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Accordo di pace in Ucraina? Al massimo, una tregua armata fino ai denti

di Il Pungolo Rosso

zelenskyy putin trumpPrima la pubblicazione del documento “National Security Strategy” (NSS) da parte dell’amministrazione Trump, poi il gran chiasso su un accordo di pace per l’Ucraina vicinissimo, hanno scatenato una ressa di reazioni generalmente entusiastiche tra i kampisti, i sostenitori dell’asse Cina-Russia come asse del progresso, della pace, dell’equità nel mercato mondiale o perfino del socialismo. Si festeggia perché Trump sarebbe intenzionato a riconoscere la vittoria che la Russia ha ormai conseguito sul terreno e con essa l’inevitabile passaggio a quel mondo multipolare (ultracapitalistico) che è il grande, miserissimo, sogno dei kampisti di professione – da tenere ben distinti dai kampisti per sentimento, abbarbicati al ricordo di quando la Russia e la Cina con le loro molto diverse, entrambe formidabili, rivoluzioni, scossero il mondo borghese per decenni. Per fare un solo esempio abbiamo letto frasi di questo tipo: “La strategia statunitense, contrariamente ai governi europei, spinge per un rapido ritorno alla stabilità in Europa e nel ristabilire i rapporti tra Europa e Russia” (1). È, quasi alla lettera, ciò che il documento NSS indica (a pag. 27) come una delle priorità degli Stati Uniti.

Questa è l’opinione dominante tra i kampisti professionali. Noi la pensiamo in maniera molto diversa. E sul “che fare” traiamo conclusioni del tutto differenti dal fare il tifo per il “piano di pace” Trump per l’Ucraina, un piano che è sfacciatamente imperialista al pari di quello presentato dallo stesso gangster su Gaza e la Palestina, contro Gaza e il popolo palestinese.

Anzitutto: a dirigere la guerra alla Russia è stata finora la Nato di cui gli Stati Uniti sono il dominus. O no? E ha continuato a farlo, protagonisti i comandi Usa, anche sotto l’amministrazione Trump. Dopotutto il più duro colpo all’infrastruttura bellica russa è stato portato il 1° giugno di quest’anno quando sono state colpite 5 basi aeree strategiche russe lontane, o lontanissime, dall’Ucraina.

Poco importa se i bombardieri strategici russi messi fuori uso sono stati 3, 4 o 41, come pretende Kiev. Importa, invece, che azioni del genere, e altre, sono del tutto impensabili senza l’assistenza e la guida dei comandi Nato presenti da anni nel territorio ucraino. Nell’aprile scorso, con Trump insediato di nuovo alla Casa Bianca, il comandante in capo della Nato, l’amerikano C. Cavoli, ha ammonito l’intero campo euro-atlantico a prepararsi a una “sfida lunga e globale” con la Russia.

Pochi giorni fa il gen. italiano Cavo Dragone ha affermato che con la Russia si deve “essere proattivi”, andare cioè all’attacco, sebbene sia stato in seguito costretto a correggersi e a smentirsi (in parte). Il gen. Mini, un altro che ne sa qualcosa essendo stato ai vertici della Nato, commentava in questo modo altre dichiarazioni di Cavoli e quelle di Cavo Dragone:

“Attenendomi alle dichiarazioni pubbliche del Comandante supremo della NATO, generale Christopher Cavoli e sulla base della conoscenza della sintassi operativa, ho desunto che la NATO non solo in campo cyber, ma in tutti i sensi e domini, è già in guerra contro la Russia e attaccherà per prima. Sta già mobilitando le forze di tutti i paesi per quella ‘difesa’ che si dovrebbe realizzare con un attacco preventivo sulla Russia talmente devastante da impedirle perfino di risponderle. ‘Perché – dice Cavoli – se non riusciamo al primo colpo, ci aspetteranno 15 anni di guerra di logoramento'” (2).

Sarà un caso, chi sa, l’identico numero (15) l’aveva sparato il “Washington Post” nel 2022 poco dopo l’entrata delle truppe russe in Ucraina, ipotizzando, nei piani della amministrazione Biden, una lunga guerra di logoramento della Russia. A meno di considerare già defunta la Nato, il meno che si possa dire è: c’è un’enorme distanza tra quanto affermato nel NSS e la realtà dei fatti – che vede i paesi della Nato consegnare all’Ucraina quantità illimitate di armi e missili a gittata sempre più lunga, nel 90% dei casi di fabbricazione statunitense. Ha un che di comico il prendere sul serio gli Stati Uniti di Trump come messaggeri di pace e stabilità in Ucraina e in Europa dopo che hanno imposto ai paesi europei di moltiplicare per 2,5 volte la loro spesa bellica portandola al 5% del PIL, un livello superiore a quello attuale degli Stati Uniti. A quale scopo? contro quale nemico? contro gli Stati Uniti?

Non da oggi ai vertici degli Stati Uniti si confrontano e si scontrano due prospettive: l’una con profonde radici storiche, considera la Russia il pericolo n. 1 per la sicurezza del paese; l’altra, via via consolidatasi a partire da un rapporto del 2005, considera la Cina il nemico strategico contro cui concentrare le forze. Il documento NSS fa sua questa seconda linea, subordinando (non certo sopprimendo) la prima. L’apertura di Trump alla Russia – che forse, nei colloqui di Anchorage, non si è limitata alla sola “questione ucraina” e all’Oceano Artico – esprime il tentativo estremo di staccare la Russia dall’asse con la Cina facendole balenare la possibilità di grandi affari comuni in un’Ucraina colonizzata ed “equamente” spartita tra Mosca e Washington, e il gran rientro nel G-8 e nei circuiti bancari e finanziari sotto controllo statunitense.

Avanzando l’ipotesi di una spartizione dell’Ucraina riservata a due l’amministrazione Trump mira a produrre il massimo danno all’Unione europea escludendola dai futuri affari in Ucraina e, se possibile, facendola andare in pezzi come Unione in modo da liquidarla come competitor economico, e costringere i suoi singoli stati a trattare in modalità bilaterale con Washington – la modalità che Washington preferisce perché non ha più la forza di imporsi a un’Unione europea che si muova con un minimo di spirito unitario (vedi le recenti sanzioni a Musk). Per quel che ci riguarda, abbiamo fin da subito messo in luce la valenza anti-europea della guerra che gli Stati Uniti hanno a lungo preparato in Ucraina:

«Per gli Stati Uniti la guerra in Ucraina è due cose in una: guerra alla Russia e guerra all’UE, e in particolare alla Germania, per troncarne di netto i legami industriali e commerciali sempre più ampi e solidi con la Russia e la Cina e spingerla, con il vertiginoso aumento dei suoi costi di produzione, verso una crisi profondissima. Mentre gli Stati Uniti si sono accaparrati grossi profitti per la propria industria bellica e il costosissimo gas liquefatto, la guerra ha creato gravi problemi a quasi tutti i paesi UE per l’approvvigionamento energetico, le sanzioni, etc. Ne sono nati furiosi scontri di interesse all’interno dell’UE. La decisione della Germania di stanziare 200 miliardi fuori bilancio per sostenere il sistema industriale e coprire parte dei costi delle bollette per le famiglie, è presentata come una dichiarazione di guerra commerciale agli altri paesi dell’UE, a cominciare dall’Italia. In realtà, però, una politica simile è seguita da ogni stato…» (2).

Tre anni dopo il logoramento dell’UE e dei rapporti interni a essa è sotto gli occhi di tutti, alle prese con una crisi tanto economica quanto politica, di prospettive. Esclusa dall’intesa di Anchorage, penalizzata dall’amputazione delle relazioni economiche con la Russia, in difficoltà a fronteggiare l’inarrestabile incremento delle esportazioni cinesi in Europa (+14.8% nel 2025) e la dipendenza da esse, l’UE sta sabotando ogni accordo di tregua usando per questo fine il pupazzo Zelensky e le pretese revanchiste dell’ultra-nazionalismo ucraino. Germania, Regno Unito, Francia e a seguire quasi tutti gli altri stati stanno seminando in Europa un’isteria bellicista che non si limita alla propaganda, ma si concretizza nella riconversione dell’apparato industriale alla produzione bellica, in massicci acquisti di armi, nell’incremento strutturale delle spese militari, in nuove leggi e nuove prassi per militarizzare ogni ambito della vita sociale e soffocare sul nascere le proteste più radicali.

In Italia questo nuovo corso, che batte le vecchie, tragiche piste dell’imperialismo democratico e di quello nazi-fascista, è impersonato da Mattarella e dal Partito democratico perfino più che dal governo delle destre. Dal Quirinale e dai giornali del gruppo Gedi impazza una folle russofobia, che surclassa il controcanto di Salvini a nome degli interessi dell’imprenditoria padana.  

Accade così che mentre Trump spaccia per vicinissimo il grande accordo sull’Ucraina, i “volonterosi” stati europei mettono a disposizione le proprie truppe per schierarle in Ucraina, come se la Russia non avesse ribadito cento volte che la Nato in futuro non potrà esser presente in Ucraina in nessun modo. Ove non bastasse questo a far saltare il banco, l’UE si riunirà a breve per decidere come disporre dei 300 miliardi di asset di stato russi depositati in diversi paesi europei, che già ha congelato lo scorso anno per beneficiare dei relativi utili.

Il tutto si accompagna alla messa in scena della difesa dei diritti di quell’Ucraina che l’UE ha spinto al suicidio da viva e poi da morta. Con il suo oltranzismo Bruxelles e i maggiori stati europei intendono in realtà difendere esclusivamente il proprio diritto a rapinarla, che non accettano passi in secondo piano rispetto a quello degli “amici” amerikani e dei nemici russi. “Se ci saranno affari per la ricostruzione, dobbiamo esserne parte. Se riprenderanno le forniture russe di gas e di petrolio, i profitti non potranno andare solo alle compagnie amerikane che si propongono come mediatrici di affari”. Questo nell’immediato. Ma non è solo questo. “Dobbiamo esser pronti alle sofferenze che hanno provato i nostri nonni e bisnonni”, è il lugubre proclama del segretario della Nato Rutte, che non riguarda solo e tanto l’Ucraina.

In rapida successione i governi europei stanno dando seguito a questo e simili proclami con l’avvio della leva “volontaria”, cavallo di Troia di quella obbligatoria, già annunciata. E ancora una volta è la Germania che si candida alla guida dell’Europa mobilitando tutto il potenziale della sua industria, inclusa quella civile, alle finalità della “difesa” dalla Russia, per aprire addirittura una “nuova era” (manca ancora solo la qualifica degli anni ‘30: millenaria) di “leadership tecnologica ed economica orientata alla sicurezza” (4).

Il dado è tratto.

Accordo dunque impossibile fino alla totale disfatta dell’Ucraina, cioè della Nato, o fino alla loro inverosimile vittoria? Non è detto. La situazione del truppe ucraine sul terreno è a tal punto disperata, la stanchezza per la guerra tra la popolazione ucraina così profonda, che la forsennata pressione pubblica dell’amministrazione Trump per far ingoiare il suo “piano”, potrebbe generare una provvisoria tregua, se non proprio in questi giorni, nelle prossime settimane. Ora che sono state ammesse ai tavoli della “pace” con, evidentemente, qualche concessione ai loro appetiti, Germania, Francia e Regno Unito potrebbero attenuare la loro opposizione a qualsiasi accordo con Mosca.  

Ma i governanti della Russia, che non sono degli sprovveduti come certi loro tifosi italiani, hanno perfettamente chiaro che il riarmo accelerato dell’Unione europea e dei singoli stati europei è contro la Russia. Ed è per questo che pretendono l’impegno solenne scritto che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato, e respingono in modo fermo qualunque presenza di truppe europee in Ucraina.  Ai governanti della Russia non sfugge nemmeno che a spingere avanti il riarmo europeo è proprio l’amministrazione Trump, coerente erede, in ciò, della banda Biden – che, a partire dagli avvenimenti dell’Euromaidan, ha metodicamente organizzato la guerra di lungo periodo alla Russia. Ecco perché a noi, o almeno ad alcuni di noi, questo tentativo di Washington di strappare la Russia dall’abbraccio di interesse con la Cina bilanciando lusinghe e minacce appare fuori tempo massimo perché l’epicentro dell’accumulazione mondiale di capitale si è ormai spostato in Asia, in Cina anzitutto, con l’India che prova a mettersi a ruota. La Russia è di gran lunga la prima fornitrice di energia per questa accumulazione. Danneggerebbe mortalmente sé stessa e i propri piani imperialisti se si sganciasse dall’Asia per riagganciarsi al carro del declinante Occidente, una buona parte del quale le è ferocemente ostile. Ma poiché siamo in una fase di movimento di tutte le grandi potenze, non si può neppure escludere che, una volta conclusa la tregua, e incassati gli utili della guerra, la Russia si ponga in una posizione più defilata di oggi nell’attrito con la Nato.

In ogni caso, chi sogna che il patto d’Alaska possa portare a “un rapido ritorno alla stabilità in Europa” e favorire il “ristabilirsi dei rapporti tra Europa e Russia” è una zucca vuota. Lo scoppio della guerra tra Nato e Russia in Ucraina “segna un punto di non ritorno nel passaggio delle contraddizioni inter-capitalistiche alla scala mondiale da un piano economico-commerciale a uno strategico-militare” (5). Con il suo “piano di pace” per porre fine alla guerra in Ucraina l’Amerika di Trump non ha affatto inteso di “premiare” la Russia di Putin, bensì di premiare se stessa. Dopo aver incassato i colossali profitti delle forniture militari per quattro anni di guerra, vorrebbe ora riscuotere il nuovo colossale incasso garantito dall’accordo capestro firmato da Zelensky a fine aprile, che il canale ucraino Zerada sintetizzò in modo appropriato: “agli Stati Uniti le risorse naturali, ai ‘globalisty’ le infrastrutture. Si tratta del primo contratto legale del ventunesimo secolo che riduce, giuridicamente, un paese allo status di nuova colonia” (6). Con quell’intesa, in gran parte segreta, gli Stati Uniti si sono assicurati, a tempo indeterminato, l’accesso alle terre rare ucraine che contengono minerali preziosi per l’industria high tech e per la produzione bellica. Non soddisfatti del bottino, pare abbiano concordato ad Anchorage di essere loro i mediatori della ripresa dei traffici energetici tra Russia e paesi europei, penalizzando le aspettative europee anche su questo piano.

Impossibile far ingoiare anche questo agli avvoltoi europei senza subirne la rabbiosa reazione. Per quanto divisi e remissivi essi siano, sono tuttora in grado di sabotare il grande sogno della banda trumpiana di fare l’asso pigliatutto. E lo stanno facendo con un qualche successo, se sono riusciti ad imporre la propria presenza nelle pre-trattative con gli Stati Uniti. Va da sé che un eventuale accordo “di pace” a tre, con dentro anche gli stati europei, sarebbe per le masse lavoratrici dell’Ucraina ancora più strangolatorio – se possibile – di quello schizzato ad Anchorage.

Ma non della sola Ucraina si tratta nei frenetici incontri di questi giorni. La tragica vicenda ucraina – un immane massacro di proletari ucraini e russi sottratto pressoché interamente alla conoscenza visiva del mondo – è solo un capitolo della furiosa contesa per la rispartizione del globo che si è aperta, formalmente, proprio il 22 febbraio 2022. E si arricchisce ogni giorno di manovre e contromanovre nel quadro di una scatenata corsa alle armi che non sarà fermata da un eventuale accordo di tregua in Ucraina.

Se vogliamo evitare il terzo, funesto assalto alla Russia da parte degli stati europei; se vogliamo fermare questa corsa alle armi e alla guerra globale; non è certo su Trump e sull’imperialismo d’oltre-Oceano, nemico n. 1 delle classi sfruttate del mondo intero, che dobbiamo puntare, e sul suo “piano di pace” per la guerra in Ucraina – come fanno i kampisti professionali. E’ esclusivamente sulla ripresa della mobilitazione di massa contro questa guerra reazionaria, mattatoio di proletari ucraini e russi, contro i sacrifici che ci vengono chiesti per le altre guerre del capitale in gestazione e per il passaggio all’economia di guerra in corso. In Germania decine di migliaia di giovani hanno battuto il primo colpo lo scorso 5 dicembre. Raccogliamo il loro esempio, mettiamoci in moto contro i piani di riarmo, la finanziaria di guerra, la reintroduzione della leva, l’aggressione al movimento per la Palestina con i DDL Gasparri e Del Rio, del “nostro” luridissimo governo Meloni (e della sua falsa opposizione parlamentare).

Ancora una volta con la lucidità di analisi e l’ampia visione dimostrata in anni di lotta, le avanguardie del Movimento dei disoccupati organizzati 7 novembre di Napoli hanno proposto di mettere in campo un’iniziativa di lotta unitaria in questa direzione, ricevendo prime risposte incoraggianti da una molteplicità di organismi. L’assemblea da loro chiamata per il 31 gennaio sarà un passaggio importante in questa direzione.

Ma è altrettanto necessario che si allarghi lo sguardo ad iniziative internazionali ed internazionaliste, come quelle che furono prese il 22 febbraio dello scorso anno in oltre una ventina di paesi su spinta della TIR, del Partido Obrero, di Liberazione comunista della Grecia e del SEP della Turchia. Non c’è tempo da perdere. Bisogna lavorare con il massimo impegno per organizzare un campo mondiale delle forze proletarie che sia del tutto indipendente dai due poli imperialisti che si contendono il mondo a suon di guerre commerciali, militari e di propaganda altrettanto infami delle possibili “paci” da loro confezionate.


Note
(1) Così S. Cararo, su “Contropiano” del 7 dicembre, in un articolo intitolato “Bye bye Europa. La strategia Usa punta all’America Latina e alla competizione con la Cina”.
(2) Così F. Mini su “L’Antidiplomatico” del 2 dicembre, in un articolo intitolato “Attacchi preventivi? Altro che ‘proattivi’: siamo già in guerra anche senza pretesti”.
(3) Tendenza internazionalista rivoluzionaria, La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario, Pagine marxiste, 2022, p. 16.
(4) Si veda l’articolo da “German Foreign Policy” del 16 dicembre che abbiamo postato oggi, dal titolo “Una nuova era di leadership” (per la Germania).
(5) Tendenza internazionalista rivoluzionaria, La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario, cit., p. 17.
(6) Prendiamo questa informazione dall’aggiornamento del 1° maggio 2025 delle note di Paolo Selmi sulla guerra in Ucraina, pubblicate su “Sinistra in rete”.
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