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L'ultimo pugno di dollari

di Alberto Micalizzi

piattaforme criptoI.

Il dollaro sta mutando verso qualcosa di sconosciuto che la FED sembra preparare per porre rimedio alla gigantesca bolla monetaria che avvolge il pianeta, pronta ad esplodere da un momento all’altro.

La politica economica Usa degli ultimi 30 anni ha coperto i deficit commerciali inondando il mondo di biglietti verdi. Ciò ha consentito al PIL americano di crescere nonostante il peso delle importazioni. Difatti, la discesa strutturale dei tassi USA – che dura ormai da quasi tre decenni – rispecchia la costante iniezione di liquidità che la FED ha operato proprio per stimolare il PIL.

L’approccio “monetarista” nel senso di Milton Friedman – al quale peraltro vari Governatori della FED tra cui Alan Greenspan si ispirarono in modo esplicito – nasce dunque dalla consapevolezza che attraverso il dollaro il Governo Federale possa ignorare i vincoli di bilancio che caratterizzano qualsiasi altra economia. Ma tutto questo non può accadere senza turbolenze.

Quando una famiglia consuma più di quello che le finanze consentono, e non ha voglia di produrselo in casa, deve escogitare un modo per pagare chi lavora al posto suo. Nel caso USA parliamo di un deficit commerciale che oscilla tra $300 e $700 miliardi all’anno, che è stato sinora tamponato con il privilegio di regolare tutte le transazioni internazionali in valuta domestica.

Affinché questa liquidità supporti il sistema economico non basta che il Governo si indebiti e faccia spesa pubblica; occorre anche che le famiglie, le imprese e le banche americane abbiano concretamente in mano una capacità di spesa da scambiare contro beni e servizi da importare.

Questa infiltrazione di liquidità nel sistema viene realizzata mediante la formazione di bolle speculative che aumentano fittiziamente il valore dei beni americani (case, imprese, titoli etc) in modo che questi possano generare una base monetaria per gli scambi. Di queste bolle possiamo identificarne 4 dagli anni ’90 in avanti, delle quali tre puntualmente esplose…

La prima bolla è quella “tecnologica” iniziata nei primi anni ’90 sulla scia dei semiconduttori della Sylicon Valley. A metà del 1998 la borsa tecnologica si era apprezzata del 220% consentendo alle imprese di finanziarsi, di acquistare ostilmente aziende estere e di distribuire dividendi favolosi. Il potenziale distruttivo di questa bolla fu salvato dal “cuscinetto” creato dalla nuova bolla in partenza, quella “internet”, che da Gennaio 1999 a Marzo 2000 fece raddoppiare l’indice Nasdaq, con quotazioni surreali delle società “.com”, talvolta vuote o quasi.

Il crollo delle “.com” fornì ad Alan Greenspan, allora Governatore della FED e monetarista convinto, la più ghiotta delle occasioni per premere sull’acceleratore monetario ed inaugurare la più lunga serie di tagli consecutivi dei tassi di interesse che crollarono da oltre il 6,5% a meno del 3% nel 2007, facendo affluire fiumi di dollari nell’economia.

Greenspan salvò la baracca ma causò l’accumulo di una immensa bolla speculativa “immobiliare”, la terza che ricordiamo, anche nota per le speculazioni irrazionali sui sub-prime, ovvero mutui ipotecari in sofferenza utilizzati per costruire derivati complessi spacciati nel mondo come una vera e propria moneta che ampliava fittiziamente la capacità di spesa delle imprese e delle famiglie.

La catastrofe avvenne nell’Ottobre 2007 quando si scoprì che tutte le banche americane erano piene di spazzatura, cioè derivati il cui valore era nullo o quasi e l’epilogo fu il fallimento della Lehman Brothers del Settembre 2008, un fallimento che, sebbene pilotato (vedi mio articolo ”Fallimento della Lehman Brothers – Ottavo edificio”), rispecchiava lo stato di insolvenza generale del sistema finanziario americano.

Lo shock fu devastante, ed a Marzo 2009 il Senato americano aveva già appovato quasi $1.000 miliardi di intervento della FED a beneficio delle istituzioni finanziarie. Dal 2009 la FED ha così iniettato nel sistema una quantità imprecisata di dollari tanto che ad Ottobre 2014 il New York Times parlò di $4.500 miliardi (vedi articolo “Quantitative Easing is Ending”).  Considerando gli ultimi tre anni e le azioni non ufficiali della FED alcuni analisti affidabili stimano un totale di circa $7.000 miliardi di liquidità straordinaria inserita dalla FED nel sistema economico dal 2009 ad oggi.

Grazie al continuo formarsi di bolle speculative dovute a precise scelte di politica monetaria, il deficit commerciale USA è stato gestito ed il PIL americano ha potuto continuare a crescere senza sosta, passando da $6.000 miliardi del 1990 a $10.000 miliardi del 2000 a $15.000 miliardi del 2008 ed agli attuali $18.000 miliardi!

Ma dove sono finiti gli ultimi $7.000 miliardi iniettati dal 2008 in avanti? Hanno creato una nuova bolla, una “bolla monetaria”, la più temibile di tutte. Mentre la bolla tecnologica e quella internet erano un fenomeno relegato alla Silicon Valley, e quella immobiliare si estendeva al territorio USA, la bolla monetaria è un fatto globale, interessa tutti i settori e tutte le principali economie del mondo.

Un’economia che cresce grazie a bolle speculative dettate dall’esigenze di mascherare squilibri commerciali strutturali non può essere duratura, né può essere presa come esempio virtuoso. E’ un problema diverso dall’accumulo di ricchezza nelle mani di pochi, di cui si parla spesso. Qui siamo di fronte ad una gigantesca operazione di appropriazione di risorse mondiali da parte di una popolazione che ha potuto utilizzare la prerogativa di regolare tutti i pagamenti verso l’estero mediante la propria moneta ufficiale. Un vero e proprio sistema dollaro-centrico.

Bene, questo sistema sembra essere giunto al capolinea, ed il segnale di gran lunga più importante sta nel fatto che la più forte iniezione monetaria della storia americana ($7.000 miliardi in 8 anni) ha prodotto la più bassa crescita del PIL ($3.000 miliardi) mostrando un chiaro effetto de-moltiplicativo sull’economia (opposto al noto effetto “moltiplicativo”). Quando l’aggiunta di un dollaro fa crescere l’economia meno della metà del suo valore nominale vuol dire due cose: che la sorte dell’economia è legata al dollaro ma che il dollaro è alla frutta!

Che quella americana sia una crescita fittizia lo vediamo anche dal debito privato, cresciuto molto più velocemente del PIL! Il debito pubblico USA, infatti, che ha raggiunto il 104% del PIL, non può essere considerato un vero indicatore di indebitamento dato che il Dollaro è una moneta-debito come l’Euro e quindi il Governo USA non può che contabilizzare un debito pubblico tutte le volte che raccoglie liquidità dalla FED. Pertanto non sarebbe corretto considerarlo in pieno.

Il vero indicatore del fatto che la crescita USA è fittizia e che è basata su una gigantesca bolla monetaria sta nella crescita dell’indebitamento privato, legato a famiglie e imprese. Tra mutui ipotecari ($15.000 miliardi), prestiti personali ($18.300 miliardi) e debito delle imprese ($12.500 miliardi) il debito privato del sistema USA ha raggiunto il valore di $49.000 miliardi, cioè il 250% del PIL! (era meno della metà negli anni 2000). Questo debito è reale, cioè nasce da uno scompenso tra entrate ed uscite che prima o poi va affrontato.

Per dare un’idea, in Italia il debito privato è pari al 120%, cioè la metà di quello americano. Peraltro, le famiglie italiane, diversamente da quelle americane, posseggono (ancora) una notevole ricchezza lorda (case, risparmi, auto etc.). Dunque, il caso italiano sarebbe nettamente migliore anche se i due debiti privati avessero lo stesso peso su PIL.

Come illustravo nel mio articolo “I segreti di Trump dietro le acrobazie fiscali”, dunque la FED non ha più leve di gestione sul dollaro. I tassi sono a zero e i principali creditori quali Cina e Giappone stanno riducendo l’esposizione verso le obbligazioni in dollari. In più, si galleggia su una enorme bolla che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Questa volta, la FED non avrebbe più strumenti per fronteggiare la svalutazione del sistema economico. Le vele dell’economia americana sono lacerate, perciò anche se ci fosse un forte vento – leggi nuove immissioni di liquidità  – la barca non si sposterebbe!

Per fronteggiare questa situazione la FED ha escogitato un piano che è destinato a sconvolgere gli equilibri valutari internazionali ed a modificare la percezione che sinora abbiamo avuto della moneta. Nella seconda parte di questo articolo vedremo il piano della FED e lo faremo prendendo spunto dalle anticipazioni di un guru anarco-capitalista che è stato vicino agli ultimi Presidenti USA e che ha azzeccato le previsioni sui principali eventi sistemici che hanno caratterizzato l’economia USA negli ultimi decenni.

 

II.

La svolta epocale nei sistemi monetari che le banche centrali, e la FED in particolare, stanno determinando si colloca all’interno di un nuovo scenario tecnologico che silenziosamente sta diffondendosi a livello privato e che sta conducendo alla diffusione delle cripto-monete. Mettiamoci bene in testa questo termine perché la moneta del prossimo futuro, parlo di un futuro a breve, sarà una cripto-moneta.

In questa seconda parte analizziamo l’entrata delle banche d’affari nelle cripto-monete, che anticipa l’entrata delle banche centrali, di cui ci occuperemo in una prossima terza parte che tratterà in particolare la mossa sorprendente alla quale la FED sta lavorando. Infine, nella successiva quarta parte illustrerò una proposta per trasformare la minaccia delle cripto-monete in opportunità. Qualsiasi cambiamento drastico serba minacce, ma con qualche mossa astuta non è detto che una volta cacciati dalla porta, come lo siamo stati sul fronte della sovranità monetaria, non si riesca a rientrare dalla finestra…

Dunque, c’è un “cripto-futuro” nelle banche d’affari. Il Financial Times ci svela che banche del tenore di UBS, Deutsche Bank, Bank of New York e Santander, quindi il gotha delle cosiddette “too big to fail”, stanno creando reti di cripto-valute da lanciare all’inizio del 2018. Ma ci sono anche Citigroup con il loro “Citicoin”, Goldman Sachs con “Setlcoin” e via discorrendo. Lo scopo, esse dicono, è snellire le procedure di regolamento degli scambi interbancari. Queste cripto-valute sono convertibili in valute ufficiali sottostanti presso le banche centrali e consentono il regolamento immediato e senza costi degli scambi interbancari e tra banche e grandi corporations.

La più nota delle cripto-valute finora conosciute è senz’altro il Bitcoin, ma a fianco ad essa si contano oggi circa 830 cripto-monete che includono anche diretti competitors del Bitcoin come Litecoin e MiketheMug. Alcuni fondi di investimento speculativi che scommettono su nuovi progetti stanno addirittura iniziando a finanziarie il lancio di queste piattaforme, operazione che prende il nome di ICO (Initial Coin Offering), traducibile come “offerta pubblica di cripto-monete”, che scimmiotta la più famosa sigla “IPO” (Initial Public Offering) che designa la quotazione in borsa di società. Addirittura, vi sono già borse per lo scambio di derivati sulle cripto-valute, tra le quali primeggiano Bitmex e Bitfinex.

Si tratta di un mondo deregolamentato che sta espandendosi a ritmo esponenziale. Perché non si pensi a fenomeni marginali, si tenga conto che il valore di mercato odierno dei Bitcoin già in circolazione ha superato $10 miliardi! (fonte FT), tenendo conto che nacque nel 2009 da uno sconosciuto scienziato informatico… E’ accettato da Amazon, WordPress, dal Casinò di Las Vegas, da catene internazionali di hotel, da Microsoft, Dell, da compagnie aeree come Airbaltic e molti altri major del villaggio globale.

Cosa sono le cripto-monete? Sono unità di conto digitali create all’interno di circuiti privati collegati da computer. Sono monete scambiabili elettronicamente. La quantità di moneta emessa è predeterminata all’atto del lancio della piattaforma e gestita da un algoritmo matematico. Ad esempio, nel caso del Bitcoin, entro il termine previsto dell’anno 2140 saranno emessi esattamente 21 milioni di Bitcoin. Ovviamente tale numero non ha nulla a che vedere con il valore di mercato, cioè con la capacità di acquisto che ciascun Bitcoin offre (ad esempio oggi 1 Bitcoin vale circa €2.200).

I Bitcoin si ricevono in larga parte da chi già li possiede, comprandoli o accettandoli in pagamento contro beni e servizi, e si possono scambiare liberamente in tempo reale senza alcun costo attraverso portafogli virtuali scaricabili in rete tramite software “open-source”. Dunque, lo scambio di Bitcoin avviene tra due computer in maniera del tutto anonima.

Alla domanda da cento milioni “su cosa si fonda la fiducia nei Bitcoin”, la mia risposta è piuttosto sicura: avete presente i circuiti esclusivi di carte di credito, tipo l’American Express “Black”, che offre una capacità di spesa teoricamente illimitata? Bene, il Bitcoin finisce per essere un circuito esclusivo di regolamento delle transazioni, che in più offre il totale anonimato delle transazioni, dunque potrebbe essere uno strumento nelle mani di pochi centri di “potere” dediti al riciclaggio, a commerci non consentiti dalle norme di taluni Paesi, o semplicemente al regolamento di transazioni tra aziende e banche che non vogliono rivelare la propria identità. Insomma, una specie di “paradiso monetario”. Ecco perché sta diffondendosi rapidamente. Ma questa iniziale spiegazione non tiene conto del salto di qualità in corso, dovuto all’entrata in scena delle banche commerciali, delle grandi corporations e dalle banche centrali come emittenti e gestori di cripto-valute.

Dunque, sappiamo che vi sono già centinaia di circuiti privati di cripto-monete, che sono accettate dai “vip” del villaggio globale, che ci sono ormai investitori specializzati che ne finanziano il lancio, che esistono borse per il trading, e sappiamo che stanno per entrare in campo le grandi banche d’affari. Torniamo a queste.

Le grandi banche commerciali e le corporations ad esse collegate come Blackrock, Avantguarde, Statestreet o Prudential sono ormai dei super-Stati, il cui giro d’affari supera largamente il PIL di Paesi come Italia, Francia e Canada (Blackrock da sola gestisce $5.000 miliardi, tre volte il PIL italiano). Altrove ho ricordato che “L’architrave del sistema poggia su poche grandi conglomerate definibili come “super-entità” per la forza d’urto, per la trasversalità settoriale e la transnazionalità della sfera d’azione” (“La matrice che ci imprigiona”). Dunque, cosa manca ad un super-Stato per essere totalmente sovrano? La moneta, ovviamente. Una moneta creata a gestita interamente al proprio interno, e non soltanto prestata a credito.

In realtà, queste banche stanno entrando nell’area delle cripto-monete adducendo la necessità di ridurre i costi di transazione e di amministrazione. Hyder Jaffrey, capo del dipartimento di innovazione tecnologica di UBS, ha sostenuto che “quello che le cripto-valute consentono è di eliminare i tempi dei processi di pagamento”. Sulla stessa lunghezza d’onda si è espresso Julio Faura, capo del dipartimento di ricerca e sviluppo di Santander, il quale ha detto che “oggi le negoziazioni tra banche e le istituzioni sono difficili, richiedono tempo e sono costose, il che spiega perchè dobbiamo tenere grandi strutture di back-office. Questa nuova tecnologia serve a rendere più efficienti e lineari tali procedure”.

A riferirlo è sempre il Financial Times (“Big banks plan to coin new digital currency“) ma si sa che lo sciocco (ed il servo, aggiungo io) guarda il dito quando il saggio indica la luna….infatti, vorrei ricordare che anche i primi contratti derivati, nel dopoguerra, consentivano alle aziende agricole di stabilizzare i ricavi vendendo a termine il raccolto, il che appariva un fine nobile. Poi arrivarono gli ingegneri finanziari, e capirono che lo stesso derivato poteva essere negoziato senza necessità di riferirsi a grano, oro o altri valori sottostanti. Fu così che i derivati diventarono lo strumento di distruzione di massa che abbiamo conosciuto negli anni 2000 con i mutui sub-prime….

Anche con le cripto-monete si parte dunque da buone intenzioni, cioè aumentare l’efficienza dei sistemi bancari, ma è del tutto evidente che attraverso le cripto-monete le banche e le grandi corporations stanno modernizzando ed internalizzando la funzione di creazione di denaro. Grazie a queste piattaforme, infatti, non creeranno più soltanto credito, sotto forma di moneta bancaria a favore dei propri clienti (moneta che notoriamente non contabilizzano tra gli attivi, come invece dovrebbero), ma creeranno direttamente moneta spendibile con la quale potranno regolare i propri pagamenti. Quella creazione di denaro dal nulla che fino ad oggi finiva nelle mani dei clienti attraverso il credito, con la cripto-moneta sarà invece spendibile direttamente dalle banche stesse. Era da aspettarselo che prima o poi ci sarebbero arrivati.

Il salto è sostanziale. La creazione di credito consente alle banche di sottrarre ricchezza dal settore privato e statale a vantaggio di quello finanziario, tramite l’applicazione di interessi passivi. La creazione di cripto-monete, invece, darà loro un vero e proprio potere di acquisto, con il quale potranno bussare con maggiore enfasi alla porta degli Stati e fare scempio dei beni pubblici e privati.

E chi troveranno alla porta? Troveranno Stati che non solo non hanno gli stessi mezzi, ma che addirittura prendono a prestito contro interesse una moneta che le stesse istituzioni private ed internazionali concedono loro! Sarà una guerra ancora più impari.

Che le cripto-monete in mano alle banche rappresentino uno strumento avanzato di creazione e appropriazione di base monetaria si evince anche da una lettura tra le righe dello stesso Financial Times che dedica un articolo al rischio “bolla speculativa” collegata al Bitcoin (“Bitcoin’s surge fuels fears of asset bubble”). Quindi, non si può neanche parlare di “complotto” dato che la cosa sta accadendo alla luce del sole.

Ma non è tutto. Come vedremo nella terza parte, anche le banche centrali si stanno muovendo nella direzione delle cripto monete. La Banca d’Inghilterra, la Bank of Japan, la FED, la Banca Centrale Canadese sono le più attive nel testare modelli di cripto-valute, ed ovviamente a livello ufficiale dicono di doverlo fare in conseguenza della mossa delle banche commerciali. Ma così non è.

Attenzione perché le banche centrali possono persino superare i limiti delle cripto-monete ad esempio consentendo depositi reali anziché virtuali, aperti anche a individui ed imprese. Ma soprattutto potrebbero indurre dei “bias” (cioè delle alterazioni volontarie) agli algoritmi matematici che generano cripto-monete in modo da regolarne la quantità di emissione. Infine, potrebbero decidere di remunerare i depositi di cripto-monete, in maniera di dotarsi di una ulteriore leva di politica monetaria.

Stiamo andando incontro ad un appuntamento fatidico con la storia dei sistemi monetari e probabilmente con il destino della libertà dei nostri popoli.  Per rendere l’idea del salto tecnologico in atto, le cripto-valute stanno alla moneta bancaria come la bomba a idrogeno sta alla freccia con l’arco… Mancare questo appuntamento sarebbe la fine di qualsiasi speranza di riacquisire sovranità monetaria. Ma per avere una chance occorre liberarci di schemi mentali del passato altrimenti saremo destinati a combattere battaglie di retroguardia.

(continua...)

Comments

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Claudio
Wednesday, 07 June 2017 16:34
Complimenti, veramente interessante ed istruttivo. Grazie.
Prepariamoci ai nuovi abissi, altro che sovranismo da medioevali!
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