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Che cosa vuole la Cina?

di David C. Kang, Jackie S. H. Wong e Zenobia T. Chan

L’analisi controcorrente della rivista americana «International Security», che ha riaperto il dibattito sugli obiettivi di Pechino

1280px Embroidery view 2 China Tung Chih Period silk George Walter Vincent Smith Art Museum DSC03828 2Krisis presenta l’abstract del saggio comparso ad agosto su International Security, rivista statunitense pubblicata da MIT Press e considerata la più autorevole nel campo delle Relazioni internazionali. I tre autori, che insegnano in università americane, hanno analizzato 12.000 articoli e centinaia di discorsi del presidente Xi Jinping per capire le effettive intenzioni di Pechino. I dati emersi mostrano una Cina a difesa dello status quo, concentrata sulla stabilità interna e su obiettivi regionali chiari e limitati. Pur non lesinando critiche a Pechino, gli studiosi concludono dicendo che la minaccia militare cinese è sovrastimata: «La Cina non vuole invadere e conquistare altri Paesi».

* * * *

L’opinione corrente sostiene che la Cina è una potenza egemonica emergente, desiderosa di rimpiazzare gli Stati Uniti, dominare le istituzioni internazionali e ricreare l’ordine internazionale liberale a propria immagine. Basandoci su dati tratti da 12.000 articoli e da centinaia di discorsi di Xi Jinping, per discernere le intenzioni della Cina abbiamo analizzato tre termini o espressioni della retorica cinese: «lotta» (斗争), «l’ascesa dell’Oriente, il declino dell’Occidente» (东升西降) e «nessuna intenzione di sostituire gli Stati Uniti» (无意取代美国).

I risultati della nostra indagine indicano che la Cina è una potenza a difesa dello status quo, preoccupata della stabilità del regime e più rivolta verso l’interno che verso l’esterno. Gli obiettivi della Cina sono inequivocabili, durevoli e limitati: si preoccupa dei propri confini, della sovranità e delle relazioni economiche estere. Le principali preoccupazioni della Cina sono quasi tutte regionali e collegate a parti della Cina che il resto della regione riconosce come cinesi – Hong Kong, Taiwan, Tibet e Xinjiang.

La nostra tesi ha tre implicazioni principali. Primo, la Cina non costituisce il tipo di minaccia militare che l’opinione corrente le attribuisce. Di conseguenza, un atteggiamento militare ostile degli Stati Uniti nel Pacifico è imprudente e potrebbe creare tensioni inutili. Secondo, i due Paesi potrebbero cooperare in vari ambiti spesso trascurati. Terzo, la visione convenzionale della Cina sminuisce le sfere economiche e diplomatiche che un approccio esclusivamente bellico non è in grado di affrontare.

Il numero dell’estate 2025 della rivista «International Security», su cui è pubblicato il saggio «What does China want?».

C’è molto della Cina che inquieta l’Occidente. Il prodotto interno lordo della Cina è passato da 1,2 trilioni di dollari nel 2000 a 17 trilioni nel 2023 [1]. Dopo aver modernizzato l’Esercito popolare di liberazione nell’ultima generazione, la Cina sta anche aumentando rapidamente le sue scorte di testate nucleari. Pechino spende quasi 300 miliardi di dollari l’anno in difesa[2]. L’attuale leader, Xi Jinping, ha consolidato il potere e sembra destinato a governare a tempo indeterminato l’autoritario Paese comunista. Le imprese cinesi spesso si dedicano ad attività discutibili, come limitare l’accesso ai dati, applicare in modo inadeguato i diritti di proprietà intellettuale e praticare furti informatici[3].

Il governo cinese viola i diritti umani e limita numerose libertà personali dei suoi cittadini. In violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), ogni Paese della regione – compresa la Cina – sta sottraendo terre al mare e militarizzando isolotti nei contesi Mar Cinese Orientale e Mar Cinese Meridionale. In breve, la Cina pone numerosi problemi potenziali agli Stati Uniti e, in effetti, al mondo intero.

Nei circoli accademici e politici statunitensi, l’opinione corrente è che la Cina voglia dominare il mondo ed espandere il proprio territorio. Per esempio, Elbridge Colby, vice Sottosegretario alla Difesa durante il primo mandato di Donald Trump e Sottosegretario alla Difesa nel secondo mandato, scrive: «Se la Cina potesse sottomettere Taiwan, potrebbe poi volgere il suo sguardo a obiettivi più lontani … un prossimo obiettivo naturale per Pechino sarebbero le Filippine… Il Vietnam, sebbene non sia un alleato degli Stati Uniti, potrebbe anch’esso costituire un buon obiettivo»[4].

Rush Doshi, vicedirettore senior per Cina e Taiwan nell’amministrazione Biden e architetto chiave della politica cinese della Casa Bianca dell’amministrazione Biden, scrive che la Cina sta giocando una lunga partita per «sostituire gli Stati Uniti come leader mondiale»[5]. Aaron Friedberg, già vice assistente per la Sicurezza nazionale e direttore della Pianificazione politica per il vicepresidente Dick Cheney nell’amministrazione di George W. Bush, avverte delle «crescenti rivendicazioni territoriali della Cina» e del suo tentativo aggressivo di «sostituire gli Stati Uniti come nazione leader economica e tecnologica del mondo e scalzarla come potenza preponderante nell’Asia orientale»[6]

Stephen Walt scrive che il problema è «l’egemonia regionale in Asia: la Cina vorrebbe ottenerla… e usare quella posizione per apportare significative revisioni allo status quo internazionale»[7]. Hal Brands e Michael Beckley affermano che «benché Pechino vorrebbe senz’altro abbattere il Vietnam, un obiettivo ancora più ghiotto sarebbero le Filippine, che rispondono a tutti i criteri per essere un nemico perfetto … il Partito Comunista Cinese sta intraprendendo un progetto epico per riscrivere le regole dell’ordine globale in Asia e ben oltre … vuole essere la superpotenza»[8].

L’allora Segretario di Stato Antony Blinken disse nel 2022 che «la Cina è l’unico Paese che ha sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale sia, sempre più, il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo»[9]. L’ex rappresentante commerciale statunitense di Trump, Robert Lighthizer, sostiene che «La Cina, per me, è una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti… La Cina si considera il numero uno al mondo e vuole che sia così»[10].

Queste valutazioni delle intenzioni cinesi portano studiosi e analisti politici statunitensi mainstream, sia di destra sia di sinistra, a formulare prescrizioni strategiche che richiederanno generazioni per concretizzarsi e che sono quasi interamente incentrate sul conflitto militare, sulla deterrenza e sul distacco economico dalla Cina. Coloro che credono in questa minaccia cinese chiedono di aumentare le spese militari statunitensi e di mostrare «determinazione» verso Pechino. L’opinione corrente raccomanda anche un’espansione regionale delle alleanze con qualunque Paese, democratico o autoritario, che possa unirsi agli Stati Uniti per contenere la Cina[11].

Come scrive Colby, «questo è un libro sulla guerra»[12]. Brands e Beckley sostengono che gli Stati Uniti dovrebbero rafforzare i loro sforzi per dissuadere la Cina dall’invadere Taiwan: «Serve una strategia per scoraggiare o forse vincere un conflitto negli anni 2020 … Il Pentagono può aumentare drasticamente i costi di un’invasione cinese trasformando le acque internazionali dello Stretto di Taiwan in una trappola mortale per le forze d’attacco»[13]. Doshi sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero armare Paesi come «Taiwan, Giappone, Vietnam, Filippine, Indonesia, Malesia e India» con capacità necessarie a contenere la Cina[14].

Questo ci porta a una domanda chiave: che cosa vuole la Cina?Per rispondere a questa domanda, l’articolo esamina obiettivi e timori della Cina contemporanea, nelle parole e nei fatti. A differenza dell’opinione corrente, le prove qui raccolte portano a una conclusione generale e a tre osservazioni specifiche. Nel complesso, la Cina è una potenza di status quo, preoccupata della stabilità del regime e rimane più focalizzata sull’interno che sull’esterno. Più nello specifico: gli obiettivi della Cina sono inequivocabili; gli obiettivi della Cina sono duraturi; e gli obiettivi della Cina sono limitati.

Primo, gli obiettivi della Cina sono inequivocabili: la Cina si preoccupa dei propri confini, della sua sovranità e delle sue relazioni economiche con l’estero. La Cina è attenta ai suoi confini irrisolti, rispettivamente nel Mar Cinese Orientale, nel Mar Cinese Meridionale e con l’India. Quasi tutte le sue preoccupazioni sono regionali. Secondo, la Cina tiene moltissimo ai propri diritti sovrani su varie parti che il resto della regione ha già riconosciuto come cinesi – Hong Kong, Taiwan, Tibet e Xinjiang. Terzo, la Cina ha una strategia economica sempre più chiara per le sue relazioni sia con l’Asia orientale sia con il resto del mondo, volta a espandere gli scambi e i rapporti economici, non a ridurli.

È anche chiaro ciò che la Cina non vuole: nei discorsi cinesi si trovano pochi riferimenti a obiettivi espansivi o ad ambizioni di leadership e di egemonia globale. Inoltre, la Cina non esporta ideologia. È significativo che l’enfasi del Pcc sul «socialismo con caratteristiche cinesi» non sia un modello generalizzato per il mondo[15]. Al contrario, gli Stati Uniti affermano di rappresentare valori e norme globali. La Cina, inoltre, non vuole invadere e conquistare altri Paesi; non ci sono prove che rappresenti una minaccia esistenziale per i Paesi confinanti o della regione, a meno che non rivendichi già la sovranità su di essi.

Esploriamo quindi come la Cina vede la propria posizione e il proprio ruolo nella regione e a livello globale. Riconoscendo che le dichiarazioni pubbliche variano nel loro livello di autorevolezza, abbiamo esaminato tre fonti principali: il People’s Daily, che rappresenta non solo lo Stato ma anche il Comitato Centrale del Pcc; i discorsi di Xi Jinping e di altri alti funzionari; e Qiushi, una rivista che diffonde le ultime linee politiche del partito. Abbiamo utilizzato l’analisi testuale assistita dal computer per valutare sistematicamente gli obiettivi dichiarati della Cina nel tempo.

Questo metodo ci ha permesso di seguire con maggiore precisione le preoccupazioni di Pechino e di identificare come sono cambiate. Noi mostriamo anche che i massimi leader cinesi ribadiscono costantemente che la Cina non cerca l’egemonia regionale né mira a competere con gli Stati Uniti per la supremazia globale. Al contrario, la Cina vede le relazioni internazionali come multilaterali e cooperative.

Secondo, gli obiettivi della Cina sono ereditati e duraturi, non nuovi. Esiste un’identità cinese «trans-dinastica»: quasi tutte le questioni principali che la Repubblica Popolare Cinese (Rpc) considera oggi importanti risalgono almeno al XIX secolo, ai tempi della dinastia Qing. Non si tratta di nuovi obiettivi emersi dopo la vittoria comunista del 1949 e nessuno degli interessi centrali della Cina è stato creato da Xi. Si tratta di preoccupazioni cinesi durature, anche se l’autorità politica che governa la Cina è cambiata radicalmente e più volte negli ultimi 200 anni o più.

Terzo, ciò che la Cina vuole è limitato, anche se la sua potenza è cresciuta rapidamente nell’ultima generazione. Le rivendicazioni e gli obiettivi di Pechino sono in via di risoluzione o restano statici. Questa realtà contrasta con molte delle aspettative dei decisori politici statunitensi e con l’opinione corrente della letteratura accademica sulle relazioni internazionali, secondo cui gli interessi degli Stati crescono con la crescita del loro potere. Al contrario, le prove mostrano che la leadership cinese è più preoccupata delle sfide interne che delle minacce esterne o dell’espansione.

Troviamo quindi che la Cina non rappresenta il genere di minaccia militare che l’opinione corrente le attribuisce. Di conseguenza, non vi è alcun bisogno di un atteggiamento militare ostile nel Pacifico e, anzi, gli Stati Uniti potrebbero inutilmente creare tensioni. È altrettanto importante sottolineare che esistono margini per una cooperazione tra i due Paesi in diversi ambiti che oggi sono trascurati. Infine, la visione convenzionale della Cina sottovaluta le dimensioni economiche e diplomatiche che un approccio bellico non è in grado di affrontare. L’opinione corrente sulla grande strategia statunitense è problematica e la visione della Cina che prevale a Washington è pericolosamente errata.


Articolo originale pubblicato su: https://direct.mit.edu/isec/article/50/1/46/132729/What-Does-China-Want? (traduzione dall’inglese a cura di Krisis). Kang, David C., Jackie S.H. Wong, Zenobia T. Chan, “What Does China Want?”, International Security 50:1 (Summer 2025), © 2025 the President and Fellows of Harvard College and the Massachusetts Institute of Technology, pp. 46-81.

Licenza Creative Commons CC BY-NC-ND Ver. 4.0 Internazionale

Note
[1] World Development Indicators, DataBank, World Bank, 2025, https://databank.worldbank.org/source/world-development-indicators.
[2] In confronto, gli Stati Uniti hanno speso 810 miliardi di dollari per la difesa nel 2023. Chief Financial Officer, Office of the Under Secretary of Defense, Defense Budget Overview 2023: United States Department of Defense Fiscal Year 2023 Budget Request (Washington, DC: U.S. Department of Defense, 2023), https://comptroller.defense.gov/Portals/45/Documents/defbudget/FY2023/FY2023_Budget_Request.pdf.
[3] Katie Silver, “China’s Trade Practices Come Under Fire,” BBC News, October 21, 2021, https://www.bbc.com/news/business-58991339.
[4] Elbridge A. Colby, The Strategy of Denial: American Defense in an Age of Great Power Conflict (New Haven, CT: Yale University Press, 2021), pp. 116–117.
[5] Rush Doshi, The Long Game: China’s Grand Strategy to Displace American Order (Oxford: Oxford University Press, 2021), p. 51.
[6] Aaron L. Friedberg, Getting China Wrong (Medford, MA: Polity, 2022), p. 142; Aaron L. Friedberg, “An Answer to Aggression: How to Push Back Against Beijing,” Foreign Affairs, August 11, 2020, https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2020-08-11/ccp-answer-aggression.
[7] Stephen Walt, “Hedging on Hegemony: The Realist Debate over How to Respond to China,” International Security, Vol. 49, No. 4 (Spring 2025), pp. 37–70, quotes at pp. 37, 39, https://doi.org/10.1162/isec_a_00508.
[8] Hal Brands and Michael Beckley, Danger Zone: The Coming Conflict with China (New York: W. W. Norton, 2022), pp. 1, 129. Emphasis in original.
[9] Antony J. Blinken, “Secretary Blinken Speech: The Administration’s Approach to the People’s Republic of China,” speech presented at George Washington University, May 26, 2022, U.S. Embassy & Consulates in Australia, https://au.usembassy.gov/secretary-blinken-speech-the-administrations-approach-to-the-peoples-republic-of-china/.
[10] Scott Pelley, “Trump’s Former Trade Chief Says China Is a Threat, Tariffs Are Necessary,” CBS News, February 2, 2025, https://www.cbsnews.com/news/trump-former-trade-chief-robert-lighthizer-says-china-is-a-threat-tariffs-are-necessary-60-minutes-transcript/. See also: Hal Brands and John Lewis Gaddis, “The New Cold War: America, China, and the Echoes of History,” Foreign Affairs, October 19, 2021, https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2021-10-19/new-cold-war; Daniel Deudney and G. John Ikenberry, “Misplaced Restraint: The Quincy Coalition Versus Liberal Internationalism,” Survival, Vol. 63, No. 4 (2021), p. 10, https://doi.org/10.1080/00396338.2021.1956187; John J. Mearsheimer, “The Inevitable Rivalry: America, China, and the Tragedy of Great-Power Politics,” Foreign Affairs, October 19, 2021, https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2021-10-19/inevitable-rivalry-cold-war.
[11] Secondo le parole di Elbridge Colby, «potrebbe essere vantaggioso, o addirittura necessario, per una coalizione anti-egemonica [contro la Cina] allearsi con governi non repubblicani. Ciò è particolarmente importante in Asia, dove molti Stati non sono democrazie o lo sono in modo incoerente o imperfetto». Colby, The Strategy of Denial, p. 71.
[12] Ibid., p. xii.
[13] Brands and Beckley, Danger Zone, pp. 177–178.
[14] Doshi, The Long Game, p. 318.
[15] 习近平, “高举中国特色社会主义伟大旗帜 为全面建设社会主义现代化国家而团结奋斗—在中国共产党第二十次全国代表大会上的报告,” 新华网 [Xi Jinping, Uphold the great banner of socialism with Chinese characteristics and strive in unity for the comprehensive construction of a modern socialist country—Report delivered at the 20th National Congress of the Communist Party of China, Xinhua], October 25, 2022, https://www.gov.cn/xinwen/2022-10/25/content_5721685.htm.

Autori 
David C. Kang, Professore di Relazioni internazionali, titolare della cattedra Maria Crutcher, presso la University of Southern California.
Jackie S. H. Wong, Professore assistente presso il Dipartimento di Studi internazionali della American University of Sharjah e assegnista di ricerca post-dottorale presso il Dipartimento di Politica della Princeton University.
Zenobia T. Chan, Professore assistente presso il Dipartimento di Government della Georgetown University e ricercatore in Scienza politica al Nuffield College dell’Università di Oxford, titolare di una borsa di ricerca competitiva.

 

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Comments

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Alfred
Saturday, 13 September 2025 23:06
Direi che a partire da questa affermazione
La Cina non vuole invadere e conquistare altri Paesi.

si puo' continuare dicendo che la Cina 'non vuole essere conquistata'
Qualsiasi cosa sia la Cina oggi (comunista, capitalista a regime misto o neoconfuciana) credo che il riarmo e la potenza cinese non siano solo indirizzati al suo interno e a poco altro. La Cina non dimentica quanto ha fatto gola ai colonizzatori e quanto e' stata umiliata dall'essere colonizzara e invasa. Milioni di cinesi sono morti per liberarsi dalle guerre dell'oppio, dalle legazioni e dall'occupazione giapponese.
Nel tempo sono arrivato a pensare che Mao sarebbe stato venerato dai cinesi in qualsiasi forma (comunista o democristiana) perche' e' stato l'artefice della riunificazione, del ritorno all'indipendenza e alla dignita'. Questo contava molto di piu del comunismo.
Sono cambiate molte cose nell'assetto interno, ma una cosa credo sia chiara a tutti i cinesi: mai piu', mai piu' secolo dell'umiliazione. Ci sono parecchi incidenti interni in Cina (contestazioni salariali e proteste), ma credo che i cinesi siano disposti a sopportare parecchio dai loro apparati di governo piuttosto che rischiare una grave destabilizzazione interna che possa esporre la nazione a eventuale fragilita' verso aggressioni esterne. La Cina non minaccia, noi a occidente non abbiamo mai smesso di volere mettere le mani sulla Cina, sulle sue risorse, sul suo mercato interno, sulla sua forza lavoro. La Potenza cinese e' un monito: non riprovateci. Sono paranoici? fate voi, se loro sono paranoici gli altri (indovinate chi) che non smettono di far girare corazzate davanti alle loro coste cosa sono?
Avete mai visto analoghe flotte pattugliare le coste Usa o europee?
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Alfred
Saturday, 13 September 2025 23:08
Errata corrige
Avete mai visto analoghe flotte CINESI pattugliare le coste Usa o europee?
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