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Bentornata Realpolitik: dopo la Russia, Trump ammette anche la vittoria cinese?

di OttoParlante

Il Marru

L’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, si è improvvisamente accorto che il mondo non gli obbediva più. E dopo un’indagine approfondita, ha concluso che la causa principale era la Cina”. Non perdetevi il long form del buon Jin Canrong di stamattina su Guancha: “La logica è semplice: il mondo sta attraversando enormi cambiamenti, la Cina è la variabile e gli Stati Uniti sono la forza dominante nell’ordine esistente. Gli Stati Uniti sono insoddisfatti dei cambiamenti apportati dall’ascesa della Cina e quindi vogliono prenderci di mira. Biden e Trump possono discutere su altre politiche, ma concordano su una: vedono la Cina come il loro unico avversario, il che è peggio del fatto che l’altra parte veda te come il suo avversario numero uno. Perché numero uno implica almeno che ci siano un secondo, un terzo, un quarto, un quinto e un sesto avversario, mentre solo significa solo te”; per chi segue questo canale non suona certo come chissà che novità, ma una cosa è essersi imbattuti in un concetto qualche volta di passaggio, un’altra è abituarsi a utilizzarlo come lente per inquadrare tutto quello di un certo rilievo che riguarda gli USA – piano di pace o non piano di pace, guerra ibrida contro il Venezuela, Accordi di Abramo e corteggiamento dei sauditi. bolla dell’intelligenza artificiale e stablecoin, liti amorose con gli alleati/vassalli. Tutto, e sottolineo tutto, deve essere interpretato in prima istanza come un pezzo del puzzle della grande guerra sistemica degli USA contro l’unico avversario cinese, anche quando sembra controintuitivo: ieri, ad esempio, Trump ha parlato al telefono prima con Xi e poi con Takaichi Sanae e ha messo un freno all’avventurismo dell’estrema destra giapponese.

Ma non si tratta di una concessione a Pechino: si tratta di una strategia più realistica e ponderata rispetto alla gara di rutti inaugurata dalla Lady di Ferro giapponese. Idem nei confronti dell’Europa: l’Ue sta cercando di convincere Forrest Trump ad abbassare i dazi sull’acciaio in cambio di una postura ancora più sinofobica; Trump, per ora, sta rispondendo picche. Ma, anche qui, non si tratta di una concessione a Pechino: si tratta di una strategia diversa rispetto al vecchio business as usual dell’establishment neoconservatore. Tutto sommato, potrebbe essere una buona notizia: “Con il declino della teoria della pace democratica”, scrive Stephen Walt sempre su Guancha, “il mondo potrebbe diventare più pacifico”. Insomma: il cambio di strategia degli USA sotto la guida di Forrest Trump significherebbe una bella dose di Realpolitik, e siccome il mondo è cambiato e sfidare a viso aperto la Cina è suicida, questo potrebbe comportare un miglioramento del quadro complessivo delle relazioni internazionali. Ciononostante, non bisogna farsi ingannare: l’obiettivo degli USA rimane invariabilmente vincere la grande guerra contro Pechino; d’altronde, giocando con Trump, titola Foreign Affairs, Pechino ha scommesso, e ora ne sta raccogliendo i frutti. Bisogna abituarsi all’idea che gli USA, per quanto siano ancora ad oggi la principale superpotenza globale, non siano più in grado di giocare sempre in attacco e siano spesso costretti a giocare di rimessa, dall’Ucraina alla guerra commerciale con Pechino.

Comunque, nel frattempo, per ora gli USA sembrano avere ancora gli strumenti per continuare a gonfiare la bolla dell’AI, nonostante le fibrillazioni degli ultimi giorni.

Le azioni tecnologiche statunitensi, titola il Financial Times, registrano il balzo più grande in 6 mesi, mentre le scommesse sul taglio dei tassi alimentano la ripresa: “Lunedì i titoli tecnologici statunitensi hanno registrato il loro maggiore guadagno giornaliero in sei mesi, poiché le crescenti aspettative di un taglio dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve il mese prossimo hanno incoraggiato gli investitori ad acquistare al ribasso dopo una recente svendita”. “L’indice NASDAQ Composite, fortemente orientato al settore tecnologico, ha registrato un rialzo del 2,7%, segnando la sua migliore seduta da maggio. L’indice di riferimento S&P 500 ha guadagnato l’1,6%”; “Il produttore di chip Broadcom ha guadagnato l’11,1% e Alphabet è salita del 6,3%, raggiungendo un nuovo massimo storico, dopo che il suo nuovo modello di generazione di immagini ha ricevuto recensioni positive. Tesla di Elon Musk è cresciuta del 6,8%”.

Evidentemente, però, non è bastato a far cambiare idea a Michael Burry:

Burry difende le sue critiche a NVIDIA mentre l’azienda reagisce, titola Bloomberg.

Il Washington Post sottolinea che “a prima vista, il 2025 è stato un anno positivo per il mercato azionario”, “Ma economisti e investitori stanno sollevando preoccupazioni riguardo alle aziende che non partecipano al boom degli investimenti nell’intelligenza artificiale, ovvero la maggior parte delle aziende negli Stati Uniti”: “Un indice che esclude le sette aziende tecnologiche in forte crescita, chiamiamolo S&P 493, rivela un quadro molto più debole, poiché le aziende più piccole e meno tecnologiche segnalano vendite fiacche e investimenti in calo”.

E anche i 21 mila miliardi di investimenti annunciati in pompa magna da Forrest Trump sarebbero un po’ al palo; ne parla Bloomberg in questo dettagliato long form:

Il boom degli investimenti da 21 mila miliardi di dollari di Trump in realtà è a corto di migliaia di miliardi”; “L’analisi di Bloomberg Economics mostra che gli impegni di investimento reali si avvicinano ai 7 miliardi di dollari, e molti di questi sono ancora in discussione”.

Intanto, Oli Price ha una pessima notizia per gli attivisti contro il complotto green delle élite globaliste:

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La crescita delle energie rinnovabili e dei veicoli elettrici, titola, ha superato di gran lunga le previsioni del 2015: “La capacità solare globale”, sottolinea l’articolo, “è ora quattro volte superiore alle proiezioni dell’IEA del 2015, e i veicoli elettrici rappresentano oltre il 20% delle vendite di auto nuove”; e “Il predominio della Cina nella produzione di energia pulita ha fatto si che i costi si riducessero in tutto il mondo”. Vaglielo a spiegare a chi è cresciuto a pane e editoriali di Maurizio Belpietro

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