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Per Kiev l’ora delle “decisioni irrevocabili”, ma al contrario…

di Dante Barontini

Si sta arrivando al dunque. In Ucraina e anche in Europa. Il cosiddetto “vertice di Londra”, che ha riunito ancora una volta Starmer, Macron, Merz, il polacco Tusk (i sedicenti “volenterosi”) e Zelenskij ha prodotto l’ennesimo esercizio di scrittura.

I cinque hanno preso il “piano in chissà quanti punti” di Trump (molte le versioni circolanti, dunque meglio attendere la versione vera) e hanno cancellato le parti che a loro non piacciono, scrivendone altre. Se questo potesse avere un qualche effetto pratico per lo sviluppo delle trattative di pace, la cosa avrebbe un senso. Ahinoi, è però l’esatto opposto.

Pretendere – a questo punto, con la situazione creata sul terreno – che la Russia torni indietro e acconsenta che Kiev entri nella Nato, magari pagando anche “riparazioni di guerra”, è peggio che wishful thinking: è solo un ostacolo a serie trattative di pace.

Ma stiamo arrivando al dunque, dicevamo. La guerra, per l’Occidente euro-atlantico, è già persa. Washington – che sotto le presidenze “neocon” (sia repubblicane che “democratiche”) aveva spinto per allargare la Nato fino all’ultimo centimetro disponibile, provocando così la dura reazione russa – ha intenzione di togliere le tende al più presto per dedicarsi ad altri scenari. La nuova “strategia di sicurezza nazionale” è esplicita e l’intervista di Trump a POLITICO l’ha ribadita in modo come sempre molto trash.

Che Kiev possa proseguire la guerra, e addirittura vincerla, con il solo sostegno “europeo” (o dei soli “volenterosi”, a essere più precisi) è escluso. All’Ucraina mancano gli uomini per andare avanti ancora a lungo e ai “volenterosi” mancano i mezzi – economici, militari, tecnologici, di consenso popolare interno – per supplire all’assenza statunitense.

Zelenskij stesso lo dice a mezza bocca, ma quando – come ha fatto a Londra – dice che “cedere territori non è previsto dalla costituzione ucraina” ammette anche che si è tagliato da solo ogni via per la trattativa facendo approvare leggi che vietavano di interloquire con Mosca. Legando così indissolubilmente la sua carriera politica (e quella di successori) al proseguire della guerra “fino alla vittoria”.

Una sorta di mussoliniano “se indietreggio uccidetemi!” che nella bolgia politica montante a Kiev – lo scandalo corruzione lo coinvolge ormai direttamente – può trovare molti volontari pronti a eseguire “l’ordine”, specie nell’area più dichiaratamente nazista.

Per gli europei o “volenterosi”, invece, si tratta di prendere atto di una doppia sconfitta strategica: l’impegno nella guerra produrrà solo costi da pagare per anni, anziché la sognata marcia verso est, e l’improvvisa scoperta di essere rimasti senza un architrave della propria esistenza: la “copertura” degli Stati Uniti.

Vero è che la presidenza Trump sta trovando problemi di tenuta interna molto seri, con i “dem” – o addirittura come i “socialisti” a New York e Seattle – che iniziano a rimontare anche elettoralmente, ponendo una seria ipoteca sulle elezioni di midterm tra un anno. Ma Trump resterà comunque in carica fino al 2028 (a meno di una “sorpresa” del Deep State…), e sperare che Kiev possa resistere fino ad allora è decisamente utopistico.

Ed in ogni caso, come quasi sempre, non sarà la politica estera al centro del dibattito politico interno agli Usa. Non è detto insomma che anche una prossima amministrazione “dem” sia interessata – o abbia la possibilità – di tornare in tempi brevi alla situazione pre-Trump. La natura non prevede il vuoto, e molti altri soggetti statuali stanno riempiendo lo spazio lasciato dalla crisi egemonica statunitense. Chiunque siederà alla Casa Bianca allora si troverà un mondo parecchio cambiato…

Dunque c’è da decidere ora se lo sforzo “volenteroso” possa fare un salto di qualità spedendo uomini e armi al fronte, col rischio di provocare una risposta missilistica che nessuno potrebbe fermare (gli ipersonici, per ora, non sono intercettabili, e bisogna solo sperare che siano a testata convenzionale anziché nucleare); oppure accompagnare con un sorriso di circostanza il processo di pace contrattato da Trump e Putin.

Perché prevalga la seconda ipotesi sarebbe forse necessario che i grandi gruppi industriali e finanziari estranei al “complesso militare-industriale” facessero balenare l’idea che, con la pace, si riaprirebbero mercati, possibilità di forniture energetiche a costo molto minore, disincagliando così l’industria europea da una stagnazione più che decennale e da una prospettiva di declino guerrafondaio.

E’ persino possibile che ciò stia già in parte avvenendo, visto che persino “Gioggia”, accogliendo Zelenskij a Roma, ha fatto trapelare la necessità di “concessioni dolorose” pur di far cessare la demolizione dell’Ucraina e il sacrificio del suo popolo.

Guardando le facce dei “volenterosi”, nella foto d’apertura, l’impressione è che il dubbio si stia allargando a macchia d’olio… E che per Kiev stia suonando “l’ora delle decisioni irrevocabili”, ma senza le fanfare…

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