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Essere se stessi con un po’ meno di fatica

di Christian Raimo

Ci sono degli eventi che hanno delle somiglianze. L’arresto per stupro di Strauss-Kahn, la vicenda di Don Seppia, la tragedia del padre di Teramo che lascia la figlia sotto il sole. Tre persone – tre maschi, diciamolo subito – che pensavamo affidabili, molto affidabili, si rivelano un disastro. Addirittura dei mostri per alcuni, indifendibili per la maggior parte (tranne le mogli – notiamo subito anche questo – nei casi di DSK e del padre). Eppure, evidentemente non sono tre episodi isolati. Voglio dire: 1) il Time della settimana scorsa ci ha addirittura fatto la copertina sugli uomini di potere che si comportano come maiali; Strauss-Kahn, Schwarzenegger, Tiger Woods, John Edwards, Charlie Sheen… sono soltanto l’ultima avanguardia di un esercito ben in forze; 2) la questione della pedofilia nella chiesa è diventata di rilevanza sociologica (tanto che l’associazione prete-pedofilo è purtroppo una di quelle che facciamo sempre più spesso, quasi un luogo comune); 3) queste tragedie dei bambini dimenticati in macchina sotto il sole si ripetono ogni tanto (due negli ultimi dieci giorni, Teramo, Perugia), e sono probabilmente l’emersione più tragica di una “distrazione di massa” – è una cosa che poteva capitare a chiunque, come ha detto non senza verità la moglie difendendo in lacrime il padre della piccola Elena.

 Ma se il disastro di queste persone non ha un carattere di eccezionalità, forse possiamo farci qualche domanda da dove scaturiscano queste ferite sociali. Altrimenti restiamo un po’ sgomenti, ci facciamo prendere dalla rabbia o dalla pena, finiamo per pensare che tutto questo non ci riguardi, non ce ne capacitiamo. Del resto, c’è da chiedersi, perché un uomo ricco, colto, fascinoso, gli viene di violentare una cameriera africana in una camera d’hotel? Perché a un prete può saltare in mente di chiamare un suo amico relegato al ruolo di procacciatore di bambini e chiedergli di trovargliene sempre di più piccoli, con madri tossiche e bisognose? Come fa un padre a scordarsi sua figlia di nemmeno due anni in macchina sotto il sole per ore e andare a lavoro?

Di fronte all’inconcepibilità di queste azioni, siamo disposti a considerare ogni genere di spiegazione, e quindi appellarci alla dietrologia, al complotto, alla follia momentanea, a mettere finanche in discussione le regole della struttura sociale, le istituzioni pubbliche, la Chiesa, addirittura la paternità. Qualcuno, come i parrocchiani di Don Seppia a Genova ha persino pensato di costituirsi in una class action per ottenere l’invalidazione del sacramento dei battesimi che il prete pedofilo aveva celebrato. E l’operato dell’FMI? Forse sarà il caso di sostituire l’impresentabile DSK con un altro maschio, un altro europeo? E siamo sicuri che non sia colpa sua il default dei pigs europei? E al padre distratto la vogliamo lasciare la patria potestà dell’altro figlio che gli sta nascendo ora?

Insomma una volta riconosciuta la colpa, anzi una volta stigmatizzato il colpevole (con le manette a telecamere spiegate, l’ignominia sociale e l’isolamento carcerario, la penosa considerazione di come farà quel padre a sopravvivere a una cosa del genere?), siamo punto daccapo; perché è probabile, come è provato che un evento simile riaccadrà, con una modalità magari simile, lasciandoci ancora una volta sconcertati e dubbiosi: perché ci siamo fidati ancora? Che farne di questi altri disastri?

Sarebbe forse interessante allora, collettivamente, discutere non il dramma personale, la responsabilità o il carattere; né in un certo le istituzioni colpite: ma i ruoli. Abbiamo un’idea di affidabilità che è evidentemente slegata dalla reale capacità di sostenerla. Perché Don Seppia, come molti altri preti non ammette di avere un problema con la castità? Perché un pedofilo non riconosce di avere un problema con la sessualità? Perché quel padre evidentemente stressato non ha cercato un po’ di sollievo mentale? Perché Strauss-Kahn ha immaginato che il suo menage sessuale fatto di amanti occasionali, prostitute, e in mancanza, ragazze da violentare, fosse in un certo senso plausibile e consentito anche per una figura di cosa alto profilo pubblico come lui? Cosa cercano questi uomini? Veramente il potere indiscutibile e ferino della infallibilità: quella che fa dire ancora alla moglie di Teramo che ha sposato “un buon padre”? O che fa scrivere a un Bernard Henry-Levy editoriale in difesa dell’amico Strauss-Kahn?

O forse, invece, magari, qualcuno che li sollevi dalla pesantezza di questi ruoli prima che sia troppo tardi, prima che la loro inadeguatezza per manifestarsi debba arrivare al punto di rottura? Come dire: qualcuno che gli dia la possibilità di fallire in modo meno disastroso per loro, e meno distruttivo, tragicamente distruttivo per gli altri.

Per questo niente è così necessario oggi più che mai un elogio del fallimento, come l’ha definito Massimo Recalcati nel suo ultimo Cosa resta del padre: indispensabile forse per non lasciarsi paralizzare da una patologia principe dell’epoca contemporanea, la “fatica di essere se stessi”, volendo rideclinare la definizione di qualche anno fa di Alain Ehrenberg. Perché la fatica di essere un se stessi – attenzione – che qualcun altro ci ha disegnato, vuol dire produrre a livello sociale un’ansia da prestazione diffusa e pervasiva. Che sia elogio del fallimento, allora, soprattutto del fallimento di un maschile in così evidente ansia da prestazione. Che altri modelli comincino a sostituire quelli inservibili e dannosi.

Riconosciamoli, approfondiamone la complessità emotiva. Prendiamo la qualità di alcune figure cinematografiche, come quella del padre malato nell’ultimo film di Inarritu, Biutiful, o del “padre debole” nell’ultimo film di Susanne Bier In un mondo migliore, ma anche il papa di Moretti che decide di rinunciare al soglio pontificio: forse più che segnare una sconfitta di una società incapace di produrre figure-guida, di garantire un’affidabilità costante, ci indicano proprio una possibilità. La conoscenza del limite invece della determinazione cieca. Un’ammissione di inadeguatezza invece dell’afasia rabbiosa e costernata che ci sale in petto dopo tragedie come quella dello stupro di DSK, delle violenze sui bambini di Don Seppia, della morte di una piccola di 22 mesi per insolazione.

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