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paneerose

Lo shock pandemico accelera la tendenza capitalistica alla concentrazione e all'espropriazione

di Partito comunista internazionale

Ci è stato segnalato questo ampio contributo apparso su “il programma comunista”, n.3, maggio-giugno 2021. Ritenendolo utile ai fini del dibattito, lo pubblichiamo

Jappe1) Emergenza permanente

La “pandemia” da Covid è senz'altro uno di quegli eventi che determinano delle svolte, non solo come emergenza sanitaria, ma come avvio di una nuova emergenza più generale e indeterminata nel tempo, elevata a metodo di gestione politica dell'emergenza sociale ed economica.

La portata dell'evento, per le ricadute che sta generando, è paragonabile a quello che, ad inizio millennio, ha dato il via alla lunga stagione della “guerra al terrorismo” di matrice islamica, di cui ancora oggi si patiscono i postumi. Se è vero che quella guerra non è servita, com'era nelle intenzioni di chi l'ha scatenata, a riaffermare il ruolo degli Stai Uniti come unica potenza mondiale e a interromperne il declino, oggi che gli attentati si vanno riducendo per portata e frequenza rimane intatta la legislazione emergenziale che si è instaurata un po' ovunque, a cominciare dal Patriot Act negli Stati Uniti. Come l'attentato alle Torri Gemelle – i cui risvolti rimangono per molti aspetti tutt'altro che chiari – generò a suo tempo delle conseguenze planetarie, altrettanto accade con l'insorgenza Covid, le cui ripercussioni sembrano però estendersi ben oltre l'indirizzo securitario e guerrafondaio che seguì all'11 settembre, e assumere una valenza più generale e un'incidenza più profonda. Non siamo in grado di affermare quale sia stata l'effettiva origine di eventi così straordinari, accomunati dalla manifesta, clamorosa inefficienza degli organismi civili e militari preposti alla prevenzione e al contrasto di simili catastrofi, organismi per altro forti di una potentissima dotazione di mezzi di previsione e intervento. Tuttavia, anche accettando le versioni ufficiali, non v'è dubbio che quegli eventi abbiano avviato una azione generale di contenimento e soluzione delle contraddizioni capitalistiche. Come dopo l'11 settembre, anche l'emergenza pandemica ha portato all'introduzione di elementi propri di una situazione di guerra.

Tanto per il terrorismo islamico quanto per la pandemia, la guerra è mondiale, ma il teatro decisivo è stata ed è l'Europa occidentale. Qui dopo l'11 settembre si sono verificati gli attentati più sanguinosi contro cittadini occidentali ed è nei suoi territori che la pandemia ha avuto alcuni tra i momenti più simbolici e di più intensa drammaticità. Entrambi gli eventi hanno prodotto una reazione a una minaccia di morte, la prima proveniente da un nemico in carne ed ossa, identificabile nel “terrorista islamico”, l'altra da un nemico ancor più subdolo e imprevedibile, di cui può farsi tramite qualunque nostro simile, più ancora se a noi legato da affetti e vicinanza. Con l'avvento del virus l'attenzione non si concentra più su una minaccia esterna che si insinua nella quotidianità del nostro mondo all'apparenza pacifico, ma su una minaccia del tutto interna a questa quotidianità, perfino domestica. La battaglia si combatte in casa. Non è più solo competenza dei servizi di sicurezza e polizia: è affare di ciascuno dare un contributo alla battaglia adottando i comportamenti stabiliti (non si dica imposti, è sgradevole). Ciascuno si deve attivare o, per usare un termine militare, mobilitare. Entrambi gli eventi hanno avuto fin dall'origine i loro morti, di cui – come avviene in guerra – si dà contabilità in quotidiani bollettini. Il fatto che ciò sia innegabile – perché i morti ci sono stati – rende innegabile la necessità dell'intervento d'autorità per contenere e porre fine al dramma con ogni mezzo. Su questo assunto di sicura efficacia emotiva si basano gli attacchi a chi osa avanzare una qualsiasi critica dei provvedimenti emergenziali. Chi mette in dubbio la necessità delle restrizioni fa prevalere un astratto diritto alla libertà sul diritto prioritario alla sicurezza e in definitiva alla vita; nel contesto pandemico, costui viene subito qualificato come negazionista, non tanto per l'accusa di negare l'esistenza del virus o la sua pericolosità, ma con l'accusa implicita di negare i morti o le sofferenze dei malati, esattamente come lo storico negazionista nega o ridimensiona l'olocausto. Un tal disgraziato appare senz'altro meritevole della galera, o quantomeno di un TSO in un reparto psichiatrico. Qualcuno ci è finito. Il motto veicolato in modo subliminale non è molto diverso dal credere, obbedire, combattere di buona memoria: credere nel racconto ufficiale sulla pericolosità pandemica del virus; obbedire alle regole ferree imposte dall'alto (in spregio alla stessa legislazione borghese); combattere la battaglia comune rispettando le disposizioni e stigmatizzando quanti avessero qualcosa da obiettare, non senza un grazioso invito alla delazione.

Riconoscere questo stato di fatto non implica né una sottovalutazione dell'impatto del virus né avallare tout court la tesi della “dittatura sanitaria” sostenuta generalmente da punti di vista democratico-borghesi ed espressione dell'umore dei settori delle mezze classi più colpiti dalle conseguenze delle restrizioni. Va però riconosciuto che un simile meccanismo psicologico di massa è analogo a quello che si verifica in caso di guerra: quando i giovani figli della Patria muoiono al fronte per difenderla, chi osa mettere in discussione la guerra è additato a criminale da perseguire con ogni mezzo, un rinnegato al soldo del nemico. La loro morte, la celebrazione del loro “sacrificio”, quasi sempre involontario, oscura la responsabilità di chi li ha mandati a morire. Non invocare la fucilazione diventa segno di magnanimità; allo stesso modo nella psicologia collettiva chi minimizza il Covid meriterebbe di morire di Covid, senza riguardo per le responsabilità di chi ha fatto poco o nulla per prevenire la strage. Stessa sorte merita chi si oppone alla vaccinazione: non è raro trovare sulla rete commenti che auspicano per coloro che non intendono vaccinarsi l'esclusione dalle cure. Questi sentimenti alimentati ad arte e sostenuti quotidianamente dai media hanno buon gioco ad impadronirsi delle menti di chi è stato istruito alla paura o semplicemente, macinato dai ritmi del quotidiano, non ha tempo per pensarci e deve sorbire la minestra che passa il convento.

Se dunque l'attacco alle Torri Gemelle fu la premessa per l'instaurazione di un clima che preludeva allo scatenamento di conflitti sul campo, la pandemia ha già in sé molti aspetti della guerra, una guerra combattuta in superficie contro il virus, ma in profondità con altri obiettivi. Il contesto di crisi pandemica favorisce un'offensiva contro gli ostacoli e le resistenze che si frappongono al progressivo affermarsi del capitale in ogni aspetto della vita sociale e ciò passa anche attraverso il disciplinamento e il condizionamento. La pandemia segna così un discrimine temporale e un passaggio di campo, l'ingresso in un contesto in gran parte nuovo dove si riaffermano i connotati della società capitalistica, e di conseguenza i termini dello scontro di classe, della battaglia, dagli esiti quanto mai incerti, tra la società morente e quella che sola può seguirle nella successione storica: il comunismo.

Dall'avvio della crisi pandemica, le diverse istituzioni dello Stato si sono attivate massicciamente a supportare i drastici interventi di contenimento, mettendo alla prova la loro capacità di controllo sulla società. Di fronte all'attacco della pandemia, i governi sono apparsi per lo più impreparati, e le strutture sanitarie dell'Occidente supersviluppato non in grado di affrontare l'emergenza. In realtà, stando ai documenti ufficiali (Nota 1) un evento simile era annunciato da lunga data, e i principali governi e le istituzioni internazionali erano ampiamente edotti fin nei dettagli delle caratteristiche, dei tempi e delle aree di diffusione di una pandemia. Se è vero – e non sarebbe certo la prima volta nella storia (Nota 2) – che chi sarebbe dovuto intervenire era a conoscenza di quanto si stava preparando, allora nella migliore delle ipotesi siamo di fronte alla manifesta incapacità delle classi dirigenti di trarne le opportune conseguenze in termini di organizzazione e di spesa per affrontare l'emergenza sanitaria. Ciò vale per quasi tutti gli Stati capitalistici colpiti, pur se in grado differente in ragione della maggiore o minore organizzazione dei sistemi pubblici. In una società comunista un'emergenza di questo tipo sarebbe, oltre che prevista, debitamente fronteggiata; l'eventualità di un lockdown a scopi sanitari rientrerebbe nel piano di specie e le ricadute sull'esistenza collettiva sarebbero ridotte all'indispensabile. Il sistema si chiuderebbe a protezione delle fasce più deboli, tutte le risorse sarebbero attivate a potenziare la capacità di risposta delle strutture sanitarie, le conoscenze scientifiche sarebbero orientate a trovare le soluzioni più efficaci per affrontare la malattia e debellarla, tutti i servizi essenziali sarebbero assicurati, gli approvvigionamenti sarebbero garantiti a tutti senza limiti temporali grazie alle riserve accantonate per affrontare le ricorrenti emergenze che segnano la presenza della nostra specie sul pianeta. Tutto ciò può derivare solo da una programmazione generale che il capitalismo non può nemmeno concepire. La crisi fa invece emergere clamorosamente i limiti del sistema capitalistico nel provvedere ai bisogni sociali, la sua connotazione disordinata, affaristica, violentemente classista, giacché è sempre più chiaro che nella pandemia c'è chi paga e chi ci guadagna. La fragilità del sistema ha come effetto la diffusione dell'incertezza, della paura, e per le classi dirigenti la scelta naturale obbligata è il ricorso a misure da tempi di guerra o che addirittura le superano, appoggiandosi sulle strutture dello Stato borghese, e in primo luogo su quelle preposte all'ordine pubblico, che non possono permettersi di difettare in efficienza. La disfunzionalità delle altre istituzioni pubbliche risulta invece obiettivamente funzionale alla messa in campo di interventi che preludono a radicali cambiamenti dell'assetto politico istituzionale e dell'assetto sociale. Non è difficile inquadrare questa ridefinizione complessiva nel percorso di trasformazione della società in senso neoliberista in corso di attuazione da decenni, e che trova nell'evento pandemico l'occasione di una accelerazione che avvicini la realizzazione di una società dove il Capitale possa esercitare il suo dominio senza limitazioni, ostacoli, e senza l’apparente mediazione con interessi altri. Una società del genere è impossibile a realizzarsi, poiché l’esercizio della dittatura impone alla borghesia la funzione (e finzione) di “classe generale”: ma a essa il Capitale tende.

Quella a cui assistiamo è dunque a suo modo una guerra, senza per questo volerci spingere a qualificarla come un tipo specifico di guerra, quella batteriologica, eventualità per altro da non escludere. In fondo in una guerra ciò che conta non sono i mezzi – per quanto alla fine risultino decisivi – ma i risultati conseguiti in termini di rapporti tra imperialismi e di rapporti tra le classi. Se in una guerra guerreggiata in pericolo è la Patria, nel cui nome c'è chi sacrifica la propria vita, nel caso della guerra al terrorismo sono in gioco la sicurezza e un modello di vita in nome del quale si sacrificano gli stessi principi di libertà che gli sono a fondamento. In definitiva anche qui è in gioco la vita delle persone esposte alla minaccia del terrore, ma è solo con il Covid che la minaccia si rivolge direttamente alla vita stessa, così da giustificare ogni forma di restrizione a supporto dell'intervento sanitario. L'azione politica si qualifica come intervento terapeutico di massa, un intervento ben più profondo e incisivo degli interventi securitari introdotti dalla “guerra al terrorismo”.

E' agevole riconoscere la sintonia di un tale intervento con l'ideologia politica neoliberista che si propone di conformare l'esistenza dei singoli alla logica del mercato: la “biopolitica”. Il suo oggetto non sono genericamente i presupposti della convivenza sociale, ma l'esistenza biologica dei suoi membri, che va orientata verso una “normalità” definita dalla disposizione alla realizzazione di sé come “capitale umano”. Tutta la vita del singolo viene ridotta a una specie di investimento su di sé che può portare alla valorizzazione del proprio capitale umano come al fallimento. L'esistenza dell'uomo si risolve nell'economia e ogni aspetto della vita, il lavoro e il consumo, gli affetti e la salute rientrano nella categoria dell'investimento (Nota 3). In questa visione, non esistono le classi: esistono solo gli individui, piccole monadi disperate votate a trarre profitto dal ciclo economico corrispondente all'arco della propria esistenza. Chi non orienta la sua condotta in tal senso non è da considerarsi “normale”, ma un “perdente” in quanto “deviante” e come tale bisognoso di intervento terapeutico. Povertà, disoccupazione, emarginazione non sono da addebitarsi ad una società infame, ma all'incapacità del singolo di fare di sé un capitale redditizio. La povertà è ridotta a “malattia dell'anima”. Questa concezione idiota fa parte integrante della fede neoliberista che guida le élites mondiali. Se si limitassero a professarla, se la racconterebbero tra di loro per compiacersi del loro essersi realizzati come “capitale umano”. Purtroppo, lavorano per farne la religione attiva del mondo. Se è vero che nel quadro della pandemia l'azione politica si va qualificando come intervento terapeutico di massa, coerentemente con l'ideologia dominante l'obiettivo dell'azione non è genericamente la salute pubblica ma la normalizzazione dei rapporti sociali attraverso il disciplinamento dei comportamenti sociali. Obiettivo prioritario dei provvedimenti restrittivi, la cui efficacia nel contrasto del virus è quantomeno dubbia, non è la salvaguardia della salute pubblica bensì il condizionamento dei comportamenti pubblici e privati. Questo condizionamento si configura come “intervento terapeutico” per indirizzare le esistenze individuali, attraverso l'isolamento e il distanziamento, ad una completa subordinazione, ideologica e reale, agli apparati di dominio e controllo.

Per far digerire la brodaglia ideologica che giustifica la riduzione dell'uomo ad appendice del capitale – riduzione che è già un portato reale del processo di sviluppo capitalistico che estende il macchinismo ad ogni aspetto della vita - è necessario isolare i singoli spezzando ogni legame comunitario, con priorità al senso di appartenenza a una classe che non si riconosca nei valori e nei comportamenti della borghesia. Qui siamo giunti al traguardo di un lungo percorso di demolizione a cui hanno dato un contributo fondamentale i sindacati di regime e i partiti “di sinistra” della borghesia. Ora viene il momento dell'attacco perfino alle forme comunitarie delle famiglie, della Nazione, della Chiesa, per demolire le quali il Capitale si ammanta del valore “progressista” della “diversità”, dietro cui si cela l'omologazione e la neutralizzazione di ogni forma di antagonismo degno di questo nome. Si capisce allora perché a gestire questa cupa transizione siano generalmente partiti di “sinistra”, mentre la destra è generalmente all'opposizione. (Nota 4)

Così trova una spiegazione l'impreparazione degli organismi pubblici di fronte all'attacco pandemico, impreparazione confermata – almeno per l'Italia, ma non solo – dal ripetersi delle stesse condizioni di inadeguatezza all'arrivo della cosiddetta “seconda ondata”, conseguenza inevitabile del fatto che, nei mesi in cui il virus latitava, la “spesa pubblica”, invece di convergere nel rafforzamento dei presidi sanitari, provvedeva a elargire bonus per monopattini, bici elettriche e vacanze per famiglie. Qui la disfunzionalità si conferma obiettivamente funzionale al ripresentarsi delle condizioni per un nuovo lockdown.

La prova è indiziaria, ma dovrebbe bastare quantomeno a indurre il sospetto che la salute pubblica, proprio quando si proclama il cosiddetto “diritto alla salute” - inesistente, poiché esiste solo il “diritto alla cura”, assai spesso negato - superiore rispetto a ogni altro diritto costituzionale, non sia al centro dell'interesse del governo dell'emergenza. La priorità che l'emergenza sanitaria assegna all'esistenza biologica, alla vita, comporta invece una serie di conseguenze sull'assetto politico e sociale che in definitiva permettono alle istituzioni dello Stato, espressione della classe dominante, uno spazio di intervento tendenzialmente senza limiti.

E' sempre bene ricordare – per distinguerci da quanti si stracciano le vesti per l'offesa alla libertà e alla democrazia - che questo “potere” non nasce con la pandemia o con altre manifestazioni della guerra, e che il Capitale esercita la sua dittatura a prescindere dalle forme politiche che adotta. Il ricorso all'emergenza è solo la chiave che permette una manifestazione aperta e dispiegata delle sue prerogative, dietro invocazione di una necessità presentata come evidente e indiscutibile. Anche qui i precedenti storici non mancano: è sufficiente richiamare l'utilizzo che fece il nazismo dell'articolo 48 della Costituzione di Weimar, grazie al quale Hitler poté ricorrere a una legge emergenziale e garantirsi un potere illimitato in modo sostanzialmente legale. Oggi la storia si ripete, manco a dirlo, come farsa, se si considerano tutte le assurdità e le menzogne che vengono propinate e che meriterebbero di essere seppellite con una sonora risata se non fosse che costituiscono a tutti gli effetti altrettante manifestazioni di un arbitrio del potere, tanto più pericoloso in quanto manifestamente grottesco.

La concezione neoliberista della funzione dello Stato è però ben diversa da quella del totalitarismo nazista e fascista. Laddove lo Stato totalitario svolgeva un ruolo decisionale nelle scelte politiche a difesa dell'ordine capitalista, allo Stato operante in regime neoliberista spetta il compito di assecondare decisioni prese in ambito sovranazionale, nei luoghi di coordinamento delle istituzioni del potere politico-finanziario internazionale. Non si afferma quindi il totalitarismo dello Stato in quanto tale, ma, attraverso lo Stato, è il totalitarismo del mercato ad affermarsi. A ben vedere, la soluzione fascista e quella neoliberista sembrerebbero rappresentare, all'interno della comune prospettiva di conservazione dell'attuale modo di produzione, l'una l'antitesi dell'altra. La nostra corrente ha sempre qualificato il fascismo come tendenza della politica borghese a infrenare e controllare lo sviluppo delle forze produttive per moderarne l'impatto sugli equilibri sociali, mentre il neoliberismo persegue il libero movimento dei capitali e delle merci e, per conseguenza, il libero dispiegamento della potenza distruttiva del Capitale, potenza disgregatrice dell'ordine esistente e in quanto tale meritevole della qualifica di “rivoluzionaria” (Marx, “Discorso sulla questione del libero scambio”). Qui il carattere “rivoluzionario” del libero mercato e delle forze che vi operano potrebbe essere tale solo in quanto dissolutore dei vecchi assetti, e pertanto, in prospettiva storica, dello stesso ordine borghese. Ed è questa possibilità che spinge le élites borghesi a prospettare un nuovo totalitarismo all'interno del quale quelle forze possano agire senza portare al crollo del sistema.

Sarebbe pertanto improprio e fuorviante parlare di “nuovo fascismo” di fronte al totalitarismo che avanza. Al confronto con il totalitarismo che si prospetta, il fascismo storico appare una manifestazione piuttosto rozza e molto meno pervasiva di potere totalitario, dotata di mezzi tecnici di controllo e condizionamento davvero primitivi a paragone di quelli che la borghesia può mettere in campo oggi. Da questo punto di vista, una mobilitazione che si qualifichi come “antifascista” secondo le vecchie categorie rischia di portare acqua al mulino di un nuovo, ben più feroce totalitarismo. La propaganda a senso unico affibbia anzi con grande leggerezza la qualifica di neofascisti o nazisti a chi osa manifestare posizioni critiche nei confronti di quanto viene imposto d'autorità col pretesto della pandemia, mentre ignora completamente la crescita minacciosa del vero e proprio neonazismo quando questo risponde agli interessi geopolitici occidentali contro la Russia (Nota 5). La dissoluzione delle vecchie categorie politiche del quadro borghese conferma che la nostra corrente, la Sinistra comunista, aveva colto nel segno qualificando l'antifascismo, in quanto ideologia democratico borghese, come il peggior prodotto del fascismo.

Nel nuovo contesto, al ruolo dello Stato ben si attaglia anche l'inefficienza di cui si è detto. In regime neoliberista lo Stato non si può proporre come risolutore dell'emergenza. Esso si affida ad agenzie e a esperti portatori di interessi di gruppi e sottogruppi di potere economico e professionale a volte ben definiti, altre volte meno riconoscibili perché dietro le quinte, in “irraggiungibili” centri decisionali. La soluzione dell'emergenza è demandata al privato, ai grandi gruppi economici e finanziari che, avvalendosi dei propri scherani nei gangli vitali delle istituzioni pubbliche e nelle varie “task forces”, con la pressione lobbistica e la corruzione sono in grado di sottomettere ai propri interessi gli Stati, più agevolmente se indebitati e quindi privi di indipendenza monetaria. Ecco allora lo Stato non intervenire con soluzioni efficaci nel contrasto alla pandemia, promuovere il vaccino come unica soluzione e propagandarla con il sostegno dei grandi mezzi di comunicazione pubblici e privati. (Nota 6)

Mai come in questo caso il termine “campagna”, sinonimo di guerra quanto di azione pubblicitaria, si addice alla situazione: la prima linea dell'offensiva è il bombardamento mediatico che esaspera la drammaticità degli eventi e diffonde notizie contrastanti. La confusione dominante nella comunicazione alle masse, amplificata dalla pluralità degli attori in scena, è funzionale al mantenimento di una condizione di incertezza prolungata. Ciò che si presenta come dibattito democratico, in realtà esclude o marginalizza tutte le interpretazioni devianti o che potrebbero semplicemente allentare la tensione e riportare la discussione entro i binari della razionalità. Frammenti di verità vengono imbozzolati e digeriti nel gran calderone della comunicazione e le letture critiche vengono distorte e proposte come farneticazioni di individui eccentrici, manifestazioni patologiche difformi dalla “normalità” emergenziale. La martellante comunicazione al servizio dello Stato non esprime una voce unica, come avveniva nei cinegiornali dell'Istituto Luce, ma una pluralità “democratica” di voci che dibattono, si contraddicono e si scontrano. Ma tutte le lingue della Babele mediatica evitano accuratamente di toccare argomenti sensibili che potrebbero far vacillare il baraccone. Il nostro Partito, espressione della Sinistra comunista, ha tenuto diritta la barra del marxismo qualificando la democrazia come la forma più confacente alla dittatura del Capitale.

Nondimeno il passaggio dalla “normalità” all'emergenza, o alla “normalità dell'emergenza”, non è puro arbitrio, ma è sempre il risultato dell'insorgere di gravi minacce alla stabilità dell'ordine costituito, della necessità di rispondere o prevenire il loro manifestarsi.

Non possiamo qui ricostruire le fasi della crisi profonda che attraversa il modo di produzione capitalistico e che è emersa in tutta la sua potenza nella recessione del 2008-2009. Il decennio da allora trascorso è stato segnato dal rafforzamento del peso del capitale finanziario, ma anche da una crescita inarrestabile dei suoi valori – in gran parte fittizi - che li allontana sempre più da una produzione mondiale che avanza a ritmi decrescenti. La crisi generale porta con sé l'inasprimento delle tensioni tra imperialismi, l'aumento del divario tra Stati dominanti e Stati ad essi subalterni, crescenti difficoltà nella gestione delle ricadute sociali della stentata crescita. In breve, le contraddizioni che attraversano il mondo capitalistico hanno raggiunto un livello tale che alla classe dominante si impone la necessità di disporre di una più ampia capacità di manovra che le consenta di imprimere capillarmente la propria logica e di estenderla oltre i limiti delle nazioni. Logica politica e logica economica vanno di pari passo: l'azione politica, proprio perché asservita alla logica mercantile, si libera dai vincoli legislativi e istituzionali che la frenano in vista del salto a una fase superiore in cui quella stessa logica mercantile possa incidere ancora più in profondità su tutti gli aspetti dell'esistenza e in ogni luogo. Le forme del dominio di classe si devono adeguare, meglio se in modo incruento e non percepito come passaggio ad uno stadio della dittatura di classe più oppressivo del precedente. Nelle dichiarazioni dei governanti si può cogliere, nemmeno troppo larvatamente, l'ammonimento alle manifestazioni di resistenza a questa deriva che la benevolenza fa presto a volgersi in repressione. Una parola sintetizza il clima che aleggia ovunque: coprifuoco. Il passaggio, improvviso e spiazzante, incontra resistenze episodiche e poco organizzate. Le forze che si oppongono vengono criminalizzate, le voci critiche marginalizzate e censurate.

 

2) Resistenti

L'emergenza pandemica si propone come una manifestazione della crisi che consente al Capitale di affrontarla attivando preventivamente i fattori che potrebbero risolverla a suo vantaggio, e di consolidare nel contempo i pilastri dell'ordine vigente. Abbiamo più volte ribadito come il capitalismo fosse in profonda crisi ben prima della pandemia e che le soluzioni adottate per affrontare le conseguenze del tracollo del 2009 non abbiano fatto altro che approfondire le distanze fra valori finanziari e produzione reale, tra gli Stati e tra le classi, tra vecchi e nuovi imperialismi. Dall'instabilità generale e dal clima di incertezza che ne è nato sono emerse forze di opposizione all'indirizzo neoliberista dominante da quarant'anni, riconducibili al variegato fronte “neopopulista” e “sovranista” (da qui in avanti, per semplicità utilizzeremo il termine “sovranista” per entrambe le posizioni), che ha toccato i maggiori successi con l'elezione di Trump e la Brexit.

Questo fronte, oggi visibilmente indebolito dalla controffensiva delle forze che sostengono gli interessi della finanza internazionale, dalle sue forme più moderate alle più estreme, ha il tratto comune della riesumazione del valori nazionali come argine alle conseguenze della mondializzazione. Gli stessi 5stelle si erano affermati grazie a proclami apertamente anti UE e anti Euro, e a favore di un utilizzo della macchina-Stato come strumento di redistribuzione del reddito. Oggi politicamente morti e identificabili col livello di categoria alberghiera che i loro esponenti sono usi a frequentare, sono rimpiazzati in questo ruolo da un ventaglio di forze che va dalla destra istituzionale (Lega e Fratelli d'Italia), antieuropea a singhiozzo e sempre disposta al compromesso, alle formazioni dichiaratamente fasciste. Rappresentano invece una relativa novità le varianti che perseguono una politica nazionale dai tratti socialisteggianti, che si proclamano forze “di sinistra” con valori “di destra” (Vox Italia) o che si fanno sostenitori di una politica nazionalpopolare per molti aspetti assimilabile a quella del vecchio PCI, a partire dalla difesa a spada tratta della Costituzione (Fronte sovranista). (Nota 7)

Questo, che si proclama “sovranismo democratico” per distinguersi vuoi dalla destra fascistoide vuoi da forme di sovranismo meno conseguenti, ha espresso critiche radicali ai provvedimenti emergenziali e alle loro conseguenze politiche, economiche e sociali. Va riconosciuto che – nel clima censorio creato dai mezzi di informazione - la loro è una denuncia coraggiosa del servilismo del ceto politico verso le élites finanziarie e le istituzioni europee a guida germanica, della compressione dei diritti costituzionali e dello svuotamento delle istituzioni democratiche; più in generale queste forze denunciano che, sotto il pretesto della pandemia, è in atto un attacco senza precedenti agli interessi popolari, in particolare alla piccola borghesia, da parte delle forze che rappresentano il grande Capitale. In questo esse colgono senz'altro un fenomeno obiettivo, ma non collegandolo alla dinamica sottostante del capitale ne danno una lettura soggettivistica che attribuisce le responsabilità a individui o a gruppi di potere. Ciò che manca è il riconoscimento che quella concentrazione di potere in poche mani e la polarizzazione in atto sono effetto inevitabile della dinamica irreversibile di sviluppo capitalistico e che pertanto la pretesa di contrastarla con soluzioni conservatrici è del tutto illusoria e in definitiva reazionaria. In ciò non vi è nulla di nuovo rispetto a quanto scrivevano Marx ed Engels nel lontano 1848:

“ I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l'artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina l'esistenza loro di ceti medi... Essi sono reazionari, essi tentano di far girare all'indietro la ruota della storia” (Manifesto del partito comunista).

Nel rappresentare le istanze di questi ceti minacciati dalla dinamica inesorabile del Capitale, il sovranismo democratico accoglie alcuni contenuti classisti diluendoli entro rivendicazioni nazionali e fiscali sostanzialmente conservatrici, nostalgiche dei bei tempi in cui gli affari erano più facili e il welfare era più generoso, e ciò gli consente di raccogliere consensi anche tra le file del proletariato. Nella loro opposizione ai “mercati” questi movimenti ripropongono alcuni valori di riferimento che nell'arco di quarant'anni di neoliberismo la dinamica del capitale, agendo sugli assetti economici mondiali, ha progressivamente indebolito e conformato agli interessi mercantili. Al centro c'è la riaffermazione della mistificazione dello Stato politicamente indipendente e protagonista nelle relazioni interstatali, in grado di sostenere efficacemente il mercato interno e la posizione economica del Paese sul piano internazionale; uno Stato che, in virtù di questa forza, sia indipendente anche nell'azione di tutela e garanzia di prestazioni sociali essenziali; il ruolo della Banca Centrale come prestatore di ultima istanza libero dal condizionamento dei mercati internazionali; la mistificazione della Nazione come riferimento identitario collettivo. Nella visione sovranista, tali presupposti sono indispensabili per garantire l'assetto democratico del Paese e scongiurare derive totalitarie. Le caratteristiche dello Stato invocato dai sovranisti esprimono una buona sintesi della continuità storica tra fascismo e socialdemocrazia postbellica fino all'avvento dell'era neoliberista nei primi anni Ottanta. Se vi è discontinuità tra i due momenti è nelle forme, non nella sostanza. La forma totalitaria, in quanto prodotto dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione, è costretta ad assumere alcuni elementi propri della rivoluzione (antidemocratismo in politica e interventismo statale in economia); la forma democratica che si è generalizzata nel secondo dopoguerra è effetto di una fase espansiva del capitale e della conseguente crescita dei profitti e dei redditi, di per sé garanzia di relativa stabilità sociale, ma del periodo fascista conserva il forte intervento dello Stato nella gestione della vita sociale ed economica, l'integrazione nello Stato delle rappresentanze dei lavoratori, e sotto la benevolenza di facciata conserva la sua natura violentemente oppressiva che in alcune occasioni raggiunge la superficie in modalità clamorose (Genova 2001). La stessa forma democratica si è andata progressivamente svuotando di prerogative parallelamente alla dissoluzione delle organizzazioni riformiste, alla conversione delle socialdemocrazie al neoliberismo e alla concentrazione di potere nelle mani dei centri finanziari internazionali, sempre più capaci di condizionare pesantemente le decisioni dei governi. La crisi del 2008 ha segnato uno spartiacque oltre il quale si sono verificati eventi che hanno segnato altrettante svolte nella direzione di un nuovo ordine capitalista mondiale: per limitarsi all'Europa, la crisi greca – vero laboratorio di sperimentazione di politiche ultraliberiste e di asservimento di una nazione agli interessi dell'imperialismo – la crisi dello spread del 2011 con epicentro l'Italia, e ora la crisi pandemica.

Le forze che oggi si oppongono all'avanzata del Capitale a partire da una lettura del presente con lo sguardo rivolto al passato, coltivano la speranza di un irrealistico ritorno a fasi di sviluppo capitalistico ormai superate, con tassi di crescita oggi impensabili. Ciò non toglie che, pur con le loro contraddizioni e i loro limiti, queste forze costituiscono un ostacolo alla dinamica che procede ad imporre la logica mercantile ovunque non si sia ancora pienamente affermata. Esse esprimono una resistenza all'avanzare del Capitale nella sua opera di desertificazione e omologazione, e oggi potremmo aggiungere di sanificazione globale. La dinamica porta alla concentrazione, e la concentrazione, complice la crisi, spazza via ampi settori di piccola e media imprenditoria commerciale e produttiva, settori che costituiscono la composita base sociale di questi movimenti.

Ciò che i sovranisti democratici non possono vedere, a causa di una visione limitata e rivolta al passato, sono gli elementi esplosivi contenuti in questa dinamica. Riprenderemo questo aspetto più avanti.

Il grande dramma sociale in atto potrebbe rivelarsi solo un'anticipazione di prossimi sconvolgimenti ben più devastanti. Mentre scriviamo, la classe politica italiana ha da poco approvato la riforma del MES (meccanismo europeo di stabilità) scegliendo di aderire a quelle linee di finanziamento. Il MES è né più né meno lo strumento che, in ossequio all'“ordoliberismo” tedesco e agli interessi della banche tedesche e francesi, ha ridotto la Grecia a un paese di derelitti e morti di fame, oggetto di saccheggio ad opera delle grandi banche e dei grandi fondi di investimento internazionali.

Il voltafaccia dei 5Stelle su un aspetto che costituiva un punto di principio del loro programma elettorale, conferma la strutturale inaffidabilità di formazioni destinate inevitabilmente a farsi strumento dei poteri che in origine dichiaravano di voler combattere.

I voltagabbana si nascondono dietro la sospensione delle condizioni capestro imposte dalla UE per concedere i prestiti dovuta alla pandemia, ma quando questa emergenza sarà finita, c'è il serio rischio che l'Italia, anche qualora non facesse ricorso al MES, sarà considerata a tutti gli effetti dai “mercati” un Paese finanziariamente insolvente. C'è chi sostiene che la riforma del MES è stata concepita proprio allo scopo di indurre la ristrutturazione del debito pubblico italiano. Se questo è vero, ci sono tutte le condizioni perché l'Italia sia destinata a diventare in tempi più o meno brevi una Grecia all'ennesima potenza (Nota 8) anche se, considerate le dimensioni del Paese, potrebbe non essere del tutto improprio richiamare le condizioni della Germania del primo dopoguerra sottoposta ai diktat di Versailles. Sarebbe l'esito di una lunga guerra, combattuta questa volta con le armi della politica e dell'economia, per imporre definitivamente la supremazia tedesca sul continente europeo. (nota 9).

L'Italia, un paese capitalista di medio livello sempre meno dotato di una propria autonomia che lo renda soggetto attivo degli equilibri geopolitici di area e tra imperialismi, sta subendo un'aggressione equivalente a una guerra da parte delle istituzioni finanziarie internazionali che hanno nella Ue il braccio esecutivo. L'obiettivo, come fu per la Grecia, è mettere il Paese in svendita per far man bassa del suo notevole patrimonio industriale ed economico, senza disdegnare tutto ciò che attiene alla sua storia. Per il Capitale, la necessità che la logica predatoria dei “mercati” si affermi senza impedimenti è tanto maggiore in presenza di una crisi storica senza precedenti, che va ben oltre la contingente pandemia. Una crisi economica e sociale di vaste proporzioni quale quella che si va profilando costituisce per il capitale finanziario una splendida occasione per rafforzare la sua presa sulla società e per tentarne una ridefinizione complessiva, oltre che per trarne lauti guadagni. Di fronte a una prospettiva potenzialmente catastrofica, il PD continua a distinguersi per il suo europeismo servile e la CGIL invoca il ricorso ai finanziamenti europei. Anche in questo caso abbiamo la conferma che, nell'arco delle forze che rappresentano gli interessi della borghesia, il tentativo di opporsi alla consumazione di un vero e proprio crimine sociale, alla logica micidiale dei “mercati”, viene unicamente dalle file del cosiddetto sovranismo, nelle sue espressioni più conseguenti.

 

3- Morte della democrazia riformista ed esordi del nuovo totalitarismo

E' caratteristica tendenza del capitale l'incessante rivoluzionamento dei mezzi di produzione e, assieme ad essi, dei rapporti di produzione, delle modalità con cui gli uomini e le classi interagiscono tra loro. Il capitale non può sopravvivere senza tenere viva questa dinamica distruttiva/creativa che gli consente di ridefinirsi e riorganizzarsi su basi nuove e più avanzate. Così facendo, nel contempo, sviluppa al massimo grado le sue contraddizioni, e tuttavia queste stesse contraddizioni possono costituire un fattore di riorganizzazione e stabilizzazione. Le lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta furono la risposta di classe alla chiusura della fase di sviluppo postbellico e misero oggettivamente in discussione l'ordine capitalistico, ma si risolsero in una richiesta di maggior partecipazione ai benefici di quello sviluppo e di integrazione nel sistema. Il patto Capitale-lavoro che nei regimi fascisti si realizzava organicamente nel corporativismo statale, in regime democratico nacque dal compromesso che riconosceva una funzione alle organizzazioni operaie nella struttura dello Stato.

Ne derivò una ridefinizione dell'apparato statale e produttivo, le forme del dominio di classe si adeguarono e nell'occidente capitalistico furono concessi aumenti salariali e alcuni benefici in termini di welfare. I primi anni Ottanta segnano il culmine e la conclusione di questo processo: la “vittoria” del riformismo operaio decretò la crisi e spesso la liquidazione di tutte le organizzazioni rivoluzionarie, o pretese tali, che si appellavano al proletariato. Lo stesso notro Partito subì questo contraccolpo, e rischiò di scomparire. Da quel momento, il Capitale si dispose a smantellare quanto aveva dovuto concedere alla lotta operaia. Gli sconvolgimenti che sono seguiti nei successivi decenni hanno trasformato completamente l'assetto produttivo e di governo del capitale mondiale, hanno segnato l'apparente trionfo delle sue leggi inesorabili, ma hanno determinato scenari sempre più complessi e contraddittori. Oggi il caos più che essere dietro l'angolo fa già parte del presente, e diventa necessario per il Capitale imporre un ordine su nuove basi, un radicale adeguamento delle forme del dominio. L'ordine autoritario è la condizione entro la quale il caos sociale provocato dalla dinamica capitalistica lasciata libera di agire si può manifestare senza che vengano messi in pericolo i rapporti di classe. Lo “stato di eccezione” è un passaggio in questo adeguamento autoritario, è una tappa nello scontro epocale tra le classi che rafforza nuovamente l'iniziativa del Capitale e vede il proletariato subire, incapace ancora di manifestare una resistenza significativa. Chi nutre ancora dei dubbi sulla valenza di quanto sta avvenendo consideri la “Legge per la protezione della popolazione” , approvata dal Reichstag a novembre 2020, che richiama sinistramente la “Legge di difesa del popolo e del Reich” del lontano 1933, cui abbiamo fatto cenno sopra. Con il pretesto della salute pubblica, questa legge introduce provvedimenti draconiani che riducono o annullano le libertà personali, compresa l'inviolabilità del domicilio. I contenuti sono analoghi a quelli introdotti in Italia dal Dpcm di marzo 2020, con la notevole differenza che qui si tratta di una legge vera e propria, non un espediente “all'italiana” per aggirare i vincoli legislativi vigenti. La legge, approvata in tempi rapidissimi, è destinata a stravolgere completamente l'assetto democratico-liberale dello Stato tedesco, con ricadute inevitabili sugli altri Paesi della UE. E' notevole il fatto – in realtà chiaro segno dei tempi – che l'unica forza parlamentare apertamente e decisamente schierata contro la legge sia stata la destra di Alternative für Deutschland. Per contro, in Italia, un giornale come “il Manifesto”, che non ha vergogna a qualificarsi come “giornale comunista”, ha presentato la grande manifestazione di Berlino del 19 novembre come un “raduno dei neonazisti” contro i provvedimenti anticovid. La manifestazione – lo documentano i video sul Web – del tutto avulsa da connotazioni politiche evidenti, ha visto la partecipazione di gente pacifica, comprese famiglie con bambini, scesa in piazza perché cosciente che al Reichstag si stava consumando qualcosa di grave. Gli innocui manifestanti sono stati innaffiati di acqua gelata dalla polizia, alla faccia delle conseguenze sulla salute di gente rimasta fradicia al freddo a resistere a tanta violenza (Nota 10). Assistiamo dunque a un singolare ribaltamento, dove chi era fino a ieri additato a nemico storico dei “diritti” appare come loro unico difensore, e chi rappresenta la borghesia radicale di sinistra sostiene a spada tratta la logica antiumana del nuovo “potere” globale.

La tappa finale del percorso che il Capitale internazionale ha intrapreso fin dai primi anni Ottanta per imporre la logica mercantile in ogni aspetto della vita sociale alla scala mondiale si delinea ora con più chiarezza nelle sue implicazioni politiche e istituzionali. La storia fa le “capriole”: la sinistra borghese supporta la borghesia più infame, la destra sembra ergersi a “difensore del popolo”. La Sinistra comunista non vede in questo un ribaltamento dei “valori” dei due fronti, ma la conferma dell'omogeneità di entrambi con gli interessi storici del Capitale, i primi con quelli del grande capitale finanziario dominante, gli altri della piccola e media borghesia imprenditoriale in dissoluzione.

Un'ultima osservazione su questo punto: il Capitale sta per abbandonare a se stessa un'ampia parte della società che finora ha costituito un fondamentale fattore di stabilità e di conservazione, arginato la spinta del proletariato, fornito l'intellettualità, tanto “progressista” quanto conservatrice, che ha plasmato la cultura dominante, il senso stesso di una “civiltà” borghese. La scomparsa della classe media vale la scomparsa della cultura borghese così come si è manifestata fino ad oggi, scalzata da una concezione scientista, azzeratrice di ogni slancio che abbia il segno di un'umanità non ridotta a “mera vita”.

E' questo il nuovo Dogma, la nuova Religione mondiale. Si comprende allora perché alcuni tra i pronunciamenti più forti contro quanto sta accadendo provengano dalle file della Chiesa, anche contro il suo vertice che sembra aver abbracciato in pieno la logica del nuovo ordine in costruzione. All'abbandono della classe media al suo destino corrisponde la liquidazione della democrazia nella forma che ne rappresentava gli interessi e gli umori. Al Capitale concentrato, che ora dispone di potenti strumenti di controllo diretto della società, la funzione “conservatrice” delle classi medie, la loro forza inerziale non sono più così essenziali nella lotta contro il proletariato. Si tratta piuttosto di gestire con strumenti tecnocratici l'enorme massa di popolazione eccedente le possibilità di valorizzazione, accresciuta dalla decadenza dei ceti intermedi.

In questo quadro, le deboli forze che rappresentano gli interessi storici del proletariato sono marginalizzate e silenti. Non rientra tra i compiti storici del proletariato prendere le difese delle mezze classi in rovina. La loro dissoluzione è portato inevitabile della tendenza storica dell'accumulazione capitalistica, così come lo è la creazione di una sempre più vasta sovrappopolazione relativa. E' indubbio che da questi eventi il proletariato uscirà potentemente rafforzato nei numeri, e più ancora non dovrà fare i conti con il diaframma sociale di una piccola e media borghesia diffusa e ammorbante che lo separa dalla borghesia vera e propria, rappresentante gli interessi del Capitale concentrato. Si tratta di valutare se già oggi sia possibile gettare le basi della futura unificazione del proletariato accompagnando le mezze classi nella lotta che si apprestano a ingaggiare contro il grande capitale, non per assecondarle nei loro vani sforzi di conservazione, ma per opporre ad una prospettiva segnata da fallimenti annunciati – dai 5stelle a Trump - l'unica possibile: quella indicata dal Manifesto del partito comunista e dall'internazionalismo proletario.

 

4- Dalla tecnofinanza alla zootecnia sociale

In quasi tutti i Paesi capitalisticamente più avanzati si è creato attorno alla “pandemia” un clima bacchettone che dietro il velo dell'emergenza sanitaria e del richiamo paternalista al “rispetto per i morti” mira a una regolamentazione stringente dei comportamenti, anche dei più privati, per arrivare all'obiettivo di un generale disciplinamento dei comportamenti sociali. Il supremo bene della salute è il pretesto per giustificare il processo in corso di brutale irreggimentazione, controllo capillare e militarizzazione della società. La questione se il virus, per caratteristiche, diffusione ed effetti, giustifichi di per sé tutto questo, non trova affatto una risposta univoca nel mondo “scientifico”, ma i media hanno imposto univocamente l'interpretazione più catastrofista e il dibattito non c'è stato o è stato oscurato (Nota 11). Un dibattito aperto avrebbe potuto far luce sugli aspetti poco chiari dell'origine di questa epidemia, far chiarezza sulle sue reali dimensioni, sui suoi reali effetti sulla salute pubblica, sulle reali conseguenze sui contagiati. Ne sarebbe emersa l'inconsistenza della risposta che il capitale sa e può dare ai bisogni sociali, e non è escluso che la stessa portata dell'epidemia ne sarebbe uscita fortemente ridimensionata, col rischio di far crollare il palco. Ma alle domande scomode, la voce del padrone risponde con gli anatemi. Ormai la borghesia sembra aver rigettato i presupposti antidogmatici della scienza, che consentivano se non altro un confronto tra “liberi pensatori” - o presunti tali - per affermare un dogmatismo modellato sugli interessi delle forze che si sono appropriate della potenzialità di una scienza intesa marxisticamente come risultato storico del lavoro collettivo della specie.

Solo in una società comunista la risposta della scienza si proporrà come sintesi univoca perché univoco sarà l'obiettivo all'interno del piano generale di specie. All'opposto, gli amministratori degli interessi capitalistici devono conciliare l'inconciliabile: il profitto privato – in tutte le sue varie forme, talvolta in competizione tra loro – e il “bene comune”, la circolazione delle merci e il freno alla diffusione del virus che circola con esse. La pretesa della scienza borghese di essere “libera” da ogni condizionamento è il presupposto del suo asservimento alle leggi del Capitale; la sua è libertà di vendere le proprie scoperte al miglior offerente, senza alcun riguardo agli scopi che saranno perseguiti. Essa stessa funziona come un'azienda, si struttura in aziende o ne costituisce il ramo “ricerca e sviluppo”. Non sono ammessi scopi che contraddicano l'interesse aziendale e dei suoi azionisti identificabili, ormai più che in qualche Paperone, nei grandi fondi di investimento mondiali, nella gestione anonima di una massa enorme e concentrata di capitali frutto di risparmi, liquidazioni e capitale propriamente detto proveniente dalla società. La scienza liberata dagli scopi per cui opera è la condizione per il suo completo asservimento agli interessi di chi la finanzia e organizza.

Ciò che si conferma con la pandemia non è solo l'inconsistenza della scienza attuale in relazione alla soluzione dei problemi umani in quanto deviata dagli obiettivi di bilancio aziendali, ma la sua stessa capacità di pervenire a una reale conoscenza dei fenomeni:

“E' nostra tesi […] che questa impotenza della 'civiltà' e della 'cultura' capitalistica di possedere la scienza sociale e storica vale impotenza alla scienza in generale, alla conoscenza della natura e del cosmo anche in campo fisico. Non esiste dunque un comune metro della 'scienza' a cui si possano misurare le nostre conclusioni e quelle del mondo borghese” (L'“Estremismo, malattia infantile del comunismo”, condanna dei futuri rinnegati”, Edizioni il programma comunista, p. 63).

E proprio alla sua presunta scienza si affida il partito del Capitale non semplicemente per ricavarne consiglio e consulenza, ma per far passare decisioni politiche altrimenti improponibili. Lo Scienziato, il Tecnico, l'Esperto dall'alto delle loro somme competenze prendono il posto del Tiranno in orbace, sono loro gli Energumeni del Terzo millennio. In Italia, i superesperti del CTS, elevati a unici e indiscussi interpreti della crisi sanitaria, ne diffondono una lettura allarmistica come allarmistica fu a suo tempo la lettura della crisi del debito pubblico che portò al governo i superesperti di Monti. Oggi come allora i tecnici sono presentati come i salvatori della Patria dalla sicura catastrofe in virtù degli alti meriti accademici.

C'è una continuità lineare tra le soluzioni tecniche del governo Monti (2012) e quelle del CTS cui si affidano i governanti d'oggi: la crisi va in qualche modo orientata, in modo da affrontare i fattori di crisi strutturale della società indirizzandola verso assetti più consoni alle necessità capitalistiche. Il professor Monti, che col pretesto del debito pubblico ha bombardato il sistema sanitario e pensionistico e viene oggi premiato dall'OMS con la presidenza della “Commissione europea per la salute e lo sviluppo sostenibile”, da buon neoliberista sostenne a suo tempo che gli shock sono augurabili in quanto consentono di far passare riforme altrimenti improponibili. Quando era al governo, in veste di portatore del verbo neoliberista dichiarò di voler “contribuire a cambiare la mentalità degli italiani”, e con ciò si augurava di convincere la popolazione, con le buone o con le cattive, della necessità improrogabile di un inaudito rigore. Allora la pandemia era finanziaria e si concentrava sulla crisi dello spread tra titoli di Stato. Il bombardamento propagandistico suonava l'allarme sul rischio imminente di un default che avrebbe di lì a poco precipitato il Paese al livello della disgraziata Grecia. Con il bocconiano al governo, la pandemia finanziaria, ohibò, finì di botto. Se la semplice minaccia di uno shock finanziario fu allora sufficiente a far passare riforme “lacrime e sangue”, c'è da tremare al pensiero di quali porte infernali possa aprire una pandemia come questa, che intanto già porta a compimento la riforma pensionistica liquidando il vetusto “capitale umano” che costa in manutenzione e non produce nulla, se non bisogni. Cosa ci può essere di più efficace dello shock a cui è stata sottoposta la popolazione quando volavano gli elicotteri sulle teste e la gente aveva paura perfino di uscire a portare le immondizie, per cambiare la mente delle persone? Chi osava fare un passo oltre la soglia di casa doveva sentirsi colpevole di mettere a rischio la vita altrui, di “tentato omicidio”, di mancanza di scrupoli, scarso senso civico, e chi più ne ha più ne metta. Il governo Conte – tanto più funzionale agli interessi capitalistici quanto più mediocre – col pretesto della salute pubblica è riuscito a trasformare l'intero territorio nazionale in una galera a cielo aperto, ma poco ha fatto per mettere il sistema sanitario nelle condizioni di rispondere alla “seconda ondata”. La soluzione del cosiddetto lockdown – in italiano “segregazione”, brutta parola da evitare – potrà essere applicata ogni qualvolta sarà necessario con un semplice atto amministrativo. La pandemia sta portando a compimento il progetto di smantellamento delle strutture pubbliche demandate a svolgere funzioni sociali. Il sistema sanitario e quello scolastico non sono ancora collassati solo per il sacrificio di chi ci lavora e il sistema previdenziale pubblico sarà duramente messo alla prova dalla crisi economica che il Covid lascerà dietro di sé. Si fa fatica a convincersi che davvero tutto sia casuale, ma se anche così fosse non si può non associare la crisi attuale a una fase di avanzamento del progetto neoliberista che, dopo aver indebolito la capacità di intervento delle strutture pubbliche con la spending review, si propone di trarre frutto dalla loro impotenza per smantellare ciò che rimane del welfare e di assegnare al Capitale le vaste opportunità di profitto offerte dai bisogni sociali basilari. La salute è affidata agli interessi dei grandi gruppi farmaceutici, controllati dai principali fondi finanziari, che vedono nei vaccini l'occasione di rilanciare i profitti con il denaro pubblico che i governi al loro servizio sono e sono stati pronti a versare senza badare a spese e, qui sì, con il massimo sforzo di efficienza. Una politica che sostiene senza pudore questi interessi non solo è serva dei gruppi finanziari, ma tratta gli esseri umani come un allevamento industriale tratta le sue mucche: applica una sorta di zootecnia sociale. Siamo in piena biopolitica, una politica che apre e chiude i recinti, delimita le aree di pascolo, interviene capillarmente con la pressione psicologica, instilla una condizione di incertezza e paura permanente, opera un condizionamento mediatico, economico e sanitario allo scopo di uniformare e omologare i singoli alla realtà totalitaria del Capitale: in sintesi, assistiamo a un passo avanti nel processo di domesticazione delle masse.

Comunque la si pensi sul virus, è innegabile che l'emergenza offre al Capitale l'opportunità di appropriarsi ancor più di ogni aspetto dell'esistenza umana, e che questo obiettivo non può prescindere da una svolta politica indirizzata a una riorganizzazione complessiva della società capitalistica in senso fortemente autoritario. Ciò che è stato possibile fare quanto a restrizioni delle libertà individuali e sociali rappresenta un precedente dal quale sarà difficile recedere (Nota 12).

 

5- Tecnopotere nella “società fabbrica”

Il processo di concentrazione capitalistico porta con sé anche la concentrazione del (lo Stato) politico, e, come avviene nella produzione, lo sviluppo tecnologico è esso stesso fattore e prodotto di questa concentrazione. Oggi le istituzioni dello Stato del Capitale dispongono di una capacità tecnica che permette di concentrare e gestire una enorme quantità di informazioni, di strumenti di controllo sociale capillari, e la crisi pandemica ha spinto in avanti la possibilità di sperimentare e dispiegare questa capacità, prospettando un controllo sempre più mirato, individualizzato. Le stesse procedure di rilevamento dei contagi e le stesse vaccinazioni potrebbero essere il tramite per una raccolta di dati sul patrimonio genetico e addirittura di intervento sullo stato di salute dei singoli, con ricadute in termini di condizionamento e indirizzo dei comportamenti. Non è fantascienza prospettare la limitazione della libertà di movimento o il licenziamento di quanti rifiutino il tracciamento o il vaccino; non è fantascienza prospettare il blocco dei conti correnti di soggetti restii al condizionamento, peggio se tendenti alla ribellione. Tutto ciò è tecnicamente possibile non da oggi, ed è comandamento dello spirito dei tempi che ciò che si può fare si deve fare, come ciò che si può produrre si deve produrre, anche se – come la bomba atomica – apre lo spiraglio all'apocalisse (vedi Gunther Anders, L'uomo è antiquato, Boringhieri). La sola possibilità di fare qualcosa, per quanto terribile, la rende già presente, attuale, non solo come minaccia ma come condizionamento in atto delle vicende umane. Tutta la potenzialità contenuta nella strumentazione tecnica in mano al Capitale grava sull'umanità come presenza che la pone in balìa della follia di una classe storicamente condannata che ambisce a plasmare il mondo a suo piacimento e lo condanna a sua volta a un presente in continuo mutamento ma senza avvenire, alla “fine della Storia”, alla perpetuazione del capitale.

A questa enorme concentrazione di potenza tecnologica nelle mani dello Stato – organico alle grandi concentrazioni economiche e di queste fedele esecutore – corrisponde la tendenza alla frammentazione della società in individui isolati per i quali il contatto sociale, ridotto al minimo, è surrogato dall'aumento della connessione attraverso la rete. L'imposizione del lockdown è strettamente correlata al potenziamento e la generalizzazione dell'uso dei mezzi informatici nella società ad ogni livello, dalla salute alla scuola, dalla pubblica amministrazione al lavoro. Per il capitale concentrato i vantaggi sono enormi: possibilità illimitata di controllo e condizionamento dei comportamenti sociali; aumento della produttività in tutti i campi, dalla fabbrica ai servizi; parcellizzazione della forza lavoro e estensione della subordinazione del lavoro al capitale attraverso la tecnica; riduzione degli spazi di socialità dove è ancora possibile definire un senso di appartenenza; distruzione progressiva della piccola produzione e della piccola distribuzione a vantaggio delle grandi concentrazioni produttive e commerciali; limitazione delle possibilità di un armonico sviluppo psicofisico nelle nuove generazioni, le più propense a mettere in discussione il mondo, depotenziate a terminali del Leviatano informatico.

Che cosa c'entra questo scenario distopico con la lotta di classe? C'entra eccome! Fin dalle sue origini il Capitale ha reagito alla resistenza dei proletari allo sfruttamento con innovazioni tecnologiche. Marx ne parla nella sezione del Primo Libro del Capitale dedicata alla produzione del plusvalore relativo. La tecnologia è sempre stata l'arma utilizzata a tutti i livelli dal Capitale contro i proletari per affermare e consolidare il proprio dominio, tant'è che le prime reazioni operaie organizzate si sono rivolte contro le macchine (“La lotta fra operaio e macchina”, in Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti, 1980, p.472). Non fosse stato per la resistenza operaia allo sfruttamento, i capitalisti non avrebbero avuto alcun interesse a sviluppare il macchinismo; lo sviluppo tecnologico in questo senso è un risultato della lotta di classe, e in quanto prodotto del lavoro umano di cui il Capitale si è impadronito, lo strumento principale della sottomissione del lavoro al Capitale. Le guerre, quelle generali e la miriade di conflitti locali, sono state occasione per dispiegare le più avanzate tecniche di omicidio di massa e distruzione, ma sono state anche il laboratorio della sperimentazione di innovazioni tecnologiche con ricadute dirette sulla produzione a scopi civili in ogni campo. Il fatto che le principali innovazioni tecnologiche – Internet compresa - siano uscite dai centri di ricerca militari la dice lunga sulle loro finalità. Dall'informatica alla robotica, dalle biotecnologie alla linguistica, i laboratori del Capitale sfornano altrettante armi contro il proletariato, e quanto più la condizione proletaria si estende, tanto più queste armi sono rivolte contro la specie.

Ai tempi di Marx le macchine erano confinate ai luoghi di produzione. Marx vide in esse l'incarnazione di un rapporto sociale che consentiva al Capitale di estrarre una quota maggiore di plusvalore dal singolo operaio e di aumentare la produttività, e nello stesso tempo di imporre nella fabbrica il proprio dominio quanto a tempi, ritmi e modalità di produzione. Attraverso la macchina l'operaio veniva espropriato della sua capacità di lavoro e privato del controllo delle condizioni di produzione. Il sistema di fabbrica segnava così il passaggio dalla subordinazione formale del lavoro al capitale alla subordinazione reale, a cui corrispondeva l'estrazione di quote crescenti di plusvalore relativo. Messo di fronte alla macchina, l'operaio era costretto ad adeguarsi alle necessità del mezzo facendosene appendice, uscendone trasformato nel corpo e nello spirito, ridotto a strumento. L'unica possibilità di recuperare la propria piena umanità era nel riconoscersi membro di una classe sfruttata, nell'organizzarsi e lottare per volgere la condizione di assoggettamento e annientamento in presupposto per la propria liberazione e la conquista di una piena dimensione umana ad un livello più elevato, sociale.

Oggi le macchine pervadono ogni aspetto dell'esistenza. Il sistema di fabbrica si estende ovunque vi sia del macchinario che eroga merci e servizi, ovunque vi sia produzione, ma anche ovunque vi sia consumo, perché anche il consumo dipende sempre più dalla strumentazione diffusa. Vi sono prodotti tecnologici che producono bisogni specifici che possono essere soddisfatti solo dalla tecnologia; altri soddisfano bisogni essenziali come la salute, l'istruzione... Non c'è aspetto della vita che non implichi un collegamento dell'essere umano con la macchina. Questa realtà provoca inevitabilmente un cambiamento nella natura umana e, nel momento in cui rende il singolo sempre più dipendente dalla macchina, lo rende sempre più dipendente dal Capitale, sempre più “isolato accessorio vivente”.

Per Marx all'interno del processo di produzione del capitale il lavoro “è una totalità” che “si presenta al servizio di una volontà estranea e di un'intelligenza estranea, e ne è diretto, […] subordinato all'unità oggettiva delle macchine, del capitale fisso, che come mostro animato oggettivizza il pensiero scientifico e ne è di fatto la sintesi, e non è esso come strumento a riferirsi al singolo operaio, ma è piuttosto l'operaio come singola puntualità animata, come isolato accessorio vivente, ad esistere in funzione sua” (Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, II, La Nuova Italia, p.93)

Quella “totalità del lavoro” che ai tempi di Marx era confinata al processo produttivo di fabbrica oggi è data dalla totalità delle innumerevoli combinazioni in cui il lavoro si presenta nella società (si pensi alle catene del valore) e dall'interconnessione delle reti che fanno di produzione e consumo un unico sistema generale. Tale sistema si estende a ogni sorta di servizi, di prestazioni in cui il lavoro dipende da un macchinario che, anche se fisicamente isolato, è interconnesso con ogni altro punto del sistema ed è pur sempre prodotto oggettivato, sintesi del pensiero scientifico, del quale l'addetto, la singola puntualità animata, è puro accessorio. Se la realtà si presenta ormai come generalizzazione ad ogni aspetto della vita sociale – e ciò potrebbe essere ancor più vero nel futuro prossimo – del dominio del Capitale sul lavoro vivente, o più ancora sulla vita umana nella sua totalità, comprensiva di lavoro, consumo e bisogni, allora questa subordinazione non è più data principalmente da un rapporto giuridico che attesta il processo di appropriazione esercitato dal Capitale sul lavoro, ma è una subordinazione reale, esercitata attraverso il processo di produzione e riproduzione della vita sociale mediato dal pensiero scientifico oggettivato nelle macchine (Nota 13). L'elevazione del sistema di fabbrica a sistema sociale complessivo è la base oggettiva su cui è possibile costruire l'emergenza che impone il distanziamento e l'isolamento. Provvedimenti di una così grande portata e di una valenza giuridica così dirompente possono avvenire solo sul fondamento della possibilità reale, oggettiva, di consumare e produrre come individui isolati, della riduzione dei produttori a isolati accessori viventi.

Altro aspetto da considerare è che queste macchine funzionano sempre più autonomamente e l'intervento dell'uomo è sempre più di semplice supporto o fruizione. L'autonomia delle macchine esprime l'autonomia del capitale in rapporto alle esigenze umane. Le macchine devono funzionare, sempre e comunque, a prescindere dalla finalità apparente (collaterale, secondaria... accessoria) di soddisfare i bisogni umani. Anzi, questo fine, ampliato dalla proliferazione di bisogni fittizi, diventa il mezzo che giustifica il funzionamento della gigantesca macchina produttiva, che è la finalità vera del sistema. Su tutto domina il gigantesco movimento della finanza internazionale, a cui è assegnata la facoltà obiettiva di decidere ciò che si deve produrre, dove e come in base alle necessità dell'interesse che si nutre di profitto. Questo cervello generale del capitale, del tutto autoreferenziale, ha anch'esso un funzionamento autonomo, dipende sempre meno dalle decisioni di questo o quel gruppo di potere e sempre più da algoritmi che decidono al posto degli uomini.

Un tale gigantesco apparato impersonale di dominio non esprime tuttavia il dominio della tecnica sull'uomo che l'ha creata, come teorizzano alcuni (vedi Anders, cit.), ma ancora e sempre il dominio dell'uomo sull'uomo mediato dalla tecnica, il dominio di una classe sull'altra attraverso la tecnica. Come ai tempi di Marx, la macchina continua ad esprimere un rapporto sociale, che ora si estende non solo formalmente, giuridicamente, ma anche nelle sue implicazioni reali ben al di fuori della fabbrica. Esso pervade tutto il tessuto sociale, e la stessa esistenza individuale è fortemente colonizzata dal Capitale. Ma come sempre la realtà si pone in modo dialettico: lo sviluppo tecnico è anche espressione dello sviluppo raggiunto dalle forze produttive sociali, e in questo senso rappresenta nello stesso tempo il superamento dell'attuale modo di produzione. Se dunque la tecnica è usata per rafforzare le catene che confinano l'umanità nei limiti delle società di classe, già prefigura il loro scioglimento. Quello che oggi è il cervello generale del capitale può volgere nel cervello generale della specie, l'elaboratore di conoscenze e dati complessi al servizio dell'umanità. Questo cervello generale è già in grado di fornire le risposte possibili ai problemi epocali che la nostra specie si trova a fronteggiare, problemi che il capitalismo ha creato e non è in grado di affrontare e risolvere. Siamo certi che i potentissimi computer ora al servizio del Capitale, se interrogati sulle soluzioni alle tremende minacce che gravano sull'umanità, esprimerebbero in formule la necessità del passaggio al comunismo, direbbero che le soluzioni non si trovano nei più moderni ritrovati tecnologici, ma nel salto rivoluzionario alla società futura.

Viceversa, le “soluzioni” che le potentissime macchine possono dare nel rispetto dei ristretti limiti degli attuali rapporti di produzione possono solo mirare alla conservazione di questi, a stringere sempre più le maglie dell'oppressione e a perpetuare i presupposti della catastrofe.

 

6- Piano del Capitale e piano di specie

Non abbiamo ancora accesso alle potenti macchine previsionali, ma anche limitandoci alle idee di semplici esseri umani troviamo conferme interessanti. Di fronte alle proporzioni senza precedenti di questa crisi, ma ancor più alla sua qualità, perfino tra gli economisti keynesiani trova spazio l'idea che serva molto di più di un intervento circoscritto alla spesa pubblica per incrementare redditi e occupazione per gestire in modo efficace tutte le contraddizioni del presente e affrontare le sfide future che attendono l'umanità: si impone invece una pianificazione generale mondiale (Nota 14). Detto con parole nostre, si impone un piano di specie. Questo ancor timido sconfinamento rispetto ai limiti che il sistema della scienza borghese impone ai suoi chierici, rimane ben lontano dalla consolidata tradizione di due secoli di marxismo rivoluzionario, appartiene ancora all'atteggiamento dell'intellettuale che pretende o ambisce a fare chissà quali “scoperte”, o “riscoperte” e ad attribuirsene il merito: ma se passiamo sopra a questi aspetti dobbiamo riconoscere in simili pronunciamenti l'azione esercitata dalla forza degli eventi che spinge sempre più soggetti, di diversa estrazione, a brancolare, senza rendersene conto, verso la Rivoluzione. Certo, a guardarsi in giro ce n'è per tutti i gusti, ma il percorso di ricollocazione delle forze individuali indotto dal violento processo di polarizzazione economica è iniziato anche sul piano teorico e politico.

Ancor più suggestivo è che lo stesso nemico di classe sembra volersi dotare di un piano generale e mondiale. Incredibile a dirsi, anche il partito del Capitale sembra essere giunto alla conclusione che è necessario un mutamento radicale di fisionomia del sistema economico e sociale che, così com'è, non ha futuro. A detta di Klaus Schwab, fondatore e capo dell'Esecutivo del World Economic Forum, “La crisi del COVID-19 sta colpendo tutti gli aspetti della vita della gente in ogni angolo del mondo. Ma la tragedia non è necessariamente la sua unica eredità. Al contrario, rappresenta una rara ma stretta finestra di opportunità per riflettere, ripensare e far ripartire da zero il nostro mondo per creare un futuro più sano, più equo e più prospero.”

Depurato dalla retorica ipocrita di questa gente, si tratta a ben vedere di un progetto ambizioso che prospetta radicali cambiamenti nell'assetto politico e sociale per conformarlo agli interessi delle grandi concentrazioni finanziarie. Ben consapevoli della nuova devastante crisi finanziaria che si sta annunciando, le élites del capitale si sono determinate al compito titanico di riprogrammare il mondo, di operare un “Grande Reset” per garantirsi la salvezza, gabellando la propria per quella dell'umanità. Il loro programma si articola in alcuni punti fondamentali:

1) Modello di sviluppo “green”: rottamazione del modello di sviluppo basato sullo sfruttamento illimitato delle materie prime e sui consumi di massa per sostituirlo con un modello “green” che preveda l'utilizzo generalizzato di energie alternative e il passaggio a produzioni più “sostenibili”. Questa conversione all'ecologismo non è figlia della necessità di “salvare l'ambiente”, ma di rinnovare le fonti esauste del profitto su cui gravano sovrapproduzione, sovraindebitamento e tassi di profitto/interesse calanti.

Il passaggio a nuovi consumi energetici e a nuove produzioni (Quarta rivoluzione industriale) comporterà una enorme distruzione di capitale e, nella speranza delle élites, un rilancio su nuove basi del ciclo di accumulazione a partire da investimenti “verdi”.

2) Intelligenza Artificiale: la conversione “ecologista” non potrà prescindere dall'introduzione di nuove tecnologie in tutti i campi, dalla produzione ai trasporti, dalla scuola alla sanità. Tutti ambiti in cui produzione e servizi si svolgeranno sempre più “da remoto” o a domicilio, riducendo al massimo i trasporti e gli spostamenti: dalla mobilità delle persone e delle merci si passerà alla mobilità delle informazioni e dei dati.

Nel nuovo assetto, il grande cambiamento sarà dato dal ribaltamento del rapporto tra l'uomo e la macchina che oggi ha la sua forma più evoluta dell'Intelligenza Artificiale: non sarà più l'uomo a controllare la macchina/computer e a utilizzarla a proprio vantaggio, ma la macchina/computer a controllare l'uomo, in un sistema generale di tracciamento, controllo e condizionamento.

3) Passaggio dalla proprietà all'affitto (Uberizzazione): gli individui appartenenti alla massa proletarizzata fruiranno sempre meno di proprietà loro appartenenti e sempre più pagheranno affitti, leasing e abbonamenti su una gamma sempre più ampia di beni e servizi. Da questa spoliazione del diritto di proprietà conseguirà che tendenzialmente sarà trasformato in capitale, fonte di profitto e di rendita, tutto ciò che rientra nelle necessità della vita umana. Il sistema finanziario acquisirà progressivamente la proprietà di tutto ciò che può essere trasformato in fonte di profitto o di rendita. Nello stesso contesto si situa la digitalizzazione del denaro.

Le stesse èlites prevedono che nei Paesi capitalisticamente avanzati l'avvento della Quarta rivoluzione industriale comporterà l'espulsione di 800 milioni di lavoratori, sostituiti da nuove tecnologie. Questa ulteriore, drastica riduzione dell'apporto del lavoro umano alla produzione comporterà che gran parte della popolazione, quella non integrata stabilmente nel nuovo assetto tecnopolitico o non fruitrice di rendita, sarà stabilmente precarizzata, marginalizzata e gestita con nuovi e sofisticati strumenti di controllo sociale. Oltre a provvedere alla repressione e alla sorveglianza, allo Stato è riservato il compito di collaborare con i “privati” attraverso il finanziamento dei progetti da loro proposti. Stiamo già vedendo esempi di questo “partenariato pubblico-privato” nella corsa a finanziare l'acquisto di milioni di mascherine al giorno prodotte da FCA e nella sottoscrizione di contratti con le Big Pharma per l'acquisto di vaccini prima ancora che questi siano stati sottoposti a tutte le procedure di controllo. Chiudiamo questi pochi accenni al cosiddetto Grande Reset – argomento che non si può esaurire qui – sottolineando la sua piena coerenza con quanto abbiamo vissuto nel 2020, “annus horribilis”, in termini di riduzione dei consumi, riduzione degli spostamenti, smart working, spoliazione di ampi settori di piccola imprenditoria, dissoluzione dei presupposti della democrazia parlamentare (Nota 15).

* * * *

L'avvento della “pandemia” ha impresso una accelerazione dello sviluppo capitalistico verso nuovi assetti nei quali la gestione delle contraddizioni sarà affidata uno “stato di eccezione” ricorrente o permanente. Lo “stato di eccezione” consente alla borghesia finanziaria internazionale, guidata dalle sue élites, di esercitare un dominio sempre più stringente con il dispiegamento dei più avanzati mezzi scientifici e tecnologici di cui detiene il controllo. Ciò che si sta realizzando è l'adeguamento dell'assetto politico, degli equilibri tra le classi e dei rapporti economici alle condizioni reali del dominio capitalistico, esercitato attraverso il dominio tecnico-scientifico su ogni aspetto della vita umana. Si potrebbe dipingere uno scenario orwelliano se non fosse che, da marxisti, sappiamo i tentativi del Capitale di imporre un piano si scontrano con le contraddizioni ineliminabili del sistema. Nessuna stabilizzazione capitalistica è sostenibile a lungo termine e nulla può salvare il capitalismo dalle sue tare congenite: la caduta del tasso di profittabilità degli investimenti, l'anarchia del mercato, la lotta tra fazioni borghesi e fra Stati, la lotta di classe.

Considerata l'attuale forza del Capitale e l'assenza di un movimento in grado di contrastarne i progetti, non possiamo escludere, Manifesto del 1848 alla mano, che gli esiti dei futuri sconvolgimenti, qualora non si apra la via della rivoluzione proletaria, si risolvano nella “rovina di tutte le classi in lotta”. La catastrofe potrebbe derivare da una accelerazione del processo naturale di estinzione provocata dalle modalità di interazione della società classista con l'ambiente - che nessuna svolta “green” potrà modificare in permanenza di regime capitalista - oppure il caos sociale potrebbe rivelarsi ingestibile e indurre un'implosione e una regressione a stadi di sviluppo precedenti. Gli sconvolgimenti che si prospettano nelle società sviluppate potrebbero determinarne la disgregazione con esiti imprevedibili. Così Trotsky al III congresso IC: “... in linea teorica, non è esclusa la possibilità che la borghesia, armata del suo apparato statale e della sua lunga esperienza, possa continuare a combattere la rivoluzione fino al punto di privare la civiltà moderna di ogni atomo di vitalità, fino al punto di sprofondare l'umanità in una catastrofe e in un duraturo declino”. Oggi, a un secolo di distanza, constatiamo che l'armamento della borghesia si è dotato di un enorme apparato di controllo e condizionamento sociale, e di un sistema scientifico e tecnico in grado di incidere in profondità sulle condizioni di esistenza della specie. Lo sbocco rivoluzionario è affidato più che mai all'incontro esplosivo tra l'insorgenza di un grande movimento di massa spontaneo e la maturazione del fattore soggettivo, il Partito di classe, senza i quali le contraddizioni generano il caos, e nel caos si impone – temporaneamente ma efficacemente – la potenza organizzata del Capitale.

Resta l'elemento principale che tiene aperte le porte del futuro: il Capitale non può eliminare la lotta di classe. La borghesia come classe dominante ne è perfettamente cosciente e per questo combatte con modalità che cercano di imporre le condizioni dello scontro e di costringere il suo nemico storico sulla difensiva e nella condizione di non poter reagire. Alla luce delle grandi trasformazioni in atto nell'assetto sociale e produttivo, assisteremo all'ulteriore accelerazione della concentrazione del Capitale da un lato, e all'espropriazione di una parte notevole della società dall'altro. La società di domani sarà segnata da una polarizzazione estrema che minaccerà gli attuali rapporti sociali e il Capitale si appresta a gestire il nuovo scenario con ogni mezzo politico, ideologico, tecnico, sanitario ed economico di cui dispone. La crisi ha raggiunto un punto tale che, a ben vedere, costringe le élites borghesi a anticipare nel loro “piano” alcuni aspetti della società futura nel tentativo di farne altrettanti puntelli del sistema. Deindustrializzazione e riduzione dei consumi, dei trasporti inutili e dei fattori inquinanti significa già imporre dei limiti allo sviluppo del Capitale che difficilmente il sistema sarà in grado di tollerare. Il passaggio dalla proprietà privata al possesso e all'utilizzo dei beni è destinata a sgombrare il campo dal pregiudizio borghese che la proprietà privata sia un diritto inalienabile della persona, strettamente connesso alla sua libertà, e non un peso, una limitazione della possibilità di vivere un'esistenza libera e pienamente sociale. Ancora più significativo è il riconoscimento di fatto della marginalità del lavoro vivo nella formazione del valore e della riduzione ai minimi del tempo di lavoro necessario alla produzione e alla riproduzione delle condizioni di esistenza della società. Ciò equivale a riconoscere la scomparsa della condizione fondamentale all'origine del modo di produzione capitalistico: l'appropriazione di lavoro vivente come fonte della valorizzazione. Per ultimo, la prospettiva di una trasformazione del denaro in qualcosa di molto diverso da ciò che è oggi prelude alla sua scomparsa. In tutte queste obiettive “anticipazioni” sta l'aspetto “esplosivo” della tendenza in atto: al punto in cui è giunto, il modo di produzione capitalistico non solo anticipa alcuni aspetti della società futura, ma deve spingersi a svilupparli tentando di contenerli entro le sue compatibilità.

Tutto questo velleitario “piano del Capitale” converge nell'obiettivo di ridurre l'intera società umana a fonte di profitto e rendita per compensare l'inaridimento della fonte primaria del profitto – il lavoro umano – e se si realizzerà si rivelerà come il trionfo di un antiumanesimo intollerabile e senza futuro, una espropriazione di massa verso la concentrazione estrema e la polarizzazione sociale estrema. Le rivoluzioni avvengono – ricorda Lenin ne l'Estremismo – quando anche “gli strati superiori non possono fare come per il passato”, e questa condizione è dichiarata tra le righe del “Grande Reset”. Sappiamo che il Capitale lotterà fino all'ultimo con le unghie e con i denti per preservare gli attuali rapporti di produzione in presenza di condizioni economiche e sociali che li hanno ampiamente superati.

La Storia si prepara dunque a un nuovo svolto decisivo che sarà segnato inevitabilmente dalla ripresa della lotta di classe, non per provvisorie conquiste, ma per la vita o per la morte.


NOTE
1- E' quanto sostiene, con il supporto di ampia documentazione, il giornalista d'inchiesta Franco Fracassi, in Protocollo contagio, Indigraf, 2020. Nel libro si legge dei tanti misteri che circolano sul laboratorio segreto di Wuhan, snodo complicatissimo di interessi internazionali che coinvolgono direttamente, oltre alla Cina, la Francia e gli Stati Uniti, e per quanto attiene all'impegno finanziario, i tre principali fondi di investimento mondiali che gestiscono da soli una buona fetta del valore totale prodotto annualmente sul pianeta.
2- I paralleli storici di eventi previsti e non contrastati non mancano. Secondo alcune interpretazioni della controversa vicenda dell'attacco giapponese a Pearl Harbor – categoricamente respinte per ovvi motivi dalla storiografia ufficiale – , Roosevelt sapeva in anticipo dell'imminente aggressione giapponese, ma non lo comunicò per tempo ai comandi militari per i vantaggi che lo shock avrebbe provocato nell'opinione pubblica la distruzione di una parte della flotta del Pacifico e la morte di tanti compatrioti. La decisione dell'ingresso in guerra non avrebbe più incontrato resistenze nelle masse popolari e nelle élites refrattarie all'intervento.
3-
E. Bazzanella, L'ideologia nel Capitale, Asterios, 2019.
4-
La contrapposizione Capitale-lavoro nella produzione sociale, in cui il primo si contrappone alla merce-forza lavoro, all'uomo-merce, si estende e generalizza alla società intera e riguarda ciascun individuo. Questo processo corrisponde all'effettivo procedere storico del Capitale che conquista progressivamente ogni aspetto della vita. Nell'interpretazione che ne da l'ideologia neoliberista, in ciascuno convivono le funzioni di capitale e di merce forza lavoro: al singolo spetta il compito di sfruttare la propria capacità lavorativa in funzione della valorizzazione di sé come Capitale. L'autosfruttamento diventa la condizione di ogni esistenza individuale. Marx ha smascherato una mistificazione analoga parlando della tendenza degli economisti a concepire il salario come interesse del lavoro inteso come una forma di capitale (Il Capitale, Libro III**, Editori Riuniti, 1980, p.549).
5- Lo strombazzamento dei media di regime sulla presunta natura fascista di alcune manifestazioni di protesta contro l'emergenza cozza clamorosamente con il totale silenzio calato sull'utilizzo di formazioni e personaggi dichiaratamente nazisti nel colpo di stato in Ucraina del 2014 e sulle stragi che l'hanno insanguinato. In quel caso, il tutto fu dipinto come rivoluzione democratica e popolare pienamente legittima, in quanto era funzionale alle manovre per espandere l'influenza della NATO nell'Est Europa (F. Fracassi, Il IV Reich, Indigraf, 2020). Insomma, a dar retta ai signori della disinformazione i massacratori sono democratici, i massacrati sono fascisti.
6- Studi autorevoli sulle correlazioni tra le campagne di vaccinazione antiinfluenzale di massa e l'esposizione al contagio Covid in forme gravi in alcune aree (come nella bergamasca) non sono nemmeno presi in considerazione. Trionfa la campagna che eleva il vaccino antinfluenzale a potenziatore del sistema immunitario a vantaggio delle prospettive di profitto di grandi gruppi farmaceutici che si apprestano a distribuire milioni di dosi di vaccino senza il rispetto di procedure codificate che prevedono anni di sperimentazione.
7- Rispetto a formazioni come Vox Italia e Fronte sovranista, dove la sostanza di quella politica non è appesantita da vuoti ideologismi, quelle che si richiamano apertamente alla tradizione del partitone nazionalpopolare, come il PC di Rizzo, hanno il limite di qualificarsi ideologicamente come “comuniste” e come tali appaiono appartenenti a un passato morto e sepolto.
8- Di questi argomenti tratta l'intervista a G. Trombetta, del Fronte sovranista italiano (https://www.youtube.com/watch?v=mJx1i02p8rg). Sulle dichiarazioni di W. Munchau su Financial Times, vedi l'articolo online di italiaoggi, 2.12.2020: “Per Munchau (Financial Times) è inevitabile che il debito italiano debba essere ristrutturato: il Mes serve a questo”. Sulla situazione attuale della Grecia è uscito di recente un libro di Antonio di Siena dal titolo Memorandum, Grecia 2010-2020, edizioni il Dissenziente.
9- La situazione riporta d'attualità la questione, assai delicata dal punto di vista marxista, del diritto all'autodeterminazione delle nazioni oppresse dall'imperialismo, su cui non è possibile qui soffermarsi. La discussione si pose all'interno dell'Internazionale Comunista e nel KPD nel primo dopoguerra in relazione alle condizioni in cui versava la Germania sconfitta, sottoposta alle pressioni e alle vessazioni dei vincitori dell'Intesa. L'Italia si sta incanalando verso una condizione per certi aspetti analoga a quella in cui versava la Germania di allora. Come allora si sta ponendo il problema del rapporto tra proletariato e mezze classi, in un contesto di sviluppo capitalistico superiore e con prospettive molto diverse.
10- https://www.byoblu.com/2020/11/12/germania-costituzione-a-rischio-come-nel-1933-michael-mross/
11- F. Cappello, Covid o influenza? Sinistrainrete. I complessivi 60mila morti di complicanze polmonari dell'influenza dal 2014/15 al 2016/17 in Italia sono passati inosservati e i decessi dovuti alla normale influenza sono scomparsi dalle statistiche mondiali 2020 dell'OMS. Queste stranezze statistiche ci dicono che i veri negazionisti sono proprio le forze che negano il diritto a far luce su quanto sta accadendo, che si negano al confronto con visioni scientifiche discordanti, che propongono come univoca un'interpretazione che non lo è affatto, che è invece espressione di interessi parziali per nulla collimanti con l'interesse generale.
12- Che l'occasione della pandemia sia stata un grazioso regalo del caso o sia stata frutto di un'azione deliberata non cambia la realtà delle cose, e in fondo riveste un'importanza relativa. Abbracciando la prima ipotesi o semplicemente trascurando la questione ci liberiamo dal rischio dell'accusa di “complottismo”, ma ci priviamo dell'occasione di conoscere qualcosa in più sui nostri nemici e sulla loro capacità di azione. La storia del Capitale è piena di complotti, dall'attentato di Sarajevo alla nostra “strage di Stato”, dalle inesistenti “armi di distruzione di massa” alle “trattative Stato-mafia”. Dovremmo sorprenderci della brutalità e della mancanza di scrupoli dei nostri nemici? Lo stesso termine “complottista” ha un'origine rivelatrice. Dopo l'assassinio di J.F. Kennedy, il governo americano dovette affrontare le critiche di una parte della stampa che metteva in dubbio la versione dei fatti fornita dalla commissione governativa (Commissione Warren) dalla quale emergevano diverse incongruenze. Per levarsi dalle pesti, la CIA escogitò una strategia “linguistica” molto efficace: invece di entrare nel merito dei contenuti della polemica con i contestatori, questi vennero qualificati in blocco come “complottisti”, e come tali liquidati. Questa stessa soluzione viene applicata in tutti i campi in cui dei rompicoglioni mettono in dubbio la versione dominante su temi cruciali. L'uso di un'espressione squalificante per identificare una forza avversaria è il primo e fondamentale mezzo per sconfiggerla. Oggi con questo sistema sono messi all'indice i “no vax” e i “negazionisti”. Ciò non significa che il “complottismo” deteriore non esista. Esiste eccome, ed è in grande espansione, ma questa è semplicemente l'altra faccia della voce dominante, del tutto funzionale a dar valore alle miserabili balle propinate come “verità” dall'informazione asservita al potere. Ciò che non è concesso è mettere in discussione quelle “verità” sulla base di elementi di fatto. Ben venga allora il complottismo demenziale per poter mettere tutte le critiche nello stesso calderone. I clown di regime danno il loro contributo allo sforzo di condizionamento di massa prendendo di mira lo stereotipo del complottista fuori di testa. Peccato per loro che il prezzo della satira al servizio del potere è che non fa ridere.
13- L'argomento potrebbe essere sviluppato considerando questo processo di subordinazione reale in atto come fondamento materiale, oggettivo, della progressiva dissoluzione dei capisaldi giuridici alla base degli Stati moderni e la base del peso crescente assunto da organismi espressione della scienza del Capitale organizzata attorno alle multinazionali.
14- Emiliano Brancaccio, Catastrofe o rivoluzione, Il Ponte (cit. in Sinistrainrete).
15- https://www.byoblu.com/2020/11/12/covid-19-i-retroscena-piu-inquietanti-chi-ci-guadagna-sonia-savioli/ . Tra i tanti altri interventi in proposito, anche un'intervista a Guido Salerno Aletta, su Vox Italia youtube. A parte queste interpretazioni, che potrebbero attirare l'accusa di cospirazionismo, c'è tutta la documentazione ufficiale consultabile sul sito del World Economic Forum: www.weforum.org/great-reset/

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