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L’Ucraina, senza più “amici” credibili, deve scegliere

di Dante Barontini

Ma quale “piano” c’è per arrivare a una pace in Ucraina? Col passare delle ore e dei giorni si affastellano notizie probabili e completamente false, ipotesi e testi del tutto differenti. E non si tratta di semplici dettagli: possibilità di entrare nella Nato oppure no, limiti alla dimensione dell’esercito e al tipo di armi oppure niente limitazioni, riconoscimento di aver definitivamente perso territori oppure status da lasciare in sospeso (garantendo così la ripresa della guerra al primo “fraintendimento”).

Abbiamo già chiarito ieri che quella in corso tra Ginevra (domenica) e Abu Dhabi (oggi) è solo una pre-trattativa interna all’ex “Occidente collettivo”, con gli Stati Uniti che hanno presentato prima a Zelenskij e poi anche ai “volenterosi” (Francia, Gran Bretagna e Germania, bypassando completamente l’Unione Europea) una bozza in 28 punti.

Su quella è partita un fuoco di sbarramento “europeo” (niente affatto compatto, bisogna dire) riassumibile nella parola d’ordine “non può essere una capitolazione”.

Si è saputo poi che il testo era stato dato solo a Zelenskij per discuterne preventivamente in via riservata. E quindi la responsabilità della “fuga di notizie” era attribuita dagli inviati Usa – Witkoff e Kushner, come per Gaza – proprio a lui, nel classico gioco poco “diplomatico” teso a far saltare la proposta chiamando a raccolta tutti gli “oppositori europei”.

I quali si sono messi alacremente al lavoro. Prima per presentare un proprio “piano” di fatto contrapposto a quello Usa e infarcito di soluzioni “indigeribili” per Mosca. Poi per emendare il testo statunitense cancellando le parti “inaccettabili” per Kiev, mettere tra parentesi quelle da rivedere o da affidare alla “trattativa diretta tra le parti in conflitto”. Il risultato finale sarebbe un “piano in 19 punti”.

Sarebbe, ripetiamo, perché non se ne trova traccia da nessuna parte. Di sicuro non è arrivato neppure informalmente ai russi, tanto che il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov ha dovuto stoppare tutti con molta chiarezza: “No, non sappiamo di cosa stiate parlando. È impossibile commentare ogni notizia dei media in questo momento. Descriverei la situazione attuale come un delirio informativo. Vengono pubblicate un sacco di dichiarazioni e dati contraddittori“.

Il giorno prima un alto consigliere di Putin per la politica estera aveva demolito la controproposta europea affermando che “costruttivamente, non ci va affatto bene“.

Il problema è dunque per intero nel “campo occidentale”, con fratture anche rilevanti sia tra gli statunitensi che tra i nanerottoli europei. La questione centrale è la distanza siderale tra la retorica propagandistica e la realtà ruvida dei fatti. Ben riassunta da Greg Swenson, presidente di Republicans Overseas nel Regno Unito.

Puoi parlare bene, puoi partecipare a tutti questi incontri diplomatici e puoi inviare tutte le tue migliori persone a Ginevra, ma l’unico modo per battere Putin è combattere – e nessuno di loro è disposto a farlo. Quindi sono solo chiacchiere. Sembra tutto fantastico quando parli di democrazia e di difendere l’Ucraina, ma semplicemente non sono disposti a farlo.

Dunque il “piano Trump” può piacere o no, ma “Qual è l’alternativa?

Per come stanno messe le cose – sul campo di battaglia, sul piano dei rapporti di forza, su quello diplomatico, nella coesione interna ad un’Ucraina stanca e scossa dallo scandalo corruzione che coinvolge direttamente “il presidente” – è ridotta a ben poco, come fa notare persino una testata convintamente “europeista” e guerrafondaia come POLITICO: “accettare l’offerta preparata da Trump, oppure scommettere il futuro del suo paese nella speranza di ottenere un giorno abbastanza aiuto dai suoi amici europei”.

I quali, però, si trovano in una situazione ingestibile, come ammette persino uno dei più sfegatati cronisti russofobi, Gianluca De Feo, di Repubblica: “Consultazioni in Europa sull’eventualità che Trump rompa con la UE: possibile sostenere l’Ucraina, ma i 27 resterebbero senza difese”.

Il gioco sanguinoso sta arrivando al termine. Se una guerra non la puoi fare, ti devi fermare. In fondo fin qui si era seguita la “strategia” delirante dei baltici stile Kaja Kallas (“provocare una reazione spropositata di Mosca contando sulla copertura militare Usa”), ma se il Deus Machina se ne tira fuori è “l’Europa” a ritrovarsi nella neve “senza neanche i calzini”.

L’intoppo definitivo può arrivare però ancora da Kiev, dove – secondo un preoccupatissimo Wall Street Journal – “Per uno Zelenskij indebolito cedere a Trump è più rischioso che sfidarlo”. Potrebbe essere destituito violentemente dai “banderisti” interni.

Un mondo appeso alle mattane di neonazisti disperati non è il più sicuro dei posti…

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