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mondocane

Israele, il terrorismo tracima

Intervista a pubblicazione del Canavese

di Fulvio Grimaldi

  1. Frequento il Medioriente e, nello specifico, la Palestina negata, dal 1967, quando fui inviato di Paese Sera alla Guerra dei Sei Giorni. Mi sono occupato delle varie fasi e situazioni del dramma palestinese a partire da quella guerra e a passare per le due Intifade, anni ’80 e ‘2000, i campi profughi in Libano, Giordania e Siria, le due guerre israeliane contro Hezbollah in Libano e, appunto, Gaza. Ho seguito il primo attacco a Gaza, via terra, mare e aria, chiamato Piombo Fuso, che si potrebbe definire prova generale per la guerra in corso.
  2. La situazione in questi giorni in Palestina è segnata soprattutto dallo sterminio senza precedenti e senza limiti della popolazione di Gaza e, in misura, per ora, più contenuta, da quella di Cisgiordania. Si punta, evidentemente, dal governo di estrema destra di Netaniahu a eliminare fisicamente l’intera popolazione, dopo averci provato con un genocidio strisciante a partire dall’iniqua spartizione proposta dall’ONU nel 1947. La formidabile resistenza palestinese, con il consenso che ha suscitato in tutto il mondo, e la parallela distruzione della statura morale dello Stato sionista, hanno però cambiato l’equilibrio dei fattori in campo. Alla vittoria morale dei palestinesi non potrà storicamente non seguire quella politica. Siamo a una caduta epocale del tentativo dei ricchi e potenti di imporre la propria dittatura sul resto del mondo. E a questa profonda crisi in cui versa lo Stato Sionista, accentuata dalla rivolta dei suoi abitanti contro il tentativo eversivo di Netaniahu di esautorare la magistratura, che va ricondotta il disperato tentativo israeliano, a forza di operazioni terroristiche contro Siria, Iran, Libano, di coinvolgere nel conflitto altri paesi della regione e, quindi, gli Stati Uniti, in una conflagrazione generale che rimescoli le carte..
  3. Il terrorismo è, dalla costituzione dello Stato sionista sulle macerie della nazione palestinese, interamente dalla parte israeliana. Ogni definizione contraria è pura propaganda che funziona in Occidente, nell’anglosfera e nell’UE, ma non nel resto del mondo. Oggi Israele è imputato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia per genocidio e crimini contro l’umanità, un’accusa portata da uno degli Stati che si sono liberati della stessa apartheid sotto il cui giogo è costretta da sempre la Palestina. Per fortuna è dallo stesso Israele che ci sono venute le voci che hanno sbugiardato l’accusa si terrorismo ad Hamas con cui si è voluto togliere ai palestinesi il diritto di lottare per la propria liberazione secondo i principi sanciti dalla stessa Carta dell’ONU. La maggioranza delle vittime del 7 ottobre sono state attribuite, da queste voci, alle stesse forze armate israeliane che, per impedire la presa di ostaggi, hanno colpito indiscriminatamente cittadini e militari israeliani. Basta chiedere a Haaretz, il più autorevole giornale israeliano, a ufficiali dell’aereonautica israeliana, oltre a numerosi testimoni israeliani. Fallita la grottesca bufala dei 40 neonati decapitati, quando in quella situazione di neonati non ce n’erano, si ricorre ora, col sostegno di organi di presunta informazione come il New York Times, alla classica accusa degli stupri che i combattenti di Hamas avrebbero commesso nel corso di una battaglia a fuoco durata meno di due ore. Quella degli stupri è l’arma propagandistica che si vorrebbe la più efficace e che oggi risulta la più logora e screditata. Si tengano piuttosto presenti le testimonianze e documentazioni delle torture subite da bambini e adolescenti palestinesi, tenuti in carcere per anni a migliaia, senza accusa, senza difesa, senza processo. E per la cui liberazione Hamas si è impegnato catturando ostaggi.
  4. Non è realistica né l’ipotesi della totale eliminazione di 7,5 milioni di palestinesi, più cinque con il diritto di ritorno dall’esilio, maggioranza numerica in Palestina, né quella del mantenimento di uno Stato sionista imposto con la forza, né l’ipocrita proposta dei due Stati, per la quale ai palestinesi da molti anni è stata azzerata ogni possibilità, anche solo geografica, di esistenza statuale. La soluzione corretta, democratica, rispettosa dei diritti dei palestinesi è lo Stato unico “Palestina” che veda convivere ebrei e palestinesi, una volta rientrata nei paesi d’origine la componente immigrata razzista, intollerante, fascistoide, rappresentata in primis dai 750.000 coloni che, del resto, con quella terra non hanno nessun legame storico.
  5. Le posizioni dell’Italia e dell’Unione Europea sono un banale e servile appiattimento sulle pretese di Israele, appoggiate militarmente e politicamente dagli USA. Sono posizioni senza legittimità legale, sociale, economica, umana. Sono posizioni di entità mercenarie prive di autonomia e dignità che servono solo a perpetuare il torto e la tragedia. Ma contano poco. Gli eventi di Gaza hanno determinato la crescita nel mondo di una coalizione di popoli e di Stati che non sono più disposti a tollerare una tirannia imperialista che ha nel grumo sionista la sua manifestazione simbolica.

Comments

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Michelangelo Tumini
Wednesday, 24 January 2024 19:21
Il racconto non può che essere letto con gli occhi e la testa di chi scrive. Per chi conosce ciò che legge, oltre gli scritti riportati in questa rete, come i pensieri e le idee degli israeliani che si riconoscono nella sinistra di Israele. Si pone un interrogativo: ciò che la cronaca riporta il conflitto in atto nell'ampia area geografica che va dall'Egitto fino al Pakistan e dal Mediterraneo al Mar Rosso obbliga a fare una riflessione sull'intreccio dei conflitti in atto che evidenziano non solo un conflitto fratricida tra Palestinesi ed i coloni Israeliani che si sentono legittimati a farla da padrone su un territorio loro assegnato, per l'odio razziale culminato con l'eccidio di 6 milioni di persone nei lager nazisti colpevoli di essere Ebrei. Ma anche e soprattutto la realtà politica e religiosa che caratterizza quell'ampio territorio in cui prevale una cultura di guerra, non solo economica, ma fideista in cui la fa da padrona l'intolleranza nei confronti delle rivendicazioni della parità reclamata dalle donne.
Non affrontare questo nodo culturale e soprattutto politico ci si limita a ragionare sui ultimi 80 anni e continuare ad immaginare il perenne conflitto instauratosi dopo il secondo conflitto mondiale e la scelta del trattato di Yalta. E non si tengono nel dovuto conto l'evoluzione in atto di cui la Cina è portatrice: un multilateralismo che pone al centro la convivenza pacifica tra tutti gli Stati aderenti e non all'O.N.U.
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