Print Friendly, PDF & Email

megachip

#Macron, #LePen, chi perderà di più?

di Pino Cabras

Il ballottaggio non è sul consenso per sé, ma sul dissenso verso l'altro candidato. Non vincerà il più amato e apprezzato, perderà il più odiato e temuto

NEWS 263141Il risultato del primo turno delle presidenziali francesi regala al candidato di plastica Emmanuel Macron, l'uomo dei Rothschild, le apparenti maggiori possibilità di vittoria per il secondo appuntamento alle urne, quello del 7 maggio, quando dovrà vedersela con Marine Le Pen.

I quattro candidati più votati (Macron, Le Pen, Fillon, Mélenchon) si sono spartiti l'80 per cento dei voti, collocandosi ciascuno poco sopra o poco sotto il 20 per cento. Con un dato di partenza così basso, il meccanismo del ballottaggio non potrà mai a giocarsi sul consenso per sé, ma sul dissenso verso l'altro candidato. Non vincerà il più amato e apprezzato, perderà il più odiato e temuto. Entrambi i candidati sono in grado di attirare su di sé le principali forme di dissenso già sperimentate in questi anni nel discorso pubblico dei paesi occidentali. Ognuna di queste forme ha i suoi intellettuali organici, i suoi media di riferimento, i suoi argomenti dominanti.

Prendiamo Emmanuel Macron. È un prodotto sfornato direttamente dalle officine dell'élite atlantista come un avatar telegenico che deve dare un volto elettoralmente fungibile agli interessi della grande finanza, di cui è espressione immediata. Una volta consumato oltre ogni dire l'impresentabile presidente Hollande, l'élite filo-NATO e filo-UE ha equipaggiato in fretta e furia il giovane Emmanuel con tutto il corredo retorico del "nuovo" e del "dinamico" (il suo partito istantaneo si chiama "En Marche!", ossia "In Cammino!"), senza poterlo tuttavia riparare completamente dalla verità che lo riguarda né dalla repulsione di chi conosce questa verità: Macron è l'ennesimo fantoccio neoliberista, un continuatore delle politiche neocolonialiste che hanno fatto della Francia uno dei maggiori perturbatori della pace negli ultimi anni, un distruttore dei diritti del lavoro. Ha dalla sua parte le grandi TV e i grandi giornali dell'oligarchia francese, che sono organici al suo mondo di provenienza, ma questo elemento di forza - pur potentissimo - sconta il fatto che la corrente principale dei media è sempre più invisa a decine di milioni di persone, che si informano su altri canali e hanno altri intellettuali di riferimento.

Dal canto suo, Marine Le Pen non è certo una candidata artificiale e il suo Front National non è un partito finto, bensì una forza popolare radicata da decenni, durante i quali ha assunto un profilo staccato dalle caratteristiche fasciste impresse dal suo fondatore, e padre di Marine, Jean-Marie Le Pen, ormai espulso dal partito. Ma le dinamiche elettorali hanno inerzie e resistenze molto lunghe, che riguardano l'identità e la psicologia di grandi masse di elettori. Saranno in tanti a continuare a votare in base a pregiudiziali destra-sinistra: la lunga storia xenofoba del partito a guida Le Pen farà turare ancora milioni di nasi, cui non basterà il suo profilo sociale, il suo radicamento nei quartieri operai, i suoi progetti di ripresa della sovranità rispetto alle tecnocrazie europoidi, perché temeranno le sue ricette più dure in tema di immigrazione e di sicurezza pubblica. Marine Le Pen ha una certa presa popolare attraverso i media fuori dal mainstream, ma non le sarà risparmiata alcuna forma di manipolazione e "spin" mediatico da parte di un sistema disposto a vendere cara la pelle, con uno schieramento impressionante di politici già in lotta per far vincere Macron.

La cosa può anche non funzionare. Gli esempi recenti non mancano. Di fronte al Brexit e all'ascesa di Donald Trump la linea di difesa aggressivissima del "kombinat" politico-mediatico non ha retto nelle urne, dove i risultati sono stati quelli opposti al suo volere. Tanto che sono dovuti scattare dei "piani B": sia a Londra che a Washington sono riusciti, sì, a normalizzare le scelte dei governi nati dai terremoti elettorali, ma con grande fatica e incertezza, in uno scenario di crisi sistemica meno manovrabile dall'élite: se sei un guerrafondaio neoconservatore russofobo e sei riuscito a castrare le velleità di The Donald, beh, la cosa ti va lo stesso di lusso, date le circostanze, ma alla Casa Bianca preferivi comunque avere qualcun altro.

Anche in Italia, con il Referendum costituzionale del 4 dicembre, il risultato è stato opposto a quello voluto dai padroni del vapore, al punto che Matteo Renzi è stato ridimensionato, con un governo che intanto galleggia senza progetto.

Tuttavia, nelle forme in cui avviene l'espressione della volontà popolare conta parecchio il tipo di sistema elettorale. Il ballottaggio francese ha caratteristiche importantissime che influiscono sulle possibilità reali di vittoria. E vincere implica trasformare un 20 per cento in un 51 per cento in appena quindici giorni.

Se con piccole variazioni percentuali Macron non avesse raggiunto il ballottaggio e lo avesse conquistato qualcun altro, avremmo misurato l'avversione a quell'altro candidato con altri criteri.

Ad esempio, come si sarebbero evolute le posizioni anti-UE e anti-NATO del candidato della sinistra, Mélenchon, di fronte alle analoghe posizioni della Le Pen? Sarebbe stata un'altra dinamica, o no?

E se al ballottaggio fosse giunto il gollista Fillon, che voleva ripristinare un dialogo amichevole con la Russia spazzando le sanzioni, come sarebbe cambiata la geografia elettorale?

E se Marine Le Pen non fosse giunta al ballottaggio, come avrebbero votato i suoi elettori? Avrebbe prevalso un euroscettico o un atlantista sfegatato?

Dato il sistema del ballottaggio, Macron prende il via comunque da favorito, perché una parte massiccia delle personalità e delle formazioni sociali che pure non lo ha votato teme di più Le Pen e si mobiliterà in tal senso. Ora non si tratta tanto dello schieramento - davvero scontato - dell'élite, ma anche delle associazioni nei quartieri, dei sindacati a livello locale, di tutta una miriade di organizzazioni con radici popolari. Certo, è un mondo che stavolta ha dato al candidato socialista Benoît Hamon soltanto un miserrimo 6 per cento dei voti, ma è anche un mondo che ha una lunga storia dove dire 'non' a Le Pen è stata sempre una pregiudiziale inflessibile, quartiere per quartiere, villaggio per villaggio. Buona parte degli elettori di sinistra di Mélenchon condivide molti più punti programmatici sociali con la presidente del Fronte Nazionale che con il rampollo della finanza predatoria. Ma per Marine Le Pen conquistare quei voti significa dover demolire un "di più" di sfiducia verso il portato storico e ideologico che lei rappresenta. È prevedibile che farà allora di tutto per presentarsi come l'Alternativa possibile, cercando di erodere il Fronte che già si è costituito contro di lei, pescando tanto a sinistra, quanto fra gli euroscettici che pure hanno votato il moderato Fillon.

In mezzo al risultato colpisce la disfatta totale dei socialisti francesi, che ripete quella dei socialisti olandesi di marzo. La sinistra socialdemocratica europea è in rotta, e le sue residue bandiere le consegna a difendere un bidone della banca Rothschild. 

Comments

Search Reset
0
Claudio
Tuesday, 25 April 2017 17:30
Per prima cosa nella sua proposizione di partenza a mio avviso manca il congiuntivo anche: “il meccanismo del ballottaggio non potrà mai a giocarsi sul consenso per sé, ma (anche) sul dissenso verso l'altro candidato.
Data per corrispondente al vero la descrizione che ne fa di Macron che io ignoro, per quanto concerne l’estabilissement e i media condivido la sua analisi, ma sul concetto “sconta il fatto che la corrente principale dei media è sempre più invisa a decine di milioni di persone, che si informano su altri canali e hanno altri intellettuali di riferimento”, avrei qualcosa da obiettare, e cioè che non darei per scontato che questi ultimi siano effettivamente migliori, almeno dal punto di vista degli interessi di classe, mentre per quanto concerne gli “altri intellettuali di riferimento”, se fossero così speciali come lei sottintende, penso che la situazione politica della classe operaia e della sinistra, francese ed europea, non sarebbero così disastrate e succube degli interessi del capitale come sono. Inoltre, una cosa è parlare di lotte, in cui le masse esprimono le proprie esigenze, i propri interessi più o meno consapevoli ed avanzati, un altro è parlare di elezioni, in cui le grandi masse non avendo alcun reale interesse, sono fortemente ed in mille modi influenzate dai molteplici organismi e dai ricatti del potere costituito.
Sarà anche vero che Marine Le Pen abbia “assunto un profilo staccato dalle caratteristiche fasciste”, sta però di fatto che porta avanti posizioni nazionaliste fuori dal tempo, xenofobe e razziste che col fascismo hanno assai più d’una semplice somiglianza. Il cosiddetto “radicamento nei quartieri operai” del Front National, sta a dimostrare soprattutto due cose: il plateale fallimento della cosiddetta sinistra, sia istituzionale che “antagonista”, nonché la terribile arretratezza operaia, la quale anziché portare avanti i propri interessi di classe, notoriamente anti sistema, continua a credere alle vane promesse dell’ultimo ciarlatano di turno che viene presentato sulla piazza, del tipo di Berlusconi, Renzi, Grillo, Blair, Trump e Le Pen, tanto per fare qualche esempio.
Per concludere ritengo fuorviante prendersela con i burocrati di Bruxelles e propendere per l'uscita dalla Ue e per il cosiddetto sovranismo, anziché rivendicare un nuovo sistema sociale che metta al bando sfruttamento, profitto, mercato e moneta, tanto più che i burocrati di Bruxelles non sono altro che l’espressione mediana della volontà dei governanti degli stati nazionali che la compongono.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Federico Repetto
Tuesday, 25 April 2017 11:35
Se Marine Le Pen non può essere classificata fascista o semifascista come suo padre, è però apertamente discriminatoria e razzista, come Trump. E' giusto però sottolineare il suo radicamento popolare e anche operaio. Un suo buon piazzamento al secondo turno può servire forse a spaventare gli eurocrati spingendoli a trasformare la loro politica. Ma perché una sua vittoria dovrebbe p.es. diminuire l'intervento militare in Africa o il trattamento discriminatorio tra i proletari francesi doc e i proletari non francesi doc? Inoltre l'autore sembra pensare che il supercapitalista razzista Trump avrebbe voluto fare qualcosa contro la grande finanza, mentre sta distruggendo zitto zitto quei pochi argini che le aveva posto Obama.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit