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sinistra

A proposito delle gite scolastiche

di Eros Barone

Uno studente sedicenne di Corsico muore nel corso di una gita scolastica in Trentino, cadendo dalla bicicletta. Ancora una volta i ripetuti e diffusi incidenti, alcuni dei quali mortali, che costellano le gite scolastiche ci mostrano che la farsa può anche degenerare in tragedia. Come insegnante, ormai in pensione da alcuni anni, appartenevo a quella minoranza che, sia nei consigli di classe sia nei collegi dei docenti, non ha mai mancato né di denunciare il carattere socialmente classista né di contestare la validità culturale e formativa delle gite scolastiche, denominate nelle circolari ministeriali, per antìfrasi, ‘viaggi di istruzione’ (l’antifrasi è una figura retorica con cui si vuole significare il contrario di ciò che si dice, come nella frase “quel brav’uomo di Nerone”).

D’altronde, i nostri antenati romani sapevano assai bene che “nominibus mollire licet mala”, ossia che è permesso mitigare i mali dando loro altri nomi.

Nella fattispecie tale “nomen” (intendo quello di ‘viaggio di istruzione’) non è altro, nella stragrande maggioranza dei casi, che la foglia di fico che copre le vergogne costituite da un insano miscuglio di degradazione degl’insegnanti ridotti al ruolo meschino di ‘chaperon’, di evasione goliardica (non solo degli studenti...) e d’interessi mercantili (quelli delle agenzie turistiche, non meno voraci di quelli delle case editrici, benché le prime forniscano alla scuola servizi più scadenti dei manuali che forniscono le seconde, nel mentre le famiglie, che lamentano il caro-libri, accettano senza fiatare un caro-gite assai più gravoso).

In realtà, la scuola, lungi dall’essere protagonista ed autonoma, è succube e funzionale a queste iniziative, che la vedono sempre più sottomessa alla mano, in questo caso tutt’altro che invisibile, del mercato grazie all’attivo concorso delle autorità scolastiche (banausicamente solerti nel provvedere al “soddisfacimento dei bisogni dell’utenza”), delle famiglie (strette fra tendenze consumistiche ed illusioni educazionistiche), degli studenti (che fanno del ‘diritto alla gita’ il perno dei loro interessi ‘scolastici’) e di un buon numero d’insegnanti (fra i quali, va detto, ve ne sono anche alcuni che, meritoriamente, si sforzano di garantire un legame tra la didattica e questo genere di attività).

Da tale punto di vista, se è giusto denunciare la proliferazione d’interventi e iniziative di natura parascolastica ed extrascolastica connotati dalla fragilità delle motivazioni culturali e dalla vaghezza degli scopi formativi, è altrettanto indispensabile denunciare gli effetti diseducativi e perfino socialmente pericolosi che ha generato nella formazione delle nuove generazioni, sotto la spinta di forze ben più potenti delle intenzioni dei più motivati educatori, lo spostamento del fulcro della vita scolastica dall’impegno specifico e qualificante nello studio ad un impegno generico e scarsamente responsabile nella socializzazione. Sennonché, riguardo al triste episodio da cui hanno preso le mosse le presenti considerazioni, sorge spontanea la seguente domanda: ma gli insegnanti che l’avevano programmata. il preside che l’ha autorizzata e le famiglie che l’hanno consentita erano davvero sicuri che, dopo mesi e mesi di formale “didattica a distanza”, di concreta assenza dell’istituzione scolastica e di sostanziale vuoto formativo, il bisogno più impellente dei ragazzi di quell’istituto professionale fosse quello di partecipare ad una gita scolastica?

Come insegnante ho partecipato a ben pochi viaggi di istruzione e alla richiesta, spesso ripetuta: "Ci porta in gita?", ho sempre risposto: "Mi spiace, ragazzi, le gite preferisco farle da solo o con amici fidati". Sapevo di non guadagnarmi la loro simpatia, ma non dimentico la sconsolata considerazione che mi capitò di udire da parte di una scolaresca in affanno per la mancata disponibilità degli accompagnatori: “Possibile che non troviamo un cane che ci accompagni?”. In compenso ho accumulato, sul tema, un discreto repertorio di aneddoti: si va dalla bancarella di ‘souvenir’ depredata a Roma da gentili cavallette, al water divelto da baldi giovani e poi lanciato nel cortile di un alberghetto in provincia di Trapani; dall'ovazione sul pullman alla notizia che il Palazzo dei Papi, ad Avignone, era chiuso per lavori ("ce la siamo scampata bella!"), al sacerdote accompagnatore che, a Parigi, rientrando in hotel, trova in un corridoio un'alunna abbracciata ad una compagna, laddove per un attimo teme che l’effusione sia da ricondurre al lesbismo, e subito si calma scoprendo che la compagna è "solo" un cameriere dalla lunga chioma. C'è, poi, la tragicommedia di un disperato ‘prof’ che, a notte fonda, per ricacciare l'orda nelle stanze deve menare colpi di asciugamano bagnato. E l'elenco potrebbe continuare.

Naturalmente, qualche serio collega potrebbe qui adontarsi, e osservare che non sta bene generalizzare; e che lui, di viaggi, ne ha fatti e visti fare di ben diversi. E io non mancherò di credergli sulla parola; solo che, come sempre, è tutta questione di denominatore. Seri? Quanti sul totale di quelli effettuati? Ecco un bel programma di ricerca per gl’indagatori ministeriali della "qualità" e delle “competenze”, e per i soloni che, ad intervalli più o meno regolari, si alternano in quel palazzo romano che ancora si fregia del nome di Minerva, la dea della sapienza. Soloni ai quali non passa mai per la testa l'unica cosa importante da capire e da porre a fondamento di qualsiasi politica scolastica: e cioè che nella Scuola italiana, tra viaggi siffatti, promozioni generalizzate e consimili attività parascolastiche (alcune delle quali con esito nefasto), praticamente non si studia più.

Comments

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Giulio Bonali
Monday, 14 June 2021 22:36
Anche a prescindere dalle "sacrosante" considerazioni di Eros Barone sul degrado pazzesco (e tutt' altro che casuale...) dell' istituzione scolastica, avevo sempre pensato, fin dai tempi del liceo (a cavallo del 1970) che la gita scolastica fosse un anacronismo residuato da ben altri tempi, nei quali la gran parte della popolazione poteva permettersi di compiere poco più di un viaggio fuori provincia (di solito quello "di nozze", a Roma o Firenze o Venezia o Napoli o Palermo) nell' intera vita.
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