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lafionda

Super Green Pass: salvare le coscienze e boicottare la festa

di Silvia D'Autilia

“Con il Super GreenPass possiamo salvare il Natale” titolano oggi i giornali, all’indomani della stretta ulteriore del Green Pass emanato dal governo di Mario Draghi. Chi pensa di rinvenire ancora qualcosa di squisitamente sanitario in queste manovre e in questo cappio che si fa sempre più stretto attorno alla Costituzione non nutre probabilmente abbastanza amore per l’analisi delle parole e per l’implicazione dei concetti sottesi. Ebbene, a meno che, per effetto di qualche ulteriore ignoto decreto emanato nello svuotamento ormai pressoché totale del Parlamento, non siano stati conferiti al premier anche funzioni di natura spirituale e religiosa, è impossibile non leggere in questo lessico intenzioni e urgenze di natura strettamente produttiva.

A dirla tutta, è da circa due anni che il ritornello della salvaguardia delle festività viene recitato dalla nuova tecnopolitica filantropica e umanitaria, la stessa che, senza prendersi minimamente briga di potenziare il welfare sanitario e assistenziale fino a un livello degno di un paese che dice di voler “combattere con ogni mezzo la pandemia”, introduce però misure sempre più in contraddizione con la vecchia tradizione costituzionale.

Oramai l’assuefazione alla rinuncia e al taglio delle garanzie civili è così incalzante che anche quando il diritto al lavoro e allo studio sono stati posti sotto ricatto – fatto che avrebbe dovuto far scendere in piazza trasversalmente e compattamente ogni militante di sinistra che un tempo si sarebbe strappato le vesti per leggi così indecorose – la contestazione ha dovuto rimboccarsi autonomamente le maniche senza il benchè minimo sostegno politico. Anzi, a voler fare un’analisi dell’atteggiamento con cui la politica ha approcciato nei fatti e nelle parole queste proteste, possiamo individuare tre momenti principali: il primo è stato la fase della derisione con epiteti riferiti sia alla quantità (“quattro poveri gatti”), sia alla qualità dei manifestanti con annessi giudizi valoriali (“ignoranti”, “analfabeti”); la seconda fase è stata quella della demonizzazione e colpevolizzazione sino al margine della criminalità al fine di dipingere i partecipanti ai cortei come untori responsabili della catena del contagio di intere città e persino regioni; la terza e ultima fase è stata caratterizzata dal soffocamento bello e buono delle proteste, con il divieto della ministra Lamorgese di permettere lo svolgimento dei cortei nelle vicinanze dei centri storici. Dalla ridicolizzazione alla repressione nel giro di neanche tre mesi, senza il minimo ascolto e la minima interlocuzione con cittadini che piaccia o no continuano a essere nella legge senza aver commesso alcun reato.

Lo stato del diritto a due anni dalla diffusione del virus è arrivato a un tale livello di amputazione che il suo esercizio non è più nemmeno riferibile alla fruibilità ma a un’eventuale gentile concessione se e solo se intercetta i piaceri e le convenienze delle leggi economiche. (Piange un po’, ma poi a tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo, diceva Dostoevskij!) Cosa sottende l’espressione “salvare il Natale” se non la tutela delle perverse logiche del profitto e dei nauseanti isterismi pubblicitari per i Black Friday, in contraddizione lampante con le difficoltà che le famiglie dei lavoratori sospesi dai ricatti del QRcode stanno vivendo? Cosa sottendono i divieti alle manifestazioni No Green Pass se non la salvaguardia delle entrate e le uscite da negozi traboccanti di ogni bene da vendere e stravendere? Cosa si può leggere nel confinamento dei manifestanti ai margini delle città se non lo sbarazzarsi del loro ingombro all’interno della macchina produttiva?

A pensarci bene, hanno ragione quelli che invitano a non fare associazioni fuori luogo con dittature precedenti: siamo proprio in una dimensione nuova e inedita che con il passato ha proprio ben poco a che fare, tanto più che nessun regime si era spinto fino al punto di relegare alla scadenza di un codice digitale il lavoro e lo studio, perché è evidente oramai che in gioco non è più il vaccino, ma la facile negoziabilità e ricattabilità che hanno acquisito diritti che credevamo sacri e inviolabili.

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