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sinistra

Urbanistica e opposizione

di Luciano Bertolotto

Perché?

Scelta obbligata, almeno per me. Piccola città. Deindustrializzata. Invecchiata. Come molti altri paesoni in Piemonte. La politica? Si vota ogni cinque anni, e tanto basta. Alle urne ci va metà, o poco più, degli aventi diritto.

Il volontariato è, in piccola parte, impegnato sul piano culturale. Molto di più nell'assistenza. Attività meritorie. Però non mi sembrano bastanti a porre (se non in piccola parte) rimedio alle deficienze di questo modo di vivere. E alle relative conseguenze... Vorrei incidere, concretamente, sulle cause. Per questo, anche se poco la conosco, mi occupo di urbanistica. Con la velleità di fare una (sia pur minima) opposizione. Che, poi, consiste nella resistenza a decisioni che altri hanno preso. Non c'è nulla(forse...) di scandaloso in quello che lor signori fanno. Almeno, niente di nuovo. I soldi ci sono. Qualcuno fatto in precedenza con il nero. Sia nei conti che in cantiere.

Forse c'è, pure, una fettina dei tanti miliardi che le mafie investono sul territorio nazionale. Ma di questo, in città, si parla poco e sottovoce...

Il businnes? Nuove case, anche se, molte delle vecchie, sono vuote. Ancora altri supermercati. I capannoni non tirano più... Poco altro. Si aspetta sempre la benedizione di qualche grande evento. O, i soldi del P.n.n.r.

Oggi, a tenere a galla l'edilizia, è la pioggia di bonus

Di che stupirsi? Sono collaudati meccanismi di estrazione del valore. A questi nessun imprenditore( e, talvolta pure, qualche decisore) sa sottrarsi.

E vabbè'... Che saranno mai la crisi eco-climatica, l'emigrazione, le code davanti alla Caritas, il lavoro che manca (o è precario), l'auto che intasa strade e polmoni e/o altre quisquilie del genere?

Cerco di darmi da fare. Più che altro riunioni. Età media elevata. A dir la verità, quasi più sigle che militanti. Seguono comunicati stampa, raccolte firme...L'oggetto da difendere può essere un'area risparmiata dalla cementificazione o alcune costruzioni storiche. Vecchi edifici produttivi in disuso ai quali le Associazioni( o, almeno, alcune di esse) attribuiscono un valore identitario. Su questo ho qualche dubbio, ma ci sono cose più importanti. Lavorare insieme, per esempio...

Successi a volte si ottengono. Raramente, ma ogni tanto capita. Sfruttando le incongruenze della norma che dovrebbe disciplinare l'assetto del territorio.

Poi ci sono le Varianti. L'Amministrazione le presenta per rattoppare un Piano Regolatore, nato, a suo tempo, già vecchio. Noi avanziamo, seguendo rigorosamente la procedura, osservazioni. Quasi sempre, ignorate o respinte. Deprimente? Eh, si... Siamo messi proprio male. Ma sembra non ci sia granché di meglio in giro. Volendo(o, dovendo) seguite chi vola basso è difficile librarsi in alto. Anche se necessario...

Vale, allora, la pena di riflettere, un po' di più, sul che fare? Vizio antico a quanto sembra...

L'urbanistica

Qualcuno ha scritto: l'urbanistica è un'attività politica assistita tecnicamente. D'accordo. Soprattutto se, per politica, si intende l'incontro / scontro tra i gruppi sociali che operano in città e dintorni.

Quali? Nella nostra economia gli interessi prevalenti sono riconducibili a chi, nel (e dal) territorio, trae valore; in gran parte, interessi privati. Variegati assai: si va dall'impresa, alla libera professione, alla finanza...

Altri soggetti, istituzionalmente(o no) hanno(o si assumono) l'onere di tutelare il bene pubblico. Termine un po' equivoco, ma tant'è... In quest'ottica la città può essere letta come la materiale stratificazione, nel tempo, dei rapporti di forza che su di essa si sono instaurati. Questi, attraverso vicende economiche, politiche e sociali, ne hanno determinato la forma attuale.

L'urbanistica non può essere definita scienza. È una tecnica(o meglio, un insieme di tecniche) applicata nell'ambito specifico della aggregazione urbana. Come tale non possiede un contenuto proprio.

Si modella sulla base del contesto in cui trova applicazione. Terreno su cui si confrontano contrapposti interessi.

Nell'atto stesso di nascita essa presenta una ambivalenza. La sua dichiarata funzione storica è quella di mitigare(oltre che di definire formalmente) gli effetti dei cambiamenti a cui l'habitat è costretto.

Una funzione salvifica che le ha procurato una fama, probabilmente, immeritata. Infatti di contro, spesso, è stata usata per assecondare gli aspetti più deleteri delle trasformazioni economiche e sociali.

Contraddizione tra il pensiero che la giustifica(almeno nelle migliori intenzioni degli urbanisti) e la prassi a cui, molte volte, è costretta. Una dicotomia che, ordinariamente, coesiste nelle varie fasi storiche e che trova, nello scontro e nelle mediazioni, parziali soluzioni. Applicate a questo o quel particolare. Perché mai viene messa in dubbio l'ideologia dell'irrinunciabile crescita. Ne troppo ci si preoccupa delle conseguenze. Ovvero delle condizioni che rendono difficile il vivere associato.

Si potrebbe facilmente obiettare che il male è nel sistema socio-economico e che l'urbanistica, essendo parte di questo, ne subisce, solo, il riverbero. Ma vista (l'attuale?) impossibilità di abbattere il capitalismo non ci resta che provare a intervenire( per quel poco che ci è dato di fare...) sull'assetto del territorio.

A livello nazionale siamo in presenza di un quadro tecnico-normativo alquanto complesso, oltreché disorganico. Leggi più di procedura che di principi. Senza, per altro, risultare univoche e decisive. I progettisti considerati più bravi e, di conseguenza, più ricercati, sono quelli che sanno interpretare(o, a livello locale, ispirare) la norma. Ovviamente a favore degli interessi dei loro committenti. Le conoscenze, a loro necessarie, sono, soprattutto di ordine giuridico. Alcune di queste figure ricordano il manzoniano azzeccagarbugli... Ne risulta, tra l'altro, una profonda modificazione del ruolo dell'ingegnere, dell'architetto, del geometra...

Tuttora si fa riferimento alla n°.1150( anno1942 !). Per molti decenni, nonostante il persistente dibattito, si è sempre rinviata l'approvazione di una nuova legge urbanistica. Una norma onnicomprensiva capace di regolare l'intero settore. Ci provò, nel 1963, il ministro Sullo. La sua riforma si basava su due elementi. Si concedeva agli Enti Locali il diritto di esproprio preventivo e si introduceva il diritto di superficie. Peraltro già vigente in altri Paesi d'Europa. Non era la rivoluzione ma ciò bastò per mobilitare, contro il progetto di legge, il blocco edilizio. Tutto accantonato e carriera di Fiorentino Sullo finita.

Procedendo per settori, attraverso il cavallo di Troia dell'edilizia pubblica, si sono introdotti concetti adeguati all'imperante economia del profitto. Norme inserite all'interno di grandi contenitori su cui spesso si è votata la fiducia senza neppure entrare in merito ai contenuti. Ribaltando la concezione urbanistica faticosamente maturata nelle lotte e nel dibattito degli anni '60 e '70.

Forse, era inevitabile. La città è, prima di tutto, una merce. L'ideologia neo-liberista non ammette eccezioni. Permea per intero la società. Nega l'esistenza di alternative.

In coerenza con il quadro generale, qualche idea innovativa sembra essersi fatta strada. Strisciando, all'interno del pensiero urbanistico. Dalla pianificazione che, almeno negli intenti, aveva l'ambizione di ricercare il bene pubblico si è passati alla contrattazione. Da qualcuno definita: mercato delle vacche... Permesso e promosso in alcune Regioni.

Ridimensionato il ruolo delle istituzioni (ovvero del pubblico) si è dato sempre maggior spazio agli interessi dei privati. È penoso pensare che l'ultimo baluardo alla speculazione è lasciato a una ferruginosa burocrazia. Quando va bene incontri rituali (le conferenze di servizio). Parte emergente della contrattazione. Con, tuttalpiù, qualche aggiustamento imposto dalla cultura urbanistica di qualche funzionario ben intenzionato, che, libero da privati interessi, fa il suo mestiere. L'urbanistica come vizio professionale.

L'opposizione.

Questo non significa disprezzare(o, addirittura, negare) la possibilità di limitare i danni prodotti dalla speculazione. Cioè di fare buona urbanistica. Forse in alcuni Comuni qualcuno ci ha provato; nel mio, no.

Ma se non lo fa chi è stato eletto saranno altri a doversene occupare. Pur con meno potere e strumenti. Si tratta di avanzare proposte e di affrontare i problemi che ne conseguono. Al di là del mettere assieme capacità progettuali (cosa già, di per sé, complessa) non mancano altre difficoltà. Sono poche le forze organizzate disposte a spendersi. L'interesse della popolazione, poi, è quasi inesistente. L'indifferenza dei cittadini nei confronti dei processi reali, che pur subiscono, è oramai normale.

Rinunciare? Se si ha il vizio della politica non si può... Bisogna, però, immergersi nell'esperienza, leggere (volta per volta) la realtà che cambia, ergersi (che parolone!) protagonisti della trasformazione ... Di per se, per fare un esempio, l’urbanistica partecipata non ci garantisce risultati decisamente migliori(anche se, forse, assicura una maggior trasparenza) di quella tradizionale. Il suo valore è tutto nel processo che mette in moto, nell’esperire, collettivamente, la dimensione del decidere.

Non vedo una meta, compiutamente definita, da raggiungere. Non la so prefigurare. La mia attenzione va tutta al' iter della trasformazione. Punto di partenza: la situazione attuale. Come guida alcuni principi, ovviamente, antitetici a quelli dominanti. La solidarietà, per esempio...

Un viaggio attraverso i disagi che vediamo accumularsi sul territorio. A partire dalla sofferenza del vivere rapporti sociali alienati. Connessi all'abitare, al muoversi, al produrre (e via dicendo). Fare, e gestire, l'urbanistica può diventare la ricerca della compatibilità delle cure. Obbiettivo? Andare oltre la dittatura di questa economia che inquina ogni ambito politico e sociale. E, soprattutto, le nostre menti.

Viviamo un periodo di emergenze e di urgenze. Crisi eco-climatica, divaricazione dei redditi e impoverimento dei più, riemergere del fascismo, svuotamento della democrazia reale, e, adesso, anche la guerra, anzi, le guerre. Temi, tra di loro tutti intrecciati che, non a caso, ci sono scivolati addosso. Era la Storia, anche se non lo sapevamo...

Come reagire? Concretamente, intendo. Vorrei dare un apporto nei limiti delle mie capacità. Qui(dove altrimenti?) e subito. Almeno prima di esaurire il mio breve futuro.

Qualche esempio su cui, credo, ci si possa impegnare:

_ Fermare l'ordinaria (quotidiana) devastazione del territorio. Scelta che impone una concezione, radicalmente, diversa del rapporto con la natura e dell'uso degli spazi...

_ Procurare un' abitazione dignitosa ai molti che ne sono privi, pur vivendo in un paese con migliaia di vani vuoti...

_ Concepire una città aperta, ambito ritrovato di relazioni...

_ Colmare il vuoto di democrazia...

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