che aveva preso certe misure per salvaguardare la salute degli ospiti unitamente al personale e alla direzione della discoteca, e quella sua. Verrebbe da dire perciò: chi è cagion del proprio male pianga sé stesso. Ma il nostro cinismo, purtroppo, non arriva a tanto, e non per umana pietà, ma proprio perché anche un personaggio alla Briatore è una vittima di un sistema infausto che travolge la volontà dell’uomo e lo schiavizza. Sicché ci sentiamo di definire i personaggi alla Briatore dei poveri miserabili proprio perché sono contemporaneamente carnefici di un sistema sociale, che si ostinano a difendere camminando sui morti, e vittime perché certe malattie e certi virus come il Covid-19, in molti casi non li risparmiano. È questo il vero dramma: l’incapacità dell’uomo di sottrarsi non solo alle leggi dell’economia che stanno portando alla catastrofe l’intera umanità e con essa il resto delle specie della natura e dell’ambiente; ma in questa corsa sfrenata l’uomo è soggetto sempre più alle leggi del vizio e dello spreco contro ogni senso della misura. Basterebbe riguardare certe interviste di Briatore rilasciate nei mesi precedenti all’inizio della pandemia e dei clienti che frequentano le discoteche e gli ambienti alla Billioneire con quanto avvenuto nella ex caserma Serena di Treviso, destinata alla “accoglienza” dei richiedenti asilo, dove vivono fino a 300 immigrati, più il “personale”: a giugno c’erano 2 contagi, a fine luglio, inizio agosto quasi 250.

Da una parte lo sfarzo e gli schiaffi alla miseria e dall’altra non solo la miseria e mille difficoltà per sfamarsi rischiando continuamente la vita, ma l’oltraggio ulteriore di passare per untori, ovvero da vittime a carnefici. Francamente ci appare troppo.

Ora, che personaggi come Santanché, Sgarbi, o lo stesso Briatore, conducano una vera e propria guerra politico-ideologica contro gli allarmismi della “sinistra”, per le timide misure che cerca di prendere per evitare la diffusione del contagio, è un fatto certo. Che si tratti di un continuo martellare, da parte dello stesso ambiente, contro le legittime preoccupazioni del mondo scientifico e di una parte del mondo politico e sindacale, lo è altrettanto. Si tratta di una guerra che punta a ridurre o addirittura in certi casi a negare il problema e/o a prospettare per esso, in ultima analisi, la soluzione più “naturale”, ovvero l’immunità di gregge, anche se non si ha la faccia tosta di dirlo apertamente.

Ma il virus non è selettivo come si augurerebbero i potenti della terra, e se pur i predestinati sono certe fasce della popolazione, come scrive giustamente Ilaria Capua, esso non scansa certi milionari e miliardari alla Briatore. Dunque se si propone l’immunità di gregge come soluzione del problema, lo si fa illudendosi che possano essere colpite solo le classi più deboli e le categorie a rischio come i malati cronici, gli anziani ecc. Tanto è vero che Briatore, fino al giorno prima non credeva di ammalarsi, ma si ammala e si fa ricoverare al San Raffaele. Legittimo, ci mancherebbe, bisogna fare ogni sforzo per salvargli la vita e farlo rientrare in ottima forma al Billionaire.

Sarebbe perciò sacra la vita di ognuno? Quale? Quella di chi può! E perché dovrebbe augurarsi che si salvi la vita Briatore chi muore in mare nel tentativo di sbarcare il lunario? Suvvia, non siamo ipocriti. Muoiono mediamente, solo in Italia, tre lavoratori al giorno per infortuni sul lavoro, oltre alle invalidità permanenti. Non è sacra la loro vita? Perché succede? Perché si riducono le misure per la sicurezza sul lavoro; per il profitto, per battere la concorrenza, per arricchirsi e andare, magari, per qualche settimana a Porto Cervo e stare col mondo dei vip, consumare decine di migliaia o centinaia di migliaia di euro all’insegna di champagne, cocaina, prostitute d’alto bordo e così via. O no? Perché allora le famiglie delle vittime dei morti sul lavoro e degli immigrati dovrebbero augurarsi che si salvi la vita dei Briatore colpiti dal Covid-19?

Siamo seri: la morte di nessuno ridà la vita a chi l’ha persa sul lavoro, in cerca di fortuna, o sotto un ponte crollato come a Genova o nei disastri ferroviari per incuria di chi amministra quei capitali. Ma impietosirsi per il fatto che Flavio Briatore sia stato contagiato quando si è opposto, per ragioni economiche, alle misure cautelative per evitargli il contagio, beh si mente a sé stessi.

C’è però una questione alla quale non è possibile girarci intorno, e cioè: se le ragioni dell’economia sono divenute le ragioni della vita di questo sistema sociale, ha ragione Briatore e tutti quelli che lo difendono. Perché se è l’economia che produce ricchezza, passa in secondo piano la vita umana di alcuni milioni di persone, ovvero ubi maior minor cessat, cioè una causa minore deve cedere il posto alla causa maggiore. Sicché hanno ragione da vendere la Santanchè insieme a Salvini, Trump e tutto il trumpismo possibile e immaginabile del mondo intero. I morti da Covid-19 sono un prezzo obbligato da pagare a un sistema sociale che si è consolidato per ben 500 anni e che dà da vivere a miliardi di persone.

Alla visione del trumpismo si va opponendo una mezza visione, di tipo liberal-democratico per cui si sta a metà strada senza essere né coerentemente a favore della prevalenza delle ragioni economiche come forza motrice dello sviluppo della ricchezza, né coerentemente contro le leggi di questo modo di produzione che stanno sviluppando una serie di virus, ultimo il Covid-19, che stanno avviando l’umanità verso la catastrofe.

Il mondo scientifico è stretto fra queste due visioni che esprimono contemporaneamente due debolezze e obbligano gli scienziati a una rincorsa senza tregua a trovare una soluzione “definitiva” che sappiamo in partenza che tale non può essere. Non lo dice un analfabeta della materia al riguardo, come chi scrive, ma Ilaria Capua: «quando si parla di “seconda ondata” si fa riferimento ai ricoveri in terapia intensiva. Per evitare questo non occorrono decreti, ma una attiva collaborazione della popolazione».

Ma da dove provengono gli stimoli per la popolazione a non collaborare fino al punto di frequentare le discoteche che si sono dimostrate luoghi infernali di contagio? È vero pertanto che Briatore è un’attrazione, ma è altrettanto vero che gli avventori vogliono essere attratti. E la povera Ilaria Capua ha voglia di sbattere la testa al muro, anche perché non è detto che il peggio sia alle nostre spalle e ci attendono primavere felici. Tanto è vero che sempre la Capua, a proposito della possibilità che una persona già infetta e guarita possa reinfettarsi dice: «Sono sorpresa della sorpresa che questa notizia ha suscitato. Uno dei punti interrogativi che ci presenta questo virus è proprio legata alla risposta immunitaria dell’organismo umano. Ci chiediamo: gli anticorpi che quest’ultimo produce contro il virus sono protettivi contro le reinfezioni? E per quanto tempo? Non si sa. [….] E questo getta un’ombra sull’efficacia dei vaccini».

Ma probabilmente l’illustre virologa sa che la propaganda sulla possibilità dei vaccini a breve scadenza serve a imbonire le popolazioni mentre il virus dopo essersi replicato per decine e forse centinaia di milioni di volte e prodotto 70, 80 o 120 milioni di morti, perde di virulenza e si ritira in buon ordine e arrivederci al prossimo e forse ancora più pericoloso virus.

Profeti di sventura? Chi vivrà vedrà. Ma il materialista sta ai fatti: a Vazzola, nella Marca trevigiana, vicino a Conegliano, esplode in pochi giorni un focolaio dentro l’Aia, grossa impresa del comparto alimentare: al 25 agosto, 184 operai contagiati su 675 (operai tra diretti e lavoratori della Vierre coop) e 38 loro familiari, molti dei quali immigrati (dei primi 57 contagiati, 52 erano senegalesi).

Si vuole girare continuamente la faccia dall’altra parte per non guardare? Ci si accomodi pure. Si vuole a tutti i costi addirittura additare le vittime come untori e dunque carnefici? Va bene. Ma i fatti sono fatti e nonostante tutta la campagna orchestrata per aiutare a sviluppare l’illusione che il Covid-19, pur presente fra noi, è destinato ad essere sconfitto dalla potenza delle leggi economiche e dalla scienza che da quella forza è derivata, lascia il tempo che trova.

Anche i più increduli saranno costretti a capire che è l’attuale modo di produrre che, come scrivono Laura Spinney, David Quammen e tanti altri, produce sempre più virus dalla potenza distruttiva.

Il mio modestissimo punto di vista, perciò, è ancora una volta il seguente: senza rimettere in discussione il modo di produrre animali e vegetali per l’alimentazione umana e ogni altro tipo di produzione, l’attuale modo di produzione è destinato a condurre l’umanità alla catastrofe.

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