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Chi e perchè ha vinto e chi e perchè ha perso

Analisi tecnico-politica delle elezioni americane

di Pierluigi Fagan

Trump ha ragione, lui le elezioni le ha vinte, peccato per lui che l’avversario le abbia vinte di più. Erroneamente, noi pensiamo che il voto sia un giudizio libero, in realtà non è tanto il giudizio del voto che non ha –in genere- che modeste libertà, ciò che fa la differenza è la quantità di tuoi potenziali votanti da portare a votare che fa la differenza. Le grandi partizioni CD - C - CS, nelle popolazioni occidentali, sono modificabili solo da transizioni demografiche o etniche o in tempi medio-lunghi, ma molto meno di quanto si pensi.

Trump ha quindi portato a votare tutti i suoi, non solo i suoi propriamente “trumpiani” ma anche quei repubblicani e conservatori che non si sentivano del tutto a loro agio con Trump. Questo è l’effetto della sua strategia polarizzante, l’idea di accentuare il “o di qui o di là” che lo ha ispirato tanto in geopolitica che in politica interna. Trump è probabile chiuderà a 73-74 milioni di voti finali, 10 milioni più del 2016. Forse, un 47% dei votanti complessivi, un +1% rispetto al 2016. Con grandi risultati alla Camera e Senato.

Qui, il lettore italiano, deve comprendere che gli USA non sono un paese europeo. I votanti di Trump (o Biden) sono più del doppio (!) di tutti i votanti alle ultime elezioni italiane.

Certo, la tradizione bipartitica fa sì che non ci sia l’ampio pluralismo italico che va da Fratelli d’Italia a Sinistra Unita, ma quei 70-74 milioni che l’hanno votato non sono comunque omogenei. Ci sono repubblicani di centro, liberali e libertari con tendenze libertariane, “economics first!”, conservatori politici, conservatori religiosi e sociali, fascisti, anti-dem (a loro volta per svariate ragioni), razzisti, nazionalisti introversi, amanti l’uomo forte, in-egalitari, “law & order” ed a base, un ampio zoccolo duro di abitanti il centro geografico dei grandi spazi ovvero contee con densità abitativa molto diradata, attaccati alla terra, al bestiame, alla vita semplice delle buone, sane, cose tradizionali. Queste posizioni non sempre si sovrappongono nel singolo individuo. Non si può dire mai, schematicamente, “ha vinto (ha perso) questo valore o questa opinione” come si può fare (pur forzando anche in quel caso) con un partito italiano che, come nel caso della Lega che, nel 2018, ha ottenuto meno dell’8% dei voti di Trump. Va quindi detto che Trump, con la strategia radicale, li ha portati tutti a votare e questo è un dato chiaro e forte.

Ma quella strategia ha un rischio, il rischio di portare a votare anche tutti quelli che detestano l’insieme delle posizioni che rappresenti. Qui, è abilità dell’avversario costruirsi di modo da -a sua volta- interpretare il senso medio di tutti i suoi potenziali elettori non meno variegati di quelli repubblicani. Un bianco anziano moderato con una più giovane donna di etnia mista molto preparata, è un buon mix. Così, l’avversario ha portato a votare più di 80 milioni dei suoi potenziali elettori, ed ha vinto abbastanza nettamente dal punto di vista della sociologia del voto (che poi il bizzarro sistema elettorale americano ripartisce per stati-delegati “vinci-o-perdi-tutto”). Alla fine, sarà lo stesso risultato del 2016 a parti invertite (306 vs 232), al netto di possibili revisioni nella guerriglia legale che seguirà.

Tutti più o meno concordano sul fatto che queste elezioni, tenute un anno fa, avrebbero visto vincere e forse non di poco, Trump. Ma poi è arrivato il 2020 e qui lo staff di Trump, ha mostrato tutta la sua impreparazione tecnico-politica. Non c’è paese occidentale nel quale le elezioni non si vincano al centro. Sul Covid e su i disordini razziali, ma anche su i tanti temi del dibattito pubblico, Trump ha aggiunto caos al caos e se c’è una cosa che il centro politico-sociale aborre, questo è il caos. La dicotomia potenziale economia – salute è stata compresa bene ed in tempo, come ha rivelato lo stesso Trump nella sua intervista a Woodward, ma l’impreparazione tecnica del suo staff ha sottovalutato la questione salute perché la loro mentalità, la mentalità che politicamente ha scoperto la forza della “radicalizzazione”, ha radicalizzato i due termini, li ha accentuati come dicotomia invece di trovarne il "giusto mezzo".

Sul piano pratico delle gestione dell’epidemia, Trump avrebbe potuto fare esattamente quello che poi ha fatto, ossia poco o nulla, bastava però non metterci sopra tutto il carico di scombinate e contraddittorie dichiarazioni ufficiali e la strategia Internet social tipo QAnon ed affini che i suoi advisor hanno poi sviluppato. Questo perché il suo staff non ha capito bene cosa fosse una epidemia virale in sé per sé, s’è messo a negare i fatti. Ma che gli USA oggi siano l’ottavo su duecento paesi per morti per milione di abitanti, è un fatto non negabile e molto negativo per il centro di potenza, anche tecno-scientifica, del mondo intero. Così per la dichiarata idea di sfruttare i moti di piazza sulle faccende razziali a favore di uno spirito di paura della maggioranza silenziosa. Ecco, non era questo certo l’anno in cui aggiungere paura a paura.

Trump era minoranza sociale già quattro anni fa (di quasi tre milioni di voti) , è rimasto quasi costantemente sotto il 45% di gradimento in tutti e quattro gli anni, ma l’inerzia del presidente in carica, sul quale occorrono motivi forti per non dargli altri quattro anni, lo avrebbe comunque portato alla rielezione. E’ però arrivato un imprevisto e l’imprevisto è stato gestito molto male. Questo ha compattato tutte le anime contrarie che esprimendo un voto a Biden, è molto probabile che in molti casi abbiano più espresso un voto contro Trump. La “radicalizzazione” ha funzionato anche al contrario.

Allargando l’ottica, potremmo anche trovarci all’inizio di una sequenza per la quale i presidenti americani durano un solo mandato, nelle transizioni queste instabilità sono normali. Biden probabilmente non avrà il Senato e come molti hanno osservato, senza il Senato la sua azione politica diventerà particolarmente centrista e quindi socialmente sbiadita (infatti Wall Street festeggia). Nel 2024, Biden avrà 82 anni e non ci arriverà probabilmente con molti punti a favore di una rielezione. Improbabile a quel punto possa presentarsi e vincere la Harris, già improbabile di per sé in quanto donna, non bianca, molto appuntita.

Ma forse, per osservare e commentare l’evoluzione o involuzione americana, nei prossimi anni dovremmo aguzzare la vista sulla società e meno su i personaggi politici catalizzatori dei suoi umori. La grande scommessa è se e come la società americana si adatterà ai tempi nuovi.” Adattamento” in questo caso, presuppone grandissimi cambiamenti che non mi sembrano all’orizzonte. Gli USA, ma anche molti di quelli che ne commentano le sorti, non mi sembra abbiano una visione realistica dello stato delle cose. La rimozione nevrotica della realtà, mi sembra stia diventando la sindrome più diffusa oggi in Occidente. Le transizioni producono ansia e l’invocazione di normalità è comprensibile. Purtroppo però, se transizioni storiche sono e questa lo è senza alcun dubbio, c’è poco da fare, tocca transitare nei passaggi stretti e malagevoli. Nelle transizioni, prima di leader e popoli disposti a seguirli (c.d. “populismi”, ma vale anche per i mandati che si presuppongono più composti e razionali), ci sono le visioni, visioni che hanno poco di goloso da offrire, che debbono motivare sacrifici che vanno intesi come minori per evitarne di maggiori. Capire che storicamente non si va a stare meglio e più comodi è la grande rimozione occidentale e nel paese leader che viene da decenni di grande comodità delle condizioni di possibilità, lo è anche di più.

Con questa dinamica, obiettivamente “scomoda” ed i vari nevrotici modi per negarla, avremo tutti a che fare sempre di più, al di là ed al di qua dell’Atlantico.

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