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manifesto

Così è la vita

Felice Cimatti

SUPERARE IL DETERMINISMO GENETICO. Un incontro con il fisiologo Denis Noble, del quale è uscito da Bollati Boringhieri un saggio titolato «La musica della vita». Il codice del Dna - dice - somiglia a un cd perché convoglia informazioni digitali. Ma così come un disco non scrive la musica il Dna non «causa» la vita

dnaCos'è la vita? Da un punto di vista scientifico la risposta non è affatto ovvia. Che differenza c'è fra uno stesso gatto quando è vivo e quando è morto? Il gatto morto è composto della stessa materia di quello vivo, eppure, evidentemente, c'è una differenza radicale fra i due. La risposta non va cercata direttamente nella materia organica, perché essa è - come ci ricorda il biologo Denis Noble, di cui è stato da poco pubblicato La musica della vita (Bollati Boringhieri) - materia esattamente come quella non organica. Non c'è un'essenza della vita che si possa individuare al microscopio. Il libro di Noble affronta questo tema, così dolorosamente attuale, proponendo un orientamento singolare, e allo stesso tempo antico, allo studio dei fenomeni viventi. Oggi, e non solo nella biologia, prevalgono le spiegazioni riduzionistiche, che cercano di rendere conto dei fenomeni trattandoli come l'effetto superficiale di qualche meccanismo nascosto al loro interno (e il riduzionismo non è solo scientifico ma anche religioso). È un procedimento spesso molto fruttuoso, ma talvolta no: per esempio nel caso dei fenomeni complessi, o emergenti, in cui interagiscono una moltitudine di componenti elementari. Prendiamo il caso del battito cardiaco: come illustra Noble nel suo libro una spiegazione riduzionista di questo fenomeno biologico fondamentale semplicemente non esiste (non esiste, cioè, il gene del battito del cuore, così come non esiste il gene della vita). Altre spiegazioni le lasceremo allo stesso fisiologo di Oxford.


L'uso che lei fa della analogia fra la musica e la vita le serve a sostenere che i fenomeni vitali non hanno, al loro interno, qualche essenza misteriosa. Come la musica esiste soltanto se viene eseguita, così la vita c'è solo in quanto e finché è vivente. Nel sempre - lei dice - per dare conto di un fenomeno complesso è vantaggioso cercare una spiegazione riduzionista, cioè più semplice del fenomeno che intende spiegare.

Infatti, come ho mostrato per esempio nella mia ricerca sul battito cardiaco, comprendiamo il ritmo del cuore come un processo integrato che coinvolge molti componenti individuali proteici. L'integrazione e la riduzione sono le due facce della stessa moneta. La biologia nella seconda parte del ventesimo secolo si è concentrata sulle spiegazioni riduzionistiche. Nel nostro secolo, tuttavia, è necessario concentrarsi sul tentativo di integrare la conoscenza riduzionista all'interno di un quadro complessivo che ci consenta di comprendere i processi biologici ad un livello superiore a quello dei geni e delle proteine.


Come definirebbe una spiegazione riduzionista?


Una spiegazione riduzionista sarebbe quella che dà conto interamente di tutte le caratteristiche di un fenomeno basandosi sui suoi componenti individuali di basso livello (ed esempio, geni e proteine). Una spiegazione alternativa, integrata, è invece quella che richiede anche di tenere conto delle influenze di alto livello (ad esempio, i vincoli e i processi di feed-back).
Capita piuttosto spesso di leggere le dichiarazioni di qualche scienziato che annuncia la scoperta di vari geni improbabili, come quelli dell'odio, dell'amore, dell'omosessualità, e così via.


Ci spiega come mai il ragionamento stesso che è alla base di queste notizie non può essere corretto?


Perché non esistono i geni per qualcosa, così come un disco non coincide immediatamente con la musica. I geni costituiscono il database, che l'organismo usa per costruire gli schemi di espressione proteica di cui ha bisogno. Così, non esiste un gene responsabile del ritmo cardiaco. I geni implicati in questo processo sono molti, e richiedono ai loro prodotti proteici di cooperare.


C'è un luogo comune che riguarda il cosiddetto codice genetico. In realtà in un vero codice ad ogni segnale corrisponde una entità precisa, e solo una. Le lingue umane, per esempio, non sono codici, perché una stessa parola può assumere significati diversi a seconda dei contesti. Dunque, il gene è più simile al segnale di un codice o ad una parola di una lingua storico-naturale?


Molto più simile alle parole di una lingua. Metà dei geni dell'ascidia, animali marini dal corpo a forma di otre che si nutrono per filtrazione, sono omologhi a quelli dell'animale umano, ma le loro funzioni sono di solito diverse. Gli umani hanno funzioni che le ascidie non hanno. Così i geni, e i frammenti di geni sono usati più volte dalla natura man mano che l'evoluzione scopre per loro nuove funzioni. Più che un codice il genoma è un insieme di schemi per la produzione di proteine.


Se una essenza della vita non esiste, come si potrebbe definire la diversità fra i fenomeni viventi e quelli non viventi?


È difficile definirla con precisione. Sappiamo, per esempio, che un organismo è morto quando i processi d'alto livello non sono più attivi. I virus, per esempio, sono morti quando si trovano all'esterno di un organismo, e vivi quando si riproducono all'interno di un organismo. Ma la difficoltà nel definire quand'è che un organismo è vivo non vuol dire che non ci sia differenza con uno morto.


Parliamo di natura umana. Secondo i preti e gli psicologi evoluzionistici esiste davvero qualcosa del genere (anche se non c'è accordo su cosa sia ciò di cui si tratta). Dal suo punto di vista, così radicalmente anti-essenzialista, la natura umana cos'è?


Credo che l'essenza della natura umana consista nell'esistenza del sé, che come cerco di argomentare anche in due capitoli del mio libro sulla Musica della vita è un processo, non una cosa. Questa è la ragione per cui il mio modo di fare biologia conduce naturalmente ad una filosofia del non-sé, arrivando così a somigliare ad una filosofia di ispirazione buddista. Il «non-sé», tuttavia, non indica che il sé non esiste. Significa che non esiste in quanto oggetto. E che corrisponde invece a un processo, quello di più alto livello, che ci rende umani.


Oggi l'antico dibattito sulla distinzione fra natura e cultura sembra pendere a favore della natura, cioè dei geni. Ritiene che questa soluzione ci permetta di spiegare il fenomeno umano in un modo migliore di quanto non si farebbe privilegiando le spiegazioni culturali?


La verità è che stiamo cominciando solo ora a comprendere i limiti che comporta il concentrarsi soltanto sulle spiegazioni genetiche. Ci sono, poi, i processi epigenetici che rispondono all'ambiente. Come ho già detto, gli organismi sono macchine interattive, diversi - quindi - dalle macchine programmate come la macchina di Turing, che sta alla base dei comuni calcolatori elettronici.

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