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sinistra

La vendetta dei fatti

di Fernanda Mazzoli

Si dice che i fatti parlano da soli e mai come in questo caso il luogo comune si dimostra fondato; tuttavia, in un’epoca in cui il mainstream con uno spericolato gioco di specchi tende a confondere la realtà con una sua narrazione di comodo, non parlano mai abbastanza. Inoltre, l’incessante catena di produzione delle informazioni tende, qualora consistenza e crudezza dei fatti stessi arrivassero a perforare il muro della menzogna, del silenzio e dell’indifferenza, a smussarne le punte più fastidiose, ad annegarli nel flusso indistinto delle notizie macinate quotidianamente dall’industria mediatica e destinati dal premere dei successivi ad essere risucchiati nelle paludi dell’oblio. Al massimo, possono contare su qualche giorno di celebrità, se con l’apposito sostegno di immagini spaventose o strappalacrime riescono a scatenare tempeste emotive nel pubblico, atte ad aumentare indici di ascolto o vendite; oppure, possono essere promossi alla ribalta per periodi più lunghi (un esempio fra tutti: il trattamento mediale della pandemia da Covid 19) se si prestano a manipolazioni delle condotte individuali e collettive.

Una censura per così dire “fisiologica”, sovrapponendosi a quella intenzionale (selezione e contenimento delle notizie chiamate a rispondere ad un’agenda fissata dall’alto, loro cancellazione tout court, derubricazione delle voci discordanti a fake news) finisce per svuotare in partenza ogni serio confronto, dal quale il muro di facciata eretto intorno alla realtà potrebbe miseramente crollare.

Il caso che parla da solo, ma non, in tale situazione, abbastanza ed al quale vorrei pertanto insufflare un po’ di fiato avrebbe potuto facilmente assurgere agli onori della cronaca nazionale, ammantato dell’aura spettacolare delle catastrofi che tanto favore di share incontrano, ma la sua corsa verso il prevedibile tragico epilogo è inciampata per fortuna in alcuni sassolini e rischia, pertanto, di finire nel dimenticatoio e con esso le pesantissime responsabilità di tutta un’amministrazione comunale che molto allegramente, con delibera del Consiglio del 24/10/ 2022 votata alla quasi unanimità (un solo voto contrario ed un astenuto) e senza preventiva consultazione dei residenti aveva accettato di cedere -dietro lauto pagamento- una vasta area residenziale all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Marche ed Umbria per la costruzione a Pesaro di un laboratorio biologico sperimentale di ricerca su patogeni pericolosi per gli uomini e gli animali, classificato con livello di sicurezza BSL-3 (quello ben altrimenti noto di Wuhan era BSL-4).

Il Comitato di cittadini costituitosi per bloccare il progetto (cui si deve anche l’organizzazione della manifestazione nazionale del primo maggio che ha visto la partecipazione di migliaia di persone provenienti da tutta Italia) da subito ha rilevato, tra le tante criticità, l’assoluta inadeguatezza del luogo scelto: 15.000 metri quadri in un contesto urbanizzato caratterizzato dalla presenza di abitazioni, uffici e supermercati e dalla vicinanza di un fiume che, qualora si verificassero forti piogge, invece di buttarsi nell’Adriatico potrebbe gettarsi in città. Di fronte all’opposizione crescente ed alla risonanza oltre le mura cittadine, il sindaco – che si fregia del titolo di sindaco più amato dai Marchigiani e fra i prediletti della nazione intera, forse per analogia con le conterranee cucine Scavolini, le più amate dagli Italiani- non solo ha difeso a spada tratta la scelta della giunta, dando garanzie sull’assoluta sicurezza dell’iniziativa, non solo non ha tenuto conto di dubbi ed obiezioni, ma ha irriso i contrari, delegittimandoli come complottisti e terrapiattisti.

Ora, nei giorni delle alluvioni che hanno devastato la Romagna, il fiume Foglia si è incaricato di smentire la sicumera del primo cittadino e di dare ragione ai presunti complottisti: esondato, ha allagato proprio l’area destinata al biolaboratorio. Dopo la partecipata dimostrazione del primo maggio, all’interno dello stesso Istituto zooprofilattico qualche riserva sulla scelta della località era già emersa; il fiume è stato anche più convincente ed il laboratorio abbandonerà le rive della ridente città marinara per cercare casa, pare, nell’entroterra dove non sembra, al momento, suscitare troppo entusiasmo.

La mobilitazione dei cittadini e l’impetuosità di un torrente hanno, per il momento, stroncato un progetto che avrebbe potuto avere, come i fatti hanno dimostrato, un impatto devastante per un’intera città. Resta che, con inaudita superficialità e colposa incompetenza, nascoste sotto i panni paludati e ormai d’ordinanza della fiducia nella scienza e della retorica delle “grandi opportunità” (per non parlare della speranza di forti entrate nelle casse comunali con la vendita dei terreni, cosa che mai guasta), si è rischiato di esporre un territorio a conseguenze drammatiche.

Resta che quel sindaco, quella giunta non hanno sentito il bisogno di riconoscere il loro errore, di ammettere perlomeno la loro imperizia. Se la parola vergogna non fosse obsoleta espressione di sapore ottocentesco, qualcuno dovrebbe dimettersi. Invece, continueranno come se niente fosse, contando sulla disposizione a dimenticare che affligge sempre più la società e che fornisce un salvacondotto a potenti grandi e piccoli. Anche per questo, è urgente riportare la realtà al centro del discorso pubblico, squarciare il velo delle narrazioni compiaciute, tornare alla irriducibilità dei fatti, raccontarli con impegno ed onestà intellettuale, per contrastare con efficacia quella dismissione del pensiero critico e dell’attività raziocinante che attraversa il corpo sociale come una mortifera malattia, sulla quale si sorregge il potere di pochi e la servitù, più o meno volontaria, di molti.

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