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puntocriticoblog

Come spiegare la guerra in Ucraina?

di Sergio Farris

124012595 b753bb52 0cd0 4298 93e4 d4b0c003bb72Come sappiamo, il 24 febbraio 2022 la Federazione russa ha dato inizio a un’invasione militare dell’Ucraina.

Fin dal principio, la visione prevalente del conflitto diffusa dai politici e dai mezzi di comunicazione occidentali ha abbracciato una teoria che si sposa con il liberalismo. Entro un certo limite, questo è comprensibile. Era persino prevedibile. Come abbiamo già scritto sulle pagine di questo sito, un sistema di valori e di istituzioni tende naturalmente a ricercare conferma della propria bontà, ponendosi magari in controluce rispetto a sistemi che deve considerare alteri.

Nelle considerazioni che seguono, si cercherà di dar conto dell’interrogativo in oggetto alla luce di due fra le maggiori scuole di pensiero delle relazioni internazionali: liberalismo e realismo. (1)

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Il liberalismo connota le cosiddette ‘democrazie occidentali’.

La locuzione liberal-democrazia definisce un sistema-paese dove si tengono periodicamente elezioni ‘libere’ dei rappresentanti politici e dove sussistono garanzie giuridiche dei diritti individuali. Lo stato è considerato invasivo della sfera personale, pertanto il potere pubblico deve soggiacere al diritto e non deve essere esercitato in modo arbitrario.

Se si prova ad applicare il liberalismo alle relazioni internazionali, anche in tale disciplina emerge la sua matrice individualistica.

Nell’ambito delle relazioni internazionali, il liberalismo si riferisce al modo mediante il quale le istituzioni, i comportamenti e i legami economici temperano e contengono il potere degli stati.

Questo non deve sorprendere, data la natura individualistica – risalente all’idea moderna di individuo che si oppone al potere regio – che connota il liberalismo. In più, il liberalismo tiene in particolare considerazione il ruolo delle organizzazioni internazionali.

Questo aspetto rileva specie se il liberalismo è paragonato ad altre teorie delle relazioni internazionali, come il realismo. Sempre rispetto al realismo, il liberalismo offre una visione ottimistica e irenica del mondo, basata su una propria lettura della storia. Anche questo non deve suonare strano, se si assume che il commercio internazionale attuato nell’ambito di un ampio e libero mercato dovrebbe accontentare e soddisfare tutti gli attori in esso coinvolti e prevenire, di conseguenza, i conflitti fra Paesi.

Il liberalismo è fondato sull’ipotesi morale che il governo debba assicurare il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà privata. Perciò, l’accento è posto sul benessere individuale quale scopo del sistema politico. Un sistema di governo senza contrappesi, come una monarchia o una dittatura, non garantisce la libertà dei cittadini. Quindi, compito dei liberali è costruire uno stato in cui vigano istituzioni che proteggano la libertà individuale; uno stato in cui il potere politico sia efficacemente limitato.

Possono sembrare, queste, preoccupazioni degne della politica di livello nazionale. Tuttavia, anche la politica estera – le azioni di un governo all’estero e nei rapporti con altri enti statuali – si ripercuote sulle libertà domestiche. Ad es., una politica estera o di sicurezza esterna che richieda un certo impiego di forze e apparati militari può ingenerare, in un liberale, il dubbio che tali forze e apparati possano un giorno venire impiegati per ragioni interne – ad es., oppressione e conculcamento delle libertà – e non solo per ragioni internazionali. In teoria, dunque, per i fautori del liberalismo la potenza militare dovrebbe essere limitata, così da potere essere controllata dalla società civile. Un altro dilemma intellettuale per i liberali è costituito dall’imperialismo. Si tratta delle guerre di espansione, ossia l’intento di catturare territori posti oltre i confini – in un certo momento storico riconosciuti – del proprio stato. L’espansionismo territoriale richiede un rafforzamento del potere statale, ma non solo: richiede un impegno prolungato al mantenimento dell’occupazione militare e politica dei nuovi territori. Un incentive, quindi, alla creazione di ulteriori organi politici e burocratici.

Allora, per il liberalismo, la questione è disporre di uno stato sicuro da minacce straniere evitando il rischio che possano venire intaccate le sacre libertà fondamentali della cittadinanza.

Seguendo la dottrina liberale, il bilanciamento del potere statale si ottiene tramite le elezioni, grazie alle quali possono essere rimossi i governanti. Ciò costituisce una forma di controllo del comportamento dei politici in carica. Anche la divisione del potere tra i diversi organi di governo costituisce una rilevante limitazione al potere politico. (La classica ripartizione fra esecutivo, legislativo, giudiziario).

Sul piano prettamente internazionale, il liberalismo appoggia l’idea che stati liberal-democratici non abbiano interesse a confliggere. (Cosiddetta ‘pace democratica’). È molto raro, si sostiene, che abbia luogo un dissidio fra paesi liberali. Prima di tutto, perché negli stati liberal-democratici il potere politico è molto limitato. Poi, perché stati liberal- democratici si riconoscono sul terreno della legittimazione reciproca, non si concepiscono come ostili e, perciò, tendono a cooperare (cosa non applicabile a stati non qualificabili come liberal-democratici, con i quali è più difficile trovare intese collaborative). I liberali sostengono che, nonostante lo stato democratico sia una creazione recente dell’umanità e non vi è dunque un lasso di tempo molto lungo su cui verificare la teoria della ‘pace democratica’, molti casi di storia confermano quanto detto.

Va però aggiunto che, pur assumendo che le liberal-democrazie non siano aggressive le une con le altre, nulla toglie che non possano esserlo con stati ritenuti non democratici (es., USA versus Iraq nel 2003 e altri casi). Infine, non si può escludere a priori che altri fattori, quali alleanze fra stati, cultura, economia – non solo, perciò, il regime della liberal-democrazia –, agiscano in favore della pace.

Punto fondamentale della scuola liberale è, comunque, che la democrazia assicuri la pace internazionale ed è, in potenza, capace di assicurare al mondo intero questo genere di sviluppo. (Un mondo che, come si sa, è invece teatro di costante conflitto).

Il liberalismo sorregge l’ordine internazionale occidentale sorto a posteriori della ‘Seconda guerra mondiale’. Le istituzioni e le organizzazioni internazionali riflettono la filosofia delle istituzioni liberali applicate in vari singoli paesi: contenere e restringere il potere degli stati.

Secondo il ‘diritto internazionale’, sono vietate le guerre di aggressione. Non esiste una forza internazionale che garantisca questa ‘legge’, ma un Paese aggressore può subire sanzioni e interventi armati, sia da parte di singoli stati che da parte delle Nazioni Unite. Il Paese aggressore rischia altresì di perdere i vantaggi del commercio internazionale e il riconoscimento diplomatico.

L’ordine liberale prevede l’esistenza di organizzazioni, abbinate al diritto e agli accordi fra stati, che creano il Sistema Internazionale. Le Nazioni Unite, per esempio, garantiscono il dialogo diplomatico fra gli stati membri e assicurano un diritto di tribuna a ciascuno di essi. Inoltre, raccolgono risorse per il perseguimento di obiettivi comuni. In secondo luogo, il libero scambio e l’espansione del capitalismo a cui si impegnano gli stati liberali, unitamente alla previsione di organizzazioni internazionali quali WTO, IMF, WB (2), gettano le basi per un sistema economico internazionale presupposto sul libero mercato. Una situazione che si contempla essere mutuamente benefica e soddisfacente per gli attori statali partecipanti al Sistema, riduce la probabilità che insorgano conflitti e guerre dato che, si suppone, le guerre rovinerebbero il commercio e i suoi profitti.

Paesi legati in ambito commerciale dovrebbero perciò essere scoraggiati dalla prospettiva di deteriorare relazioni internazionali pacifiche. La guerra, prosegue il ragionamento, è tutt’altro che fruttuosa per uno stato facente parte dell’ordine liberale.

Infine, un tessuto normativo di carattere liberale, con il suo corredo di diritti umani e di democrazia favorisce la cooperazione fra Paesi.

Uno stato che vìoli le norme del Sistema va incontro a dei costi. I costi per un paese che infranga le norme del Sistema liberale possono essere diretti e indiretti. Si può andare incontro a un embargo, i cui danni sono diretti. Oppure si può perdere credibilità internazionale e suscitare riprovazione da parte di attori statali esteri. (Es., ancora Stati Uniti nel 2003).

Secondo i liberali, le organizzazioni internazionali aiutano i singoli Paesi ad assumere atteggiamenti cooperativi, in quanto essi saranno scoraggiati dalla tentazione di violare le norme. Se un arbitro imparziale controlla i comportamenti dei firmatari di un accordo e fornisce ad ambo le parti le informazioni del caso, decresce l’incentivo a ‘farla franca’ e guadagnare dalla violazione dei patti. Le parti possono fiduciosamente impegnarsi nella collaborazione. Così, i firmatari possono contare sui benefici promessi dall’accordo. In particolare, possono fare affidamento sulla prospettiva di guadagni assoluti e non solo relativi. Un guadagno relativo, ossia inferiore rispetto a quello conseguito da una controparte, può essere interpretato come una sconfitta e una perdita di ‘potenza’ relativa. (Anche se, va evidenziato, il concetto di ‘potenza’ è piuttosto affine al realismo).

Con la loro enfasi su una ottimistica prospettiva di guadagni assoluti e grazie al puntello fornito alla loro teoria dall’esistenza delle organizzazioni internazionali, i liberali concepiscono un mondo in cui gli stati preferiscono naturalmente cooperare e stipulare accordi che accrescono il benessere reciproco.

Dunque, secondo la scuola di pensiero liberale, la concentrazione del potere statale è una minaccia alla libertà individuale. Deve quindi essere contenuta. I mezzi per questo contenimento sono norme e istituzioni da impiegare a livello nazionale e da porre a livello internazionale. Sul piano internazionale, le organizzazioni sovranazionali limitano il potere dei singoli stati mediante l’incentivo alla cooperazione e l’imposizione di costi e sanzioni agli attori statali trasgressori delle norme e degli accordi.

Le organizzazioni economiche sono particolarmente indicate per incentivare la cooperazione, grazie all’assunto che l’interdipendenza economica procura sostanziali benefici reciproci. Infine, leggi di stampo liberale rafforzano il disincentivo all’uso della forza, in quanto contribuiscono a formare il tipo di comportamenti a tal fine appropriati. Infine, i tonici effetti del liberalismo si dispiegano al livello globale.

Il liberalismo può essere visto come una teoria utopica, adatta a coloro che professano un mondo di pace e felicità diffusa, ma può anche essere visto come una solida teoria che trova conferma nell’esperienza storica.

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Il punto di vista liberale è, ovviamente, spinto dal principale attore dell’ordine globale vigente, gli USA. Rigidamente applicato al conflitto in Ucraina, l’assioma liberale non lascia scampo alla Federazione russa: vi è stato un attacco a un Paese sovrano in violazione del diritto internazionale. La Russia è l’unico colpevole e merita il regime sanzionatorio a essa imposto. Punto e fine della storia. Non si può fare altro che schierarsi con l’Ucraina e, di conseguenza, partecipare – indirettamente, per ora – alla guerra. Non ha importanza la genesi delle circostanze che hanno portato all’attacco russo. L’atto aggressivo deve essere stato, per forza di cose, ingiustificato e non provocato. Non vi è posto per un riconoscimento degli interessi russi. Una ricerca di mediazione avrebbe l’effetto di ammettere una almeno parziale legittimazione del trasgressore.

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La prospettiva cambia radicalmente se invece di porre inflessibilmente lo sguardo su chi ha compiuto la ‘prima’ mossa, si amplia la visuale e vi si innesta il realismo. Il realismo ambisce a dare un senso agli eventi della politica internazionale e a spiegarli attraverso principi e criteri chiari e diretti. Costituisce anche una guida nel più ampio terreno della teoria politica. Il realismo classico ha formato il modo in cui le relazioni internazionali sono state nei secoli interpretate. Costituisce tutt’oggi una fonte di influenza per la classe politica.

Naturalmente, ogni teoria deve essere portata a confronto con la verifica empirica.

Così, anche il realismo deve far fronte ad accuse di inattualità. Per esempio, il concetto della natura umana e i principi senza tempo che i realisti pretendono di vantare come inscalfibili da circostanze di luogo e di tempo, possono essere visti come mere astrazioni teoretiche. Molti si sono chiesti, all’indomani della fine della Guerra fredda, se il realismo potesse continuare a offrire un utile strumento di analisi delle relazioni internazionali, specialmente in rapporto alla complessa realtà della politica mondiale odierna. Comunque sia, è possibile ritenere che il realismo conservi una certa rilevanza e costituisca una valida chiave di lettura per le relazioni internazionali contemporanee.

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Non è possibile cercare di offrire una valutazione del conflitto russo-ucraino senza porre mente all’attuale fase di cambiamento del panorama internazionale contemporaneo. Il relativo declino della forza americana, il ‘ritorno’ della Russia e, soprattutto, l’ascesa della Cina. Il realismo, a tal fine, provvede a fornire diversi strumenti per la comprensione della politica mondiale di oggi, incluse le sfide appena menzionate.

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Gli elementi essenziali del realismo sono la visione pessimistica e tragica della vita e il rapporto controverso tra morale e potere. Il realismo si fa risalire a Tucicide, alla sua storia della guerra del Peloponneso. Una prospettiva realistica è infatti implicita nel metodo con il quale l’autore spiega le cause della guerra fra Sparta e Atene ( 431 – 404 a.C.).

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Le relazioni internazionali sono marcate da vincoli dovuti alla natura umana, considerata egoistica, e dalla mancanza di un governo sovranazionale. L’ordine internazionale è caratterizzato da anarchia e anomia.

Il sistema dei rapporti interstatuali è perciò intrinsecamente conflittuale. I maggiori protagonisti del sistema sono gli stati nazionali, le cui principali preoccupazioni sono la sicurezza e la potenza. La moralità delle azioni politiche è relegata in secondo piano.

Gli studiosi realisti concepiscono la natura umana come autointeressata, al punto che considerazioni su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato fare sono sopravanzate dall’interesse che si persegue.

Quanto all’assenza di un governo sovrastante gli stati nazionali, ossia l’anarchia internazionale, il realismo osserva che ciascuno stato ha il compito di assicurarsi la sopravvivenza, quindi individua i propri obiettivi e cerca di garantirsi una propria potenza. La forza relativa determina le relazioni internazionali.

Lo stato, specie durante periodi emergenziali come una guerra, tende ad agire in modo unitario, presupposto che in tali periodi vi è a rischio l’interesse nazionale. A tal proposito, i politici al governo operano in modo razionale, dato sempre che in cima alle loro preoccupazioni vi è l’interesse nazionale. Non sarebbe razionale, infatti, intraprendere decisioni che comportassero una maggiore debolezza e vulnerabilità del proprio Paese. Il fatto di trovarsi in una competizione internazionale per la propria sopravvivenza, pone in secondo piano le convinzioni politiche e ideologiche dei singoli governanti. (Ad es., un leader democratico sarà incline alla guerra tanto quanto un leader meno democratico).

Il fatto di vivere in un contesto internazionale nel quale manca un’autorità suprema riconosciuta, porta i singoli attori statali a poter fare assegnamento soltanto su se stessi, ossia sulle proprie forze.

Dal punto di vista degli studiosi realisti, la natura umana determina una sorta di ‘sentiero’ del comportamento politico, tale che questo si manifesta in modo ripetitivo nel corso del tempo. È così possibile enucleare dalla storia una costante: l’egoismo e la brama di potere conducono a risultati prevedibili. Deve essere perciò che, nella storia umana, le guerre sono state così frequenti e si susseguono senza posa.

La natura umana, connotata da egoismo e desiderio di potere, ha ovviamente un effetto sulle organizzazioni degli individui chiamate stati.

Secondo Machiavelli, il principale cruccio di un capo di stato è la sicurezza nazionale. Per adempiere a questo compito, il governante deve esser preparato a fronteggiare eventuali minacce, sia esterne che interne. Deve utilizzare la forza e l’astuzia. Se necessario, per garantire la sopravvivenza dello stato il governante deve mettere da parte la moralità religiosa convenzionale.

La concezione pessimistica della natura umana applicata alla politica si ritrova in pieno XX secolo. Contrariamente a coloro che enfatizzano la visione di una soluzione delle tensioni internazionali determinata dalla buona volontà negoziale, Morgenthau si è concentrato sulla primazia della potenza. Addirittura, la moralità andrebbe evitata. Ogni azione politica è diretta a mantenere o incrementare la potenza dello stato. La politica fondata sulla moralità può portare alla debolezza e alla possibilità di sottomissione nei confronti di uno stato avversario. In questo senso, preoccuparsi dell’interesse nazionale è amorale. Non vi è spazio per calcoli morali.

Il pensiero neorealista di Waltz, invece, ha posto in evidenza l’esistenza del vincolo, per gli stati, di appartenenza alla struttura delle relazioni internazionali. Il sistema delle relazioni internazionali è contrassegnato dall’anarchia. Una linea di azione posta in essere da uno stato è basata su una comparazione della sua potenza rispetto alla potenza degli altri stati. L’elemento centrale della teoria risiede, dunque, nelle caratteristiche del sistema internazionale. Sotto questa prospettiva, le variabili in gioco (potenza relativa, grado di anarchia del sistema) possono essere stimate empiricamente. Criterio che non è applicabile, invece, a idee come la natura umana, che poggiano su convinzioni filosofiche.

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Naturalmente, i realisti credono che la loro teoria rispecchi l’immagine della politica internazionale così come essa è attuata dai capi di stato e dai soggetti investiti delle responsabilità di governo. I loro critici, di contro, appoggiano l’idea che la teoria realista contribuisca a perpetuare lo stato di violento e aspro confronto presente nel sistema internazionale.

Presupponendo un mondo segnato da una natura umana egoistica, diffidente, poco cooperativa e da un anarchico sistema di rapporti fra stati, il realismo finisce per incoraggiare politiche basate sul sospetto, sulla ricerca della potenza e sull’impiego della forza.

Gli ‘idealisti’, visto il peso che la teoria realista attribuisce alla inevitabile natura competitiva delle relazioni internazionali, considerano essa troppo pessimistica.

Ma, a sentire i realisti, i politici al potere devono agire nei margini di numerose costrizioni e godono di scarse opportunità di cooperazione. Non vi è modo di sfuggire alla realtà della politica di potenza. Affrontare le spiacevoli difficoltà della realtà non è pessimismo, ma prudenza. Il sistema delle relazioni internazionali contiene poche possibilità di cambiamenti verso esiti maggiormente pacifici di quelli che la storia testimonia.

Un aspetto focale nella gestione degli affari internazionali da parte degli stati è, secondo i realisti, il cosiddetto ‘equilibrio di potenza’. Si tratta di una situazione nella quale gli stati compiono decisioni volte all’incremento delle proprie potenzialità e cercano di diminuire quelle altrui. Questo tende a creare un contesto internazionale in cui a nessuno stato è consentito il raggiungimento di una potenza eccessiva. Se ciò accade, si formerà una alleanza ostile alla superpotenza, così da restaurare l’equilibrio. La tendenza all’equilibrio aiuta a spiegare il carattere anarchico del sistema delle relazioni internazionali. Nessun singolo stato avrà mai la capacità di divenire una potenza globale e ‘unificare’ il mondo sotto la propria legge.

Nell’ottica dell’equilibrio, dunque, le intese fra i diversi stati saranno nel tempo improntate alla flessibilità. Gli alleati di oggi potranno ritrovarsi avversari domani e, in seguito, ancora alleati. Le alleanze saranno determinate più dall’obiettivo di trovare ‘nemici del nemico’ che da aspetti di affinità politica o culturale. Ad es., Stati Uniti e Unione Sovietica sono stati alleati contro la Germania durante la Seconda Guerra Mondiale (E molto altri simili esempi si possono trovare). Nel giro di pochissimo tempo, tuttavia, le due potenze si sono trovate a confronto e l’equilibrio internazionale si è riassestato sotto l’insegna della Guerra Fredda, con la stipula di nuove alleanze da parte di ambedue i contendenti.

Secondo il pensiero realista, l’equilibrio fra potenze è una accorta strategia necessaria in un mondo insicuro. Un mondo in cui ciascuno stato è ansioso di garantire la propria sopravvivenza.

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Come accennato, è stato di recente sostenuto che il realismo non sarebbe una teoria esauriente nella spiegazione del fenomeno storico noto come fine della Guerra Fredda. In effetti, secondo i sostenitori del realismo si verifica, nella storia, una reiterazione costante del tragico comportamento umano, tale da tracciare un percorso senza tempo. Al termine della Guerra Fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica invece, l’ordine internazionale ha subito un tale mutamento che è stato possibile constatare un clima di limitata e tenue competizione fra gli stati, nonché notevoli opportunità di cooperazione.

È sembrato l’inveramento della prospettiva ottimistica della politica internazionale cara alla scuola liberale.

Si può aggiungere che negli anni ’90 del XX secolo è stata inaugurata una fase storica durante la quale gli Stati Uniti si sono elevati a unica superpotenza dell’ordine internazionale mondiale. (Il cosiddetto momento ‘unipolare’). L’avvento di un benevolo guardiano globale lasciava presagire un’imminente soluzione al problema dell’anarchia internazionale. Si è avuta, in effetti, un’estensione dell’ordine internazionale occidentale che era stato instaurato al termine della Seconda Guerra Mondiale. (Anche se caratterizzato da un’impronta marcatamente più liberista).

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Di ritorno, infine, al tema del tentativo di spiegazione da dare alla guerra russo-ucraina, si può dire che l’approccio realista pone in evidenza fattori molto distanti rispetto alla vulgata liberale.

I fatti, per cominciare: nel 2008, al vertice della NATO (3) di Bucarest, il presidente americano George W. Bush ha fatto in modo che venisse incluso nella Dichiarazione finale l’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nell’alleanza, provocando il disappunto di Vladimir Putin. Secondo accreditate fonti giornalistiche, il presidente russo ha parlato di minaccia esistenziale per il suo Paese. Se l’Ucraina si fosse unita alla NATO, lo avrebbe fatto senza la Crimea e le regioni orientali. Ma gli Stati Uniti hanno ignorato l’avvertimento. Hanno continuato con il loro intento di voler fare dell’Ucraina un avamposto occidentale al confine con la Federazione Russa. (4)

La prospettiva di portare l’Ucraina nella NATO va ad ampliare l’estensione verso est del territorio già occupato dall’alleanza militare occidentale. Prima della guerra in Ucraina, nell’ambito della NATO erano via via già state accolte Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord, facendo infuriare i russi.

Nel febbraio 2014 è stato rovesciato il legittimo governo del presidente ucraino Janukovyč. Questi, non ha voluto sottoscrivere un accordo di ingresso nell’Unione Europea, suscitando a Kiev le proteste di piazza conosciute come ‘Euromaidan’. Al termine della vicenda, si sono ritrovati al potere due amici degli USA, il primo ministro Jacenjuk e il presidente Porošenko, i quali hanno fatto pubblica professione di fede atlantica e si sono impegnati a portare il Paese nella NATO.

Poco dopo essere giunto al potere grazie al colpo di stato, Porošenko si è recato negli USA. Davanti al Congresso, ha ringraziato gli americani per la loro solidarietà.

Documenti e inchieste conducono a pensare che l’appoggio degli Stati Uniti è stato fondamentale per la riuscita del colpo di stato perpetrato in Ucraina nel febbraio del 2014. A muovere le pedine utili allo scopo c’era Victoria Nuland del Dipartimento di Stato americano, in combutta con l’ambasciatore statunitense in Ucraina, Geoffrey Pyatt. È emerso che da tempo gli USA avevano in animo un cambio di regime a Kiev. (5)

Tutto questo è avvenuto nonostante il rischio (o forse in coscienza) che scoppiasse una guerra civile in Ucraina.

E Putin? In risposta, la Russia ha annesso la Crimea. La Crimea è stata a lungo parte della Russia che inoltre, mantiene la sua flotta nel Mar Nero e forze militari di stanza a Sebastopoli e Feodosia. La presenza di truppe russe in Crimea era garantita da un trattato. Era intuitivo attendersi che Mosca non avrebbe lasciato la regione a una Ucraina facente parte della NATO.

La situazione ha continuato a degenerare. Nell’est dell’Ucraina è stata accesa la miccia del conflitto interetnico, con gli USA (anche sotto la presidenza di Trump) impegnati ad armare e addestrare l’esercito ucraino e la Russia in sostegno degli autonomisti delle province Doneck e Lugansk.

Di fatto, nel tempo si è creato e rafforzato un legame ‘sul campo’ sempre più intenso fra la NATO e l’Ucraina. L’interoperabilità militare fra le forze dei Paesi della NATO e le forze armate ucraine è un dato acquisito. (6)

Le esercitazioni militari congiunte, come quella svoltasi a luglio 2021 nelle acque del Mar Nero, in prossimità della Crimea, non possono non avere allarmato i vertici politici e militari russi. Alla fine del 2021 gli eventi sono precipitati. Il segretario di stato Blinken ha firmato con il ministro degli esteri ucraino Kuleba un’intesa di cooperazione strategica. L’Ucraina si è impegnata all’attuazione di un percorso di riforme in esito al quale vi è l’ingresso nelle istituzioni euroatlantiche. Le due parti hanno ribadito che la guida dell’operazione è la Dichiarazione approvata al summit della NATO tenutosi nel 2008.

La Russia ha cominciato a schierare truppe al confine ucraino. Un ultimo tentativo diplomatico da parte russa, rivolto all’ottenimento di una garanzia scritta che l’Ucraina sarebbe rimasta neutrale, è caduto nel vuoto. Il 24 febbraio 2022, pochi giorni dopo il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Doneck e Lugansk, Putin ha dato inizio alle operazioni militari russe entro i confini dell’Ucraina. Stanti i fatti, è difficile ritenere che l’attacco russo del 24 febbraio 2022 sia stato del tutto immotivato e non provocato.

Scrive Machiavelli: “come non quello che prende prima le arme è cagione degli scandoli ma colui che è primo a dare cagione che le si prendino”. (7)

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Se è vero che la fase storica del dopo Guerra Fredda ha confortato la teoria liberale degli affari esteri, a parere di chi scrive pare altrettanto vero che il realismo abbia poi riguadagnato il centro della scena.

Bisogna a questo punto domandarsi: durante la fase storica ‘unipolare’ la potenza egemone statunitense ha agito in ordine ai dettami del liberalismo?

È possibile, in alternativa, intravedere nella politica estera americana segnali della ricerca di un incremento della propria potenza comparata al resto del mondo?

Le numerose guerre intraprese dagli USA, sono state svolte all’insegna della creazione di un mondo interamente democratico, un mondo uniforme in cui avrebbero infine regnato la pace e l’armonia?

A questo proposito, quale interpretazione dare alla continua espansione della alleanza militare NATO, tuttora in corso?

Infine: il meccanismo di equilibrio fra le potenze, patrocinato dalla scuola di pensiero realista, ha mai smesso di operare?

Come interpretare la malcelata ostilità degli USA nei confronti dell’ascesa della potenza cinese?


Note:
(1) La disciplina delle relazioni internazionali comprende altre scuole di pensiero, come il
marxismo, lo strutturalismo e altre ancora.
(2) World Trade Organization, International Monetary Fund, World Bank.
(3) North Atlantic Treaty Organization.
(4) John Mearsheimer – Why the West is principally responsible for the Ukrainian crisis
The Economist.
(5) Daniele Ganser – Le guerre illegali della NATO.
(6) Benjamin Abelow – How the west brought war in Ukraine.
(7) Niccolò Machiavelli – Il principe.

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AlsOb
Tuesday, 18 July 2023 13:41
L’autore della bella e istruttiva scolastica rassegna sulle scuole di pensiero riguardo alle relazioni internazionali, sembra suggerire tra le righe, in forma incidentale, che gli Stati Uniti possano essere “…[il] singolo stato [che ha] la capacità [e ambizione] di divenire una potenza globale e ‘unificare’ il mondo sotto la propria legge.”.
Il che avrebbe portato a una guerra per procura contro la Russia, una guerra nella quale l’oligarchia subordinata locale trasforma la propria popolazione in carne da macello, in cambio dei privilegi vassallatici. In sostanza lo stesso destino si potrebbe porre per l’intera colonia europea e le sue varie popolazioni, se le condizioni rendessero necessario il sacrificio della popolazione europea per annichilire la Russia.
A quel punto gli Stati Uniti, che sono uno stato sorto su principi ideologici e messianici e che con regolare ripetitività alimenta, oltre che situazioni di conflitto e terrorismo ovunque, una narrazione cinematografica di convenienza, per raccontare gli eventi della storia in chiave mitologica e giustificativa, avrebbero gioco relativamente facile nell’“addomesticare” e sottomettere la Cina e creare l’agognato impero mondiale, con il quale impadronirsi gratuitamente del surplus periferico.
L'elite politica e l’oligarchia europea appaiono autocompiaciute nel farsi riconoscere come vassalle, nel danzare macabramente e irresponsabilmente come tali e nel rivelarsi pronte a sacrificare sulla stessa falsariga le loro popolazioni, per compiere zelantemente il loro ufficio vassallatico, senza che si capisca se sia per congenita incapacità e degenerazione intellettuale e morale o per la malcelata aspirazione di vendicarsi della sconfitta subita dall’armata rossa e trarre vantaggi personali dalla immaginata spogliazione, pur in un contesto di elevato rischio.
Come Keynes intuì, al punto da soffrirne sensibilmente in termini psicologici e psicosomatici, in un quadro clinico già debilitato dai problemi di cuore, (morì infatti poco dopo), il completo fallimento (scontato peraltro, nonostante l’impegno e buona fede del segretario del tesoro H. Morgenthau Jr e del suo sottoposto White, a cui poi fecero fare una brutta e tragica fine), degli accordi di Bretton Woods, ripose le basi per il dominio della finanza speculativa, della permanente instabilità monetaria e finanziaria, del neoliberalismo fascista e soprattutto della istituzionalizzazione e pratica senza scrupoli delle politiche imperialistiche da parte della potenza imperiale.
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