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rifonda

L’ampliamento dei Brics ulteriore passo in avanti nella ridefinizione degli assetti geopolitici e geoeconomici internazionali

di Andrea Vento*

 

La complessa questione della dedollarizzazione

Il Sistema Monetario Internazionale (Smi) uscito dagli Accordi di Bretton Woods ha riservato al dollaro statunitense la duplice funzione di moneta nazionale e di valuta di riferimento nelle transazioni internazionali, concedendo alla Federal Reserve il privilegio di poter indirizzare le politiche monetarie dell’intero campo capitalistico tramite l’orientamento delle manovre sul tasso di riferimento.

 

L’utilizzo del dollaro come arma politica

A partire dal febbraio 2022, con l’escalation del conflitto in Ucraina, è tuttavia emersa nella sua piena dimensione anche una terza dirompente funzione, peraltro già utilizzata in passato con portata più limitata ai danni di 22 paesi: quella sanzionatoria. Le draconiane misure coercitive imposte dal 23 febbraio 2022 unilateralmente alla Russia, in 12 tranche successive, hanno infatti determinato “la trasformazione del dollaro in arma”, espressione giustappunto coniata nell’anno in questione.

In base agli studi di Christopher Sabatini del Royal Institute of International Affairs, storico think tank inglese comunemente noto come Chathan house, “Più di un quarto dell’economia mondiale si trova a subire una forma o l’altra di sanzione” anche a causa del fatto che, secondo il Financial Times, nel corso dell’ultimo decennio “I presidenti statunitensi che si sono susseguiti hanno optato per una strategia ritenuta poco onerosa in termini di sforzi e vite umane per risolvere i problemi di politica estera”[1]. Conseguentemente, gli Stati Uniti, oltre a godere dei privilegi dell’indebitamento incontrollato e della facoltà di orientare le politiche monetarie internazionali, si sono arrogati anche quello dell’extraterritorialità. Possedendo, infatti, la moneta su cui è strutturato il Sim, Washington risulta in grado di imporre le proprie volontà a tutti i soggetti statuali e non che, più o meno volontariamente, utilizzano il dollaro. Infatti, oltre ad aver recentemente sanzionato diverse banche che avevano effettuato pagamenti per conto di paesi soggetti a sanzioni unilaterali Usa e comminato o inasprito misure ai danni di vari paesi come Cuba, Venezuela, Iran, Corea del Nord, Afghanistan e Siria[2], Washington imprime alle misure coercitive un inedito salto di qualità a seguito dell’intervento russo in Ucraina. Mosca viene, infatti, estromessa dal sistema di pagamenti internazionali incentrati sul dollaro denominato Swift e subisce il congelamento di 300 miliardi di dollari di riserve proprie depositati nelle banche occidentali.

Gli economisti Michel Aglietta, Guao Bei e Camille Macaire hanno affermato che “L’uso deliberato del sistema di pagamenti internazionale in dollari per bloccare le transazioni private, riguardanti paesi che gli Stati Uniti intendono sanzionare, può solo confermare la strumentalizzazione del dollaro come evidente mezzo di dominazione politica”[3].

 

La tendenza verso transazioni in valute alternative al dollaro

Come già evidenziato in precedenza[4], l’evoluzione del ruolo del Brics e l’ampliamento dei propri obiettivi registrati nel corso degli ultimi 15 anni si sono verificati in correlazione di eventi economico-finanziari e geopolitico-militari generalmente riconducibili ai paesi del G7, Stati Uniti in primis.

Anche tale utilizzo a fini politici dell’architettura finanziaria globale a guida statunitense ha finito per consolidare, nei paesi che si sentono minacciati dall’egemonia di Washington in questo campo, la necessità di realizzare una struttura internazionale alternativa a quella basata sul dollaro.

In sostanza si tratta di attuare strategie tese alla dedollarizzazione delle transazioni internazionali, delle riserve monetarie e degli asset finanziari, componente essenziale della strategia di ridefinizione degli equilibri strategici internazionali.

Il dibattito che si è, quindi, aperto ruota, per i paesi sanzionati o potenzialmente nelle condizioni di esserlo e per il Brics nel suo complesso, intorno a una questione ormai divenuta ineludibile, anche secondo autorevoli economisti non allineati all’egemonia dell’Occidente: quale moneta adottare?

Un quesito tanto di semplice formulazione quanto particolarmente complesso nella sostanza in quanto l’egemonia del dollaro è ancora ben salda e nessuna delle valute alternative, dall’Euro allo Yuan, possiedono a oggi le caratteristiche per sostituirlo all’interno di un nuovo Sistema monetario internazionale, considerando che per assurgere a tale ruolo una moneta deve svolgere funzione di unità di conto e di strumento di riserva, vale dire poter permettere gli scambi e accantonare capitali.

I Paesi trovatisi nella necessità di procedere verso lo sganciamento dal dollaro, in assenza di una moneta concretamente alternativa, hanno comprensibilmente optato per l’adozione della propria nelle transazioni internazionali, soprattutto nelle relazioni con partner interessati all’implementazione di un nuovo ordine valutario monetario, come quelli del Brics.

Conseguentemente, soprattutto dopo febbraio 2022, sono iniziati a proliferare tutta una serie di accordi bilaterali, promossi principalmente da paesi del Brics, per l’utilizzo della valuta di entrambe o di una delle due controparti. Fra i numerosi casi, riportiamo l’annuncio del marzo 2023 fra Brasile e Cina di regolare gli scambi in Real e Yuan e, quello del mese successivo, fra India e Malesia di effettuare le transazioni in rupie.

Nuova Delhi, pur alleata militarmente con gli Usa nel Quad (Quadrilateral Security Dialogue) in funzione anticinese[5], si è distinta per un particolare attivismo nel processo di disgiungimento dal dollaro. Infatti, l’Indian Oil Corp la principale raffineria di greggio del paese, nell’estate 2022 ha acquistato 1 milione di barili di petrolio dalla Abu Dhabi National Oil Company regolando per la prima volta la transazione in rupie e dal 2022 ha acquistato ingenti quantità di greggio da Mosca sempre nella propria valuta. Inoltre, nel 2023 erano diventate ormai 18 le istituzioni finanziarie internazionali autorizzate dalla Banca centrale indiana (Reserve Bank of India-Rbi) ad aprire conti speciali per regolare i pagamenti in rupie, favorendo l’internazionalizzazione della propria divisa, anche in considerazione dei progressi compiuti in termini di convertibilità in conto capitale e di integrazione nella catena del valore globale, anche tramite la creazione di un proprio hub finanziario, la Gurajat International Finance Tech (Gift) City[6].

Il processo di dedollarizzazione con finalità di carattere geopolitico risulta, tuttavia, strettamente collegato al più pragmatico aspetto della riduzione dei costi delle transazioni gravate dalla doppia conversione in dollari delle due valute dei paesi coinvolti negli scambi: dalla rupia al dollaro e da quest’ultimo al rublo, nel caso di scambi commerciali Russia – India.

Altro fattore fondamentale nell’ambito di tale processo è determinato dalla imponente rete commerciale internazionale sviluppata dalla Repubblica Popolare Cinese, principale attore mondiale con un interscambio totale di ben 6.002 miliardi di euro nel 2022[7] e primo partner commerciale di ben 61 paesi, esattamente il doppio dei 30 degli Stati Uniti, in base ai dati forniti dalla Direzione delle statistiche sul commercio del Fmi (Dots)[8]

Il lento ma progressivo sganciamento dal dollaro si scontra, tuttavia, con una serie di problematiche pratiche di non facile risoluzione. In primis, la situazione dei saldi commerciali fra i vari stati che, risultando di rado perfettamente equilibrati, determinano, nel caso di utilizzo di monete nazionali, un accumulo di valuta del paese partner, finendo per creare un problema soprattutto in presenza di valute soggette a fluttuazioni di valore e/o non facilmente convertibili. Condizione che ha determinato a maggio 2023 la sospensione delle transazioni russo-indiane in rupie[9], in quanto Mosca con un saldo nettamente positivo, a seguito del vertiginoso aumento della quantità di greggio esportato (grafico 1), aveva accumulato una tale quantità di valuta indiana da divenire difficilmente impiegabile[10]. La soluzione è stata trovata utilizzando negli scambi fra Mosca e New Delhi anche i Dirham degli Emirati Arabi Uniti a partire dal febbraio 2023[11].

Grafico 1: quantità di greggio esportato dalla Russia nei 5 paesi con maggior aumento 2021 – 2022

top 5 country increases in russian oil cargo.jpg

Affinché le transazioni fra due paesi possano efficacemente avvenire nelle rispettive monete nazionali, risulta, infatti, determinante, che queste ultime possano essere trasformate in riserve valutarie, vale a dire in liquidità immediatamente utilizzabili e scarsamente soggette a marcate svalutazioni. Condizioni che al momento non possiedono le due valute principalmente designate a sostituire il dollaro, vale a dire l’Euro e lo Yuan. Il primo in quanto l’incertezza causata dalla crisi del debito sovrano[12] dei paesi periferici dell’Eurozona, iniziata nel 2010 e placata dal famoso “Wathever it takes” di Mario Draghi nel 2012, ancora ne condiziona la sua affidabilità, mentre il secondo tutt’oggi non gode della convertibilità in conto capitale ed è soggetto nei movimenti a rigidi controlli da parte delle autorità cinesi.

Affinché lo Yuan possa in futuro sostituire il dollaro come moneta di riferimento degli scambi internazionali sarebbe dunque necessario che Pechino liberalizzi la propria divisa omologandola agli standard internazionali. Passi che il governo e la Banca centrale non sono propensi a compiere, in quanto ciò provocherebbe una rivalutazione della stessa con evidente penalizzazione nella competitività dell’export e lascerebbe mano libera al trasferimento all’estero degli ingenti capitali privati accumulati, oggi soggetti a stretti controlli. Inoltre, la deregolamentazione della moneta aumenterebbe il rischio di instabilità finanziaria in caso di turbolenze internazionali, come avvenuto del 2015-16 dopo un tentativo di parziale liberalizzazione da parte delle autorità cinesi, poi costrette a una rapida marcia indietro[13].

Il processo di internazionalizzazione dello yuan in atto risulta pertanto trainato più dall’espansione commerciale cinese che da una precisa strategia di Pechino che al momento preferisce continuare ad attuare la politica monetaria adottata fino ad oggi, procedendo gradatamente verso l’aumento dell’utilizzo della propria divisa seguendo l’ampliamento del volume degli scambi.


* Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

Note
[1] “China exploits sanctions to undermine dollar” Michael Stott and James Kynge Financial Times 28 Agosto 2023
[2] Per una panoramica completa delle sanzioni recentemente comminate dal Tesoro Usa: https://ofac.treasury.gov/sanctions-programs-and-country-information
[3]Michel Aglietta, Guao Bei e Camille Macaire “La course a la suprematie monetaire mondiale”. Odie Jacob Parigi 2022
[4] L’ampliamento dei Brics ulteriore passo in avanti nella ridefinizione degli assetti geopolitici e geoeconomici internazionali – parte I di Andrea Vento
[5] Le nuove alleanze militari di Washington nell’area Asia-Pacifico di Andrea Vento
[6] https://www.linkiesta.it/2023/09/dollaro-valuta-mondiale-commercio/
[7]Commercio Cina 2022: Export 3.423 + Import 2.579 Totale: 6.002 Saldo: + 844 miliardi di euro
Fonte: https://www.infomercatiesteri.it/bilancia_commerciale.php?id_paesi=122
[8] https://data.imf.org/?sk=9d6028d4f14a464ca2f259b2cd424b85
[9] https://formiche.net/2023/05/russia-india-rupia-petrolio-moneta-ucraina/
[10] Michel Aglietta, Guao Bei e Camille Macaire “La course a la suprematie monetaire mondiale”. Odie Jacob Parigi 2022
[11] https://www.reuters.com/business/energy/indian-refiners-pay-traders-dirhams-russian-oil-2023-02-03/
[12] https://www.consob.it/web/investor-education/crisi-debito-sovrano-2010-2011
[13] Siamo davvero di fronte alla fine del dollaro? Di Reanud Lambert e Dominique Plihon. Le Monde diplomatique, novembre 2023

Comments

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Alfred
Sunday, 04 February 2024 12:08
Pst pst
Non hanno raggiunto il cilmine bloccando 300 miliardi russi.
I russi campano anche senza.
Hanno toccato il culmine della bassezza e dell'ingiustizia umana bloccando 10 miliardi afgani (loro, di diritto) e contribuendo ad affamare e opprimere quella popolazione. Cosi imparano a non apprezzare la democrazia che abbiamo generosamente voluto esportare

https://ilmanifesto.it/emergency-in-afghanistan-nellanno-secondo-dal-ritorno-dei-talebani
Circa 10 miliardi di dollari della Banca Centrale Afgana sono bloccati nelle banche occidentali. Il congelamento dei fondi e le sanzioni contro un governo non riconosciuto dalla comunità internazionale aggravano una popolazione già stremata da 40 anni di conflitti e che ora muore di freddo e di fame o perché non può curarsi. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, lo scorso anno su più di 270.000 afgani rifugiati nei Paesi confinanti bisognosi di protezione permanente, l’Unione Europea ne ha accolti 271: lo 0,1%.
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