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kriticaeconomica

Criptovalute e blockchain, un’introduzione

di Marco Zanussi

Negli ultimi tempi si sente con sempre maggiore intensità e frequenza parlare di blockchain. In effetti, la dinamica della diffusione di informazioni al suo riguardo è molto frequente nelle innovazioni distruttive (radicali) nel mondo socio-economico:

iniziale diffidenza – eccessiva proposizione – ritorno ai minimi relativi – graduale crescita/stabilizzazione

Tale dinamica è propria di una bolla finanziaria legata ad un sottostante di valore, ed in questo caso è possibile affermare che il sottostante sia potenzialmente distruttivo degli attuali paradigmi socio-economici sotto molti aspetti.

C’è chi ritiene che la tecnologia blockchain possa avere un impatto più che proporzionale rispetto all’avvento di Internet, perfetto esempio di distruzione creativa schumpeteriana.

L’argomento è stato più e più volte abusato nelle sue possibili applicazioni e spesso si è identificato esclusivamente con l’ambito monetario/fintech relativo alle criyptovalute, note ai più principalmente grazie al bitcoin.

È proprio per la volontà di approfondire l’argomento che nasce questo articolo, primo di una serie.

Esso si presenta come un’opportunità per dissipare l’asimmetria informativa che cela i contorni e la sostanza del tema centrale, ovvero la blockchain, e si propone come strumento per valorizzarne la struttura ed i punti di forza, per evidenziarne i possibili ambiti e i possibili casi di applicazione.

Credo personalmente che la sua potenza distruttiva e gli enormi vantaggi derivanti da una sua adeguata applicazione ed un suo adeguato sviluppo siano estremamente rilevanti. È chiaro che ogni strumento potente richiede un’attenta riflessione sul suo utilizzo. Anzi: è proprio stimolando una corretta divulgazione ed una più profonda conoscenza dell’argomento che potremo sfruttare correttamente il valore derivante dagli impieghi e dalle possibilità di questa tecnologia.

S’intende quindi iniziare dal principio: come e quando nasce la blockchain?

Da un punto di vista concettuale, nasce prima il bitcoin che la Blockchain.

Attorno al 2008 usciva sul web, coerentemente con la cultura CypherPunk, un codice open source firmato Satoshi Nakamoto (apparentemente uno pseudonimo).

All’interno del paper era indicato come strutturare un algoritmo in grado di regolare le transazioni di un sistema di client opportunamente connessi fra loro senza un server centrale che le autorizzasse e che le regolasse. Tale sistema aveva come strumento centrale e come risultato del processo di calcolo necessario per realizzarlo il bitcoin [1].

Per comprendere meglio lo sfondo ideologico da cui muove il tutto è utile una nota sulla cultura CypherPunk. Citando da Wikipedia:

“Un cypherpunk è un attivista libertario che sostiene l’uso intensivo della crittografia informatica come parte di un percorso di cambiamento sociale e politico, ad esempio violando archivi riservati per rendere pubbliche alcune verità scomode. Originariamente i cypherpunk comunicavano attraverso una mailing list, in gruppi informali con l’intento di ottenere la privacy e la sicurezza informatica degli account personali, attraverso l’uso della crittografia, contro governi e gruppi economici. I cypherpunk sono organizzati in un movimento attivo dalla fine degli anni ’80, con influenze della cultura punk. Esempio di attivismo cypherpunk è il sito Wikileaks di Julian Assange. Nel Manifesto Cypherpunk di Eric Hughes si legge tra l’altro che: ‘La privacy è necessaria per una società aperta nell’era digitale. Non possiamo aspettarci che i governi, le aziende o altre grandi organizzazioni senza volto ci concedano la privacy. Dobbiamo difendere la nostra privacy se ci aspettiamo qualcosa. I cypherpunk scrivono il codice. Sappiamo che qualcuno deve creare i software per difendere la privacy, e … lo stiamo facendo’”.

Il bitcoin, infatti, grazie al protocollo sottostante, risulta essere pensato dall’autore come un asset irripetibile ed inviolabile, con una potenziale funzione monetaria, che non possa essere gestito da un’autorità centrale.

Di qui il legame fondamentale fra la criptovaluta e la tecnologia blockchain [2], e da qui la seconda domanda: come sono effettivamente legati il valore delle criptovaluta e la blockchain di riferimento?

Volendo usare un paragone proporzionale è possibile affermare quanto segue:

carburante : veicolo = criptovaluta : blockchain

La criptovaluta si identifica proprio come il carburante di un mezzo di locomozione che si alimenta grazie ad esso. Quindi godrà di riflesso del valore che verrà attribuito alla blockchain di riferimento grazie al suo impiego.

In realtà la situazione è un po’ più complessa, in quanto il sistema vede la criptovaluta anche come una remunerazione per i soggetti che permetteranno al sistema stesso di funzionare, esercitando la cosiddetta attività di mining (che sarà approfondita nei prossimi articoli) garantendo la risoluzione di determinati problemi matematici complessi [3].

Dato che ad oggi le applicazioni di blockchain non hanno una diffusione ampia, è possibile chiedersi come mai le principali due cripto, Bitcoin ed Ethereum, abbiano una capitalizzazione di mercato pari circa a mille miliardi di euro nel momento in cui si scrive.

Le varie risposte, almeno alcune fra esse, possono avere validità da un punto di vista economico e finanziario:

  • si scommette sulla crescita quali-quantitativa degli impieghi delle blockchain sottostanti in maniera significativa, il che si riflette sul valore delle cripto correlate
  • siamo di fronte ad una bolla finanziaria
  • bitcoin è un bene rifugio almeno per una parte degli esperti
  • sarà possibile utilizzare Bitcoin per le transazioni con Tesla
  • PayPal apre alla possibilità di transazioni tramite cripto tra i suoi utenti

In merito al primo punto è importante chiarire che le applicazioni possibili non esauriscono la loro utilità nell’ambito fintech: anche se la possibilità di individuare in dette applicazioni un sistema finanziario e monetario alternativo rispetto agli attuali sistemi tradizionali sia di per sé un fattore di competizione fra istituti centrali e sistemi decentralizzati, non significa che le applicazioni di blockchain trovino la loro utilità esclusivamente in tale ambito. Dopo aver descritto la sua struttura sarà più immediato comprendere il motivo della sua unicità, sia in ambito fintech che in altri [4].

A questo punto sarebbe opportuno cercare di definire in effetti che cosa sostenga quanto sopra esposto e quindi definire labBlockchain.

Che cos’è la blockchain?

La blockchain è superficialmente identificabile come una rete.

Poco sopra è stato fatto paragone fra la potenza distruttiva che Internet ha avuto indicativamente dal 2000 in poi nelle vite di ognuno di noi e partiremo opportunamente dal concetto di rete, oramai ampiamente internalizzato nell’immaginario collettivo e nella narrativa quotidiana.

La differenza sostanziale fra la rete di informazioni (ed eventi) che rappresenta Internet e la Blockchain è la presenza nel primo caso di un server centrale che regola le transazioni fra i client facenti parte della rete.

Nella rete informatica tradizionale infatti si evidenzia come sia il server centrale ad essere il motore delle transazioni che intercorrono fra gli stessi client. Ed è quindi naturale che le condizioni di comunicazione fra client siano regolate, gestite e registrate dallo stesso server centrale.

Nelle reti regolate secondo gli algoritmi blockchain, dette reti peer-to-peer (letteralmente “pari-a-pari”), non esiste un’autorità centrale. Non vi è quindi la possibilità che un’autorità centrale possa influenzare le transazioni fra i vari client.

Altro aspetto fondamentale, per costruzione, è che ogni client all’interno del registro possiede una copia di tutte le transazioni effettuate di volta in volta, cronologicamente ordinate e distribuite in blocchi di dati od eventi.

Non esiste pertanto un singolo punto di violazione del sistema, sia in termini funzionali (anche se un nodo risulta essere compromesso la rete continua a funzionare) che in termini operativi (violare il registro non è possibile da un singolo nodo e risulta matematicamente estremamente improbabile se non virtualmente impossibile a determinate condizioni, stabilite e tutelate dagli algoritmi di consenso, cfr. Infra).

In altre parole, la “proprietà” del sistema è distribuita fra i client e la criptovaluta è la chiave per usare il sistema. Da notare che la rete può essere sia pubblica che privata, come si potrà approfondire più oltre.

Ciò è possibile in virtù della struttura e del funzionamento della blockchain [5].

L’assenza di un’autorità centrale pone in essere un problema fondamentale, quello della fiducia.

Il motivo centrale da un punto di vista ‘istituzionale’ che permette in un ambiente organizzato l’esistenza di intermediari è proprio la fiducia che i suoi utenti-clienti ripongono in essi.

Se inviamo moneta tramite un intermediario ci fidiamo del suo servizio e ci attendiamo il buon fine della transazione, convinti che questa non sarà violata, influenzata o impedita.

Se inviamo un messaggio tramite posta o Whatsapp, Telegram, Signal, ancora ci fidiamo dell’intermediario.

Se investiamo in titoli tramite un intermediario finanziario in genere, vale lo stesso.

Se un ente certificatore certifica un’informazione o un evento, allo stesso modo noi ci fidiamo di esso.

Detto punto conduce ad una necessità, ovvero quella di gestire alternativamente questi flussi di dati od eventi. Ed è qui che entra in gioco la blockchain.

Ed è da qui che proseguiremo nel prossimo articolo, approfondendo ulteriormente cosa sia e come funzioni effettivamente la blockchain.


L’autore consiglia le seguenti letture:
  • Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, Satoshi Nakamoto, Ottobre 2008
  • Hacking finance. La rivoluzione del bitcoin e della blockchain, De Collibus, Mauro, 2016

Note:
[1] Tutt’oggi Satoshi sembra essere non rinvenibile in alcun luogo; se avesse effettivamente previsto la diffusione che inizia a farsi sperare della tecnologia Blockchain, saremmo davanti ad uno dei più grossi investimenti, a costo praticamente 0, a cui la storia dell’umanità abbia assistito. Ovviamente parliamo di un ritorno finanziario e stiamo ignorando le implicazioni a livello organizzativo e sociale derivanti dai possibili impieghi, ma sfido chiunque a pensare che il buon vecchio Satoshi non abbia realizzato un acquisto di qualche migliaio di bitcoin, che all’epoca valevano solamente pochi centesimi, se non millesimi di euro.
[2] E’ necessario considerare che esistono più sistemi Blockchain e peranto più criptovalute
[3] Approfondimenti negli articoli seguenti
[4] E’ comunque curioso il fatto per cui sembra che Satoshi Nakamoto non abbia concepito il sistema come un asset impiegabile ma come uno strumento per produrre una moneta scissa dai sistemi bancari centralizzati (anche se il fatto che non si abbiano tracce di esso può far porre potenzialmente in dubbio tutto).
[5] Approfondimenti negli articoli seguenti.

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