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sinistra

Capitalismo 2018. L’anno delle ricette impossibili e delle paure riemergenti

di Antonio Carlo

altan crisi economica1) Bilancio 2017 dagli squilli di tromba al terrore per il crollo prossimo venturo

A) I risultati del 2017. Ripresa solida o recessione in agguato?

Nel 2017 il PIL mondiale cresce del 3,7% con punte del 6,5% (Cina), del 2,4% in USA e nella UE, mentre il Giappone si ferma all’1,8%1 . I primi commenti sono assai positivi, la ripresa è solida, si dice, non più fragile e modesta come si sosteneva per gli anni precedenti, eppure dopo poco il prof. Feldstein, capofila degli economista conservatori americani, osserva che negli USA una nuova recessione è alle porte2 , gli fa eco il noto politologo Bremmer per cui il mondo trema ancora a 10 anni dal crac del 20083 e con lui esponenti del mondo degli affari USA4 . Forse la stroncatura più dura della ripresa posteriore alla crisi del 2008 la leggiamo in un giornale non certo sospettabile di anticapitalismo come “Il Corriere della sera”, con toni degni di un marxista radicale e con argomenti che chi scrive avanza dal 20055 , se non dagli anni ’80 del secolo passato6 . Scrive Salvatore Bragantini: “La causa profonda e negletta della lunga crisi è lo spostamento di ricchezza a danno dei ceti medi che l’ha preceduta. Raghiram Rajan, non un sovversivo né uno sprovveduto, scrisse in Fault Lines (2010) che i 2/3 di tutto il reddito addizionale, prodotto tra il 1977 ed il 2007 in USA è andato al famigerato 1%. Solo lì sono affluiti i guadagni di produttività che prima erano spartiti con i lavoratori dipendenti, via via politicamente indeboliti dalla metà degli anni ’80; essi hanno trovato nella droga del debito il sostegno di un tenore di vita inesorabilmente in calo. Parola di Ben Bernake, governatore della Banca Centrale USA al tempo del crac: “L’origine è indietro nel tempo, decenni di stagnazione dei salari, diseguaglianze …”.

Altro che crisi dovuta al debito pubblico. Esso è cresciuto ovunque per attenuare le conseguenze della crisi. L’impoverimento dei ceti medi deriva dall’affermazione negli ultimi 30/40 anni di un modello di Capitalismo lontano da quello che, negli anni detti in Francia Les trente gloriesus ha spinto lo sviluppo. Da Ronald Reagan a Margaret Thatcher in poi, esso è stato sconfitto dall’idea che solo scopo delle imprese sia creare (o estrarre?) valore per l’azionista, tutto quanto lo fa va bene, anche a scapito del futuro dell’impresa. E la diseguaglianza invece di diminuire avanza dovunque, con le note conseguenze politiche”7 .

Che dire? La corazzata Potemkin che fa irruzione nella redazione del “Corriere della sera”, difendere questo capitalismo di rapina è sempre più difficile anche sulle colonne di un giornale tradizionalista, moderato e conservatore.

Le cose rilevate da quel giornalista sono, lo ripeto, cose che scrivo da anni, anzi da decenni, e qui mi limiterò ad aggiungere che anche nel 2017 le tendenze in atto sono state confermate. Nella primavera del 2018 la rivista “Forbes” pubblica il bilancio dell’espansione della ricchezza dei Paperoni (i signori che hanno almeno un miliardo di dollari di patrimonio): sono cresciuti in numero del 25% (2017 su 2016) arrivando a 2208 persone ed il loro patrimonio è cresciuto del 18% arrivando in un anno alla cifra non disprezzabile di 9,1 trilioni di dollari. La signora Lagarde, leader del FMI rileva in margine alla conferenza annuale di Davos, che l’82% dello sviluppo realizzato col PIL mondiale nel 2017 è andato a vantaggio dell’1% della popolazione mondiale, ciò significa che 3,7 miliardi di persone non si sono accorte della crescita del PIL al 3,7%. Se questo è vero anche nei paesi ricchi la maggior parte della popolazione ha avuto un vantaggio trascurabile o irrisorio dalla crescita del PIL. Ancora: l’ONU rileva che gli affamati sono 822 milioni a livello mondiale (cifra record degli ultimi anni) ed il 22% dei bambini accusa ritardi di sviluppo da malnutrizione; in occasione della Giornata Mondiale della Sanità l’OMS rileva che nel 2030 la metà della popolazione mondiale sarà senza alcuna copertura sanitaria, mentre l’ONU rileva che nel 2050 la stessa metà della popolazione mondiale avrà seri problemi di approvvigionamento idrico: questo è un sistema che non solo non garantisce il cibo a miliardi di esseri umani ma neanche l’acqua, mentre dall’altro lato della scala sociale crescono patrimoni dalle dimensioni insultanti.

Qualcuno scrisse 150 anni or sono che questo sistema produce da un polo ricchezza e dall’altro povertà crescente, se c’è qualcuno che è vivo oggi è Karl Marx, l’economia accademica conservatrice per contro è in avanzato stadio di putrefazione.

B) Un debito che “non si è mai visto”.

L’espressione “Un debito che non si è mai visto” è della signora Lagarde (aprile 2018) e non le si può dar torto: i dati della FMI proprio in quel mese ci dicono che il debito mondiale (Stati, famiglie, imprese) è pari a 164.000 miliardi di dollari, il 225% del PIL mondiale, in crescita del 40% nel 2007, mentre il 43% dell’aumento è addebitabile alla sola Cina, seguita da USA e Giappone8 . Sono dati che ho già fornito l’anno scorso precisando però che c’è un debito sommerso (soprattutto pubblico), che fa crescerne il peso di un altro centinaio di punti, saremmo cioè al 320-330% del PIL mondiale9 . Ma non basta. Ad ottobre l’FMI emana un’altra valutazione: il debito globale del mondo è a 182.000 miliardi, con una crescita del 60% sul 2007. Da brividi.

Il peso enorme di questo debito si traduce in un costo spropositato del servizio del debito, spesso superiore alla crescita del PIL: se un’impresa dovesse pagare interessi sul debito pari al 3% del proprio fatturato e questo crescesse solo del 2%, l’impresa fallirebbe rapidamente. Ora Stati e governi sono in questa situazione: l’istituto Bruno Leoni ha valutato che nel 2016 nella UE il costo del debito, gli interessi pagati, è pari al 2,1% del PIL, in USA nel 2015 siamo al 3,4% del PIL ed in Giappone all’1,8%. Dati simili li ho forniti anch’io per il passato10 ; anche se consideriamo il paese tra i ricchi che gode della maggiore stima in senso finanziario, e cioè la Germania, scopriamo che nel 2016 ha dovuto pagare, in interessi sul debito federale, l’1,4% del proprio PIL, meglio certo degli altri paesi della UE, ma pur sempre una tassa pesantissima poiché se consideriamo del PIL procapite tedesco nel lungo periodo (2007-16) scopriamo che l’incremento è stato solo dello 0,7-0,8% l’anno11 , poco per sostenere un simile peso, eppure la Germania paga solo lo 0,35-0,4% di interessi sul proprio Bund decennale e la politica accomodante di Draghi gli ha fatto risparmiare, in spesa per gli interessi, il 7,5% del suo PIL negli ultimi anni. Ora se per crescere del 2% si devono pagare il 2,5-3% di interessi sul debito è evidente che l’economia in termini reali non cresce: se il 3% di oneri sul PIL si traduce in una crescita del 2% ed è chiaro che con questo trend il peso del debito crescerà nel tempo fino a diventare insostenibile: emblematico il caso del Giappone, citato spesso come prova che ci si potrebbe indebitare anche di più, ma il Giappone è una eccezione perché il 90% del debito è in mani nazionali, ciò che lo rende relativamente governabile (altrove la situazione è diversa)12 ; inoltre, l’ho rilevato varie volte in passato, il Giappone riesce solo a galleggiare sulla crisi mondiale oscillando tra recessione, bassa crescita e ristagno, se questo fosse il modello da perseguire saremmo veramente messi male.

La verità è che solo con un’elevata crescita del PIL il debito può rientrare, esemplare è la vicende degli USA: nel 1946, a causa delle spese belliche, il debito è al 121,2% del PIL per calare al 33,13% nel 1973, in cifra assoluta passiamo, negli anni considerati, da 269,4 miliardi di dollari del 1946 a 458,1 miliardi del 1973 mentre il PIL (a prezzi correnti), passa da 222 miliardi nel 1946 a 1382,7 miliardi nel 1973, questo in un momento in cui il governo americano spende molto, sia per il welfare state e la creazione di posti di lavoro, sia per la spesa militare, che si impenna in occasione delle guerre di Corea e del Vietnam. Evidentemente un PIL che vola permette di ridurre il debito drasticamente mentre la spesa sia civile che miliare cresce in misura notevolissima. Ora però nella situazione attuale si pone un problema drammatico per la crescita economica: per produrre devi vendere (ben lo aveva capito Keynes) e diventa sempre più difficile vendere masse enormi di beni a una popolazione mondiale sempre più povera. Si può quadrare il cerchio momentaneamente con il debito, sia pubblico che privato, ma questo determina la crescita di un peso sempre più insostenibile in termini di interessi da pagare.

C) Il vecchio ed eterno problema di disoccupazione e sottoccupazione.

Nel corso dell’anno passato ho evidenziato l’importanza di una ricerca della BCE sulla disoccupazione (nella UE) nella primavera del 2017 in cui si chiariva che il livello ufficiale della disoccupazione fissato al 9,5% era pressoché doppio in termini reali (18,5%)13 , questo perché esiste una vastissima area di sottoccupazione (lavori parziari e precari) che fa crescere la disoccupazione effettiva. Secondo parametri comunemente accettati se lavori un’ora nella settimana antecedente al rilievo statistico, sei occupato per cui nella stessa categoria vengono messi sia il “voucherista” che lavora una – due ore la settimana, l’operaio della grande industria, l’impiegato statale, etc.14 . Statistiche da struzzi (lo scrivo da anni) che non soddisfano neanche la BCE, il fatto è che la piaga di lavori parziari, sottopagati o precari è enorme: in Germania 1/4 circa dei lavoratori sono impiegati a tempo ridotto e guadagnano 450 euro al mese, e malgrado ciò sono considerati occupati a pieno titolo, in Francia i lavori precari sono la regola per i nuovi assunti così come in Spagna o in Italia dove l’ISTAT ha certificato che nel 2017 sono stati eliminati 14.000 posti di lavoro stabili mentre ne sono nati 499.000 in più ma precari15 . Se poi passiamo dall’altro capo dell’Oceano la situazione sembrerebbe essere migliore (per gli struzzi aggiungo io) poiché la disoccupazione ufficiale è scesa sotto il 4% (addirittura al 3,7%) negli ultimi mesi. Epperò, osserva il politologo Bremmer, ci sono almeno 3 persone per ogni disoccupato in età da lavoro che sono scoraggiate e il lavoro non lo cercano neanche16 , ora in termini aritmetici si tratta di qualcosa come 18 milioni di persone, che non vengono definiti disoccupati perché si sono ritirati dal mercato del lavoro e quindi non fanno più parte della forza lavoro esistente. Assurdo poiché la situazione dello scoraggiato che non cerca più lavoro è peggiore di quella del disoccupato, che almeno ha una speranza minima di trovarlo. Si tratta di artifici linguistici per non usare la parola disoccupato.

Ma sono solo 18 milioni i cosiddetti “uomini persi”? Direi che il calcolo va corretto in peggio con un raffronto con l’Europa: nel gennaio 2018 il tasso di partecipazione della forza lavoro USA al mercato del lavoro era al 62,7% delle persone in età da lavoro, cifra che comprendeva gli occupati e i disoccupati che cercavano lavoro; nello stesso periodo in Europa il tasso di partecipazione al mercato del lavoro era del 72,3%, questo significa che con i parametri europei si sarebbero dovuti presentare sul mercato del lavoro USA altri 23-24 milioni di persone a fronte delle quali non c’era nessun posto di lavoro; si noti poi che la media europea comprende paesi con tassi di partecipazione nettamente inferiori (Italia, Spagna, Cipro etc.), considerando invece un paese come la Germania, il più vicino alla forza economica degli USA, abbiamo un tasso di partecipazione vicino all’80% (anche se con moltissimo lavoro parziario come, del resto, avviene anche in America) per cui, prendendo in considerazione la Germania come termine di paragone, avremmo che si presenterebbero sul mercato del lavoro americano oltre 40 milioni di persone in età da lavoro senza la possibilità di trovare lavoro, e questo avverrebbe in un paese come gli USA che da soli hanno tra 1/4 e 1/5 del PIL mondiale con meno del 5% della popolazione mondiale, questi dati da soli esprimono la drammaticità della situazione occupazionale e la difficoltà estrema per la soluzione del problema in questione.

Quanto al Giappone il suo basso tasso di disoccupazione è dovuto all’assenza dal mercato del lavoro di circa 20 milioni di donne (l’ho rilevato più volte negli ultimi anni). In rapporto poi ai paesi emergenti il problema per loro non è tanto la disoccupazione formale e ufficiale ma la sottoccupazione che significa salari da fame, orari massacranti, mancanza dei diritti dei lavoratori etc17 . Qualche anno fa ILO e l’ONU segnalavano il fenomeno del lavoro minorile illegale che prosperava in quei paesi, in condizioni di quasi schiavitù e che concerneva 168 milioni di bambini18 .

L’OCSE rilevava in un suo studio nella primavera 2018 che occorrerebbero, nei prossimi anni, 600 milioni di posti di lavoro (88% nei paesi emergenti) per risolvere il problema della disoccupazione e sottoccupazione giovanile, e data questa situazione non si vede proprio da dove possono venir fuori questi milioni di nuovi posti di lavoro.

È evidente inoltre che, in un mercato in cui la forza lavoro è sovrabbondante rispetto alla capacità di assorbimento del Capitalismo, che tende a produrre di più con meno addetti, con la popolazione in crescita dell’1,1% all’anno, i salari non potranno che essere tendenti al ribasso per la crescente forbice tra domanda e offerta di lavoro. Ma salari bassi, però, significano una domanda di beni prodotti dall’industria stagnante o inadeguata e quindi un vincolo negativo per ogni possibilità di sviluppo.

In passato, almeno nei paesi industriali avanzati lo Stato svolgeva una funzione di riassorbimento della forza lavoro che l’industria non richiedeva: nel periodo 1950-1966 il 25% dei posti di lavoro creati in USA erano di origine statale19 ; non solo ma durante le fasi di crisi in tutti i paesi avanzati lo Stato interveniva utilizzando le assunzioni nella PA come spugna per riassorbire la disoccupazione secondo una logica, che apparentemente era una logica fuori del mercato capitalistico, ma che in realtà serviva proprio a bilanciare, con l’intervento statale, i vuoti creati dall’eliminazione della forza lavoro esuberante, e in tal modo si ristabiliva l’equilibrio sociale e si sosteneva l’economia e la domanda interna20 .

Oggi questo è impossibile per la crisi dei bilanci statali oberati dai debiti21 per cui si sostiene che sono le imprese a dover creare lavoro e siccome le riprese tendono a produrre di più con meno addetti o a utilizzare lavoro precario sottopagato, il risultato è sotto gli occhi di tutti, l’asserzione che non è lo Stato che deve produrre lavoro ma le imprese è la copertura di una situazione di impotenza e di incapacità ad affrontare il problema occupazionale.

D) Dalla decrescita felice (irreale) alla decrescita infelice (reale).

Negli ultimi anni i teorici della decrescita felice sono stati bersagliati da strali feroci e da battute all’acido solforico. Gli economisti ufficiali hanno trovato un bersaglio facile contro cui io stesso non sono stato per nulla indulgente, anche se ho rilevato come la tesi della decrescita felice sia stata presentata in modo caricaturale22 , cosa inutile poiché questa tesi può essere respinta benissimo senza caricature.

Il problema però è un altro, a ben vedere si respinge una teoria infondata sulla decrescita felice e non ci si rende conto che viviamo in un mondo, difeso dagli economisti ufficiali (liberisti, monetaristi, marginalisti etc.) in cui la decrescita c’è ed è reale, perché se per crescere del 2% devo pagare il 3% di interessi sul debito, non sto crescendo mi sto solo scavando la fossa. Inoltre il peso di questa decrescita reale ricade sulle masse della popolazione mondiale emarginate ed affamate (anche assetate come dice l’ONU). Decrescita reale ed infelice di cui gli economisti ufficiali non si rendono conto sommergendo di lazzi e sghignazzi i poveri sostenitori della decrescita felice: il bue che chiama cornuto l’asino.

 

2) Gli USA. Il secondo anno di Trump: crescita apparente, debito insostenibile

Il 25/9/18 Trump parla alle Nazioni Unite ed in presenza di Capi di Stato e di governo di tutto il mondo vanta i successi del suo governo, il migliore (o quasi) nella storia degli USA, e subito esplode un coro di risate. Trump è interdetto, e, superato lo sgomento iniziale, farfuglia: “Non mi aspettavo questo …comunque va bene così”.

In maniera assai poco diplomatica i governanti del mondo hanno espresso la propria disistima a “The Donald”, il più imbarazzante presidente della storia USA. Tuttavia a noi incombe l’obbligo di verificare la vanteria del Nostro alla luce della dinamica reale dell’economia USA.

Tabella n. 123

Andamento dell’economia USA dal 2007

Anni

Crescita PIL

2007

1,9%

2008

  • 0,3%

2009

  • -3,1%

2010

2,04%

2011

1,8%

2012

2,2%

2013

1,7%

2014

2,4%

2015

2,6%

2016

1,6%

2017

2,4%

2018 (I trim.)

2,4%

2018 (II trim.)

4,2%

2018 (III trim.)

3,5%

2018 (stime Fed)

2,7-3,1%

2019 (prev. Fed)

2,4%

2020 (prev. Fed)

2%

Come si vede non c’è quella esaltante rottura nel confronti del periodo di Obama, ci sono impennate nel II e III trimestre 2018 non nuove perché anche sotto Obama si sono avuti trimestri da record: II trimestre 2014 4,6%, III trim. 2014 4,3%, II trim. 2015 3,9%24 , il guaio è che l’economia USA non tiene il passo di elevati ritmi con un andamento diseguale, a saliscendi, anche “The Donald” non ha cambiato molto, le previsioni Fed che per il 2019 e 2020 scontano un drastico rallentamento, a parte le previsioni più nere di una recessione imminente ed inevitabile.

Inoltre le riforme di Trump a partire da quella fiscale richiedono una crescita del deficit e del debito e quindi degli oneri derivanti dal debito stesso che si mangiano in pratica tutto lo sviluppo, come avveniva nel tempo di Obama, con la differenza che adesso il debito pesa di più e peserà ancora di più negli anni a venire perché siamo in una montagna che supera i 20.000 miliardi e l’entità stessa del PIL, e perché i tassi di interesse si stanno impennando. Nel 2016 gli USA già pagavano sui bond decennali un po’ più del tasso italiano , ma eravamo a rendimenti dell’1,5-1,8% circa per gli USA contro gli 1,3-1,4% dei nostri BTP25 .

Ad aprile di quest’anno i nostri decennali rendono attorno all’1,5% e in USA siamo al 3%26 ; poi ad ottobre di quest’anno i nostri decennali arrivano al 3,5% ma quelli USA sono al 3,25% ed il biennale addirittura al 2,9%27 .

Tassi e debiti in crescita rispetto agli anni di Obama quando nel 2015 il PIL cresceva del 2,6% e i tassi di interesse mangiavano il 3,4% del PIL, come si è visto. Una situazione sempre più ingovernabile e il prof. Feldstein rileva che nei prossimi anni il debito federale USA arriverà a 28 trilioni di dollari con tassi in ascesa, per cui potrebbe diventare problematico pagare le pensioni USA. Nello stesso articolo Feldstein osserva che dal 2019 il governo USA dovrà chiedere un trilione di dollari l’anno ai mercati (in cui gli investitori esteri detengono il 50% del debito USA) e anche calcolando una crescita del PIL del 3-4% anno vi sarebbe un aumento di 600-800 miliardi di PIL inferiore alla crescita del debito, ma un tale incremento lo prevede solo Trump nei suoi comizi, ben altre sono le previsioni della Fed o quelle ancora più negative di Feldstein sulla recessione prossima ventura. Inoltre se nel 2015 i tassi di interesse mangiarono il 3,4% del PIL (con il costo del danaro quasi a zero) è facile ipotizzare quello che avverrebbe con il costo del danaro che si impenna. Far debiti in economia ha un significato positivo (sia per le imprese che per gli Stati) se permette la riproduzione allargata delle risorse ottenute, utilizzando il debito. Se questo non avviene, anzi la ricchezza prodotta non basta neanche a pagare gli interessi sul debito, si va verso il disastro economico. Inoltre il CBO (Congress Budget Office) prevede che di qui al 2039 il deficit annuo arriverà al 6,5% del PIL28 ; certo il 2039 è lontano ma già adesso la situazione del debito pubblico americano è ingovernabile ed è tale da preoccupare lo stesso governatore della Fed29 ; se già adesso la situazione è pesantissima è evidente che aggravandosi anno dopo anno, come prevede il CBO, il tasso di ingovernabilità diventerà ancora più insostenibile.

Anche il giornale della Confindustria ammette che la crescita USA dura da 10 anni ma è anemica30 , mentre Powell rileva la scarsa dinamica di salari e produttività in America31 .

Può sembrare strano che un paese all’avanguardia della tecnologia come gli USA abbia una produttività media bassa ma la cosa non è inspiegabile: la Silicon Valley non è la media ma la punta dell’economia USA che comprende settori, soprattutto nei servizi, a bassa produttività come quello della sanità che assorbe il 17-18% del PIL e tiene in piedi il mercato del lavoro, ma ci sono 16 dipendenti per ogni medico32 . Né questo un fenomeno nuovo ma evidente sin dagli anni ’80 quando vi erano i settori a bassa produttività a tenere in piedi il mercato del lavoro, in cui l’high tech di posti di lavoro ne creava pochissimi33 .

E qui viene in luce un’altra contraddizione insoluta dell’economia USA: se razionalizzi i settori a bassa produttività (che ovviamente erogano bassi salari) esploderebbe la disoccupazione (anche se statistiche da struzzi la nascondono) e con livelli di occupazione ancor più bassi finirebbero ulteriormente penalizzati i salari che in USA sono assai poco dinamici34 , proprio perché la disoccupazione reale non è quella delle statistiche. I problemi sul tappeto ereditati dall’epoca di Obama sono tutti insoluti ed insolubili e le riforme di Trump non li scalfiscono sostanzialmente. Della riforma fiscale ho parlato l’anno scorso evidenziando come essa appesantirà debito e deficit (ormai lo ammettono tutti)35 .

Quanto poi alla politica di Trump per il rientro dei capitali americani dall’estero è stato un autentico flop: un primo bilancio fatto quest’anno ha evidenziato che i capitali in arrivo (se e quando arriveranno) produrranno 63.000 posti di lavoro36 , pochissimi per le esigenze dell’economia americana e pagati con riduzioni ed esenzioni fiscali che peseranno sul deficit e sul debito che abbiamo definito come ingovernabile. Ancora: la politica doganale di Trump appare quanto mai oscillante e contraddittoria: esemplare è il preaccordo raggiunto di recente con il Messico per la revisione del vecchio trattato di libero scambio concernente Messico, USA e Canada: si è stabilito che le imprese USA operanti in Messico dovranno utilizzare per il 75% componenti provenienti dagli USA (in precedenza il livello fissato era al 62,5%) in mancanza di ciò si pagherà un dazio del 2,5% all’entrata delle merci in USA37 , al posto dei dazi minacciati durante la campagna elettorale (35-40%) siamo passati ad un’amichevole scappellotto.

Contro la Harley Davidson ed altre imprese che producono all’estero ed esportano in USA Trump fa la voce grossa e le invita a ritornare in patria , senza ottenere nessun risultato e con lo scandalo del “Wall Street Journal”. Il fatto è che le imprese USA che operano all’estero lo fanno per superare le barriere doganali degli altri paesi e per risparmiare sui rilevanti costi di trasporto. Se le IM americane abbandonassero Europa, Asia e Sud America perderebbero posizioni di enorme vantaggio sui mercati di quei paesi, che poi dovrebbero riconquistare correndo in salita e superando l’ostacolo delle barriere doganali e dei costi di trasporto, ove mai ritornassero in patria. Una simile soluzione imprenditoriale sarebbe del tutto irrazionale per non dire semplicemente idiota. Se la Wall Mart, la Starbuck, i fast food etc. rientrassero in USA perderebbero mercati importantissimi per rientrare in un paese dove supermercati, fast food e caffetterie non mancano e in cui i consumi delle famiglie come percentuale del PIL mondiale sono in calo dall’inizio del secolo38 .

Intendiamoci non c’è nulla di scandaloso nell’imporre tariffe doganali su questa o quella merce, ciò avviene normalmente39 , protezionismo e libero scambio hanno sempre coesistito sul mercato mondiale, il libero scambio non è mai stato assoluto ed il protezionismo più che impedire gli scambi tra paesi mirava solo a frenarli ed a controllarli40 , economie chiuse in senso stretto ce ne sono state pochissime, in genere in occasione di guerre41 . L’assurdo della polemica di Trump è quello di proporvi il rientro generalizzato delle IM USA nel paese di origine, cosa che risponde alla pancia dell’elettorato di Trump (bianchi impoveriti in particolare) ma non alle esigenze del capitalismo multinazionale. Di qui le esitazioni e le oscillazioni di Trump che opera per proclami minacciosi e rapide ritirate.

La verità per gli USA, come per il resto del mondo capitalistico, è che non esistono soluzioni nazionali a problemi mondiali, a giugno di quest’anno nel convegno delle principali istituzioni economico mondiali (WTO, FMI, ILO, Banca mondiale) si stila un documento finale che richiede appunto soluzioni mondiali per problemi mondiali42 . Ciò però richiederebbe un potere mondiale che faccia una politica mondiale per il lavoro, per il fisco, nel campo bancario e monetario etc. un potere che sia vincolante per tutti, un potere che non esiste e che l’azione delle IM, che mettono in concorrenza tra loro gli Stati acuendone i particolarismi, impedisce di sorgere e di affermarsi; esemplare è la vicenda della allocazione degli investimenti delle stesse IM in cambio di politiche fiscali di favore, il che porta gli Stati a scannarsi vicendevolmente.

La realtà è questa e la politica di Trump è solo un problema che si aggiunge agli altri senza fornire alcuna soluzione.

 

3) La UE. Il problema di sempre non si può andare avanti, non si può tornare indietro, non si può restare fermi

Nel corso del 2017 l’Eurozona cresce al ritmo del 2,4% (sia pure con forti differenze interne), la crescita è robusta dice Draghi43 , ma questa crescita basta appena a pagare gli interessi sul debito pubblico e nasconde una disoccupazione reale che per la stessa BCE è al 18,5% contro il 9,5% ufficiale nel 2017, come si è visto; tuttavia due mesi dopo Draghi dovrà rivedere i precedenti toni trionfalistici44 : i problemi ci sono la disoccupazione cala all’8,5% ma è il dato ufficiale, il che significa che a livello reale siamo attorno al 17% ed entrambe queste cifre sono tali da destare preoccupazione; la Commissione europea nell’estate 2018 fornisce le previsioni di sviluppo per l’Eurozona che crescerà del 2,1% nel 2018 e del 2% nel 2019 (Francia 1,7% e 1,7%; Germania 1,9 % e 1,9%, Italia 1,3% e 1,1%), inutile dire che per l’Italia la realizzazione di questo obiettivo modestissimo appare problematica. Inoltre la UE è totalmente priva di una politica comune (a parte i vincoli posti ai bilanci in tema di austerità, vincoli più volte violati e derogati)45 , ma il caso più clamoroso è quello dell’immigrazione in cui l’Italia è stata lasciata sola a sbrogliare la matassa46 , non diversamente in tema di politica del lavoro dove ogni Stato si muove (poco e male) senza alcuna visione che non sia quella nazionale o delle prossime elezioni locali. Non meno clamorosa è l’assenza di una politica comune nel campo fiscale dove la lotta all’evasione ed elusione fiscale dovrebbe essere la stella polare per governi con bilanci in rosso ed un conto di interessi annui da pagare da brividi. Esemplare è la vicenda della Apple, che dovrebbe pagare per tasse evase ed interessi maturati ben 14,3 miliardi di euro al governo irlandese, somma che ha dovuto versare in un conto vincolato in attesa della conclusione della vertenza in atto con la UE. Se a tutte le multinazionali operanti in Europa e con sedi in paradisi fiscali (Lussemburgo, Isole Inglesi e francesi della Manica, Gibilterra, Irlanda etc.) si applicassero i criteri che hanno portato alla condanna della Apple i problemi di bilancio degli Stati europei sarebbero risolti; il fatto è che la vicenda Apple è un’eccezione in controtendenza dovuta alla caparbietà della signora Verstager (Commissaria europea alla concorrenza) e non corrispondente affatto alla genuflessione dei governi UE verso i signori delle IM. La stessa Commissaria danese non contesta il diritto dell’Irlanda a mettere tasse quanto mai basse sui profitti delle IM, che ora sono tassati al 12,5%, ma che potrebbero ridursi legalmente anche al 10 o al 5%, in questa materia il governo e il parlamento irlandesi sono sovrani, come tutti gli altri governi, e la UE non può nulla.

Il debito della Apple nasce dal fatto, come rilevavo due anni or sono, che questa IM con astuti giochi di bilancio ha finito col pagare solo lo 0,005%47 , ciò era una violazione della parità di trattamento delle imprese operanti in Irlanda: si poteva anche stabilire una tassa sui profitti dello 0,005% ma doveva essere una regola eguale per tutti.

Ancora. La pretese della UE è minata alla base dall’atteggiamento del governo irlandese che, caso unico al mondo, è un creditore (per 14,3 miliardi di euro!) schierato fino in fondo dalla parte del debitore: se anche la vertenza si chiudesse con la vittoria della UE nessuno potrebbe impedire al governo irlandese di stabilire un tipo di rimborso simile a quello previsto in Italia per il noto debito della Lega di Salvini e cioè una rateizzazione pressoché secolare con tassi di interesse bassissimi.

Ma contro l’iniziativa isolata della caparbia signora danese militano i 545 accordi segreti stipulati con le IM negli anni passati e concernenti regimi fiscali di favore tenuti segreti per prevenire rivolte popolari48 . Emblematica è la vicenda del Lussemburgo notissimo paradiso fiscale ma non certo l’unico operante della UE, come si è rilevato: in un lontano convegno tenutosi alla fine degli anni ’70 del secolo scorso un esponente del vecchio PRI dichiarò apertamente, nell’indifferenza generale, che il Lussemburgo era tollerato nella CEE (allora la UE si chiamava così) perché in caso contrario le IM che avevano sede in quel paese, avrebbero abbandonato l’Europa con conseguenze pesantissime49 ; sono passati 40 anni e la situazione permane immutata, tutti sanno cos’è il Lussemburgo ma nessuno osa toccarlo e nel frattempo il piccolo Granducato si è affollato anche di IM cinesi50 .

Non meno emblematica è la vicenda della recente legge italiana sulla residenza dei Paperoni (legge copiata da altre di diversi paesi): il riccone che mette la residenza da noi pagherà, per i redditi prodotti all’estero, solo € 100.000: un esempio, secondo fonti giornalistiche, sarebbe Cristiano Ronaldo, neoacquisto della Juventus, costui guadagnerebbe, con le sponsorizzazioni, oltre 50 milioni di dollari all’estero (cifra verosimile per la fama del personaggio) e pagherebbe per questi redditi solo € 100.000 (tra lo 0,2% e lo 0,3% del reddito). Sono ben 227 i Paperoni in fila per ottenere la residenza da noi51 , il che permetterà al nostro fisco di guadagnare meno di 23 milioni, legalizzando una evasione enorme come dimostra l’esempio fatto. Gli Stati sono nella situazione umiliante di un povero mendicante che per pochi spiccioli perde faccia e dignità. Si noti, poi, che non sono solo i Paperoni ad essere contesi ma anche i pensionati con poche migliaia di euro mensili che, se si sposteranno in Portogallo, Bulgaria, Canarie etc., avranno regimi fiscali di assoluto vantaggio52 . Gli Stati europei si comportano come i disoccupati della Grande Depressione che, secondo le cronache del tempo, si contendevano gli avanzi di cibo davanti ai contenitori dell’immondizia, parlare di una politica monetaria e fiscale unica per l’Europa in questo contesto è solo una battuta da umorismo nero.

Gli europeisti tuttavia non demordono ed anche di recente si ripropone il mantra di più Europa per uscire dalla crisi, ci vorrebbe insomma un vero governo e una vera Federazione europea, cui i singoli Stati nazionali dovrebbero cedere buona parte dei propri poteri53 .

Il guaio è che questi poteri in larga misura non ci sono più nel senso che il potere di imporre tasse è vanificato dall’arroganza delle IM e dal loro ricatto (“Con queste tasse delocalizzo”), per cui il peso fiscale ricade sui lavoratori-consumatori europei soffocando i loro redditi e i loro consumi. Inoltre una simile cessione di potere da parte degli Stati nazionali avrebbe un senso (lo rilevo da anni) se a fronte del loro sacrificio vi fosse una potenziale politica, praticabile in sede UE, per uscire dalla crisi. Tale politica però non si vede da nessuna parte, per un motivo molto semplice, non esiste, e anche per tentarla solamente ci vorrebbe una soluzione mondiale ai problemi, che esigerebbe un potere non europeo ma mondiale, cosa che non esiste da nessuna parte.

A questo punto per la UE c’è una situazione in cui non si vede alcuna via d’uscita: non si può andare avanti, non si può rimanere fermi, ma non si può neppure tornare indietro. Quando i difensori dell’Europa sostengono che uscire dall’Euro o dalla UE avrebbe dei costi enormi (per noi si porrebbe il problema della svalutazione della lira e del rimborso in euro dei nostri debiti) hanno perfettamente ragione, ma i costi sono enormi anche se si rimane dentro l’Europa e comunque il problema è mal posto perché quello che sta avvenendo è lo sgretolamento di una costruzione che non regge più: una moneta senza Stato è un aborto e la politica comune della UE non esiste e non può esistere in questa situazione di crisi senza uscita del capitalismo mondiale. In altre parole è la UE che sta uscendo dalla scena della storia e non sono i vari Salvini che vogliono minare la costruzione europea, se non ci fosse una crisi irreversibile della costruzione europea Salvini non conterebbe alcunché.

 

4. Le solite vecchie ricette anticrisi. Riforme fiscali opposte ed impraticabili, diseguaglianza ingovernabili, Stati senza munizioni

I) Il prof. Feldstein e le vecchie ricette economiche.

In relazione alla recessione prossima ventura, che il prof. Feldstein ritiene inevitabile e vicina, si osserva (da parte dello stesso Feldstein) che non potrà essere affrontata con il taglio del tasso d’interesse che al momento della crisi precedente (2008) era al 5% mentre adesso è allo 0,16% e non si può tagliare perché è quasi a 054 . Per gli USA questo non è più tanto vero dopo i recenti rialzi decisi dalla Fed, ma anche se nel 2019 si arrivasse al 3% saremmo lontani dal 5% del 2008, per cui il taglio sarebbe molto più modesto e quindi meno efficace; diverso il discorso per UE e Giappone che sono ancora vicini al tasso 0 e che quindi non potrebbero tagliare alcunché. Nel complesso, quindi, una manovra dalla portata limitata ed inferiore nettamente all’impatto che ebbe nel 2008. C’è però un altro argomento che milita contro l’azione sui tassi d’interesse e cioè il calo dei tassi mira a sostenere i consumi spingendo le famiglie ad acquistare in debito e a favorire la spesa statale: se infatti i tassi sul debito pubblico sono bassi gli Stati potrebbero indebitarsi più agevolmente sostenendo l’economia con spese o con sgravi fiscali come è avvenuto in passato; tuttavia il debito, sia pubblico che privato, è cresciuto a dismisura, sicché l’onere degli interessi è da record e mangia lo sviluppo del PIL (per quel che riguarda il debito pubblico) mentre per le famiglie, i cui redditi non crescono adeguatamente, per la pesantezza del mercato del lavoro, l’onere del debito sui consumi è sempre meno sostenibile, un segno chiarissimo in tal senso è dato dal calo di lungo periodo come percentuale del PIL dei consumi privati nei paesi ricchi, cui ho accennato varie volte; ciò avviene anche nei paesi emergenti dove c’è una minoranza del 10% che sovraconsuma e il rimanente 90% che ristagna o fa la fame55 .

Data l’impraticabilità di questo strumento il prof. Feldstein propone le vecchie ricette della spesa militare e dei lavori pubblici. Ora la spesa militare fu un tonico per l’economia tedesca degli anni ’30 e per quella USA dagli anni ’40 in poi56 , ma è chiaro che adesso (anzi dalla fine degli anni ’60) ha perso ogni carattere promozionale poiché assorbe enormi capitali e produce pochissima occupazione. Il computer, base della rivoluzione informatica, nasce durante la seconda guerra mondiale ed ha prodotto una costante contrazione dell’occupazione industriale, compensata dalla crescita del terziario pubblico e privato, ma questi contrappesi (lo rilevo dagli anni ’80 del secolo scorso) sono usurati: il terziario pubblico non tira più a causa della crisi fiscale dello Stato dovuta ad un’evasione fiscale resa sicura dalla multinazionalizzazione dell’economia57 , mentre il terziario privato comincia a razionalizzarsi a liberare forza lavoro e dove questo non avviene ancora (sanità USA per esempio) la produttività ed i salari restano bassi.

Non rimangono che i lavori pubblici da finanziare con i bilanci statali oberati di debiti e con l’ulteriore aggravante che le grandi opere richiedono grandi capitali e tecnologie avanzate, che anch’esse producono pochissima occupazione. Il caso cinese è emblematico: si reagisce alla crisi con enormi investimenti nelle opere pubbliche (la nuova via della seta) che fanno impennare il debito mentre la crescita del PIL crolla al 6,5%, quasi la metà degli anni del miracolo. Qualche candido struzzo dirà che è molto meglio dei paesi ricchi ed avrebbe torto perché i ritmi di sviluppo non possono essere gli stessi per paesi in cui il PIL procapite rasenta i 60.000 dollari (USA, anche noi con i nostri 35.000 dollari non facciamo una cattiva figura) mentre in Cina non si arriva ancora ai 10.000 dollari l’anno procapite; l’anno scorso ho osservato che a causa di questo rallentamento cinese non ci vorranno più 80-90 anni perché la Cina raggiunga gli USA nel PIL procapite, ma occorreranno 140 anni circa58 . Inoltre ci sono i problemi enormi relativi al riassorbimento della forza lavoro contadina che rappresenta quasi il 40% del totale e che dovrebbe essere riciclata negli altri settori produttivi59 ; questa massa enorme di lavoratori con redditi irrisori sono una palla al piede enorme per lo sviluppo e questo non vale solo per la Cina ma anche per gli altri paesi emergenti. In sostanza la Cina si è indebitata enormemente ed ha visto drasticamente ridotto il suo tasso di sviluppo, senza che il problema fondamentale dell’enorme sottoccupazione (non solo agricola) e del basso livello medio dei consumi, ulteriore freno allo sviluppo, sia stato minimamente risolto. In sintesi problemi irrisolti, debito enorme, ritmo di sviluppo dimezzato.

II) Le riforme fiscali ovvero la redistribuzione alla rovescia.

Un caso esemplare di redistribuzione alla rovescia è dato dalla flat tax (di cui si discute anche da noi, anche se siamo in attesa che le promesse elettorali siano realizzate), che implica un pagamento proporzionale (percentuale) uguale per tutti e che nell’ipotesi italiana sarebbe del 15% - 20% a regime; ciò significa che chi guadagna 300.000 euro l’anno passerebbe sullo scaglione superiore a 75.000 euro (dove la tassa attuale è del 43%) da una imposta di 95.000 euro circa ad una di 34.000. Per contro chi guadagna 30.000 euro risparmierebbe solo qualche migliaio di euro; una soluzione iniqua e sperequata in difesa della quale, però, i difensori di questo sistema (o di altre forme analoghe ancorché non così estreme) avanzano vari argomenti per sostenerne la validità, che qui confuteremo radicalmente.

  1. I ricchi sostengono l’economia.

L’Onorevole Salvini a Radio “Anch’io” del 6/6/18, parlando della flat tax proposta osservò: “Se uno fattura di più è chiaro che risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più e crea lavoro in più”.

Le teorie del prof. Gilder sul valore morale della ricchezza spiegate ai ragazzi dell’oratorio. Con buona pace di Salvini e dei suoi simili chi investe può benissimo distruggere posti di lavoro, delocalizzare e mandare i capitali all’estero, oppure investire in operazioni finanziarie esclusivamente speculative, cosa che oggi è normale e diffusa60 . A tal proposito è da rilevare che ciò che conta non è solo la quantità ma la qualità degli investimenti. Prima della crisi nel 2007 gli investimenti erano il 22% del PIL mondiale (Germania 18,3% del PIL nazionale, Cina 42,3%, USA 15,4% esclusi gli investimenti statali); nel 2014 nel pieno della “ripresa” gli investimenti mondiali sono sempre il 22% del PIL (Germania 19% del PIL nazionale, Cina 46%, USA 20%)61 , ciò significa che si investe molto ma il problema della disoccupazione e della sottoccupazione non si risolve perché questi investimenti qualitativamente tendono a creare poca occupazione, rispetto alla popolazione esistente e per giunta assai spesso precaria e sottopagata. Quanto poi ai consumi, che le riduzioni fiscali favorirebbero, è appena il caso di notare che sostenere i consumi di lusso delle classi più abbienti non risolve il problema della scarsa dinamica dei consumi stessi. Infatti i consumi di lusso, secondo una recente indagine erano pari nel 2017 a circa 280 miliardi di euro a livello mondiale mentre con una crescita di 4,5% l’anno diventerebbero 390 miliardi nel 202562 . Si tratta di cifre trascurabili a livello mondiale: l’economia si regge sui consumi di massa, automobili, elettrodomestici, telefonini e derivati, computer o case di abitazione. Se la classe operaia e le classi medie si impoveriscono i loro consumi sono poco dinamici e può accadere come in Cina quando l’anno scorso ci si è trovati con 6 miliardi di mq e 50 milioni di unità abitative invendute63 .

In occasione della morte di Marchionne, cui è seguita una santificazione a mezzo stampa, il dott. Gramellini, giornalista del “Corriere della sera”, riferì questa frase del numero uno della Fiat: “Un emiro che ti compra una Ferrari prima o poi lo trovi sempre, il guaio è se la classe media non compra più la Panda”. Una volta tanto sono d’accordo col dott. Marchionne, di cui non sento la mancanza, ma il fatto è che una classe media che compra la Panda, macchina del segmento più basso del mercato, un tempo definito delle utilitarie, è già una classe sociale impoverita. Questo è il problema drammatico che si trova a fronteggiare il sistema: salari bassi, occupazione reale che si contrae, lavori sempre più precari e sottopagati, etc. Questo problema non si risolve riducendo le tasse sui redditi alti ed aumentando di contro il deficit ed il debito complessivo, che finirebbe col ricadere su coloro i quali dalle tasse non sono esentati e cioè i soliti noti (operai, ceti medi impiegatizi, pensionati non d’oro): è evidente che se esenti le IM dal pagamento delle tasse e le riduci sugli alti redditi e sui Paperoni qualcuno le tasse dovrà pagarle, e cioè i soliti noti, su cui ricadrà il peso degli oneri di un debito pubblico crescente.

Il risultato sarà il ristagno o la scarsa dinamica dei consumi che ricadrà sull’economia come aveva capito Keynes che d’avanti all’ottusità degli economisti accademici e dei politici attuali sembra un argentinosauro alto 60 metri.

  1. Il peso eccessivo della pressione fiscale distrugge l’economia.

È questo un argomento che dimostra solo l’ignoranza della storia economia del capitalismo: gli anni d’oro dell’economia sono stati quelli dalla fine della guerra alla crisi del 1973, un trentennio circa in cui in USA, paese guida del capitalismo, l’imposta sui redditi individuali era pari nell’aliquota massima al 91% (nel 1957 anno di una recessione molto impegnativa) e per quel che concerne la tassa sui profitti societari essa era pari al 5,8% del PIL nel 1955, molto più dell’1,9% del 193764 . Esistevano certo evasione ed elusione fiscale anche in quegli anni, ma comunque il 5,8% del PIL derivante dalla tassa dei profitti societari era molto più del passato e del momento in cui Trump compie la sua riforma fiscale che doveva abbassare la pressione sui profitti societari dall’1,6% del PIL all’1% circa65 . Malgrado l’evasione fiscale (una costante nella storia del capitalismo) il peso delle tasse era nettamente superiore a quello attuale (almeno sui redditi delle classi elevate) e l’economia volava come testimonia la decrescita del rapporto debito-PIL in USA prima evidenziata.

Ciò perché il peso fiscale si traduceva in sostegno alle imprese (commesse statali) ed in sostegno ai consumi (welfare, creazioni dei posti di lavori nel settore pubblico), e questo implicava una domanda sostenuta di beni prodotti dall’industria. Poi il quadro cambia. Dal 1981 al 2005 l’aliquota massima nei paesi OCSE passa (in media) dal 62% al 35%66 , parallelamente si alleggeriva il peso fiscale sui profitti societari. A quel punto l’economia rallenta e il debito pubblico (il cui onere ricade sempre più sui lavoratori e consumatori) esplode67 .

Si potrebbe dire che si stava meglio quando si stava peggio.

  1. Se la pressione fiscale fosse “giusta” l’evasione fiscale verrebbe meno.

L’evasione fiscale sarebbe qualcosa di mezzo tra la disobbedienza civile e la legittima difesa, secondo i sostenitori di questa tesi: i paradisi fiscali esistono perché ci sono i deserti fiscali.

Ora è indubbio che il fisco possa essere soffocante e lo è senza dubbio per lavoratori e pensionati, in qualche caso può esserlo anche per i piccoli imprenditori, ma per le IM e i grandi redditieri il discorso cambia: negli ultimi 40/50 anni al fallimento delle riforme redistributive di Roosevelt e delle socialdemocrazie (che riuscirono sono a frenare e non ad invertire le tendenze disegualitarie del sistema) si è sostituita una politica di redistribuzione alla rovescia: dalle classi basse a quelle alte. Robin Hood è morto e al suo posto è venuto Super Ciuk, uno dei personaggi più riusciti del fumetto di Alan Ford, un supereroe che rubava ai poveri per donare ai ricchi: le politiche di austerità sono il trionfo di tanti Super Ciuk governativi.

Accade perciò che il Paperone che non paga tasse (o le paga in misura irrisoria) è diventata la regola68 . Qualche anno fa ho rilevato il caso di Warren Buffet, uno dei tre uomini più ricchi al mondo, che espresse il desiderio di pagare le stesse tasse della sua segretaria (come aliquota) e cioè il 40% della sua base imponibile e quindi 16-17 milioni di dollari invece dei 6-7 che pagava, si dà il caso però che Buffet era valutato allora un uomo dal 50 miliardi di dollari di patrimonio il che significa che egli desiderava di pagare come imposta meno dello 0,1% del suo patrimonio, ciò che destò lo scandalo del “Wall Street Journal”69 , per cui anche questa modestissima apertura era inconcepibile. La spiegazione di una simile assurdità si trova nella possibilità pressoché infinita dei capitalisti americani di operare detrazioni della loro base imponibile riducendola quasi a zero.

Ma qual è l’aliquota fiscale giusta che un capitalista o un alto redditiero dovrebbe pagare? A suo tempo, circa 25 anni or sono, un capitalista nostrano (Silvio Berlusconi) propose una riforma fiscale, rimasta lettera morta, con due sole aliquote 22% e 33%, per lui fino al 33% lo Stato poteva tassare i redditi elevati, dopo la tassazione diventava un esproprio proletario o quasi. Ora siamo ormai a questi livelli (o molto vicini ad essi) nei paesi dell’area OCSE (il 35% in media per l’aliquota marginale), ma Buffet (che è uno che le tasse le avrebbe volute pagare), si ferma al 40% dello 0,1% o meno del suo patrimonio; la IM Apple emigra in Irlanda per pagare il 12,5% di tasse ma come abbiamo visto riesce a pagare lo 0,005%. Ancora, i Paperoni che eleggono domicilio da noi (o in altri paesi che hanno simili normative) pagano una tassa fissa di 100 mila euro sui redditi prodotti fuori d’Italia quali che siano questi redditi. Tutto ciò è normale, come abbiamo visto nel paese guida del capitalismo gli USA i Paperoni che pagano poco o nulla si contano a migliaia o a decine di migliaia.

Quanto avviene è peraltro funzionale alla logica del capitale che tende a ridurre il più possibile i costi a vantaggio dei profitti, primo tra tutti il costo del lavoro: 30 anni fa Silicon Valley impiegava 2,1 milioni di addetti mentre adesso malgrado il raddoppio del proprio volume d’affari l’occupazione è dimezzata70 ; ciò vale per qualunque tipo di costo, compresi ovviamente i costi fiscali, in altre parole non c’è alcun limite massimo alla riduzione dei costi fiscali come non c’è per la riduzione dei costi di lavoro, non pagare le tasse è più conveniente in termini di profitto che pagare tasse “giuste”.

  1. Segue: traslazione fiscale ed esproprio delle tasse pagate dagli altri.

Un ulteriore prova del fatto che, se il capitale può, azzera la pressione fiscale è data dalla vicenda della crisi del 1973/75 che fu anche un enorme operazione di traslazione fiscale operata dalle grandi imprese del petrolio e dai governi produttori di petrolio. I paesi produttori elevarono il loro prelievo da 75 cent per ogni dollaro del prezzo del barile ad 84 cent, epperò essi concordarono contestualmente con le Big Seven del petrolio una crescita tripla del prezzo del barile, sicché introiti e profitti delle “Sette sorelle” (come le chiamava Mattei) si impennarono e il peso fiscale venne traslato completamente sui consumatori di petrolio71 . Per le “Sette sorelle” non vi fu alcun aggravio fiscale, il che evidenzia che quando possono le imprese trasferiscono il carico fiscale su altri in base al principio che la tassa migliore è quella che non si paga.

Ma c’è di più quando può il capitale si appropria anche delle tasse pagate dagli altri: esemplare è la vicenda dell’IVA nella UE: secondo la Commissione europea vengono evasi un po’ più di 150 miliardi di euro l’anno, 35-36 addebitati all’Italia. Noi siamo i leaders in materia ma gli altri tengono botta: 150 miliardi sono pari al 9% del PIL di un paese come l’Italia o al 60-65% di un paese come l’Egitto; cifre enormi che ogni anno si ripetono e che esprimono un’evasione “democratica e popolare” cui partecipa l’IM come il bottegaio sotto casa, eppure questi signori di tasca propria non dovrebbero pagare nulla, poiché formalmente sono loro a versare l’IVA ma in realtà l’IVA stessa è contabilizzata nel prezzo del bene e la paga il consumatore. Accade semplicemente che l’imprenditore non versa i soldi dovuti allo Stato e li trattiene per sé72 .

Lo stesso avviene per il lavoro nero per cui non si versano i contributi previdenziali pari ad un terzo o più del costo del lavoro; questa tassa in realtà è contemporaneamente un reddito futuro del lavoratore in quanto la tassa viene pagata per costituire la pensione futura del lavoratore stesso, evadendo i contributi si derubano contemporaneamente lo Stato e il lavoratore. Qual è il peso dell’economia sommersa nel capitalismo attuale? Semplicemente enorme. La Commissione UE ha stabilito che nei principali paesi europei essa supera il 10% del PIL73 , una cifra simile è stimata a livello mondiale dal prof. Naim nella sua fondamentale ricerca sul mondo dell’economia sommersa74 , in USA è noto come gli immigrati siano in larga misura clandestini (la loro espulsione è stato cavallo di battaglia della campagna di Trump), qualche anno fa l’ILO e l’ONU hanno stimato in 168 milioni di unità a livello mondiale l’impiego minorile illegale (lo abbiamo già rilevato).

Una massa enorme di redditi che vengono sottratti contemporaneamente ai governi e ai lavoratori. Il capitale non evade solo il fisco ma quando può si appropria anche delle tasse pagate dagli altri o dei redditi destinati ad altri. L’asserzione che se le tasse fossero miti gli imprenditori non ricorrerebbero al lavoro nero è semplicemente penosa: uscendo allo scoperto dovrebbero pagare un’imposta (anche solo del 15% come si ipotizza per la flat fax all’italiana) e in più dovrebbero versare onerosi contributi previdenziale, al posto dello 0% in termini di tasse e contributi.

Credere che questo sia possibile è la tipica espressione del “candore delle volpi” come avrebbe detto Franco Fortini.

  1. L’instabilità politica ed economica come incentivo all’evasione fiscale.

L’instabilità politica è un formidabile incentivo all’evasione fiscale che difficilmente una flat tax può riassorbire. Da anni sentiamo dire che i mercati (e cioè i mercanti, gli operatori economici) amano la stabilità ovviamente nel quadro del sistema e delle leggi del capitale. Epperò il quadro politico, messo alla frusta dalla crisi economica che fa esplodere odi, risentimenti e rancori per ingiustizie sempre più sfacciate, diventa sempre più instabile.

I partiti che gestivano il sistema a livello politico, quando era in equilibrio, ora mostrano la corda: in USA un outsider come Trump scala il partito repubblicano e vince le elezioni presidenziali; in Inghilterra contro ogni pronostico vince la Brexit; in Italia abbiamo il terremoto del 4 marzo 2018, in Francia Macron vince le elezioni presidenziali e diventa dopo pochi mesi un Presidente impopolare come il suo predecessore (Hollande); in Spagna un democristiano duro e puro (si fa per dire) dopo aver umiliato la Catalogna si trova destituito con la sua corte di feroci sostenitori dell’austerità; in Germania la signora Merkel dopo le elezioni disastrose in Baviera ed Assia dichiara che nel 2021 si ritirerà dalla politica lasciano la granitica CDU-CSU in stato confusionale mentre avanzano a valanga verdi e AFD e tiene la Linke .

Siamo al crollo di tutti i punti di riferimento, avanzano movimenti populisti che sono spesso confusi e contraddittori ed in cui le forme più radicali e coscienti (Sanders in USA, Podemos in Spagna) non vanno al di là di una sinistra socialdemocratica. Nessuno dice un no secco al capitalismo ma il disagio è enorme e dalla dinamica di questo disagio nessuno sa quello che potrà emergere. In questo contesto chiedere ai capitalisti di confessare le passate evasioni, perché l’aliquota è al 15% o è comunque bassa, è da ingenui, la logica prevalente è quella di “prendi i soldi e scappa” ovviamente nel più vicino e conveniente paradiso fiscale. Certo fino a ieri (da una quarantina di anni almeno) le aliquote sono calate, le esenzioni sono aumentate e lo Stato si è comportato nel modo servile che si è visto, ma in futuro sotto la spinta di movimenti populisti dagli esiti imprevedibili non è detto che la pacchia continui, per cui è di gran lunga preferibile rimanere al coperto.

  1. L’evasione strutturale. Corruzione ed economia criminale.

C’è inoltre un consistente settore dell’economia che non può emergere ed è condannato a rimanere per sua natura “evasivo”. È l’economia che utilizza lavoro nero come si è visto, ma accanto ad essa c’è un’economia diversa che non si limita ad utilizzare metodi scorretti (assumere in nero, non pagare i contributi, copiare i prodotti altrui senza pagare i diritti di utilizzo etc.) ma che produce beni e servizi assolutamente vietati (commercio di droga, commercio di esseri umani, traffico illegale di armi, sfruttamento della prostituzione etc.). Tale economia era stimata una ventina di anni or sono pari al 5% del PIL mondiale dall’ONU75 , ed oggi nessuno ipotizza che possa essersi ridotta anche perché si è sviluppato il traffico convenientissimo di esseri umani. Questa economia risponde ad esigenze strutturali del sistema: un grande sociologo conservatore, R.K. Merton, ha osservato che dove esiste una domanda di mercato sorge un’impresa che la soddisfa (altrimenti la società ne soffrirebbe) e che il legame tra le imprese criminali e i governi è del tutto simile al legame tra imprese legali e governi: entrambe pagano una tangente per avere protezione76 . Cinismo spietato quello di Merton ma al tempo stesso realismo, non tutti i conservatori sono dei perbenisti e conformisti da quattro soldi come quelli che, di regola, infestano la società italiana.

Questo discorso introduce ad un’altra forma di reddito, quello da corruzione : da noi è valutato a 4 punti del PIL e cioè 60-70 miliardi di euro (Corte dei Conti), spesso abbiamo la sensazione di essere un paese da record ma non lo siamo: i dati della Commissione europea ci dicono che siamo al disotto di altri paesi d’Europa77 , se poi passiamo l’Atlantico troviamo una letteratura sui legami di corruzione ed economia vastissima: il liberal Galbraith parla di economia della truffa78 , i conservatori Zingales e Rajan parlano di economia dell’appropriazione indebita79 , ancora Zingales osserva che con pochi miliardi di dollari di sovvenzioni elettorali in USA si può influenzare l’enorme piatto della spesa pubblica80 , il prof. Reich, già ministro del lavoro di Clinton, ha raccontato i retroscena non proprio edificanti del rapporto tra quella amministrazione e il mondo degli affari81 ; in un mio lavoro pubblicato 18 atti or sono riferivo la testimonianza di un “lobbista” e cioè di un signore che negli anni ’60 del secolo passato faceva da mediatore nella compravendita di leggi, mettendo in contatto elettori americani e esponenti del Congresso in grado di soddisfare le loro esigenze. Le persone che svolgevano quel tipo di lavoro (compravendita di provvedimenti legislativi) erano circa 4000, c’erano quasi 10 mediatori per ogni componente del Congresso, deputato o senatore che fosse82 .

Ancora: in Cina il partito comunista compie periodiche campagne anticorruzione per recuperare popolarità, notissima è la corruzione del Giappone o del Brasile (Lula è in carcere) o della Corea del Sud (25 anni di condanna all’ex presidente Park), o dei regimi africani (Kuma sotto processo).

Come si denunceranno le cifre derivanti dalla corruzione o dal commercio di droghe in una dichiarazione dei redditi? Una flat tax al 15 % le farebbe emergere?

Assurdità.

  1. I costi della benevolenza fiscale.

La riduzione generalizzata sulle tasse dei redditi alti ha le sue vittime e cioè i percettori di redditi fissi e trasparenti che al fisco non possono sfuggire: la macchina dello Stato, la difesa , la sicurezza, la giustizia, devono essere finanziate e non costano poco, per cui qualcuno dovrà pagarle: in Europa gli sconti fatti alle IM e al capitale hanno coinciso con un aumento del prelievo sui lavoratori e i pensionati, lo ammise pubblicamente oltre 20 anni or sono l’allora Commissario europeo Monti83 .

In America prima di Reagan , Carter inaugura una politica di tagli allo Stato sociale, scrive il prof. Zinn (capofila degli storici radical USA ): “Carter si oppose ai sussidi federali alle donne povere che si trovavano nella necessità di abortire, e quando gli fu fatto notare che era una ingiustizia perché le donne ricche potevano accedere all’aborto con facilità lui replicò “Come sapete nella vita ci sono molte cose ingiuste che i ricchi si possono permettere e i poveri no”84

Con Reagan prevale la tesi che i sussidi statali non erano necessari e che l’impresa privata avrebbero risolto i problemi della povertà per cui si tagliavano le spese sociali e lo Stato perderà 70 miliardi l’anno di introiti fiscali tra il 1978 e il 1992 (circa 1000 miliardi in totale) ed intanto il debito pubblico si impenna85 e la povertà non si riduce. Le spese superflue da tagliare sono quelle del welfare ma non le sovvenzioni all’industria: un consigliere conservatore di Reagan, che lo mollerà nel corso del primo mandato, riferisce che ad ogni accenno di crisi gli uomini d’affari vanno battere cassa alla Casa Bianca, cosicché deficit e debito federale si impennano, emblematica è la vicenda delle arance della California, la cui produzione era sostenuta da sovvenzioni statali, ma le arance una volta prodotte andavano al macero, perché non c’era domanda di mercato, tuttavia i produttori delle arance californiane sovvenzionavano Reagan e quindi …86 .

I tagli continueranno ai due lati dell’Oceano con la politica dell’austerità87 : risultato il debito statale come tendenza prevalente crescerà88 , mentre la povertà si allargherà e il peso del debito stesso ricadrà sui lavoratori - consumatori.

Lo sviluppo economico si blocca e i lavoratori si impoveriscono sempre più89 mentre il capitale continua a macinare profitti.

III) Il canto del cigno dei riformisti.

Come abbiamo detto nel 2017 il numero dei Paperoni è cresciuto del 25% e del 18% il volume del loro patrimonio (9,1 trilioni di dollari). Si tratta di una situazione in cui piove sul bagnato: pochi anni fa ho evidenziato che l’1% della popolazione mondiale raccoglieva il 48,2% della ricchezza patrimoniale netta90 , nel 2011 a Davos si rilevò che il 10% della popolazione raccoglieva l’83% dei patrimoni. Robin Hood è morto e l’OCSE tenta di resuscitarlo proponendo la tesi di una patrimoniale, che trasferisca almeno una parte di questa ricchezza verso il basso. Tesi del tutto condivisibile (se fosse praticabile) poiché è evidente che se da una parte hai 2200 Paperoni o poco più e dall’altra 5 miliardi di persone che non hanno neanche il problema del cibo ma quello dell’acqua, qualche strozzatura economica vi sarà, non puoi produrre masse enormi di beni senza che vi siano persone in grado di acquistarle (nel capitalismo); Keynes non era un socialista ma intendeva solo frenare o congelare le tendenze disegualitarie del capitalismo, tutti devono poter consumare anche se una certa diseguaglianza è necessaria in questo sistema. In altre parole che il 10% della popolazione si tagli un terzo dei patrimoni è accettabile, ma quando si arriva ai livelli sopraindicati la forbice produzione-consumo può diventare letale; si può galleggiare grazie al debito per un certo numero di anni, ma poi il debito stesso diventa una montagna che può franare travolgendo l’economia, inoltre chi ha salari bassi e lavoro precario ha difficoltà anche a trovare credito. Sinanche nel mondo accademico c’è chi ammette che la ridistribuzione è assolutamente necessaria91 ed a questa posizione ci si obietta con due autentiche banalità: a) bisogna arricchire i poveri senza espropriare i ricchi; b) prima di ridistribuire occorre produrre.

Al primo argomento è facile replicare che se la ricchezza è una torta chi se ne taglia una fetta enorme, spessissimo senza merito (diritto ereditario), priva gli altri della possibilità di sviluppo che è legata in questo sistema al controllo ed all’uso di una congrua quantità di risorse: chi ha un patrimonio ereditato di un miliardo di dollari ha possibilità enormemente più alte di chi nasce in una favela sud americana. Non si obietti con i casi di Jobs e Gates, che sono rarissimi e concernono personaggi geniali nel loro campo, ma anche chi non è un Michelangelo dell’economia può avere grosse qualità che senza risorse finiscono con l’atrofizzarsi,. Anni or sono ho citato una ricerca sociologica relativa all’USA da cui si evinceva che i figli di operai avevano una possibilità di accesso all’élite del 6-9%, i figli della classe media del 37% circa e i figli dell’élite economica del 100% , in altre parole questi ultimi nascevano dentro la cupola della società senza merito alcuno92 , la concorrenza non è tra pari e i dadi sono truccati in partenza93 . Il diritto ereditario, inoltre, è solo uno dei tanti mezzi che la classe dominante usa per difendere ed ampliare la quota di ricchezza che controlla. La disoccupazione tecnologica, i ricatti nei confronti del potere politico e dei sindacati (la famigerata delocalizzazione), l’evasione fiscale, i prezzi di monopolio, etc., sono tutti meccanismi che trasferiscono ricchezza verso i settori alti della società, per cui se non si intaccano questi meccanismi ogni possibilità di redistribuzione verso il basso è impensabile, ma è proprio l’intangibilità di questi meccanismi che ho posto in evidenza nelle mie analisi degli ultimi decenni, analisi confermate dalla crescente ed invincibile diseguaglianza che caratterizza l’attuale società; coloro i quali dicono che bisogna arricchire i poveri senza espropriare i ricchi dovrebbero chiarire come si ottiene questo miracolo. L’unico argomento avanzato è la diffusione della cultura e si dimentica che anche questa diffusione richiede risorse (le università richiedono investimenti), che evidentemente non si possono richiedere a chi di soldi ne ha pochi; ma a parte questo è da rilevare che l’attuale sistema, come rilevo da anni, richiede una quantità trascurabile di forza lavoro qualificata e quindi ben retribuita, per cui ritorniamo sempre al punto di prima, come risolvere il problema delle diseguaglianze crescenti?

Quanto poi alla necessità di produrre prima di distribuire sembra quasi che siamo all’età della pietra, ma in realtà il capitalismo esiste da secoli e vi sono paesi come gli USA che si avvicinano a 60 mila dollari di PIL procapite, se non dobbiamo redistribuire adesso, quando sarà possibile farlo? Inoltre, in attesa di produrre sempre più elevati livelli di PIL, a chi venderemo quello che stiamo producendo adesso con un mercato sempre più asfittico e oberato da una montagna di debiti sempre più insostenibile?

Il problema peraltro si pone anche per la Cina che non ha ancora raggiunto di 10.000 dollari di PIL procapite. Sei miliardi di metri quadrati di appartamenti invenduti solo un dato agghiacciante che non si risolve costruendo un ponte con oltre 50 km che collega Hong Kong e Macao, ciò che permetterà agli uomini di affari di arrivare dall’una all’altra città in 40-50 minuti invece delle 3 ore attuali, ma gli appartamenti rimangono invenduti e per converso si vendono una massa enorme di biciclette, impensabile per i nostri livelli di vita, perché per la grande massa della popolazione il sogno realizzabile non è né l’auto, né la motocicletta ma la cara e vecchia bicicletta.

Ridistribuire o morire di qui non c’è scampo, ma allora si pone il problema della lotta all’evasione fiscale che è un problema del tutto insolubile nell’attuale capitalismo. Se le IM e gli alti redditieri che sono collegati ad esse possono mettere in concorrenza e ricattare gli Stati riducendoli al ruolo di questuanti non si esce assolutamente da questo vicolo cieco. La verità è che il capitalismo è alle prese con contraddizioni insolubili che lo spingono verso il crollo, anzi la fase storica di crollo è già cominciata con la crisi del 2008. Cosa avverrà dopo il crollo del sistema lo ignoro.


Note
1 Fonte FMI.
2 Vedi M. FELDSTEIN, Grandi opere e difesa per assicurare la ripresa, ne “Il Corriere della sera. L’Economia” 5/2/18, p. 8.
3 Vedi I. BREMMER, Dieci anni dopo il crac il mondo trema ancora, ne “Il Corriere della sera”, 8/9/18, p. 28; v. anche F. POMPETTI, Lehman. Dieci anni dopo la crisi lo spettro del crac aleggia ancora, ne “Il Messaggero”, 15/9/18, p. 18; W. RIOLFI, E se a Wall Street cambia la musica? , ne “Il Corriere della sera. L’Economia”, 22/10/18, p. 47.
4 M. LONGO, Crescita globale al massimo ma la recessione si avvicina, ne “Il Sole 24 ore”, 12/4/18, p. 2.
5 Cito qui gli articoli che ho pubblicato negli anni della crisi (e nel 2005 – 2007 prima della crisi stessa), v. A. CARLO, Crisi del lavoro e tramonto del Capitalismo, in www.crisieconflitti.it, 2005; ID, L’economia globale un Titanic che affonda, ivi, 2007; ID, Capitalismo 2008. Nel tunnel senza uscita, ivi, 2009; ID, Capitalismo 2009. La via verso il crollo, ivi, 2010, in www.countdown.info, 2010, e in www.sinistrainrete.info, 2010; ID, Capitalismo 2010: Uomo morto che cammina, ivi, 2011; ID, Capitalismo 2011: Decomposizione in atto, ivi, 2012 ed in http://connessioni-connessioni.blogspot.com, 2012; ID, La putrescenza del Capitalismo contemporaneo e la teoria del crollo, pubblicato nei due ultimi siti sopraindicati alla fine del 2012; ID, Anatomia della politica attraverso l’economia: a) Il caso italiano (1945-2013); b) La depressione ed i funerali dell’autonomia del politico, in www.sinistrainrete.info, 2013; ID, Il Capitalismo 2014. A fondo nella Grande Depressione, ivi, 2014; ID, Capitalismo 2015: La Grande Depressione e il dramma greco, ivi, 2015; ID, Capitalismo 2016, l’anno più nero dal 2009, ivi, 2016; ID, Capitalismo 2017. La Grande Depressione e l’ascesa di Trump: ovvero la tragedia e la farsa, ivi, 2017.
6 Alludo a due mie monografie edite nel 1980 e nel 1981: v. A. CARLO, La società industriale decadente, Liguori, Napoli, 2001, III ed., I ed. 1980; ID., Il leviatano morente, Liguori, Napoli, 2001, III ed. (I ed. 1981) dove evidenzio che la crisi del 1973/75 aveva posto in essere contraddizioni destinate a diventare sempre più ingovernabili. Quella crisi gravissima è il prologo in cielo della Depressione che stiamo vivendo.
7 Vedi S. BRAGANTINI, Lehman, dieci anni dopo quella lezione dimenticata, ne “Il Corriere della sera. L’Economia”, 17/9/18, p. 6.
8 Vedi M. LONGO, Sugli Stati pesano debiti per 61.000 miliardi, però oggi sono meno esposti agli speculatori, ne “Il Sole 24 ore”, 19/4/18, p. 2. I 164.000 miliardi di dollari comprendono ovviamente anche debiti di imprese e famiglie
9 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017, cit. par. 1.
10 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2014, cit., par. 1, lett. B).
11 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017, cit., par. 5.
12 Vedi su ciò J. TIROLE, L’economia del bene comune, Mondadori, Milano, 2017, pp. 295 e sgg.
13 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par. 5
14 Alla vigilia delle elezioni del 4 marzo la televisione LA7 pose in essere una rubrica detta “Var condicio” in cui si ripassavano alla moviola, le dichiarazioni e le promesse elettorali dei vari capi politici; durante una di queste trasmissioni si dette spazio alla lettera di un “voucherista” che diceva di lavorare solo 8 ore al mese e si chiedeva se potesse essere considerato un occupato. In studio c’era il prof. Giovannini, a suo tempo direttore dell’ISTAT che, con estrema serietà, disse che stando ai parametri internazionali comunemente accettati, il nostro “voucherista” era un occupato a pieno titolo, infatti ricordo che, per essere occupati, basta lavorare anche un’ora sola nella settimana che precede la rilevazione statistica. Parametri di questo genere servono solo a nascondere la realtà ad uso degli struzzi; una truffa statistica rimane tale anche se è universalmente accettata, il che semmai è un aggravante.
15 La tendenza continua nel 2018, v. C. VOL., Lavoro disoccupati giù al 10,7%. Record del tempo determinato, ne “Il Corriere della sera”, 3/7/18, p. 29.
16 Vedi I. BREMMER, Noi contro di loro, Egea, Milano, 2018, p. 29.
17 Su ciò v. A. CARLO, Capitalismo 2014 cit., par. 2.
18 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2015 ci., par. 1.
19 Vedi A. CARLO, La società industriale cit., p. 71, dove rilevo che anche in Italia avvenne un fenomeno analogo. Nel periodo 1958-63 ben 2,8 milioni di posti di lavoro (su un totale di 4,3 milioni) furono creati in USA dal settore o semipubblico, v. su ciò H. MAGDOFF, Problemi del capitalismo americano, in “Critica marxista”, n. 1, 1966, pp. 13 e sgg. a p. 27.
20 Vedi A. CARLO, Crisi del lavoro cit., par. 2, testo e nota 37.
21 La causa fondamentale della crisi dei bilanci è l’evasione fiscale , fenomeno che ho segnalato più volte nei miei lavori sulla crisi scoppiata nel 2008. L’evasione fiscale è un fenomeno che accompagna tutta la storia del Capitalismo, gli studiosi della rivoluzione industriale la segnalano sin dal ‘700, tuttavia essa è diventata sempre più consistente ed insostenibile nel secondo dopoguerra con lo sviluppo delle imprese multinazionali, che sono un fatto relativamente nuovo diverso dalla globalizzazione (v. A. CARLO, L’economia globale cit., par. 1), infatti il numero delle filiali estere delle imprese dei più grandi paesi capitalistici si impenna dopo il 1945 (v. A. CARLO, La putrescenza cit., par. 11, tab. n. 6 ove dati). Il diffondersi di queste imprese permette alle stesse di mettere in concorrenza gli Stati ed offrire i propri investimenti laddove la situazione fiscale è più conveniente, per cui gli Stati sono costretti a spostare la pressione fiscale dal capitale al lavoro, lo ammise esplicitamente alla fine degli anni ‘90 del secolo passato il commissario europeo Monti (v. A. CARLO, Economia, potere, cultura, Liguori, Napoli, 2000, pp. 71-72).
22 Vedi su ciò A. CARLO, Capitalismo 2014 cit., par. 6.
23 Fonte: fino al III trimestre del 2018 (compreso) i dati sono del Dipartimento del Commercio USA, dopo si tratta di stime (per tutto il 2018) e di previsioni della Fed per il 2019-20. Il dato del III trimestre del 2018 è provvisorio, nel senso che nelle prossime settimane sarà rivisto.
24 Fonte Dipartimento del Commercio USA.
25 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2016 cit., par. 3, ove tabella.
26 Vedi M. LONGO, Economia e Tassi allerta sui listini, ne “Il Sole 24 ore”, 24/3/18, p. 3.
27 Vedi W. RIOLFI, op. cit.
28 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2016 cit., par. 3.
29 Vedi M. GAGGI, Powell cita Draghi e sui tassi passa l’esame di indipendenza,ne “Il Corriere della sera”, 25/8/18, p. 46 dove si cita l’incontro annuale dei grandi banchieri a Jackson Hole nel corso del quale Powell ha definito insostenibile il livello del debito federale USA e ha lamentato la bassa dinamica dei salari e della produttività in America. Su questo punto (insostenibilità del debito federale) v. anche gli articoli citati alla nota 35 del prof. Feldstein.
30 Vedi M. LONGO, op.ult. cit.
31 Vedi retro nota precedente e D. MASCIANDARO, Powell resta una sibilla: strategia ancora da scrivere , ne “Il Sole 24 ore”, 22/3/18, p. 26.
32 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par. 2.
33 Vedi A. CARLO, La società industriale cit., p. 122-3
34 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par. 2, tab. n. 4)
35 Vedi A. CARLO, op. ult. cit., par. 3; anche il prof. Feldstein, sostenitore di Trump, ammette che deficit e debito pubblico esploderanno, oltre agli articoli già citati di questo studioso v. anche M. FELDSTEIN, Mine vaganti, l’esplosione del deficit, ne “Il Corriere della sera. L’Economia”, 18/6/18, p. 8; ID., 2034 Allarme a Washington, niente soldi per le pensioni, ivi, 16/7/18, p. 6.
36 Vedi G. SARCINA, Quanti posti di lavoro ha creato “The Donald”? Il conto dice solo 63 mila, ne “Il Corriere della sera”, 31/1/18, pp. 10-11.
37 Vedi M. GAGGI, Trump trova l’intesa con il Messico e Wall Street sale al nuovo record, ne “Il Corriere della sera”, 2/8/18, p. 32.
38 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2015 cit., par. 2, tab. n. 4)
39 Vedi D. TAINO, Sulla crescita globale la minaccia di 3439 accorti che limitano gli scambi, ne “Il Corriere della sera”, 3/3/18, p. 13, già Obama ne introdusse 300, l’India 293, la Germania, alfiere del libero scambio, 185, etc. etc.
40 Ad esempio i Navigation Acts inglesi del ‘600, considerati leggi protezionistiche, non intendevano impedire le esportazioni inglesi ma semplicemente imporre che le merci dovessero navigare sulle navi inglesi e non su quelle della concorrenza olandese.
41 Il caso più importante è quello degli Stati della Confederazione suddista durante la guerra di Secessione che, a causa del blocco navale del Nord, non poterono più esportare il cotone le cui balle furono usate come ripari nelle trincee.
42 Vedi Nuvole più scure all’orizzonte, trafiletto anonimo ne “Il Messaggero” del 12/6/18, p. 21.
43 Vedi B. ROMANO, Draghi nell’Eurozona ripresa robusta, ne “Il Sole 24 ore”, 6/2/18, p. 3.
44 Vedi I. BUFACCHI, BCE “preoccupata” per la crescita, ivi, 27/4/18, p. 2; D. MASCIANDARO, L’importanza delle “3 P” di Mario Draghi, ibidem.
45 Non si contano le volte che Francia e Spagna hanno violato il livello del 3% nel rapporto deficit PIL; ma il caso forse più clamoroso di violazione ci fu quando aderimmo all’euro con un rapporto debito-PIL attorno al 100% mentre i trattati prevedevano un limite massimo del 60%: si disse allora che il 60% era solo un obiettivo a cui tendere ma non un limite immediato, senza che questo trovasse alcun fondamento nei trattati stessi. La verità era che Prodi aveva dichiarato che un’Italia con una lira svalutata, che facesse una politica corsara con le proprie esportazioni, era un pericolo per Francia e Germania, come era accaduto durante la crisi della lira all’inizio degli anni ’90. Così i trattati vennero interpretati in modo del tutto contrastante rispetto a quanto in essi era esplicitamente previsto.
46 Su ciò v. A. CARLO, Capitalismo 2016 cit., par. 2, lett. I).
47 Vedi su ciò A. CARLO, Capitalismo 2016 cit. , par. 2, lett. G).
48 Su ciò v. A. CARLO, op. loc. ult. cit.; ID., Capitalismo 2015 cit., par. 1, lett. F) e par. 6.
49 Vedi A. CARLO, Il leviatano morente cit., p. 115.
50 Vedi M. GEREVINI, Va dove ti porta il fisco (in Lussemburgo) , ne “Il Corriere della sera. L’Economia”, 8/10/18, p. 6.
51 Vedi M. DI BIANCO, Tasse “Paperoni” in coda per la residenza in Italia, ne “Il Messaggero, 20/9/18, p. 5.
52 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par. 1, lett. C).
53 Vedi F. GIAVAZZI, L. REICHLIN, L. ZINGALES, L’UE e l’euro 4 proposte, ne “Il Corriere della sera”, 23/6/18, pp. 1 e 13.
54 Vedi M. FELDSTEIN, Grandi opere cit. , v. anche gli altri articoli di Feldstein citati alla nota 35.
55 È la situazione fin troppo nota come i paesi come la Cina e l’India con salari operai bassissimi e masse contadine che vivono in una situazione di povertà per noi impensabile.
56 Vedi A. CARLO, Il leviatano cit., cap. I e II.
57 Vedi retro nota 21.
58 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par.1 , lett. B).
59 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2016 cit., par. 4, dove rilevo che nel 2016 sono stati rispediti nelle campagne 5,7 milioni di contadini che volevano trasferirsi in città dove le imprese di Stato dovevano, a loro volta, smaltire 1,8 milioni di operai in esubero.
60 Su ciò v. A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par. 1
61 Fonte “Economist”.
62 Vedi trafiletto anonimo ne “Il Messaggero” dell’8/6/18 p. 20.
63 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017, cit., par. 4.
64 Vedi su ciò A. CARLO, Il leviatano cit., p. 90 testo e nota 26.
65 La riforma di Trump, di cui mi sono occupato nel mio studio dell’anno scorso, ha abbassato l’aliquota sui profitti societari dal 35% al 21%.
66 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par. 1, lett. C).
67 Nel mio saggio dell’anno scorso ho citato una ricerca fatta dalla Banca d’Irlanda secondo cui sui cittadini irlandesi il peso del debito pubblico non è pari al 76% del PIL ma al 106%: ciò perché una parte consistente del PIL (il 25%) fa capo alle IM il cui contributo al fisco irlandese è minimo, sicché sono i cittadini di quel paese con i loro redditi che devono sostenere il peso del debito cumulatosi e a quel punto il peso reale è pari al 106% del reddito dei cittadini irlandesi. Il fatto non è per nulla eccezionale poiché dappertutto le IM e gli alti redditieri, grazie all’evasione e l’elusione fiscale che è enorme, come sottolineo da anni, finiscono col far ricadere gli oneri del pagamento del debito sulla grande massa di lavoratori e pensionati.
68 Già alla fine degli anni ’60 viene segnalato il caso clamoroso del petroliere Paul Getty Senior che avrebbe dovuto pagare 70 milioni di dollari di tasse e se la cavava con qualche migliaia di dollari, meno dei suoi dipendenti, v. PH. M. STERN, The rape of the taxpayer, Random House, New York, 1974, p. 7; epperò il fenomeno non è eccezionale anzi col passare degli anni è diventato normale basti pensare che negli ultimi anni di Clinton 2400 Paperoni americani non pagavano tasse e altri 18000 se la cavavano con il 5% del proprio reddito, v. A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par. 2, lett. B) dove parlo anche delle enormi esenzioni fiscali avute dalle imprese.
69 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2011 cit., par. 1 , lett. D).
70 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2017 cit., par. 2.
71 Sulla crisi del petrolio del 1973 v. A. CARLO, Studi sulla crisi della società industriale, Loffredo, Napoli, 1984, p. 5 e ssg, dove ripubblico un mio saggio apparso in “Terzo mondo” nel 1976.
72 Le trasmissioni de LA7 sono frequentate da un simpatico docente universitario esperto di fisco e con un forte accento romanesco, che a proposito dell’IVA rilevò come questa sia pagata dal consumatore (ma la cosa è nota) e raccontò che una sua amica imprenditrice per 4 anni non aveva versato l’IVA, adesso messa alle strette doveva adempiere al versamento ma il guaio era che “quei soldi se li era spesi”. Fenomeni di questo genere non sono eccezionali sono normali come si evince dai dati italiani europei prima indicati con la differenza che non tutti spendono i soldi versati, altri li rinvestono ad esempio sottoscrivendo i BPT statali sui quali vengono pagati interessi su soldi rubati ai consumatori e allo Stato, oppure vengono inviati in Svizzera etc.
73 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2015 cit., par. 6, lett. C), tab. n. 6, la tabella n. 7 riguarda l’evasione fiscale nella UE, che per i 5 principali paesi era valutata a 604,6 miliardi nel 2009 mentre nel 2014 il commissario Barnier dichiarò davanti al Parlamento europeo che l’ammontare delle tasse evase per tutta la UE era pari a 1000 miliardi l’anno
74 Vedi M. NAIM, Illecito, Mondadori , Milano, 2004.
75 Vedi A. CARLO, Economia cit., p. 160.
76 Vedi R.K. MERTON, Teoria e struttura sociale, I , Il Mulino, Bologna, 1971, II ed. pp. 216-17; per una critica a Merton v. A. CARLO, Studi sulla crisi ci., pp. 141 e ssg.
77 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2015 cit., par. 6, lett. C).
78 Vedi J.K. GALBRAITH, L’economia della truffa, Rizzoli, Milano, 2004.
79 Vedi G. RAJAN, L. ZINGALES, Salvare il capitalismo dai capitalisti, Einaudi, Torino, 2004.
80 Vedi L. ZINGALES, Manifesto capitalista, Rizzoli, Milano, 2102, p. 127, è rilevante il sottotitolo del libro “Una rivoluzione liberale contro un’economia corrotta”.
81 Vedi R. REICH, Supercapitalismo, Fazi, Roma, 2008.
82 Vedi A. CARLO, Economia cit., p. 69.
83 Ivi, p. 70-71,, nota 238.
84 Vedi H. ZINN, Storia del popolo americano, il Saggiatore, Milano, 2005, p. 293. Per inciso Carter vinse il Nobel per la pace e questo mi ricorda la velenosa battuta di George Bernard Shaw: “Si può perdonare a Nobel l’invenzione della dinamite ma non quella del premio Nobel”. Come dargli torto?.
85 Ivi, pp. 399-400; nel 1980 il debito federale USA è al 32,54% del PIL, nel 1982 è al 35,09%, nel 1988 è al 50,99%; Reagan governa dal gennaio 1981 al gennaio 1989, si noti poi che questa politica di sgravi fiscali comincia già con Carter (al governo fino al 1980) e continua con Reagan.
86 Vedi D.A. STOCKMAN, Il prezzo della politica, ed. de “Il Sole 24 ore”, Milano, 1986, p. 384 e ssg.
87 La Conferenza dalla FAO tenuta a Roma a fine secolo evidenziò l’aumento di fame e povertà anche nei paesi ricchi come conseguenza dei tagli al welfare, v. A. CARLO, Economia cit., pp. 147-148, alle pp. 149-168 evidenzio i meccanismi strutturali che nel capitalismo producono ineguaglianze crescenti.
88 L’eccezione più rilevante a questa tendenza è la riduzione del debito federale USA durante il secondo mandato di Clinton: nel 1996 il debito era al 68,4% del PIL che diventa il 57,8% nel 2000; epperò nel 1990 era al 55,72% a metà strada tra il debito del 1942 (44,73%) e quello del 1943 (68,83%) che era un debito di guerra e quindi anomalo; inoltre nel 1990 quando Clinton viene eletto, il debito è al 55,72% un livello inferiore al 2000. Anche negli anni di Clinton è evidente che occorre comunque un elevato debito federale (con livelli da tempo di guerra) per sostenere lo sviluppo. Ciò che può concedersi è che con Clinton (soprattutto nel secondo mandato) si puntò di più sullo sviluppo delle altri componenti del debito globale USA che passò dal 240% del PIL nel 1990 al 288% nel 2000 (v. A. CARLO, Capitalismo 2009 cit., par. 3, lett. E), tab. n. 2.
89 Nel corso degli articoli citati alla nota 5 ho più volte sottolineato questo aspetto, in particolare (ma non solo) negli articoli dal 2014 in poi.
90 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2015 cit., par. 2.
91 Vedi F. SARACENO, La scienza inutile, pp. 32 e ssg. ove critica ironica di Macron; la scienza inutile, è appena il caso di sottolinearlo, è l’economia politica.
92 Vedi A. CARLO, Economia cit., p. 475.
93 Anche Rajan e Zingales nel volume citato alla nota 79 osservano che è assurdo dal punto di vista economico la ereditarietà dei patrimoni, se il povero Bertinotti avesse detto cose simili sarebbe stato sommerso da valanghe di accuse di stalinismo, ma dal momento che Rajan è stato capo dell’ufficio studi dell’OCSE e Zingales insegna a Chicago (è uno dei più autorevoli Chicago boys) il silenzio è generale. Già nella prima metà del secolo scorso in un vecchio saggio di C. WRIGHT, Politica e potere, Bompiani, Milano , 1970, pp. 149 e ssg. Si osserva che il modo migliore per accedere alla élite degli affari è quella di nascerci dentro, con buona pace del merito.

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