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Politica economica europea

Le riforme necessarie contro crisi finanziaria e recessione

di Ferdinando Targetti

Introduzione

In presenza di libertà di movimenti di capitali i problemi di stabilità finanziaria e di equilibrio macroeconomico mondiale, non possono essere risolti a livello nazionale. A fronte di mercati internazionalizzati il semplice coordinamento è insufficiente, bisogna passare ad un livello di governo sovranazionale.

Questo è oltremodo difficile da conseguire a livello mondo e attribuire ad un organismo mondiale un ruolo di regolatore con poteri amministrativi è irrealistico, così come è irrealistico pensare ad un Tesoro mondiale, anche se c’è molto da fare sul piano di riforma del Fmi e di rafforzamento delle sue capacità di sorveglianza sulla stabilità dei mercati finanziari e sul superamento degli squilibri macroeconomici globali.  Tuttavia un passo avanti verso un più corretto processo di governance dell’economia globale può essere realizzato da noi europei.

Finora la politica economica dell’Europa si era limitata alla indipendenza della Bce, al Patto di stabilità e all’uso del bilancio pubblico prevalentemente per la politica agricola comune. Tutto questo è largamente insufficiente sia per finalità di crescita, sia per finalità anticrisi. La risposta europea alla globalizzazione dei mercati e alla crisi finanziaria deve articolarsi in una serie di riforme economiche che si affiancano a quelle politiche e che richiedono, entrambe, la disponibilità a consentire da parte degli Stati nazionali deleghe di sovranità indispensabili per tradurre in pratica obiettivi che appaiono condivisi.

L’attuale crisi finanziaria rende le esigenze di riforma ancora più pressanti, ma è anche l’occasione per attrarre entro la sfera dell’Euro dei Paesi ora esterni (Svezia e Danimarca) che si sentono più sicuri entro questa area valutaria. Sul fronte economico i terreni di riforma sono molteplici (riforma della Bce e della politica di bilancio; armonizzazione fiscale; realizzazione di una politica energetica comune; realizzazione di una politica europea che, a fronte degli shock della globalizzazione, garantisca flessibilità del mercato del lavoro, ma anche sicurezza di reddito e occupazione; agenzia europea degli armamenti). In particolare mi soffermerò su due terreni di riforma relativi alla Bce e ad un costituendo Tesoro Europeo.

La riforma della Bce.

Una riforma statutaria dovrebbe modificare il dettato circa gli scopi della Banca, affiancando all’obiettivo del contrasto all’inflazione, anche l’obiettivo della stabilità dei mercati finanziari e del contrasto alla deflazione dei prezzi e dei redditi. In Europa l’autorità preposta al controllo della moneta risiede in un’istituzione sovranazionale la Bce, le autorità di regolazione preposte alla stabilità finanziaria operano a livello nazionale (a volte come parti delle Banche Centrali federate nella Bce a volte come enti separati come in Uk) e infine le istituzioni che sovraintendono alla attribuzione alla collettività dei costi sociali dei salvataggi, i Tesori, rimangono istituzioni nazionali. Sarebbe opportuno un diverso assetto.

Innanzitutto va sancito in modo esplicito che la Bce possa fare, senza infingimenti, il risconto dei crediti che le banche concedono alle imprese (la Fed americana può riscontare la carta commerciale delle imprese, in Europa non c’è bisogno di arrivare a tanto), ma va stabilito che la Bce possa fare ciò che è all’origine del Central Banking e diventare il "lender of last resort" del sistema bancario europeo.

Inoltre tanto più le banche e le assicurazioni operano a livello multinazionale e tanto più i singoli Stati dovrebbero trovare forme di regolazione comune e soprattutto non dovrebbero adottare misure prudenziali o di intervento di salvataggio in un’ottica nazionalistica; se ogni paese va per conto suo può succedere che la misura che è razionale per un paese non lo è per l’insieme dei paesi – è il tipico caso della necessità di una "azione collettiva". Per questo motivo la Bce dovrebbe essere in grado di poter imporre regole di condotta uniforme alle banche della zona euro (possibilmente condivise anche dalle banche europee extra-euro) a cominciare da quelle che svolgono la loro attività in modo significativo in più di uno stato membro.

Una nuova Autorità di vigilanza dovrebbe essere costituita a livello europeo entro la Bce per monitorare l’adozione dei requisiti comuni di capitalizzazione e per attuare una comune supervisione attraverso l’operare delle Banche centrali nazionali. La separazione di due istituti per i due scopi, uno il controllo dell’inflazione e uno per il controllo della stabilità dei mercati finanziari, si è dimostrata fallimentare là dove (Usa e Uk) è stato attuata.

Infine se le operazioni di salvataggio a seguito di innovazione finanziaria richiedono modifiche legislative e hanno effetti redistributivi, sarebbe necessario che l’Autorità preposta alla regolazione monetaria e alla regolazione finanziaria operi congiuntamente a un Tesoro Europeo. Questo non lederebbe l’indipendenza della Banca Centrale, perché non implicherebbe minimamente il finanziamento monetario dei disavanzi del Tesoro.

Il Patto di Stabilità e la costituzione di un Tesoro Europeo.

Il Patto di stabilità ha svolto un’importante funzione nella fase della nascita dell’euro, soprattutto per finalità politiche. La rigidità con la quale è stato disegnato tuttavia ha impedito che gli obiettivi di Lisbona (fare dell’Europa un’economia della conoscenza) trovassero i necessari finanziamenti per essere realizzati. Oggi è richiesta una modifica sostanziale del Patto. La prima tappa potrebbe essere quella di sottrarre dalla definizione dei parametri di Maastricht gli investimenti (finanziati dagli Stati, insieme alla Bei con o senza la partecipazione dei privati) in grandi infrastrutture, in Ricerca e Sviluppo e in impianti per la produzione energetica (tradizionale e alternativa) e per il risparmio energetico.

La seconda tappa dovrebbe prevedere la costituzione di un "Tesoro Europeo" da affiancare come strumento di politica economica europea alla Bce. Esso potrebbe nascere dalla trasformazione della Bei e dovrebbe avere lo scopo di realizzare sia politiche anti-crisi, sia politiche di sviluppo.

L’incombere della crisi finanziaria e la sua imminente trasformazione in recessione impone la realizzazione di due Piani di intervento. Il primo piano potremmo chiamarlo "Piano anti-crisi". Il Tesoro Europeo dovrebbe poter emettere titoli garantiti dagli Stati membri e disporre quindi di un fondo per operazioni di salvataggi bancari a livello europeo e, qualora necessario, per operazioni di sovra-nazionalizzazione di banche europee. I titoli potrebbero rendere come i titoli degli stati nazionali (quindi oggi assai meno dell’interbancario) ed essere utilizzati per ricapitalizzare le banche. Il Tesoro Europeo diverrebbe un "ricapitalizzatore di ultima istanza" di banche transnazionali. Le banche (attualmente illiquide, ma non insolventi) potrebbero con il tempo (dai tre ai cinque anni) restituire al Tesoro Europeo i capitali ottenuti per la ricapitalizzazione in modo tale che questo tipo di operazioni non aggravi il debito pubblico in capo ai cittadini europei.

Il secondo piano si potrebbe chiamare "Piano per lo sviluppo" e avere due scopi: essere strumento di crescita operando, dal lato dell’offerta, con investimenti mirati e avere una flessibilità tale da essere utilizzato con finalità anticicliche e operare dal lato della domanda. Il Tesoro Europeo dovrebbe poter emettere titoli garantiti dagli Stati, "European Bonds". Data la reputazione della Ue sul mercato mondiale queste obbligazioni potrebbero essere emesse a basso tasso di interesse e contribuirebbero a rafforzare il mercato finanziario europeo e offrirebbero alla Bce uno strumento in più per la gestione della liquidità. La crisi internazionale sta mettendo in evidenza l’elevata preferenza dei risparmiatori internazionali per i titoli di debito. Sul mercato oggi sono ambiti i titoli di stato americani (come si rileva dalla crescita del dollaro rispetto all’euro e alle valute dei paesi emergenti), malgrado lo squilibrio finanziario degli Stati Uniti. E’ ragionevole pensare che degli "European Bonds" espressi in Euro sarebbero ancor più ambiti. Le emissioni dovrebbero servire per il finanziamento di investimenti in infrastrutture e in capitale umano secondo gli obiettivi di Lisbona. Si potrebbe immaginare due sezioni del "Bilancio Europeo". Una riguarderebbe il conto capitale e i proventi delle emissioni per finanziare il "Piano" andrebbero iscritti in questa sezione. Un’altra sezione, per non modificare le regole attuali dell’Unione, potrebbe invece risultare in pareggio. In questa confluirebbero le spese per beni pubblici europei e per i trasferimenti con finalità redistributive, le quali verrebbero finanziate con risorse proprie. Le fonti di risorse proprie (che oggi sono sostanzialmente limitate ad una parte piccola dell’Iva dei paesi dell’Unione) dovrebbero aumentare e una quota maggiore di ora dovrebbe essere destinata a finalità redistributive e al pagamento del servizio del debito, mentre una quota minore dovrebbe essere destinata all’agricoltura.

L’Europa finora ha goduto dei benefici dell’Unione monetaria in termini di stabilità monetaria e (per paesi come l’Italia) di disciplina in tema di riequilibrio della Finanza pubblica, ma l’Unione Monetaria e la forza finanziaria che l’Euro ha acquisito sui mercati internazionali non hanno dato i risultati sperati in termini di crescita del prodotto e del prodotto pro-capite. La creazione di un "Piano per lo sviluppo" lungo le linee tratteggiate può contribuire a far cambiare rotta. E’ un progetto complesso dal punto di vista politico, sia per la devolution di poteri dei singoli paesi nei confronti dell’Unione, sia per la definizione delle procedure politiche che definiscano in concreto i contenuti degli investimenti, ma le sfide poste dalla bassa crescita tendenziale dell’economia europea e dalla recessione incombente sono pressanti.

A questi due scopi del Piano se ne aggiunge un terzo: sollevare gli Usa dalla funzione di assorbimento degli avanzi commerciali (e quindi dell’eccesso di risparmio sugli investimenti) dei paesi emergenti. Una politica macroeconomica che al contempo risolva il problema delle global imbalances e svolga la funzione di creatore di domanda effettiva a livello globale è compito di una governance sovranazionale. Senza un’area che svolga da "acquirente di ultima istanza" la crescita dell’economia globale e dei paesi emergenti rischia di declinare. Questa funzione è stata svolta per tutto il dopoguerra esclusivamente dagli Usa. Oggi quel compito di "acquirente mondiale di ultima istanza" deve essere più uniformemente distribuito a livello globale. Allo stato attuale la politica monetaria internazionale è fatta da Cina e Usa, mentre l’Europa, malgrado sia l’area economica in maggiore equilibrio macroeconomico, non giuoca alcun ruolo. La ragione risiede nel fatto che gli stati europei si comportano ancora come piccoli stati il cui obiettivo è solo quello di avere individualmente un avanzo esterno.

La soluzione delle macro-imbalances richiede interventi congiunti di più paesi: rivalutazione cinese del Renmimbi e aumento della spesa interna cinese, riduzione del deficit interno americano pubblico e privato, aumento della spesa interna europea. Lo stimolo di bilancio europeo non conviene che sia ottenuto a livello dei singoli paesi perché i rapporti debito pubblico-Pil dei vari paesi sono molto diversi e conviene che gli outliers come l’Italia correggano la propria situazione debitoria, altrimenti la sopravvivenza dell’Euro può essere messa a rischio. Diverso è il discorso qualora venga istituito un Tesoro Europeo che, adottando una politica di stimolo di bilancio, tenga l’economia europea ad un livello di domanda interna abbastanza elevato e che, creando disavanzo esterno, contribuisca a sollevare gli Usa dalla manovra di riequilibrio delle global imbalances che ora grava solo sulle spalle dell’economia americana.

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