Eurosuicidio: come l’Unione Europea si è condannata con le proprie mani
di Gabriele Guzzi
L’economista Gabriele Guzzi spiega perché l’Europa paga il prezzo di scelte che hanno anteposto i mercati a tutto il resto
Nel suo ultimo libro, Eurosuicidio, Gabriele Guzzi analizza le radici strutturali della crisi europea. L’Ue, nata per unire il continente, ha posto i mercati e la moneta al centro del progetto politico, sacrificando sovranità democratica e giustizia sociale. Il risultato, sostiene l’autore nell’introduzione al libro che Krisis pubblica qui di seguito, è un’Europa priva di direzione, schiacciata da vincoli economici che ne minano la stessa esistenza.
Origini della crisi La tesi dell’economista è che le difficoltà dell’Ue non sono fortuite, ma sono l’esito logico e coerente di scelte strutturali compiute fin dalle sue origini. In sintesi, la causa della crisi è l’Ue stessa e la sua struttura istituzionale.
Euro come Eurosuicidio La frontiera più avanzata dell’integrazione è l’euro, definito da Gabriele Guzzi l’atto fondativo dell’Eurosuicidio. Mettere insieme Paesi differenti in un’unione monetaria senza un’unione politica ha creato i presupposti per l’auto-annichilimento.
Impatto sull’Italia: Il nostro è il Paese Ue che ha pagato il prezzo più alto. Il suo spaventoso declino dalla metà degli anni Novanta trova nell’Ue, secondo Guzzi, la causa istituzionale più rilevante.
Omologazione & dogmatismo: A parere dell’economista, l’Italia non è stata indisciplinata, ma ha assecondato l’integrazione europea in modo acritico, dogmatico e religioso.
Proposta radicale: Guzzi sostiene che solo dopo il dissolvimento dell’Ue e della moneta unica si potrebbe pensare a una nuova Europa basata su cooperazione paritetica e giustizia sociale.
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L’Europa sta vivendo, ormai da decenni, una crisi che appare definitiva. Il crollo demografico, la stagnazione economica, la caduta della partecipazione politica: tutto sembra indicare l’esaurimento di un’epoca. Questi segnali si sono manifestati in modo drammatico a partire dallo scoppio della guerra in Ucraina e della crisi in Medioriente. L’insignificanza geopolitica, l’incapacità di farsi portavoce di un interesse specificamente europeo, la totale apatia dinanzi al collasso del modello produttivo e sociale: nessuno si aspettava una tale pochezza e inconsistenza delle istituzioni continentali.
La tesi centrale del libro Eurosuicidio è semplice: la crisi che stiamo vivendo oggi non è fortuita. Non è un incidente della storia. È l’esito logico e coerente di scelte strutturali compiute fin dalle origini dell’Unione Europea. La causa della crisi dell’Ue è l’Ue stessa. Non ci sono innanzitutto nemici esterni: il problema è la struttura istituzionale, monetaria, politica ed economica che gli europei stessi hanno costruito. Se questi difetti non verranno rapidamente e radicalmente corretti, il destino del continente sarà quello di precipitare verso uno stato di crescente insignificanza economica e marginalità internazionale.
Il primo compito che si prefigge questo libro, perciò, è di proporre una nuova interpretazione dell’Ue. Questo implica un salto di consapevolezza e l’uscita dallo stato di minorità intellettuale in cui la cultura politica italiana è confinata. Significa abbandonare i miti consolatori – l’ideologia della generazione Erasmus, i buoni sentimenti, un europeismo di maniera – per affrontare di petto la realtà dei fatti. La necessità di questa nuova consapevolezza si fa d’altronde sempre più urgente man mano che la situazione internazionale diventa più estrema. È evidente, infatti, che l’Ue è oggi un’istituzione del tutto incapace di rappresentare adeguatamente le esigenze di sicurezza e pace dei principali Paesi europei.
In questo processo, mostreremo perché l’Italia sia stata il Paese che ha pagato il prezzo più alto: come ci era stato detto dai più importanti economisti internazionali, noi eravamo il Paese che peggio si conciliava con il modello che si stava ponendo alla base dell’Ue. Il declino spaventoso che vive il nostro Paese esattamente dalla metà degli anni Novanta, ovvero da quando il processo d’integrazione è entrato nel vivo, con uno stallo praticamente di tutte le variabili economiche significative, trova nell’Ue la causa istituzionale più rilevante.
La frontiera più avanzata di questa integrazione è stata senza dubbio l’euro. Analizzare il funzionamento della moneta unica non è quindi un’opzione che si può evitare. L’euro è stato l’atto fondativo dell’Eurosuicidio. Mettere insieme Paesi differenti, con economie differenti, con mondi del lavoro differenti, con tassi d’inflazione differenti, con politiche industriali differenti, con rapporti sociali differenti in una sola unione monetaria, senza prevedere contemporaneamente un’unione politica vera e propria, voleva dire preparare tutte le precondizioni per l’autoannichilimento economico, tecnologico, geopolitico e sociale. E questo è ciò che è esattamente avvenuto.
I primi due capitoli intendono perciò offrire una ricostruzione senza infingimenti su come l’integrazione europea abbia rappresentato il nemico fondamentale per lo sviluppo sociale ed economico dell’Italia […].
Questo libro mostrerà come l’Eurosuicidio sia dovuto alla scelta italiana di assecondare acriticamente, dogmaticamente e religiosamente questa integrazione europea, senza rendersi conto delle conseguenze materiali che si stavano drammaticamente producendo. Dinanzi ai mutati scenari internazionali, questo Eurosuicidio si sta oggi espandendo all’intero continente. Le carenze strutturali e originarie dell’Ue, che per 30 anni hanno danneggiato l’Italia, ora costituiscono un fattore d’impedimento per tutti gli altri grandi Paesi europei. L’Eurosuicidio sta diventando un elemento comune. È perciò il tempo migliore per un ripensamento radicale […].
La narrazione ufficiale è quella di un Paese indisciplina to, la cui colpa sarebbe di non aver seguito pedissequamente le indicazioni di Bruxelles. La causa dei nostri mali consisterebbe nell’essere stati poco europei, nel fatto che i nostri genitori avrebbero vissuto al di sopra delle loro possibilità e che non avremmo supportato adeguatamente le riforme strutturali. Questo costituisce parte di quel senso di colpa fondativo che ha come conseguenza culturale di impedire qualunque seria politica di rottura: saremmo peccatori in quanto debitori e dovremmo vivere in continua supplica verso i mercati e i paesi del Nord. Ciò crea nell’immaginario collettivo il bisogno di un sorvegliante, di un vincolo esterno, di un’autorità pastorale che possa vigilare sulle indisciplinatezze di un popolo senza speranze […].
L’Italia non è stata indisciplinata, ma, al contrario, è stata il Paese che più di ogni altro ha seguito le indicazioni europee su praticamente tutte le questioni sociali, economiche, politiche, produttive, sanitarie, finanziarie e industriali. L’adeguamento ai nuovi dogmi è stato indiscusso e realizzato con pervicacia e ostinazione. Ma proprio questa omologazione, e non una presunta ribellione, ha costituito la causa principale del nostro declino.
Quando si parla di Eurosuicidio, perciò, si parla del processo storico più rilevante che l’Italia abbia vissuto nell’ultimo mezzo secolo. […]. Il sostegno totale all’Ue e all’euro è stato infatti il tentativo, ormai possiamo dire fallimentare, di ridare una direzione al Paese in un momento epocale di crisi. L’integrazione europea ha assolto al ruolo di surrogato ideologico, divenendo un feticcio religioso-politico. Non qualcosa a cui approcciarsi con la razionalità di chi soppesa costi e benefici, interesse nazionale da realizzare in compromesso con altri Paesi, ma un orizzonte vitale senza il quale la sopravvivenza stessa del nostro Paese veniva messa in discussione. Bisognava perciò aderirvi non con l’equidistanza dei decisori politici ma con la radicalità dogmatica dei neoconvertiti.
Questa dimensione religiosa dell’Ue è connessa all’esaurimento di un intero ciclo politico che in Italia si è osservato tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e che ora si sta diffondendo anche negli altri grandi Paesi europei, a partire dalla Francia e dalla Germania. L’Ue e l’euro sono stati così la via che la nostra classe dirigente ha scelto per risolvere – senza doverlo realmente affrontare – il travaglio strutturale nell’assetto politico, geopolitico, culturale e spirituale che l’Italia stava attraversando alla fine del secolo scorso. È stato un modo per mettere la polvere sotto il tappeto, con un racconto millenaristico sui destini idilliaci di un’Unione senza politica e di una moneta senza Stato […].
Ciò significa che dovremmo tornare a farci la guerra o assecondare i peggiori nazionalismi? Questa obiezione, che spesso viene fatta a chi critica l’Ue, è già il sintomo di un depauperamento culturale del dibattito pubblico decisamente allarmante. La risposta, ovviamente, è negativa, anche perché, come è noto, l’Ue non ha avuto alcun ruolo significativo nell’assicurare la pace all’Europa occidentale dopo la fine della seconda guerra mondiale. È stato infatti il presidio militare statunitense sul continente, e quindi il vincolo della Nato, a impedire la possibilità stessa di uno scontro tra i Paesi europei. Inoltre, l’Ue è stata il forum dove i nazionalismi dei paesi più potenti si sono espressi per decenni, certamente non con la forza militare ma con una particolare virulenza e determinazione.
Proprio quando l’Ue vorrebbe assumersi nuove competenze in ambito militare e geopolitico, con piani di riarmo, senza intervenire sulle sue carenze istituzionali e di legittimità democratica, è necessario che emerga un netto cambio di direzione. L’esito fallimentare di una moneta senza Stato dovrebbe farci avvicinare con terrore alla sola ipotesi di creare un esercito senza Stato, e quindi senza democrazia. Invece che continuare in questa rovinosa integrazione, bisognerebbe disfare, tornare indietro per un po’ di tempo, imparare la lezione e poi ragionare insieme su come costruire altre forme di collaborazione tra i Paesi europei, che però dovranno andare in direzione opposta a quelle di questa Europa.
Il dissolvimento dell’Ue e della moneta unica sono cioè oggi gli atti più europeisti che possiamo immaginare. Solo al di là di questa Unione Europea è possibile pensare a una nuova Europa, che non si fondi più sulla strutturale disattivazione della sovranità popolare ma sulla cooperazione paritetica tra Stati, sulla giustizia sociale, sulla pace.







































Comments
Evidentemente a sinistra è impensabile proporre un progetto politico senza chiosarlo con quest'acquetta solidal-pacifista. Sarebbe la prima volta nella storia universale che una grande crisi si risolve a suon di cooperazione paritetica, pace e giustizia sociale.
La natura dogmatica e religiosa che la scelta eur(ope)ista ha assunto in Italia è dovuta al fatto che il PCI vi ha scorto la pietra angolare del suo progetto di passaggio di campo e di adesione alle demoplutocrazie: l'eurodittatura è stato affabulata come un capitalismo buono che garantiva la pace in Europa, quasi una terza via berlingueriana a metà strada fra atlantismo e collettivismo. E' diventato lo slogan attorno a cui centrare il passaggio dall'internazionalismo socialista a quello turbocapitalista.