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theunconditional

Protocollo letale

di Thomas Fazi

«Abbiamo trovato notevole, e sorprendente, vedere la differenza nelle probabilità di diventare un paziente grave quando si è carenti di vitamina D rispetto a quando non lo si è», hanno dichiarato al “Times of Israel” il dottor Amiel Dror, un medico del Galilee Medical Center, e il ricercatore Bar Ilan.

Proprio da uno studio peer-reviewed di Dror e colleghi appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “PLOS ONE”¹, infatti, arriverebbe l’ennesima conferma circa l’utilità della vitamina D nel ridurre – e di tanto – il rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19, soprattutto nelle persone più anziane (cioè quelle maggiormente a rischio di ospedalizzazione e/o morte).

Gli scienziati israeliani sostengono di essere ormai riusciti a dimostrare al di là ogni ragionevole dubbio che esiste una chiara correlazione tra i livelli di vitamina D nel corpo e il rischio di malattia grave e/o di morte post-infezione – e dunque che l’aumento dei livelli di vitamina D può aiutare a ridurre significativamente ridurre il rischio di malattia grave e/o di morte –, al punto da poter predire con ragionevole certezza l’impatto del virus su un soggetto basandosi unicamente sulla loro età e sui loro livelli di vitamina D (vedi l’immagine).

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Già nel mese di giugno i ricercatori avevano pubblicato i risultati preliminari della loro ricerca², che mostra come il 26% dei pazienti carenti di vitamina sia morto in seguito all’ospedalizzazione, rispetto al 3% di coloro che avevano livelli normali della vitamina. Hanno anche determinato che i pazienti ospedalizzati che erano carenti di vitamina D avevano 14 volte più probabilità, in media, di finire in condizioni gravi o critiche rispetto agli altri.

Il dottor Dror ha evidenziato che la ricerca del suo team ha dimostrato che l’importanza della vitamina D non è basata su dati incompleti o difettosi.

«Le persone dovrebbero imparare da questo che gli studi che indicano l’importanza di prendere la vitamina D sono molto affidabili, e non sono basati su dati distorti», ha affermato. «E sottolineano che tutti dovrebbero assumere un supplemento di vitamina D durante la pandemia, che, assunta in quantità ragionevoli in conformità con i consigli ufficiali, non ha alcuna controindicazione».

C’è da dire che questo non è il primo studio che dimostra l’efficacia della vitamina D nel contrastare la malattia Covid-19. In verità se ne parla fin dai primissimi giorni della pandemia. Già nel 2020, infatti, una revisione sistematica e una meta-analisi di 27 pubblicazioni aveva rilevato che esistevano associazioni significative tra la carenza di vitamina D e la gravità della malattia, inclusi aumenti relativi in termini di ospedalizzazione e decessi addirittura dell’80%³.

Sempre nel 2020, uno studio prospettico randomizzato controllato aveva dimostrato che il metabolita della vitamina D calcifediolo, somministrato in dosi elevate ai pazienti Covid, riduceva significativamente la probabilità di un esito grave, misurata dai ricoveri in terapia intensiva⁴. Nel tempo questo è stato poi confermato da diversi altri studi.

E infatti le autorità sanitarie di diverse paesi – tra cui Israele – fin dall’inizio della pandemia hanno raccomandato ai propri cittadini di assumere integratori di vitamina D in caso di infezione.

E in Italia? Da noi sono due anni che sedicenti “fact-checker” di ogni risma si affannano nel bollare ogni indicazione favorevole al ruolo della vitamina D nel contrasto al Covid come disinformazione, fake news, complottismo e via dicendo – in primis, ovviamente, l’ineffabile “Open” di Mentana⁵.

Peggio ancora, lo stesso Ministero della Salute ha sempre bollato l’utilità della vitamina D come “fake news” – e ancora oggi è così. Sul sito del Ministero⁶, infatti, leggiamo che «[n]on ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus» e che «non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato».

Eppure le evidenze, anche se preliminari, esistevano eccome, come abbiamo visto. Anzi, proprio due studiosi italiani, Giancarlo Isaia e Enzo Medico, furono tra i primi a evidenziare – già nel marzo del 2020 – il “Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19”, in un articolo giudicato molto interessante dagli esperti dell’Accademia di Medicina di Torino⁷. Nell’articolo si legge che:

«Sulla base di numerose evidenze scientifiche e di considerazioni epidemiologiche, sembra che il raggiungimento di adeguati livelli plasmatici di vitamina D sia necessario anzitutto per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, ma anche per determinare una maggiore resistenza all’infezione Covid-19 che, sebbene con minore evidenza scientifica, può essere considerata verosimile».

Secondo gli studiosi, l’utilizzo della vitamina D nel trattamento del Covid poteva risultare particolarmente utile in un paese come l’Italia, vista la maggiore prevalenza di ipovitaminosi D nel nostro paese e in altri paesi mediterranei, a differenza dei paesi del Nord Europa, per l’antica consuetudine di addizionare cibi di largo consumo (latte, formaggio, yoghurt ecc.). Gli studiosi evidenziavano come addirittura il 76% delle donne anziane in Italia presenti marcate carenza di vitamina D – e dunque fossero particolarmente a rischio di sviluppare forme gravi di Covid.

Purtroppo, come sappiamo, i suggerimenti dei due studiosi – e di tutti gli altri studi sull’argomento – sono stai beatamente ignorati dalle autorità sanitarie italiane – e anzi bollati come “fake news” –, con i drammatici risultati che conosciamo. A questo punto è impossibile non chiedersi quante vite si sarebbero potute salvare se le autorità sanitarie italiane avessero consigliato l’assunzione di vitamina D alle persone colpite dal Covid, soprattutto quelle più anziane, come fatto in altri paesi. E quanta gente deve ancora morire prima che il governo si decida a rivedere il protocollo che continua a bollare come fake news l’utilità della vitamina D?

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