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L’Europa va alla guerra

di Ascanio Bernardeschi

 

La crisi del capitalismo viene affrontata con la guerra. L’Unione europea se ne fa strumento ai danni degli interessi dei propri popoli. Di fronte agli evidenti nessi fra la guerra e l’attacco senza precedenti alle condizioni dei lavoratori occorre lavorare per una loro presa di coscienza e promuovere lotte con parole d’ordine adeguate alla fase.

 

La crisi del capitalismo

Da molti decenni il capitalismo sta attraversando una profonda crisi da cui non riesce a venirne fuori.

La risposta pare essere quella del riarmo e della guerra.

I capitalisti hanno sempre preferito che si spenda per il riarmo piuttosto che con il Welfare per diversi motivi: a) Le commesse pubbliche sono rivolte direttamente alle imprese e non al settore pubblico; b) il Welfare assicura alcune certezze ai lavoratori e con ciò rende meno pressante il ricatto occupazionale, inoltre il clima di guerra favorisce il disciplinamento sociale e le politiche repressive; c) infine gli armamenti sono funzionali a supportare politiche imperialiste.

Quello che sta avvenendo oggi in Usa e in Europa è anche un’operazione finanziaria. Infatti, stava per scoppiare la bolla dei titoli hi-tech, anche grazie anche ai clamorosi progressi della Cina sull’intelligenza artificiale e si è ritenuto di prevenire questo scoppio gonfiando un’altra bolla, quella delle industrie delle armi. Infatti, le quotazioni dei titoli di quelle imprese stanno schizzando alle stelle.

L’Europa è totalmente succube del capitalismo delle maggiori imprese finanziarie statunitensi che si stanno impadronendo di quello che resta del nostro apparato industriale. Ciò spiega in parte anche le politiche autolesioniste dell’Europa che danneggiano i popoli ma favoriscono i profitti dei nuovi padroni i quali, avendo un enorme potere economico, condizionano anche quello politico. Naturalmente sussistono altre ragioni, per esempio le centinaia di basi americane in territorio europeo e l’ingerenza dell’intelligence Usa ma, pur sussistendo ancora contraddizioni fra gli imperialismi europei, questi non hanno la forza di arginare quello degli States.

Anche risparmi europei, attraverso vari meccanismi, prendono prevalentemente la strada della finanza Usa e del complesso militare industriale.

Tuttavia, si va ridimensionando lo strapotere americano e gli equilibri mondiali sono fortemente mutati. Per esempio, i Brics, pur avendo un Pil inferiore a quello dei G7, hanno tassi di crescita superiori e soprattutto livelli superiori di interscambi che, gradualmente, stanno facendo a meno del dollaro, riducendo la possibilità degli Usa di vivere al di sopra delle loro possibilità.

Lo stesso euro, prima della guerra in Ucraina, aveva assunto un peso rilevante negli scambi e nelle riserve, dell’ordine del 30%, nettamente superiore a quello della moneta cinese, al di sotto del 10%.

La guerra di Ucraina è stata anche contro l’Europa e l’euro. Lo si vede dal sabotaggio del gasdotto, dalle sanzioni alla Russia, che hanno privato l’Europa di materie prime e prodotti energetici a basso costo, e dall’Inflation Reduction Act a protezione dell’industria statunitense, col risultato di avere messo fuori mercato le industrie europee, determinato la recessione tedesca, e l’inflazione.

 

I nuovi confini dell’impero

Con il ritorno di Trump sono cambiate molte cose, ma non l’obiettivo principale. Per lui, come per Biden, il nemico principale è la Cina. Cambia, però, la strategia. Biden intendeva annientare prima il più potente alleato della Cina, la Russia, e indebolire l’Europa tagliandole i ponti con la Russia.

Trump, preso atto del fallimento di questa strategia, pensa di indebolire il legame fra Russia e Cina e, parimenti, emarginare l’Europa.

C’è un altro elemento importante. Gli Usa, alla luce dell’autonomia politica ed economica conquistata da molti Paesi del terzo mondo, non sono più in grado di esercitare il suo dominio in un impero troppo vasto. Quindi, cercano di ritagliarsi un impero più circoscritto e più facilmente difendibile. Se prima hanno vissuto col neocolonialismo, cioè sfruttando popoli dei Paesi in via di sviluppo e hanno dato le briciole di questo banchetto agli alleati occidentali, ora il banchetto siamo noi, saremo noi a essere sfruttati.

Lo vediamo già con la deindustrializzazione, la recessione tedesca, la vendita dei prodotti energetici ad alti prezzi, la costrizione alla spesa militare europea decisa proprio in questi giorni, che prenderà la strada del complesso militare-industriale americano, visto che almeno per un bel po’ di anni non saremo in grado di produrre in Europa 800 miliardi di armamenti.

 

ReArm Europe, il harakiri europeo

Dopo tre anni di sostegno militare all’Ucraina con l’illusione di sconfiggere la Russia e nessun impegno politico e diplomatico per far cessare il conflitto, ora l’Unione europea promuove un enorme sforzo economico a debito con il progetto ReArm Europe: significa rinunciare alla pace e ipotizzare di entrare in guerra direttamente con la Russia. Il capo dell’intelligence tedesca, a detta dell’irriducibile russofoba Tymoshenko, ha sostenuto che la guerra in Ucraina deve durare fino al 2030 per indebolire la Russia. Per questa ragione, servirebbe un rapido riarmo a cui destinare la gran parte delle risorse pubbliche, derogando al Patto di stabilità, ricorrendo al debito comune, ai debiti nazionali e al risparmio privato.

Ma il vero pericolo dell’Europa non è la Russia, bensì l’approfondirsi delle disuguaglianze, l’impoverimento sociale, la svalorizzazione del lavoro, il peggioramento della condizione dei servizi sanitari e più in generale dei servizi pubblici. Qui sta la della debolezza dell’Europa, perché la rende permeabile alle tensioni sciovinistiche e di destra e alle pulsioni antidemocratiche. È per questo che le destre stanno dilagando ovunque.

Mentre si aprono prospettive per una soluzione negoziata del conflitto, l’Ue, anziché cogliere questa occasione per favorire e costruire la pace in Europa, decide esattamente il contrario, decide per il riarmo dei Paesi europei, mettendo sul piatto una spesa di 800 miliardi con cui si potrebbero fare cose molto più utili, e per l’invio di altre armi e soldi a Zelensky per proseguire la guerra, di modo che altre centinaia di migliaia di morti, altre distruzioni e altro tracollo economico potrebbero aggiungersi al disastro già consumato, pagato dai lavoratori e dai ceti popolari. Infatti, mentre le regole europee impongono di fatto di ridurre le spese per sanità, pensioni, istruzione e servizi sociali, queste regole non valgono più se si tratta di incrementare le spese per il riarmo.

In Italia, il “piano segreto” della Meloni prevede la riconversione dell’automotive, a partire da Stellantis, in produzione bellica. Si può di nuovo rinunciare all’auto elettrica e alla tutela ambientale riconvertendola in guerra. Dunque, nuove risorse pubbliche andrebbero a una società, che non paga le tasse in Italia, per fabbricare armi e che non certo disinteressatamente convoca la piazza a sostegno dell’Europa.

Come ha dichiarato l’economista Alessandro Volpi, “la riconversione implica maggiori costi energetici, magari con nuovi rigassificatori, prevede la destinazione di un vasto numero di aree a esclusivo uso militare, comporta una profonda revisione delle filiere produttive, determina la definizione di figure professionali legate alla sfera militare e una nuova geografia dell’approvvigionamento di materie prime decisamente costose. In estrema sintesi, la riconversione avverrà, in larga misura a spese dello Stato, con le commesse pubbliche, come del resto è avvenuto in periodo crispino, giolittiano e fascista.

Quindi, il finanziamento del debito militare determinerà tagli al Welfare.

Le commesse pubbliche alle industrie delle armi farà lievitare il prezzo delle loro azioni. Tale lievitazione dei prezzi è funzionale alla ritirata degli Stati sociali e alle privatizzazioni: se si spende in armi, bisogna tagliare sanità e pensioni, ma a tali tagli si può supplire con polizze private che nuovamente impingueranno i maggiori fondi di investimento.

Il patto di stabilità che resta in piedi per la spesa sociale verrà derogato per riarmarci, e il debito contratto a questo fine non verrà conteggiato. ReArm Europe affida ai singoli Stati, a loro spese, la possibilità di riarmarsi, costruendo leggi di bilancio ad hoc e consente di riconvertire, senza troppi passaggi burocratici, i fondi del bilancio europeo destinati ad altri programmi in direzione delle armi.

Per un Paese come l’Italia la montagna di debiti che scaturirà toglierà ogni vero spazio fiscale per altre spese e potrebbe generare la loro insolvibilità. Tanto più che il debito contratto per il riarmo, agevolato dall’Ue, entrerà in competizione con i Bot ordinari facendone elevare gli interessi.

Infine, aumenteranno i costi delle materie prime e dell’energia accrescendo il processo inflattivo, mentre i salari rimangono privi di ogni tutela.

Neppure vale il discorso che ci contrapporremmo così alla strategia di Trump. In realtà, è proprio Trump che ha chiesto che l’Europa si riarmi per supplire al disimpegno degli Stati Uniti.

 

Che fare?

Di fronte agli evidenti nessi fra le scelte dell’Ue e la crescente povertà c’è l’esigenza e la possibilità di mobilitare i lavoratori per contrastare un attacco senza precedenti alle loro condizioni.

Bisogna, però, lavorare tenacemente per una loro presa di coscienza, ostacolata dai media mainstream e dal conformismo dei partiti “di sinistra”. Occorre far comprendere ai lavoratori che la piazza del 15 marzo era per la guerra e contro i loro interessi.

Il Movimento per la Rinascita Comunista, insieme a Prospettiva Unitaria, dopo una fase necessaria per organizzarsi e darsi una piattaforma, deve ora promuovere lotte e sostenere quelle già in campo, nel mentre deve continuare ad approfondire l’analisi al fine di lanciare parole d’ordine mobilitanti adeguate alla fase. Tenendo insieme tutto questo si può costruire il partito.

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