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Quando la “competitività” diventa sabotaggio: la controffensiva fossile contro il Green Deal

di Mario Sommella

 

Il Green Deal non sta arretrando per una banale “stanchezza naturale” della politica europea. Sta arretrando perché una parte dell’industria fossile e chimica, assistita da consulenti di altissimo livello e favorita da un asse politico sempre più spostato a destra, ha scelto una strategia di logoramento scientifico, chirurgico, transatlantico.

 

La mappa del sabotaggio: quando la competitività diventa un passe-partout

Il bersaglio principale di questa offensiva è la direttiva europea sul dovere di vigilanza nelle catene del valore, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD). Una norma nata per imporre alle grandi imprese un obbligo strutturato di prevenzione e riparazione dei danni ambientali e delle violazioni dei diritti umani lungo l’intera filiera, insieme alla richiesta di piani di transizione climatica coerenti con gli obiettivi europei.

Dopo l’entrata in vigore nel 2024, la CSDDD è diventata uno dei simboli più concreti del Green Deal nella sua versione “materiale”: non solo target climatici e dichiarazioni di principio, ma responsabilità legale e costi reali per chi inquina o tollera abusi fuori dal perimetro europeo.

In questo quadro si colloca la macchina di influenza attribuita a Teneo e alla rete di aziende riunite nella cosiddetta “Tavola rotonda per la competitività”.

I nomi che emergono sono pesanti, con un baricentro evidente nel mondo oil and gas e nella chimica globale: ExxonMobil, Chevron, Dow Chemical, Koch Industries, TotalEnergies. L’obiettivo non appare come un aggiustamento tecnico o un compromesso fisiologico. Il centro della manovra sembra essere lo svuotamento politico della direttiva, fino a renderla innocua.

 

La tecnica del “divide et impera” parlamentare

Il cuore della strategia non è soltanto la pressione economica. È l’ingegneria politica della maggioranza. Dai documenti e dalle ricostruzioni disponibili emerge una metodologia quasi da manuale:

costruire un fronte pro-business trasversale spingere il relatore verso un’alleanza stabile con i gruppi di destra usare ECR come ponte verso l’estrema destra più dura dividere Renew e S&D sfruttando le delegazioni nazionali

Questa architettura si innesta nella fase in cui la Commissione ha aperto lo spazio istituzionale per la retromarcia, proponendo il pacchetto di semplificazione “Omnibus I” il 26 febbraio 2025, ufficialmente per ridurre gli oneri amministrativi e riequilibrare competitività e sostenibilità.

Il Consiglio ha poi assunto una posizione negoziale di semplificazione il 23 giugno 2025, trattando il dossier come priorità economica. E il Parlamento è arrivato al nodo politico dell’autunno con il voto in plenaria del 13 novembre 2025 e il ruolo centrale del relatore Jörgen Warborn.

Il quadro complessivo suggerisce una tendenza più ampia: la deregolazione presentata come modernizzazione, e la sostenibilità ridotta a cornice narrativa, non più a vincolo reale.

 

L’Italia come perno di una minoranza di blocco

Dentro questa geometria di potere, l’Italia emerge come possibile perno di una minoranza di blocco utile a colpire la responsabilità civile armonizzata e a indebolire gli obblighi più scomodi della direttiva.

È una dinamica coerente con la nuova grammatica del potere europeo. Quando una norma rischia di toccare margini industriali e finanziari, la battaglia non si combatte solo nei corridoi di Bruxelles. Si combatte nelle capitali, nei grandi forum globali, in quegli incontri laterali dove l’agenda reale spesso non coincide con quella ufficiale.

 

Il braccio americano e l’ombra del negoziato commerciale

Il dato più istruttivo è forse quello transatlantico. L’offensiva ha cercato di trasformare la CSDDD in una “barriera non tariffaria”, portandola dentro il lessico delle trattative commerciali USA-UE e sollecitando un aumento di pressione da Washington.

Nel frattempo, anche attori energetici non europei hanno alzato la posta. Un segnale forte è arrivato dal Qatar, che nei primi giorni di dicembre 2025 ha ribadito le sue critiche alla direttiva e si è detto fiducioso che l’Unione arrivi a un compromesso entro fine mese, contestando in particolare il livello delle sanzioni potenziali.

Questa pressione esterna rende la partita ancora più politica. Non si discute solo di filiere etiche. Si discute di equilibri energetici, di dipendenze strategiche, e di quale tipo di globalizzazione l’Europa voglia accettare o subire.

 

La contraddizione che divora il Green Deal

Il punto non è negare che alcune imprese fatichino a implementare diligence complesse. Il punto è un altro: quando la “semplificazione” diventa un cavallo di Troia per eliminare i piani di transizione climatica, ridurre la responsabilità lungo le filiere extra-UE e depotenziare la leva della responsabilità civile, non siamo più nel campo della manutenzione normativa. Siamo nel campo della restaurazione industriale.

Il patto tra una parte della destra europea e gli interessi fossili assume così una forma concreta: usare maggioranze alternative come grimaldello permanente per ridisegnare il Green Deal da progetto trasformativo a etichetta compatibile con qualunque status quo.

Non a caso, nell’autunno 2025 alcuni grandi gruppi industriali hanno spinto apertamente per l’abolizione della direttiva, segnalando che l’obiettivo massimo non è l’attenuazione ma la cancellazione.

 

Che cosa ci dice davvero questa storia

Questa vicenda è un promemoria duro e utile:

Le norme ambientali più efficaci sono quelle che toccano profitti e responsabilità legale. Le lobby non cercano solo di convincere: cercano di ricostruire maggioranze. La parola “competitività” può essere un concetto economico legittimo o un’arma retorica totale. Dipende da chi la impugna e per cosa. Il Green Deal è ormai un campo di battaglia sulla democrazia economica europea.

In altre parole, la partita sulla CSDDD non è un capitolo tecnico tra tanti. È un test di sovranità politica. Se l’Europa accetta che la sostenibilità venga riscritta da una coalizione di interessi fossili e da un nuovo asse parlamentare di destra, allora il Green Deal non viene “corretto”. Viene addomesticato.

E un Green Deal addomesticato è come un ombrello bucato in pieno temporale: ti fa credere di essere protetto proprio mentre ti stai bagnando fino alle ossa.


Fonti
Somo, documenti e ricostruzioni sul ruolo di Teneo e dell’alleanza industriale contro la direttiva sul dovere di vigilanza. Mediapart, inchiesta sulla strategia di lobbying delle multinazionali fossili e chimiche in Europa. Commissione europea, documentazione ufficiale sulla CSDDD e sul pacchetto di semplificazione “Omnibus I” (26 febbraio 2025). Consiglio dell’Unione europea, posizione negoziale sulla semplificazione della normativa (23 giugno 2025). Parlamento europeo, iter e passaggi di voto relativi alla revisione della direttiva (voto del 13 novembre 2025). Politico e altre testate europee, ricostruzioni sul clima politico e sulle nuove maggioranze alternative attorno ai dossier del Green Deal. Dichiarazioni e prese di posizione di attori energetici extra-UE sul dossier CSDDD, inclusi i rilievi del Qatar (dicembre 2025).
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Comments

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Lorenzo
Monday, 15 December 2025 11:53
Come sempre, la (ex- post-) sinistra concentra artatamente le responsabilità dei fenomeni che non le vanno a genio sul capitale, senza fare parola del fatto che operai e lavoratori sono in prima linea nella lotta contro la svolta verde che falcidiando la poca industria rimasta mette a rischio i loro posti di lavoro.

L'impegno del "l'industria fossile e chimica" gode del sostegno della povera gente, e l'asse politico risulta "sempre più spostato a destra" (anche) perché il popolo vota a piene mani chi promette di cassare la bolla ecologica. Eh già, ma dirlo non sarebbe politicamente corretto.
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