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marx xxi

I finanziamenti militari hanno incoraggiato i ricercatori a pensare all’oceano come a un teatro di guerra piuttosto che a un ecosistema dinamico

di Christine Keiner

Una interessante recensione del libro di Naomi Oreskes che dimostra come anche la battaglia per la difesa dell’ecosistema e dell’indipendenza della ricerca passino dalla lotta contro la guerra

Cosa hanno a che fare l’uno con l’altro i finanziamenti militari della Guerra Fredda, gli anni d’oro dell’oceanografia del dopoguerra, lo stato spaventoso dei nostri oceani oggi e l’agnotologia, lo studio della produzione culturale dell’ignoranza? Molto, come la storica della scienza Naomi Oreskes chiarisce nel suo nuovo libro, impressionante e autorevole, Science on a Mission.

Negli ultimi due decenni Oreskes ha contribuito a trasformare il modo in cui gli studiosi comprendono la storia dei dibattiti scientifici e politici sulla deriva dei continenti e sul cambiamento climatico antropogenico. Il suo ultimo lavoro intreccia intuizioni da queste e altre sfere intellettuali per trasmettere un messaggio cruciale: il mecenatismo nella produzione di conoscenza – cioè chi paga per la scienza – conta.

Il lavoro scientifico in mare è costoso, e il supporto finanziario e logistico militare ha permesso ai ricercatori di chiarire misteri di lunga data delle profondità come la circolazione abissale, la tettonica a placche e le sorgenti idrotermali sul fondo del mare. Eppure Oreskes mostra che gli uffici della marina della Guerra Fredda hanno pagato per risolvere problemi specifici, specialmente per quanto riguarda la guerra sottomarina. Verso la metà del 20° secolo, le esigenze operative della marina hanno plasmato i programmi dei tre maggiori centri di ricerca marina degli Stati Uniti – lo Scripps Institution of Oceanography, il Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI) e il Lamont Geological Observatory – con conseguenze considerevoli.

Non tutti gli oceanografi statunitensi accettarono i vincoli legati alla generosità della marina. Dibattiti scoppiarono anche prima della guerra fredda allo Scripps e di nuovo nei primi anni ’60 allo WHOI sui costi da sostenere per dover lavorare su progetti operativi classificati. Tuttavia le priorità di bilancio hanno eclissato le preoccupazioni dei docenti in merito all’autonomia e al controllo militare della “grande scienza” in mare.

Oreskes usa episodi storici affascinanti per rivelare le conseguenze serie e sottovalutate della prolungata dipendenza degli oceanografi dai progetti segreti guidati della marina. Due capitoli esaminano la complessa storia del famoso sommergibile Alvin, che, contrariamente alla successiva insabbiatura, non è nato come nave da ricerca. Un altro capitolo racconta la storia inquietante di un eminente sedimentologo del WHOI che ha trascorso la maggior parte degli anni ’80 e ’90 cercando di convincere il governo degli Stati Uniti a seppellire le scorie nucleari nelle profondità marine, nonostante la sua precedente scoperta che il fondo marino manca di stabilità sismica.

La narrazione culmina negli anni ’90, quando gli oceanografi della Scripps si sono orientati verso la ricerca sul cambiamento climatico. Accecati dalla propria arroganza e dimentichi dell’impatto del suono sottomarino sui mammiferi marini, gli scienziati hanno provocato il sospetto del pubblico presentandosi come eroi del clima e respingendo le preoccupazioni sulle minacce poste alle balene dalla tomografia acustica, che i ricercatori hanno cercato di utilizzare per indagare sulle temperature dell’oceano.

Gli effetti epistemici dell'”oceanografia militare di difesa” continuano a propagarsi oggi. L’interiorizzazione della visione dell’oceano da parte della marina come un teatro di guerra sottomarina, piuttosto che come un sistema ecologico dinamico, ha portato i dirigenti dello Scripps, del WHOI e di Lamont a ignorare la biologia e l’ecologia oceanica. Quando finalmente sono iniziati gli inventari biologici marini completi, verso la fine del millennio, era, lamenta Oreskes, “troppo tardi” per determinare le condizioni di base a causa di enormi cambiamenti causati dalla pesca eccessiva e da altre attività antropiche.

Gli storici della biologia e degli ambienti marini avranno probabilmente altri esempi di come i decisori “hanno costruito una sostanziale ignoranza sull’oceano come dimora della vita”. Dalla mia ricerca personale, vorrei aggiungere che i biologi della fine degli anni ’60 hanno lavorato molto duramente, ma non sono riusciti a convincere l’US Office of Naval Research e le agenzie collegate a finanziare studi su come un canale proposto per il livello del mare dell’America centrale potrebbe facilitare scambi disastrosi di specie invasive [1].

Abbiamo bisogno di più studi storici per capire come enti potenti possano produrre ignoranza come conoscenza e Oreskes fornisce un modello per farlo. Come storia intellettuale e istituzionale dell’oceanografia del dopoguerra, Science on a Mission interesserà gli storici e i professionisti delle scienze marine, gli storici della scienza della guerra fredda e gli studiosi di epistemologia, merita un ampio pubblico di lettori. Inoltre è una valida esposizione di come gli oceanografi sponsorizzati dalla marina siano arrivati a limitare i propri programmi di ricerca credendo ai propri miti,il libro dovrebbe far riflettere tutti gli scienziati che si considerano immuni dalla potenziale influenza dei loro finanziatori o che romanticizzano l’età dell’oro del patronato scientifico militare.


da https://blogs.sciencemag.org

Traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it

Note:
1. C. Keiner, Deep Cut: Science, Power, and the Unbuilt Interoceanic Canal (Univ. of Georgia Press, 2020).
Naomi Oreskes, Science on a Mission: How Military Funding Shaped What We Do and Don’t Know about the Ocean, University of Chicago Press, 2021, 744 pp.

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